Diocesi di Piacenza-Bobbio
Servizio Documentazione
Associazione degli Industriali di Pc
Intervento in Assemblea del Vescovo Monari
12 Dicembre 2005
Mons. Luciano Monari, Vescovo,
Vice presidente CEI, Zona Nord
Grazie di cuore, anzitutto, per l'invito, a me fate un piacere grande. M'interessa come industria
piacentina voi portate avanti, non perché io sia un esperto di fattori economici, ma perché
l'economia coinvolge la vita e il benessere di tante persone, di tante famiglie. Allora l’attenzione di
quello che siete e a quello che fate e come lo fate alle prospettive che abbiamo davanti, questa
attenzione per me è doverosa ed è preziosa e importante.
I codici etici
Da parte mia, poiché mi se ne offre l'occasione, provo a offrirvi un qualche motivo di riflessione
prendendo lo spunto da un fenomeno che mi sembra allargarsi in questi anni e che seguo con
interesse. Da anni hanno cominciato a diffondersi dei “codici etici” che le aziende liberamente si
danno, esprimendo i valori ai quali s'impegnano ad attenersi nella loro attività. Già quando feci la
Visita Pastorale nei primi anni della mia venuta a Piacenza, qualche ditta mi fece conoscere il suo
decalogo etico, gli impegni che si assumeva nel rapporto con i fornitori, con i clienti, e con le altre
ditte.
Naturalmente sono molto contento di questo orientamento. In questo modo, mi sembra, viene a
piena consapevolezza il fatto che la produzione e il commercio di beni non sono solo attività
tecniche che richiedono competenza e strumenti adeguati; sono azioni umane che coinvolgono la
persona con i suoi desideri, con principi di vita che determinano le sue scelte e le sue azioni. Sono
convinto che nell'attività economica è indispensabile una presenza diffusa di fiducia e questi “codici
etici” cercano di fondarla e accrescerla attraverso impegni che le ditte liberamente e
consapevolmente si assumono.
Cito da un sociologo: "La fiducia è necessaria perché dobbiamo essere sicuri che gli altri si
comporteranno come hanno detto, e che si aspetteranno da noi la stessa coerenza. Ha quindi ragione
il sociologo, Niklas Luhmann 1, quando afferma che “la completa mancanza di fiducia impedirebbe
(a chiunque) perfino di alzarsi da letto il mattino”.
Nei “Dialoghi” (285) di Confucio si legge che il suo discepolo Tzu-kung lo interrogò un giorno
“sulle cose indispensabili per il buon governo del popolo”. Confucio rispose: “Tre cose
1
Luhmann, Niklas (Lüneburg 1927-Bielefeld 1998), sociologo tedesco. Dopo gli studi di diritto a Friburgo, lavorò nell'ambito dell'amministrazione
pubblica in Bassa Sassonia. Nel 1960-61 seguì le lezioni di Talcott Parsons e in seguito si dedicò alle scienze sociali. Nel 1966 fu docente privato
presso l'università di Munster e dal 1968 professore di sociologia all'università di Bielefeld. L'opera di Luhmann costituisce un importante tentativo di
fondare la riflessione sociologica, giuridica, politica su nuove basi fornite dalla teoria generale dei sistemi, dal funzionalismo, dalla scienza
dell'amministrazione, dalla teoria dei giochi, dalla cibernetica, sottraendosi all'influenza del pensiero sociale, storicistico e umanistico di ascendenza
marxiana, ritenuto inadeguato per capire e interpretare le moderne e complesse società industriali. I sistemi sociali, secondo Luhmann, sono sistemi
autoreferenziali, chiusi; essi si legano ad altri sistemi tramite la comunicazione e non tramite l'azione. La realtà sociale è concepita come una
costruzione teorica universale, costituita da un insieme di sistemi logici e sociali integrati. La teoria di Luhmann è stata criticata perché in essa la
società è vista soltanto nei suoi meccanismi funzionalistici e la realtà sociale ridotta ai soli aspetti razionali. Tra le molte sue opere si ricordano:
L'illuminismo sociologico (1970-90), Sociologia del diritto (1972), Potere e complessità sociale (1975), Funzione della religione (1977), Struttura
della società semantica (1980), L'amore come passione (1982), Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale (1984), Comunicazione ecologica
(1986), L'economia della società (1988), La differenziazione del diritto (1990), L'economia della società (1994). Con Jürgen Habermas ha scritto
Teoria della società o tecnologia sociale (1971).
