G. Chiosso - Il novecento pedagogico. Cap 1 - MODERNITA’, SCIENZA E PEDAGOGIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO. 1. L’affermarsi della civiltà moderna. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, in europa, vi fu un processo di cambiamento e di modernizzazione che scalzò il pensiero romantico e spiritualista per far posto al pensiero positivista di progresso in funzione della razionalità scientifica. Già i termini positivismo,scienza positiva, positivista circolarono in seguito alla pubblicazione del filosofo sociologo Auguste Comte: COURS DE PHILOSOPHIE POSITIVE. Questo studioso affermava che lo stadio positivo dell’umanità era strettamente legato all’empirismo ed alla verifica scientifica. Da questo momento storico si parlerà di cultura e civiltà moderna. La modernità fondata sul progresso, sulla civiltà industriale, sulla visione laica della vita, sul valore della scienza si contrapponeva alla consuetudine ed al rispetto delle tradizioni, elementi ritrovabili nella fede religiosa e nei ritmi di vita della società rurale. La convinzione di aver trovato la chiave che poteva aprire le porte della conoscenza portò l’ottimismo ad essere un carattere proprio della civiltà moderna. Comte formulò la legge dei tre stadi secondo la quale l’umanità come per la psiche umana passa per tre stadi: teologico, metafisico e positivo. Mentre nel teologico la spiegazione degli eventi umani, naturali e sociali era legata all’intervento di agenti soprannaturali, nello stadio metafisico legato a forze astratte, nello stadio positivo l’uomo smette di chiedersi il perché dell’evento concentrandosi sul suo effetto scoprendo le leggi che lo regolano e che nella ripetizione si somigliano.(Cosa lo descrive). L’applicazione del metodo razionale e dell’analisi dell’evento (“Fatto”) fu esteso ai fenomeni naturali e sociali. Modernità e scienza divennero categorie intrecciate tra loro in modo simbiotico in quanto la scienza doveva trovare il modo per superare le difficoltà oggettive per permettere il progresso della modernità e quest’ultima doveva promuovere una sempre più ampia applicazione della razionalità scientifica. La modernità portò in Europa un miglioramento nelle condizioni di vita aumentando, grazie allo sviluppo industriale, benessere, qualità e quantità di beni alimentari e di prima necessità. La medicina e l’igiene progredirono in forme positive di miglioramento come anche la scuola, inizialmente prerogativa dei ceti benestanti, aperta anche a classi sociali di minor peso sociale. Mondo cattolico e marxismo erano in posizioni di opposizione rispetto alla modernità per motivi diversi colpevolizzandola di essere incapace di risolvere problemi di ingiustizia sociale ed essere espressione dell’interesse economico dei capitalisti. 2. L’educazione come “Fatto naturale”. La cultura della modernità pose le basi per una ristrutturazione dell’educazione. Romanzieri e narratori (come il De Amicis o il Verga per quel che riguarda l’Italia) si fecero testimoni nelle loro opere di questo processo ponendo l’attenzione sulle vicende delle persone (alunni, maestri,precettori) rivolgendo l’attenzione sull’importanza dell’educazione. Educazione quindi non solo legata alle tendenze spiritualistiche che tenevano il campo fino ad allora ma in funzione di una applicazione razionale delle leggi sul piano biologico, psiclogico, sociologico ed etico. Queste scienze dovevano fornire alla pedagogia i dati su cui costruirsi e poter quindi parlare di scienze dell’educazione. Quindi la pedagogia doveva accettare di considerare l’uomo non come poteva o doveva essere ma in base ad un insieme di elementi scientifici in relazione ad analisi biologiche e sociali. La modernizzazione pensava la pedagogia fondata sull’educazione come “fatto naturale” ed in base all’evoluzione degli stessi “fatti naturali” a livello umano e sociale. Due autori si fecero protagonisti di quest’epoca: Charles Darwin con la teoria dell’evoluzione della specie o evoluzionismo ed Herbert Spencer che estese l’impostazione evolutiva agli aspetti della vita naturale, biologica, psicologica, sociale, politica ed educativa. Con Darwin l’idea della vita nella storia dell’uomo passò da essere immutabile e preesistente ad essere risultato di una serie di eventi naturali inserendolo all’interno della natura non più come protagonista ma come un semplice tassello. Ne risulta che l’uomo è indagabile tanto quanto lo è la natura e non