IL FINE ULTIMO DELL`UOMO Il fine ultimo dell`uomo deve

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Roberto Nava – MORALE FONDAMENTALE 1 – Il fine ultimo dell’uomo
IL FINE ULTIMO DELL’UOMO
La questione più importante per qualsiasi persona è dare una risposte alle domande sull’origine e il
fine dell’esistenza umana. Che senso ha la mia vita? Qual è il fine della mia esistenza? da dove veniamo?
Dove andiamo? Cosa dobbiamo fare? Sono le domande che si fanno tutti e che non lasciano indifferente
nessuno. Ebbene, sin da quando nella cultura greca è stata fondata la scienza etica, il fine ultimo è stato
individuato nella «felicità»: ogni persona vuole essere felice, in quanto, come scrive Aristotele, «alla felicità
aspirano tutti gli uomini». Qualche secolo dopo, Agostino d’Ippona, ripeterà lo stesso concetto:
«Sicuramente tutti noi vogliamo essere felici, e nel genere umano non c’è nessuno che non dia il suo
assenso a questa proporzione ancora prima che sia pienamente enuncata» (De mor. Eccl., 1,3,4).
Per il credente, poi, la «felicità» perfetta è la salvezza, la vita felice in Dio, che costituisce l’obiettivo
ultimo dell’esistenza, perché, come si legge nelle Scritture: «quale vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il
mondo intero, e poi perderà la propria anima?» (Mt 16,26).
Il fine ultimo dell’uomo
deve esercitare un influsso reale sul suo agire
La considerazione del fine ultimo esercita sull’agire dell’uomo un influsso considerevole. Possiamo
precisare alcune peculiarità.
1. Il «fine ultimo» fornisce il criterio per misurare la moralità di ogni singolo atto dell’agire
dell’uomo. Saranno azioni moralmente buone quelle che garantiscono il
raggiungimento del fine ultimo; al contrario, riceveranno un giudizio eticamente
negativo tutti gli atti che ci allontaneranno da questo fine. Se lo negano o lo
contraddicono saranno cattivi in sé stessi; se si limitano a tenerlo lontano, saranno
considerati imperfetti.
2. Quando l’uomo stabilisce come fine ultimo della propria vita il «trascendente», tutte le
sue azioni acquistano un carattere nuovo. In primo luogo eliminerà dalla propria vita
quelle azioni che gli impediscono di tenere di mira questo «trascendente». É il caso
degli atti che sono cattivi in se stessi, come la bestemmia e, in generale, quelli che si
oppongono ai Dieci Comandamenti. Allo stesso modo, deve respingere altre azioni che
in sé non sono cattive, ma se lo allontanano dall’ideale trascendente per tutta la sua
vita, vanno evitate. Infine, le opere in sé buone, come l’aiuto al prossimo, l’esercizio
della giustizia ecc., riceveranno un nuovo valore nella misura con cui vengono compiute
per amore.
3. Un altro vantaggio della considerazione del «fine ultimo» come norma dell’agire morale
è che essa dà luogo ad una morale dall’alto valore etico. Infatti, se si pone Dio come
fine dell’esistenza, ci si propone una scala di valori ben diversa da chi ha come ideale
etico solo un progetto di onestà umana. É evidente che questa gerarchia di valori è
tanto più diversa quando il progetto morale che si vive non rispetta neppure la dignità
dell’uomo, ma entra in sentieri che portano a una vita più o meno disordinata.
Alcuni errori di oggi sul fine ultimo
Gli errori di alcune correnti etiche del nostro tempo, in particolare quelli più lontani da questa
prospettiva di vita morale, si possono collocare in due grandi gruppi: l’antropocentrismo (antropolatria) e il
materialismo.
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L’antropocentrismo
Come dice il nome stesso, professano l’«antropocentrismo etico» gli autori che negano che l’uomo
abbia un fine trascendente. In nessun caso si può definire un «antropocentrismo» l’etica filosofica in
quanto tale. Infatti, malgrado che i grandi etici – fin dalle origini -, per trovare un fondamento alla scienza
etica, abbiano fatto ricorso a Dio, accade tuttavia che quelli che non ricorrono espressamente a Dio,
sostengono le tesi secondo cui la ragione giustifica l’agire etico dell’uomo esclusivamente in base alla
natura propria dell’esistenza razionale.
La verità è che, quando si cerca la ragione ultima, si richiede l’ipotesi di un assoluto anch’esso ultimo,
al quale ricorrere per elaborare un’etica di valori universali vincolanti. Tuttavia possono esserci dei sistemi
etici che invitano ad agire in modo coerente con la natura specifica dell’essere umano, e questo non lo si
può definire «antropocentrismo».
L’appellativo va invece applicato a quei sistemi morali che poggiano su antropologie inadeguate. Si
possono menzionare i seguenti sistemi:
In primo luogo si debbono menzionare quegli autori che professano una «morale senza Dio».
Inoltre, quelli che negano che sia possibile elaborare una morale degna dell’uomo se si
riconosce l’esistenza di Dio. É una tesi che ha origini lontane. Forse si dovrebbe riesumare la
dottrina degli esistenzialisti atei, con a capo Jean Paul Sarte.
Allo stesso modo, sono da includere in questo gruppo quegli autori che riducono l’uomo a
pura biologia. Sono quelli che appartengono alla corrente del «sociobiologismo». L’autore
più famoso è Edward Osborne Wilson. Secondo questo autore, «l’origine della condotta
morale sta nei geni».
Ancora, i sistemi etici che fanno scaturire la moralità dei costumi sociali del momento e che
cercano di formulare alcuni principi etici che favoriscono la convivenza civile. Tra questi
sistemi si possono annoverare alcuni autori – non tutti – che propongono la cosiddetta «etica
laica»: il bene e il male sono stabili democraticamente dalla maggioranza dei voti e negano
che si possa elaborare un’etica fondata nella legge naturale. Non pochi filosofi sottoscrivono
questa tesi; per esempio Fernando Savater.
Infine, si possono inserire in questo gruppo quegli autori che negano l’esistenza di un
«soggetto etico», affermano cioè che l’uomo non è un essere in grado di compiere atti
veramente responsabili.
Il materialismo
In questo gruppo si possono inserire diverse correnti e autori che spesso coincidono con quelli
enumerati nel paragrafo precedente. Per esempio:
Quelli che riducono l’uomo a pura materia in questo gruppo c’è posto per i diversi tipi di
materialismo, dal «materialismo dialettico» fino al difensore del «caso», come Jacques
Monod, e ai negatori della libertà, come Burrhus Frederic Skinner.
Le correnti antropologiche che negano una differenza essenziale tra l’uomo e l’animale:
correnti «fisicaliste» ed «emergentiste». In questo gruppo si possono includere M. Bunge,
Mosterin, L. Ruiz de Gopegui, P. Singer ecc.
Logicamente in queste correnti etiche, e negli autori che vi si possono ascrivere, avendo cancellato
Dio dall’orizzonte etico, il «fine ultimo» della vita morale si riduce al benessere personale o, al massimo, a
ottenere una convivenza sociale pacifica. Se si chiedesse ad alcuni di questi autori un criterio per valutare il
bene o il male sociali, non pochi risponderebbero: dal punto di vista etico, è buono o cattivo quello che è
ben visto o mal visto nella società degli uomini. Spesso si tratta di una riduzione dell’«etica» all’«estetica».
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