1
indispensabili: 1) Viveri a sufficienza; 2) Armi bastanti; 3) Fiducia del popolo”. Insiste Tzu-kung:
“Ma se non si potessero avere tutte queste cose, e si dovesse fare a meno di una?”. Confucio
rispose: “Tralascia le armi”. Ancora il discepolo: “E se anche tra le due rimanenti si dovesse fare
una scelta? Rispose Confucio: "Tralascia i viveri, da sempre tutti hanno dovuto morire, ma se il
popolo non nutre fiducia non ha una base stabile”.
Sono convinto che questo discorso non vale solo per l'arte di governo, ma per tutte le professioni e
le istituzioni. E forse una delle difficoltà più grandi nella società contemporanea è la crisi della
fiducia. Ci fidiamo ugualmente - perché non si può vivere altrimenti -, ma è diffusa presso di noi
una specie di “cultura del sospetto”, che rende la vita sociale meno gradevole e più accidentata.
“C'è bisogno, ha scritto Onora O'Neill sociologa, di una lotta decisa contro la menzogna e cioè
contro chi altera volontariamente le informazioni; c’è bisogno di un impegno per rendere le
informazioni verificabili da parte di coloro che debbono usufruirne”. Per questi motivi sono
convinto che i “codici etici” delle aziende siano preziosi.
Però vorrei aggiungere una duplice breve riflessione.
L’etica nella vita sociale
1. La rilevanza del comportamento etico nella vita sociale.
La prima è sulla rilevanza del comportamento etico nella vita sociale. Si è diffusa la convinzione
che l'etica dei valori sia questione squisitamente personale e che non debba riguardare la vita
sociale. Questa - la vita sociale - sarebbe retta solamente dalle regole che la società stessa
democraticamente si dà; il resto deve rimanere nella sfera del privato, del personale.
Sono convinto che questa separazione netta è di fatto impossibile. Non confondo certo il campo
dell'etica con quello del diritto e delle leggi civili; ma dico che il comportamento etico dei cittadini anche il comportamento personale - ha un impatto notevole sulla vita della società e quindi la
società non può disinteressarsene del tutto.
Pensate, per rimanere nell'esempio della fiducia, al peso che la menzogna produce nella vita di
relazione tra le persone. È vero che il singolo può pensare che una sua singola menzogna sia
irrilevante; ma in realtà (insegnava già sant’Agostino) ogni menzogna, anche piccola, contribuisce
ad avvelenare la fiducia nei rapporti a renderli più difficili e complessi; è un ostacolo al
funzionamento sciolto della vita sociale.
Le tipologie sono molteplici; prendo un elenco significativo dalla politologa-sociologa sopra citata:
frode, appropriazione indebita, truffe di ogni tipo, calunnia, falsa testimonianza, spionaggio,
contrabbando, falso in bilancio, diffamazione... Ma si potrebbero moltiplicare gli esempi di
comportamenti personali che incidono sulla vita sociale in bene o in male. “In bene”, pensate a
quale peso di servizi si accolla per amore una persona in famiglia assistendo un familiare ammalato
o anziano. Se lo Stato dovesse provvedere alla totale assistenza di tutti i bisognosi, la bancarotta
sarebbe rapidissima. È solo perché ci sono dei comportamenti morali di affetto e di responsabilità
che le persone si assumono al di là della legge, al di à di quello che la legge obbliga a fare, è solo
per questo che la società riesce a funzionare.