solo nei suoi aspetti biologici, fisici e psichici ma anche in tutte le sue manifestazioni, da quelle politiche a quelle religiose, a quelle economiche ecc. Spencer diede consistenza filosofica alla teoria dell’evoluzionismo. Secondo Spencer l’evoluzione si svolge attraverso forme meno coerenti a forme più coerenti. Il cammino dell’evoluzione è sostenuto da un modo di differenziazione ed uno di conservazione e riutilizzazione di esperienze. L’intelligenza umana si presenterebbe come un dato ereditario consolidato da un progressivo accumulo di esperienze. Ritrova quindi lo scopo dell’educazione nel perfezionare razionalmente i risultati e le esperienze raggiunte dalla specie umana. Il filosofo inglese, sulla base della sua formazione naturalistico-evoluzionistica poneva anche come importante l’educazione fisica in quanto l’uomo, principalmente essere organico sensibile, per avere successo nel mondo doveva essere un animale. Quindi educazione fisica accompagnata ad educazione intellettuale nel senso di educazione al metodo scientifico. In merito al metodo di educare, Spencer sottolineava la necessità che i processi formativi si centrassero sulle esperienze personali dell’educando e che quindi anche l’educazione morale non fosse frutto di norme comportamentali e di teorie fornite da autorità esterne (religione, politica, scuola) bensì portata dalla constatazione che quanto più l’agire umano fosse stato in funzione delle regole naturali e delle consuetudini sociali, tanto meno si sarebbero incontrate difficoltà. Quindi sperimentazione degli errori nei quali ritrovare la punizione anziché punizione per non incorrere in errori. 3. Fisionomia e valori della società borghese. L’analisi sociale secondo Comte, ,Spencer. Secondo Comte la società è un risultato del percorso storico e si sviluppa in base alla legge dei tre stadi. Quindi è necessaria una idea-forza sovraindividuale che guida i processi di modernizzazione. Comte poneva la necessità di guida per evitare sbandamenti od incertezze. Spencer invece analizzando la società affermava che i cambiamenti sociali sono parte di un processo di evoluzione. Quindi la collaborazione di individui in grado di mediare i propri interessi dava modo di esprimere la capacità dell’uomo di autodeterminarsi. In Spencer prevaleva la convinzione che l’organismo sociale come quello fisiologico aveva la capacità di svilupparsi in modo ordinato. Entrambe le teorie avevano comunque un problema comune: abbattendo le vecchie idee e dissolvendo l’antico ordine che dava stabilità, il processo di modernizzazione non riusciva a creare una stabilità altrettanto solida. Alexis De Tocqueville analizzando lo sviluppo della società americana affermava che una volta scomparso il prestigio delle vecchie cose non c’è nulla che distingua gli uomini se non la quantità di denaro. Marx ed Engels analizzando lo sviluppo della società inglese mise in discussione la società borghese in quanto proveniente da modelli feudali e quindi incapace di eliminare gli antagonismi tra le classi. Secondo questa linea di opposizione la borghesia ha solo creato nuovi livelli e nuove condizioni di oppressione rischiando di far emergere due campi nemici contrapposti: borghesia e proletariato. Tra il settecento e l’ottocento, sulla scena della vita sociale, vi furono tre grandi protagonisti. Il primo fu il borghese, l’uomo d’affari, imprenditore, di grande forza economica. Questa figura portò all’affermazione di nuovi valori e norme di vita come l’etica individualista temperata dalle convenienze sociali e l’identificazione degli interessi personali con quelli pubblici, il valore dell’istruzione, il senso di affermazione personale. Il secondo fu il grande dinamismo sociale che caratterizzò questo periodo con l’interposizione tra alta borghesia e classe operaia di molte figure di media e piccola borghesia (insegnanti, proprietari di negozi, liberi professionisti) che avevano tra loro e con l’alta borghesia le caratteristiche comuni di non fare lavori manuali ed un livello di istruzione secondario o superiore. Il terzo scenario della società borghese fu la civiltà industriale ed urbana. La città svolse un ruolo centrale nello sviluppo borghese e fu caratterizzata da un aumento importante di affluenza umana e divenne il luogo dove si svilupparono più nettamente gli antichi valori e dove quindi il processo di modernizzazione ebbe più marcatamente successo. 