Giovanni Paolo II è vivo tra noi
Omelia del Card. Tettamanzi alla messa nel primo anniversario
Quinta Domenica di Quaresima, di Lazzaro
Nel primo anniversario della morte di Giovanni Paolo II
Omelia
Milano - Duomo, 2 aprile 2006
Siamo sicuri che
Giovanni Paolo II è vivo tra noi
perché Cristo è il risorto e il vivente
Carissimi,
in tutto il mondo è vivissimo nel popolo di Dio – e non solo – il ricordo orante
dell’ amatissimo papa Giovanni Paolo II, che un anno fa come oggi è tornato alla casa del Padre.
Proprio in queste ore si moltiplicano dappertutto le celebrazioni e le iniziative volte ad
esprimere e a condividere i sentimenti che questo ricordo suscita in tutta l’ umanità, che si è
sentita veramente accompagnata, presa per mano e sostenuta con forza nel corso di quasi
ventisette drammatici anni della nostra storia.
Pervasi dall’ onda inarrestabile di questi sentimenti di affetto e di gratitudine per questo
grande Papa, anche noi ci uniamo in particolare alla preghiera di Benedetto XVI, che tra poco si
affaccerà alla finestra di Piazza San Pietro per intonare il Rosario e per affidare, ancora una volta,
a Maria colui che in ogni giorno della sua vita non si stancò di sentirsi ed essere totalmente di
Maria - “ Totus Tuus” -, tutto consegnato alla Madre del Signore per essere poi tutto donato alla
Chiesa che ha guidato e servito insieme a Maria, madre e maestra.
Il ricordo del Papa scomparso attraversa certamente la coscienza di ogni fedele e attinge alla
memoria di ciascuno. Ma questo stesso ricordo commosso e riconoscente è di tutta la Chiesa, è di
un intero popolo di ogni lingua, razza e cultura, che rinnova la sua fede in Cristo Signore, vero e
unico pastore del gregge, sempre vivo, sempre presente e operante in mezzo a noi.
Proprio in forza di questa fede, lasciamo ora che sia la Parola di Dio, parola che nutre la
Chiesa, a illuminare la nostra memoria di Giovanni Paolo II. Le letture bibliche della Quinta
Domenica di Quaresima, soprattutto il brano evangelico della prodigiosa risurrezione di Lazzaro,
ci offrono la trama nella quale può inserirsi e prendere sempre più colore la vita e il ministero di
Papa Wojtyla.
Si recò al sepolcro
Lo svolgersi del racconto di san Giovanni porta via via Gesù davanti a una tomba. Era una
tomba spoglia e semplice, scavata nella roccia, come quella presso la quale ogni giorno continua,
ininterrotto, il pellegrinaggio di migliaia di fedeli nelle grotte vaticane.
Un sepolcro non ha bisogno di essere spiegato: esso custodisce e svela la sua cruda verità. È
una verità triste, che genera dolore. Insieme con Marta e con Maria, sono molte le persone che
piangono per Lazzaro. E anche Gesù – annota l’ Evangelista – «scoppiò in pianto» (Giovanni
11, 35). La malattia e la morte delle persone care lasciano spesso a chi le vive e le affronta solo la
possibilità di piangere, di esprimere, senza parole ma con forte intensità, la propria protesta e la
propria impotenza.
Tutto il mondo ha pianto tanto per Giovanni Paolo II, dapprima trepidando per la sua salute,
poi commuovendosi per la sua straordinaria testimonianza di uomo e di credente segnato ma non
vinto da una sofferenza che l’ ha costretto perfino al silenzio e, infine, accorrendo attonito e
orante davanti alla sua salma. Il mondo ha pianto tanto per Giovanni Paolo II soprattutto perché
nella sua vita e nella sua morte ha riconosciuto un fratello e un padre che ha testimoniato, in
modo mirabile e sino alla fine, la sua fede in Gesù e il suo amore alla Chiesa e all’ umanità, in
particolare dentro la sofferenza e attraverso la sofferenza.