2. Per un buon funzionamento della vita sociale è necessario che i singoli cittadini si
lascino guidare da una visione etica corretta, sappiano scegliere il bene e rifiutare il
male, anche nei comportamenti privati.
La seconda riflessione si lega a questa. Per un buon funzionamento della vita sociale è
necessario che i singoli cittadini si lascino guidare da una visione etica corretta, sappiano
scegliere il bene e rifiutare il male, anche nei comportamenti privati.
Ma una visione etica è solida senza un fondamento trascendente? Senza un riferimento a valori
supremi? Ripensate ai codici deontologici o ai codici etici delle aziende (di cui parlavamo prima).
Sono preziosissimi, e l'ho detto. Ma lasciano qualche disagio. Sono codici etici scelti solo per un
2
interesse economico o perché si ritiene che siano comunque validi? Sono tentativi di acquistare
quella preziosa difficile merce che è la fiducia dei clienti o sono anche espressione di una coscienza
di valori maturata e che permane anche col mutare delle condizioni?
E se siamo convinti che il valore delle determinazioni etiche rimane anche col variare dell'interesse
economico, su quale base possiamo affermarlo? Voglio dire, io uso il codice etico solo perché
economicamente è un vantaggio, guadagnando la fiducia mi ritorna anche un vantaggio economico,
e in caso che questo vantaggio non dovesse più esserci rinuncio all’impegno etico? O invece
riconosco che l’impegno etico ha delle motivazioni che rimangono anche se il vantaggio economico
non è più così evidente, così chiaro?
3. Vivere come se Dio esistesse.
In un discorso fatto a Subiaco il giorno prima della morte di Giovanni Paolo II (era il 1° Aprile)
l'allora cardinale Ratzinger aveva proposto una base su cui trovare consenso di credenti e non
credenti e l'aveva identificata su un'opzione di vivere “velut si Deus daretur”, come se Dio
esistesse. In questo modo Ratzinger aveva preso e capovolto una celebre espressione di Ugo Grozio
2
che, fondando il valore della legge sulla natura umana, aveva espresso la necessità che le leggi
vengano osservate “etsi Deus non daretur”, “anche se Dio non esistesse”, perché appunto sono
fondate sulla natura umana. Il pasticcio è che oggi il concetto di natura umana è in crisi e che pochi
sono disposti a dire quale sia la natura umana e quali valori necessariamente comporti.
Per questo invece Ratzinger proponeva di porre Dio come garanzia dei valori etici senza i quali
nemmeno la vita economica e politica di un paese funziona al meglio. Ecco le sue parole:
“Anche chi non riesce a trovare la via dell'accettazione di Dio dovrebbe comunque
cercare di vivere e indirizzare la sua vita “velut si Deus daretur”, “come se Dio ci
fosse”. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio
che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene
limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui
hanno urgentemente bisogno”.
“Nessuno viene limitato nella sua libertà”, perché l’esistenza non toglie la libertà dell’uomo, toglie
solo l’irresponsabilità, il capriccio, il fatto che possa fare quello che mi pare, questo è tolto dal
riferimento a Dio; ma non la libertà dell’uomo di cogliere la verità e perseguire quelli che ritiene
essere i valori autentici della vita.
Non so cosa possiate pensare di questa proposta. La ricordo qui perché può diventare un argomento
di discussione e di riflessione interessante.
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Agli albori della modernità il filosofo e giurista Ugo Grozio formulava il carattere autonomo della morale affermando che dobbiamo vivere
secondo il bene “etsi Deus non daretur”. Presa alla lettera, questa formula bandisce Dio dal mondo morale, malgrado lo scongiuro (indubbiamente
sincero) che l’accompagna: “quod Deus avertat”. A rinverdirla è stato, nel nostro secolo, il teologo Dietrich Bonhoeffer, martire del nazismo; ma
l’intendimento della sua riflessione, non che di bandire Dio dalla vita degli uomini, era di portarlo dalla periferia al “centro della città”, iniziando
dall’attestazione che egli già sta al centro e dalla valorizzazione di questa sua presenza. Quell’“etsi Deus non daretur” poteva dunque significare
soltanto “etsi Deus non cognosceretur”: Dio è il fondamento della vita buona degli uomini anche al di là del riconoscimento che essi gli danno (15).