4. Durkheim: l’educazione come socializzazione. Uno dei primi campi dove si misurarono le nuove teorie educative naturalistico-evolutive fu quello di trovare un modello pedagogico che potesse confrontarsi con i nuovi valori che la società borghese stava delineando e con le nuove richieste a livello economico-industiale. Emile Durkheim, francese, riuscì a fare un passo in più rispetto a Spencer, indagando, con lo stesso rigore che l’inglese investiva sulle teorie evoluzionistiche, sui modi di pensare ed agire collettivi, sul funzionamento delle istituzioni, applicando la legge evoluzionistica all’analisi sociale. Durkheim è considerato un promotore della scienza sociologica moderna. Anche Durkheim nega che l’educazione sia un risultato esterno all’esperienza dell’uomo, ma nega anche che sia solo un fatto evoluzionistico. Secondo il francese l’educazione è un “fatto sociale” e varia in funzione delle condizioni storiche e della classe sociale da un lato, mentre dall’altro poggia su modelli di comportamento, norme e sentimenti largamente condivisi in una determinata epoca. Secondo Durkheim l’individuo è “composto” da due esseri: l’essere individuale ed un sistema di idee che esprime il gruppo o i gruppi a cui facciamo parte. L’obiettivo dell’intervento educativo è dunque quello di innalzare l’individuo al di sopra di se stesso e sistemarlo nel ruolo a lui più adatto in modo da mantenere l’ordine, caratteristica di una società che funziona. Azioni in funzione di regole—regole assicurano stabilità—stabilità necessaria perché senza non c’è progresso; Le regole assicurano quindi un ordine e la formazione di buone abitudini e la disciplina assicura la maturazione dell’attaccamento ai gruppi sociali (lealtà) e l’autonomia nella volontà. La scuola riveste quindi un ruolo importante per questo processo educativo perché da un lato esprime i bisogni sociali e dall’altro è luogo privilegiato per la formazione dell’individuo con conseguente integrazione nella struttura sociale. Le regole sociali non puntano ad emancipare l’individuo quanto a modellarne la personalità e quindi Durkheim è più orientato sulla teoria di Comte rispetto ad idee sovraindividuiali che guidano la modernizzazione sociale rispetto alla teoria di Spencer che ne permette l’autodeterminazione. Il francese da importanza cruciale nella figura dello Stato in quanto garante del rispetto e della protezione dei principi fondativi che la società liberale esprimeva: rispetto della ragione, della scienza e del suo valore progressista, delle idee e dei sentimenti nazionali. 5. La scuola nella società borghese. La rivoluzione scolastica nell’ottocento si fonda essenzialmente sulla base dei bisogni borghesi e sulle necessità derivate dalla modernizzazione. Mentre nel 1600 e 1700 lo stato si poneva in una posizione esterna alla gestione ed all’aspetto sociale della scuola (se pur vista con interesse) nel 1800 si verificò una mutazione importante. La scuola, nel diciassettesimo-diciottesimo secolo, veniva intesa come affare privato o delle comunità locali e chi la frequentava lo faceva a proprie spese (scuola privata). Lo stato interveniva solamente nelle scuole a carattere militare. Vi era una sola scuola per eccellenza, il collegio, che preparava i frequentanti più benestanti all’università oppure all’esercizio di professioni minori mentre tutte le altre forme scolastiche erano scollegate dal collegio.(Collegio=studi linguistici;Scuole di carità=lingua volgare, limitata alla capacità di leggere ed all’insegnamento del catechismo). A partire dall’ottocento gli stati agirono sempre più direttamente nelle riforme fino ad arrivare all’obbligo di istruzione. Da scuola privata si passò sempre più generalmente a scuola statale con un cambiamento della fisionomia stessa dell’istituto scolastico elementare, finalizzandosi alla preparazione sia di chi intendeva continuare gli studi, sia di chi intendeva frequentare per pochi anni. L’obbligo di istruzione era orientato secondo i criteri e le caratteristiche della modernizzazione. Le ragioni per cui vi fu questa generalizzazione della scuola ed il rilevante incremento della scuola secondaria furono molteplici ed essenzialmente giustificate nel periodo positivistico: il forte dinamismo della civiltà moderna, l’estendersi dei mercati de della cultura scritta, la modernizzazione degli stili di vita che in genere si ispirarono alle consuetudini borghesi, maggior peso politico della borghesia, necessità di trasmissione ed interiorizzazione dei valori che la borghesia esprimeva. L’interesse della borghesia si volse soprattutto verso la scuola secondaria, l’ambiente preparatorio per la classe dirigente. Si introdussero nelle scuole nuove discipline collegate ai cambiamenti culturali: ginnastica ed igiene. 