Alla vigilia di uno dei suoi ricoveri, lui stesso, parlando in Piazza alla folla, aveva ricordato
che il cardinale Wyszyński, profetando all’ allora Arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla che
avrebbe introdotto la Chiesa nel Terzo Millennio, gli ricordò con tono insieme affettuoso e severo
che ciò l’ avrebbe compiuto anche con il “ Vangelo della sofferenza” .
E così è stato. Giovanni Paolo II, in un certo senso, ha tenuto insieme nella sua persona e
nel suo ministero i diversi aspetti di un unico Vangelo della sofferenza. L’ ha fatto insegnando a
tutti la solidarietà con chi soffre, la pazienza nel dolore, la lotta per combatterlo dove è possibile e
per accettarlo quando è incomprensibile. Soprattutto ci ha trasmesso la convinzione che, quando
si ama, anche ciò che fa soffrire diviene luce e anche ciò che è fragile diviene forza che apre vie
di carità apparentemente impossibili. Della propria sofferenza personale il Papa ha fatto un dono
d’ amore alla Chiesa e all’ umanità, in comunione con il Crocifisso che così visibilmente ha
amato, testimoniato e anche fisicamente abbracciato, come tutti abbiamo visto, nella sua ultima
Via Crucis.
Vedi come lo amava!
Gesù piange. Piange perché addolorato per la scomparsa dell’ amico, ma anche per la
grande e intima compassione che lo lega alle sorelle di Lazzaro e a tutti gli altri che
l’ Evangelista ci mostra mentre si muovono in vario modo premurosi attorno alla malattia e alla
morte di Lazzaro.
Il pianto di Gesù è forse il vertice della rivelazione della sua vera e piena umanità. La sua
“ profonda commozione” è raccolta dai presenti, che ci consegnano un’ espressione splendida e
singolarmente efficace per descrivere l’ umanità del Figlio di Dio. Annota, infatti, Giovanni che i
Giudei, vedendo che Gesù era scoppiato in pianto, dissero: «Vedi come lo amava!» (Giovanni 11,
36). Sì, anche noi guardiamo e vediamo come e quanto Gesù ama l’ uomo!
Ci pare di poter dire così anche di Giovanni Paolo II. Egli ha amato sempre e intensamente
l’ uomo! Ha amato l’ umanità intera, avvicinata e conosciuta da lui sì attraverso i numerosissimi
incontri, spesso con folle sterminate, ma anche e soprattutto nella miriade di contatti personali,
anche brevissimi, dove ogni persona rimaneva colpita dal sentirsi amata e quasi toccata dalla sua
tenera paternità.
Non c’ è nessuno, credente o no, che non abbia avvertito la carica piena di umanità di
questo Papa e la sua intensità di amore – di amore appassionato e operoso - per l’ uomo, per
ogni uomo, popolo e nazione.
Quello di Papa Wojtyla è stato amore e impegno per la dignità di ogni persona, per la difesa
e la promozione dei diritti umani a iniziare da quello sacro e inviolabile alla vita. È stato un
amore specialissimo e comunicativo per i giovani, per le famiglie, per i poveri. È stato un amore
che si è manifestato come predilezione e dedizione per i malati e per ogni persona che soffre. È
stato un amore che si è fatto denuncia di ogni ingiustizia, lotta verso ogni forma di violenza,
ricerca tenace di riconciliazione e di pace. Sì, l’ amore per l’ uomo – tanto per gli individui
quanto per i popoli – è stata la strada che egli ha percorso sin dagli inizi del suo pontificato e per
tutti i giorni della sua vita, in fedeltà a quanto egli stesso aveva scritto nella sua prima enciclica,
affermando che “ l’ uomo è la via della Chiesa” (cfr. Redemptor hominis, n. 14).
Io credo che tu sei il Cristo
Ma, proprio in quell’ inizio del pontificato, fu subito chiaro al mondo che l’ amore del
pastore per la concreta umanità che Dio gli affidava era l’ amore stesso di Cristo. Il servizio del
Papa voleva essere – ed è stato! – trasparenza luminosa e infaticabile testimonianza dell’ amore
“ fino alla fine” di Gesù Cristo Redemptor hominis, “ redentore dell’ uomo” .
