Gruppi di lavoro su I giovani, il dolore e la crescita
26/4/2017: Il dolore
Gruppo 1: Il dolore nella tradizione filosofica e pedagogica viene visto, innanzitutto, nella sua
valenza di difficoltà emotiva e personale.
Il dolore, per chi lo prova, è sempre un’esperienza “nuova” e, per certi versi, del tutto incomunicabile.
In tal senso è anche difficile comprendere il dolore altrui.
In epoche passate era la stessa filosofia a occuparsi, anche in senso concreto, del dolore; esso, tuttavia,
ha vissuto nell’attualità, un fenomeno di rimozione. Ciononostante, vi sono approcci filosofici, come
quello esistenzialista, che fa del dolore uno dei suoi centri d’indagine.
Nel contesto pedagogico/educativo il dolore è stato osservato come portatore di conoscenza,
soprattutto come conoscenza di sé e scoperta di alcune sue parti.
Permangono, nella cultura attuale, approcci di controllo totale, nonché di non accettazione del dolore.
Gruppo 2: nell’indagine sul dolore non si può prescindere dallo sguardo scientifico e da quello
filosofico, benché il primo fondi la sua ricerca soprattutto sul dolore fisico. Non è possibile pervenire
a una prospettiva oggettiva di tale fenomeno, ma lo sguardo deve essere necessariamente unitario e
interdisciplinare.
Sono state osservate delle fasi pressoché stabili nel dolore per il lutto, la vedovanza e l’avvicinamento
alla morte.
L’approccio pedagogico (ma anche quello medico/scientifico!) tendono a occuparsi della cura,
piuttosto che dell’osservazione del dolore fisico/psicologico/morale. In tal senso la pedagogia e la
psichiatria condividono una visione della persona che consideri la sua storia di rapporto con il dolore.
Nell’accompagnamento al dolore vi sono figure tradizionali del passato, che oggi sono riproposte
quali specifiche figure professionali. Secondo alcuni approcci, esiste la necessità di un’educazione
“preventiva” del dolore (che educhi ad affrontarlo).
Gruppo 3: C’è uno stretto legame tra il dolore ed altre emozioni ed esso è intrecciato con altre
emozioni secondarie.
Particolarmente stretta è la parentela con la tristezza, che appare essere una sorta di prolungamento
di un dolore più blando.
A fronte del senso di sofferenza, che è una caratteristica costante della nostra vita, in adolescenza essa
assume forme particolari, quali una sorta di malinconia cronica.
L’emozione del dolore si lega, per certi versi a quella della paura, che va anche vista nel suo carattere
positivo di preparazione, prevenzione e sensibilità, e alla rabbia, che accompagna costantemente il
dolore in un tipo particolare di esperienza luttuosa.
Rispetto al legame tra dolore e senso di colpa, occorre chiedersi, innanzitutto, qual è il grado di
evoluzione morale di un individuo che si trova in una fase particolare della sua vita: non è giusto
richiedere a un bambino o un adolescente una prospettiva morale che non può essere ancora
“compiuta” come qualla di un adulto.
3/5/2017: I giovani
Gruppo 1: Il problema è come si affronti il dolore in età adolescenziale; rispetto a ciò ci si interroga
sull’approccio di diverse generazioni che si sono susseguite. I momenti e le condizioni di
emarginazione e di solitudine sono in tal senso molto influenti, così come lo è stata l’irruzione delle
nuove tecnologie nella vita quotidiana.
Spesso emergono concezioni del piacere come negazione del dolore e non come contrappunto ad
esso, che è, invece, esperienza di vita da accogliere.
Occorre rivedere la concezione dell’adolescenza in tutte le sue potenzialità e, per fare ciò, recuperare
il valore simbolico degli elementi della cultura (ad es. la musica va rivista nel suo carattere mistico e
spirituale).
Gruppo 2: Il disagio giovanile emerge anche in alcuni dati statistici; soprattutto nei decenni del
recente passato si manifestava nell’edonismo, narcisismo e disimpegno.
Nell’attualità pesano sui giovani soprattutto i dati e i contesti della crisi economica e sociale, che
determinano la difficoltà del distacco dall’abitazione dei genitori e, soprattutto, a livello psicologico
e morale, il senso di una mancanza di futuro.
C’è una forte presenza numerica di NEET (“non impegnati in esperienze educative, d’impiego o di
formazione professionale”). Il disagio familiare e sociale emerge chiaramente come non
meccanicamente causato dalla povertà materiale ma da povertà relazionali ed educative.
Le relazioni familiari rimangono, infatti, in Italia, la risorsa più importante su cui i giovani possano
contare.