6. Pedagogia e Psicologia sperimentale: l’esperienza tedesca. Il nuovo modello di pedagogia ebbe influenze importanti dallo studio della psicologia sperimentale che si identificano, come punto di avvio, nell’esperienza tedesca. Il laboratorio di psicologia sperimentale di Wilhelm Wundt, fondato nel 1879 a Lipsia, coltivò interessi che concorsero in modo importante alla creazione della psicologia scientifica ed allo studio del funzionamento di alcuni aspetti della psiche umana. Fechner-Weber=legge matematica stimoli –sensazioni. Helmholtz=organi sensoriali non solo registratori ma anche elaboratori che codificano, interpretano, ordinano elaborano, valutano. Gli studi di Wundt furono centrati sullo studio dei dati delle esperienze e dei processi mentali attraverso cui vengono fatti propri. La scoperta del funzionamento della psiche umana diventa importante per l’educazione, assieme all’etica come base per la condotta umana. Herbart=l’educazione doveva avere due saperi:psicologia ed etica.La prima per identificare quali processi mentali e come si verifica l’apprendimento, la seconda dava le norme di condotta morale e di comportamento nella società. 7. Il movimento per lo studio del bambino: Granville Stanley Hall Granville Stanley Hall, uno psicologo americano, studiò nel laboratorio tedesco di Wundt dove ebbe la possibilità di apprendere i concetti di psicologia sperimentale. In America fondò un laboratorio analogo a Baltimora con la differenza però che i suoi interessi si orientarono sullo studio della psicologia del bambino. Introdusse quindi concetti tanto semplici quanto innovativi che ebbero ripercussioni in tutto il mondo: l’educazione avrebbe avuto tanta efficacia quanto si fosse meglio conosciuto il funzionamento della psiche infantile. I suoi metodi furono per quel tempo d’avanguardia, usando questionari, temi specifici, ricordi di adulti, esperienze di bambini.(osservazione incrociata). Se pur possibile criticare i metodi ed alcune sue teorie come la teoria della ricapitolazione(nel corso dello sviluppo l’individuo ripercorre l’esperienza dell’evoluzione umana), il più grande apporto dello psicologo americano fu quello di aver aperto nuove vie per la conoscenza della mente infantile e di aver riportato in campo l’insegnamento di Rosseau secondo il quale l’educatore deve partire dalla conoscenza del fanciullo. Grazie a Granville Stanley Hall si istituì una nuova pedagogia ispirata al principio evoluzionistico: da un lato le ricerche sperimentali sulla psicologia dell’età evolutiva fornivano le basi per l’educazione, dall’altro, sulla base di criteri scientifici verificabili, l’educazione così introdotta formava l’individuo secondo leggi evolutive naturali, senza quindi forzare la natura stessa dell’uomo. 8. La scala Metrica dell’intelligenza di Binet e Simon. Un altro psicologo americano di nome James MC Kenn Cattel introdusse l’uso di una tecnica entrata poi in uso corrente e cioè i test mentali. Inizialmente il suo scopo era quello di determinare quali dati si raccoglievano, in merito a vari aspetti della vita psico-fisica dell’uomo, che potessero essere standardizzati. Ma mentre nei fenomeni fisici e chimici la cosa era possibile, così non fu per gli aspetti psichici;si rese necessario somministrare i test mentali ad un vasto numero di elementi ricavando quindi un orientamento statistico di risultati. Sulla base dei risultati ottenuti si potevano formulare ipotesi relative a comportamenti educativi e cognitivi. Questi studi aprirono la strada alla loro applicazione nell’età evolutiva. Nel 1905 gli psicologi francesi Binet e Simon pubblicarono una serie di articoli con i quali spiegavano la loro “scala metrica di intelligenza” poi universalmente accettata. Binet e Simon somministrarono un determinato numero di prove di difficoltà crescente in ambienti scolastici, avvalendosi dei dati raccolti da studi analoghi somministrati ad adulti istruiti, ospedali , materne, diversamente abili sul paiano fisico e cognitivo. Ricavarono la loro scala metrica riuscendo a stabilire se il soggetto fosse conforme o meno alla sua età cronologica. Introdussero quindi il concetto di età mentale. Louis William Stern, nel 1912, mise a punto il quoziente d’intelligenza nato dal rapporto tra eta mentale e cronologica. Gli studi di Binet chiarirono le differenze tra intelligenza dell’adulto e del bambino: di ordine quantitativo(esperienze, numero di vocaboli) e qualitativo(nel bambino la comprensione è di tipo sensoriale e superficiale). 