La testimonianza di chi ha vissuto giorno dopo giorno vicino al Papa è la stessa di chi lo ha
visto una volta anche solo da lontano o di chi lo ha incontrato per doveri ufficiali o per “ affari di
Stato” : tutti dicono di aver incontrato un uomo innamorato di Gesù Cristo, un uomo che si è
lasciato via via formare nella carità pastorale e nel servizio alla Chiesa dall’ esempio, dalla
contemplazione e dall’ imitazione del suo Maestro e Signore. Non si poteva non rimanere colpiti
e attratti da come e da quanto Papa Wojtyla pregava: la preghiera era il suo respiro! E la sua
missione era costantemente e senza interruzione ispirata, plasmata e sostenuta dal dialogo intimo
e profondo con il suo Signore e da una devozione eccezionale verso Maria Santissima.
L’ intera biografia del Papa “ venuto da lontano” potrebbe rappresentare un efficace
commento alla seconda lettura di oggi, nella quale san Paolo ci fa certi della grazia con la quale
Dio ci ha fatti rivivere con Cristo e ci ha già salvati in lui, di quella grazia che, addirittura, «con
lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli» (cfr. Efesini 2, 4-6).
Ugualmente la risurrezione di Lazzaro indica che in Gesù la forza salvifica del Dio della
vita opera efficacemente per chi ha fede in lui. È Gesù stesso ad esplicitare la necessità di questa
fede quando si rivolge a Marta dicendo: «Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche
se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?» (Giovanni
11, 25-26).
E noi riconosciamo che la fede di Karol Wojtyla era tutta animata dalla sua incondizionata
adesione alla parola e alla presenza di Cristo “ risurrezione e vita” . Era una fede come quella di
Marta che esprime nel vivo della sua sofferenza la bellissima professione di fede, che è poi la
stessa del Papa, della Chiesa e di ogni uomo che cerca sinceramente la verità e il senso della vita:
«Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo»
(Giovanni 11, 27).
È come se tutto il magistero del Papa – un magistero svolto nella Chiesa e per il mondo in
parole, gesti, simboli, sentimenti e sofferenze – si fosse continuamente generato in quella scena
del Vangelo dove il vertice dell’ umanità compassionevole di Gesù si intreccia e fa tutt’ uno con
la profondità della sua divinità, là dove le lacrime del Figlio di Dio si mescolano alla sua
preghiera: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l’ ho
detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato» (Giovanni 11, 4142).
Giovanni Paolo II aveva contemporaneamente sulle labbra il Vangelo per l’ uomo e nelle
orecchie e nel cuore la buona notizia di Gesù “ Figlio di Dio e redentore nostro” che – come
canteremo nel Prefazio – «manifestò sulla terra la gloria della sua divinità, quando con la forza
del suo ineffabile amore liberò dai legami di morte Lazzaro, già da quattro giorni cadavere».
È questa fede in Dio Padre rivelato dal Figlio che risuscita i morti per la forza dello Spirito,
che ha sprigionato e sostenuto in Giovanni Paolo II l’ incrollabile fiducia nell’ uomo, rendendolo
intrepido araldo della speranza, di quella speranza in Cristo risorto che spezza i legami di morte
dell’ umanità, che supera le barriere umane, le crisi epocali, le ingiustizie del peccato personale e
sociale e che vince il male di cui sono segnate le vicende della vita degli uomini e del mondo.
Papa Wojtyla ha dato fiducia e speranza al mondo e lo ha invitato, fin dall’ inizio del suo
pontificato, a “ non avere paura” , perché ha vissuto, parlato e amato con speranza e fiducia, con
quella speranza e fiducia che vengono dall’ “ aprire” , anzi dallo “ spalancare le porte a Cristo”
e alla sua potenza salvatrice. Tutto questo ha raggiunto, in qualche modo, il suo vertice quando il
Papa ha traghettato la Chiesa nel terzo millennio. La celebrazione del Grande Giubileo del
Duemila, infatti, non è stata per il Papa semplicemente un evento solenne, un evento iniziato e
finito nel giro di un anno. Questo Giubileo ha rappresentato, in un certo senso, una sintesi
straordinaria e vissuta di tutto il suo servizio e di come lui ha inteso la Chiesa: coraggiosa
discepola del Maestro, che “ prende il largo” tra i flutti della storia, tutta rivolta a contemplare il
volto di Cristo e perciò tutta protesa ad amare il mondo con il dono che essa custodisce e
annuncia, cioè «Gesù Cristo, lo stesso ieri, oggi e sempre» (Ebrei 13, 8).