A non molti anni di distanza il Concilio Vaticano II avrebbe, con formula diversa, riaffermato la stessa convinzione: “La coscienza è il nucleo più
segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nel suo intimo. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo
mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri
uomini per cercare la verità” (16). Si tratta allora di distinguere tra quella conoscenza della verità morale che è data esperienzialmente nella
coscienza e che costituisce il vincolo esistenziale dell’individuo, e il suo configurarsi religioso, dove essa appare come voce o parola di Dio, come
sua legge, espressione della sua volontà. La verità morale è volontà di Dio e sua parola anche quando non appare come tale: l’esperienza morale
appartiene all’essere, la sua figurazione religiosa appartiene all’apparire; purché si intenda l’apparire non come apparenza, ma come apparizione:
l’apparizione dentro il linguaggio di ciò che nella realtà è già dato prima (strutturalmente prima) del linguaggio, ed è la potenza interpellante della
verità morale. In questo senso si può e si deve dire che l’esperienza morale è, come tale, una conoscenza anonima di Dio, in quanto le manca
appunto la denominazione personale del proprio principio e “oggetto” (17); e che viceversa l’esperienza religiosa è l’interpretazione in chiave
personalistica del principio dell’esperienza morale; interpretazione, si noti bene, non postuma, aggiuntiva, ma co-originaria con la stessa
esperienza. E, ancora, si può e si deve dire che Dio è il fondamento dell’esperienza morale; ma che la sua presenza fondativa prescinde dal
riconoscimento religioso e, soprattutto, non ha nulla da spartire con una presunta fondazione argomentativa che dimostri la verità della legge morale a
partire da un Dio conosciuto per via metafisica. Si aggiunga che quanto qui è stato detto di Dio come nome proprio della verità morale è soltanto la
prima parola di quel lungo racconto che è la sua autorivelazione: nella storia dei popoli, nella storia di Israele, nella storia di Gesù. Anche di
quest’ultima storia, in quanto narrata e annunciata, va detto che essa non è fondamento della verità morale, ma sua singolarissima interpretazione.
Fondamento è quella libertà d’amore che costituisce a un tempo l’identità divina (cfr. 1 Gv 4,16) e la sua operazione nella storia, e che dell’annuncio è
oggetto.
3
4. La democrazia ha bisogno di gente che abbia dei principi etici che non sono fondati
dalla democrazia ma stanno prima, che rendono la democrazia possibile, che rendono
lo stato secolarizzato possibile.
Aggiungo, a scanso di equivoci, che non si tratta di far passare surrettiziamente il potere della
Chiesa nascondendolo dietro alla necessità di Dio. Il problema del rapporto stato-chiesa-società
civile è tutt'altro capitolo di riflessione, non a niente a che fare con questo discorso; qui non si tratta
di dire che la chiesa deve avere potere sulla vita sociale o politica, assolutamente no! Qui si tratta
solo di un fondamento trascendente 3 dei valori etici, un fondamento che si trova non solo in tutte le
religioni, ma anche in tutte quelle filosofie che definiamo “umanistiche” 4. Si tratta, quindi, di una
trasposizione di quello che i sociologi chiamavano il “teorema di Ernst Wolfgang Bockenforde,” 5
secondo il quale:
“Lo stato liberale e secolarizzato si nutre di premesse normative che esso, da solo e
autonomamente, non può garantire e non può rinnovare”.
È così? Vale la pena rifletterci (il teorema del sociologo Bockenforde è motivo di discussione non è
un dogma).
Oppure detto in altri termini. La democrazia ha bisogno di gente che abbia dei principi etici che
non sono fondati dalla democrazia ma stanno prima, che rendono la democrazia possibile, che
rendono lo stato secolarizzato possibile. È una specie di applicazione alla vita politica, di quel
teorema di Godel secondo cui non esistono sistemi logici che possono dimostrare le loro premesse.