9. Gli apporti della medicina e l’educazione degli anormali. I medici, in questo periodo ti profonde trasformazioni si fecero”scienziati” per assicurare alla medicina più credibilità e scienza, libera da pregiudizi metafisici ed incentrata su aspetti biologicifisici-psichici. Claude Bernard, fisiologo francese, percorse questa strada e la sua riflessione fu importante nella cultura europea. Secondo Bernard, anche nella medicina, diagnosi, prognosi e terapia dovevano essere considerate come ipotesi da verificare sulla base dei dati ottenuti dallo studio delle loro conseguenze per accertarsi se corrispondevano oppure no nei fatti. Secondo Bernard, scienza dello spirito e scienza della natura non dovevano essere considerate come relative a due diversi ordini di verità, ma vi era solo una ed identica verità alla quale entrambe dovevano sottostarre, risultato di un intreccio ed accordo tra tutte le scienze e spettava alla fisiologia fare da legame tra scienze spirituali e scienze naturali, tra psiche e fenomeni concreti. Il medico assunse il ruolo di “Educatore Popolare”. Anche la scienza medica contribuì al processo di normalizzazione che la società borghese perseguiva con insistenza. In due campi i medici furono protagonisti: nell’igene-educazione fisica e nell’educazione degli anormali. L’igiene e l’educazione fisica intese per uno sviluppo del corpo non solo come strumento ma anche come un bene necessario in una società più sana, più prospera, più produttiva, più forte sul piano bellico. I medici tra i più noti in italia, che seguirono l’impegno igenico e fisico suddetto furono Paolo Mantegazza, Angelo Mosso, Angelo Celli (tutti vissuti tra la seconda metà del 1800 circa ed il primo decennio del 1900). La strada che portò la medicina alla pedagogia speciale fu inaugurata dal medico francese Edouard Séguin. Accortosi che i medici a quel tempo si limitavano a diagnosticare lo stato di disabilità mentale senza pensare a come curare quella patologia, Séguin cercò di approfondire, sul piano fisiologico, le caratteristiche delle diverse anomalie psichice. Già Gaspard Itard tentò di pensare ad un modo per determinare un educazione per i diversamente abili ma si limitò ad una riabilitazione sensoriale. Séguin, ispirato dall’Itard, continuò lo studio ma se l’educazione sensoriale era indispensabile per l’acquisizione dei dati percettivi, lo scopo dell’educazione nel portatore di handicap mentale non poteva essere diverso da quello del normodotato anche se con percorsi e strumenti più adatti. Tre figure mediche diverse in paesi diversi ma nello stesso periodo storico confermano la tendenza di approfondire la conoscenza nell’educazione del diversamente abile, del trasferimento di sistemi ed approccio sperimentale dall’handicappato mentale al normodotato, della ricerca di maggior competenza e professionalità nella figura dell’insegnante. Maria Montessori—nel 1907 “casa dei bambini” montessoriana, Ovide Decroly, Edouard Claparède. L’apporto di questi medici pedagogisti contribuì ad imprimere alla pedagogia una fisionomia più scientifica e sperimentale, consentì una più specifica conoscenza dell’infanzia, delle dinamiche di apprendimento e dei metodi più efficaci per raggiungere successo scolastico. 10. Il rispetto per l’infanzia. Il passaggio tra un secolo e l’altro fu caratterizzato da un consolidarsi ed un generalizzarsi di una concezione più moderna di infanzia e nel corso dell’ottocento si definiscono e si materializzano progressivamente sempre più spazi, oggetti ed iniziative a misura del bambino Non esisteva però un'unica tipologia d’infanzia perché la stessa dipendeva dal ceto sociale in cui si trovava. Si parla quindi di infanzia borghese, più controllata e protetta, dove iniziava, all’interno di questa famiglia, un processo di socializzazione/educazione attento alle regole, al rispetto delle forme, all’obbedienza ed al conformismo sociale proprio della borghesia. Su un piano diverso si sviluppava l’infanzia dei ceti popolari o contadini, caratterizzata dal lavoro precoce, veloce adultizzazione, poco o nulla alfabetizzata e con un decoro ed immagine esteriore minima se