La Chiesa è viva, perché Cristo è vivo
Tutti avvertono che questa speranza – una speranza di cui la società ha estremo bisogno e
senza la quale l’ uomo non può vivere – si è particolarmente incarnata in Giovanni Paolo II. Per
questo già lo sentono “ santo” , cioè vero testimone di Gesù risorto, speranza del mondo.
Un santo noi lo sentiamo vivo, lo sentiamo ancora nostro “ compagno di viaggio” . E così
– mentre attendiamo pazienti e fiduciosi il giusto corso del processo di canonizzazione –
crediamo di poter indicare la presenza dell’ amato papa Giovanni Paolo II. Sì, noi lo sentiamo
vivo con noi, nella stupenda realtà della comunione dei santi e – come sottolineava l’ allora
cardinale Ratzinger nell’ omelia dei suoi funerali – siamo sicuri che adesso egli «sta alla finestra
della casa del Padre», da dove, come ha fatto molte volte dalla finestra del suo studio in Piazza
San Pietro, «ci vede e ci benedice».
Ma possiamo fare un passo in più, che tanto piacerebbe al Papa scomparso anche perché ci
mette in ascolto del suo successore.
Benedetto XVI, nell’ omelia della Messa di inizio del Pontificato, ha detto che «alla
comunità dei santi non appartengono solo le grandi figure che ci hanno preceduto e di cui
conosciamo i nomi». E subito ha aggiunto: «Noi tutti siamo la comunità dei santi, noi battezzati
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, noi che viviamo del dono della carne e del
sangue di Cristo, per mezzo del quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se medesimo.
Sì, la Chiesa è viva – questa è la meravigliosa esperienza di questi giorni. Proprio nei tristi giorni
della malattia e della morte del Papa questo si è manifestato in modo meraviglioso ai nostri occhi:
che la Chiesa è viva. E la Chiesa è giovane. Essa porta in sé il futuro del mondo e perciò mostra
anche a ciascuno di noi la via verso il futuro. La Chiesa è viva e noi lo vediamo: noi
sperimentiamo la gioia che il Risorto ha promesso ai suoi. La Chiesa è viva – essa è viva, perché
Cristo è vivo, perché egli è veramente risorto. Nel dolore, presente sul volto del Santo Padre nei
giorni di Pasqua, abbiamo contemplato il mistero della passione di Cristo ed insieme toccato le
sue ferite. Ma in tutti questi giorni abbiamo anche potuto, in un senso profondo, toccare il
Risorto. Ci è stato dato di sperimentare la gioia che egli ha promesso, dopo un breve tempo di
oscurità, come frutto della sua resurrezione».
Sì, carissimi, la Chiesa è viva perché Cristo è vivo!
È questo il fondamento della nostra speranza. È questa la straordinaria verità che ci è
rivelata dalla risuscitazione di Lazzaro, anticipo e prefigurazione della risurrezione di Cristo il
mattino di Pasqua. È questa la consapevolezza gioiosa che anima il nostro ricordo di Giovanni
Paolo II.
Come Lazzaro risuscitato dai morti fu un segno, prodigioso, per condurre alla fede in Gesù
risorto, così l’ amore per Giovanni Paolo II, il suo ricordo vivo, il fiume ininterrotto di preghiere
che la sua memoria continua a suscitare nella comunità dei credenti, ci aiutino a credere sempre
più che la Chiesa è viva perché Cristo è risorto, perché Cristo è il Vivente, sempre presente nella
storia del mondo e nel cuore di ogni uomo.
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
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