Le premesse stanno fuori, bisogna accettarle. E poi poste le premesse nasce tutto il sistema logico,
ma le premesse non sono dimostrabili. Nella democrazia è così: c’è tutto un grande edificio della
vita democratica, ma che non riesce a fondare il perché esista, questo lo deve prendere da qualche
altra parte, lo deve prendere dalla etica e dai valori dei cittadini che stanno prima della vita
democratica.
Conclusione
Concludo ricordando una riflessione, per me bellissima, di un gesuita francese del tempo della mia
infanzia, il padre August Valensin. Diceva più o meno così (la prima volta che lessi questa frase
rimasi un po’ disorientato perché mi sembrava una specie di “quasi bestemmia”, poi leggendo e
pensando e riflettendoci mi piace da matti):
“Se anche alla fine della mia vita mi accorgessi di avere sbagliato nel credere in Dio,
non per questo mi pentirei di averci creduto; perché sarebbe l'Amore Infinito ad avere il
torto di non esistere e non io ad aver sbagliato nel crederci”.
Auguri di buon lavoro e, siccome siamo in tema, auguri anche di buon Natale, che il Signore vi
benedica e renda il vostro lavoro fecondo, perché se il vostro lavoro funziona bene ci guadagniamo
anche noi, allora c’è un po’ di interesse nell’augurare anche a voi un buon lavoro.

Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile parlato e in una forma didattica e con riferimenti biblici, ma
non rivisto dall’autore.
3
Trascendente. Ciò che sta al di là dell’esperienza. Si dice di ciò che è relativo all’*aldilà, oltre la morte, e anche di realtà del “qui”, ma che
appartengono all’ordine di ciò che è definitivo. Per questo ha anche il significato di molto importante.
4
Umanesimo. Qualsiasi movimento che valorizzi l’intelletto, la libertà e la dignità degli esseri umani nonché la loro capacità di imparare e di
migliorare l’intera loro situazione culturale. La riscoperta della cultura classica ispirò l’umanesimo del Rinascimento. I suoi “leaders” tipici, mentre
erano spesso critici riguardo alla Chiesa e alla società, potevano essere devoti e religiosi: Lorenzo Valla (circa 1406-1457), Pico della Mirandola
(1463-1494), Erasmo di Rotterdam (1469-1536) e san Tommaso Moro (1478-1535). Gli umanisti recenti sono stati spesso non credenti (GS 7, 56),
ritenendo gli uomini assolutamente autonomi e “misura di tutte le cose”. Tuttavia, un nuovo umanesimo che cerchi responsabilmente di costruire un
mondo migliore basato sulla verità e sulla giustizia (GS 55) è pienamente conciliabile con la fede cristiana.
5
1984: Cristianesimo e democrazia pluralista. Sulla imprescindibilità del cristianesimo. Il 24 aprile 1984, a Monaco di Baviera, S.E. Rev.ma il
signor cardinale Joseph Ratzinger apriva un congresso sul tema L'eredità europea e il suo futuro cristiano - promosso dalla fondazione Hans Martin
Schleyer e dal Pontificio Consiglio per la Cultura - con una conferenza il cui titolo originale suona Christliche Orientierung in der pluralistichen
Demokratie? Uber die Unverzichtbarkeit des Christentums in der modernen Welt. Pronunciato davanti a un pubblico composto da qualche centinaio
di uomini di cultura europei, il testo è stato poi raccolto come contributo in Pro Fide et Justitia. Festschrift fur Agostino Kardinal Casaroli zum 70.
Geburtstag, a cura di Herbert Schambeck, Duncker & Humblot, Berlino 1984, pp. 747-761. Su questa edizione è stata condotta la traduzione italiana,
gentilmente autorizzata dall'autore, fatta da don Pietro Cantoni. Il titolo è redazionale. (vedasi file OR240484 Archivio Servizio Documentazione).
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