non inesistente. Questo disordine era visto come motivo di instabilità sociale e la società borghese si sforzò di riportare i modelli di educazione familiare e scolastica anche alle diverse infanzie per omogenizzare i modi di vivere e sentire dei ragazzi provenienti da diversi ceti sociali. Negli ultimi decenni dell’ottocento, le premure e le attenzioni verso i fanciulli accrebbero notevolmente. E mentre l’idea di purezza che scaturiva nel descrivere i fanciulli si accompagnava all’idea intellettuale europea e nord americana (che celebrava la bontà della natura del bambino attivo, la convinzione di aver scoperto la chiave della buona educazione), Sigmund Freud scompagina un po tutto, scoprendo la natura “perversa” del bambino o meglio indicando come propriamente infantili tutte le inclinazioni alla perversione. 11. Il positivismo in Italia tra dogmatismo e ricerca critica. Il Positivismo in Italia non manifestò aspetti di particolare originalità perché crebbe in funzione delle esperienze francesi, tedesche ed anglosassoni. Nel 1864, Filippo De Filippi, docente nell’Ateneo della città di Torino, tenne una lezione pubblica su “l’uomo e la scimmia” di Darwin e qualcuno segna, da quel momento, iniziata l’era del positivismo italiano. Tra il 1875 ed il 1890 si produsse, anche da noi, un orientamento verso la modernità attraverso un insieme di idee naturalistico/evoluzionistica. Tuttavia, alcuni aspetti propri dell’Italia rallentarono il progresso del positivismo, come per esempio la mancanza dello sviluppo industriale del retroterra ed il prevalere di un positivismo dogmatico (cioè centrato sul definire l’uomo fenomeno della natura senza ricercare le dinamiche che lo caratterizzano). Norberto Bobbio scrisse nel suo Profilo ideologico del Novecento italiano che in Italia ci fu più positivismo che positività nel senso che lo sforzo era più quello di far trionfare un idea piuttosto che trovare un metodo scientifico critico e questa osservazione si può applicare anche all’analisi dell’educazione italiana. Nella Pedagogia Italiana gli apporti più significativi furono quelli di Roberto Ardigò, de Francesco Saverio De Dominicis. Ardigò analizzò il problema etico e della morale definendole pertanto, come unico criterio, la socevolezza e quindi la regola pedagogica fondamentale dell’Ardigò: l’educazione è formazione di abitudini utili a se ed alla società. Questo per essere quindi accolti nella società, dopo che formati, rispettando e mantenendo un buon livello d’ordine. Secondo il filosofo italiano lo stato doveva rendersi impegnato in campo educativo promovendo la diffusione delle “abitudini positive” ed eliminando qualsiasi forma di insegnamento religioso perché legato a vecchie mentalità metafisiche. Il De Dominicis affermava che la pedagogia e la didattica dovevano dipendere dall’adeguamento delle leggi scientifiche della biologia e della sociologia, insegnando ed educando in funzione dei requisiti oggettivi (struttura delle materie, età evolutiva degli allievi, sequenza graduata di esercizi,ecc). Accanto a questo naturalismo Dogmatico si verifico anche un’altra linea di pensiero e di sviluppo del positivismo italiano che considerava la scienza più come strumento empirico piuttosto che come ideologia dogmatica. La scienza non come garanzia di certezza ma come procedimento conoscitivo, come controllo delle procedure. Secondo questa linea di pensiero, Aristide Gabelli scriveva che “il buon metodo è basato sull’osservazione e sull’esperienza. Del Gabelli rimarrà l’importanza che lui attribuiva al metodo ed alla capacità della scuola di formare teste, cioè persone in grado di vivere a proprio giudizio ed analisi e metodo inteso come insieme di strategie per far maturare negli allievi una personalità solida e consapevole. Cap 2 - IL MOVIMENTO PER L’EDUCAZIONE NUOVA. 1. I caratteri dell’educazione nuova. La prima parte del novecento è caratterizzata dal passaggio da una vecchia concezione di pedagogia, centrata sull’insegnante, il metodo e la disciplina, ad una concezione di educazione nuova che poneva il suo centro sul fanciullo. L’infanzia, nella vecchia concezione, non aveva un valore condiviso e quindi l’educatore doveva assicurare un processo di adultizzazione rapido ed efficace. Ora, i fautori della nuova educazione, ispirati ad autori del passato come Rosseau e Pestolazzi, determinavano come fondamentale permettere al fanciullo di svilupparsi e maturare secondo i suoi ritmi biologici-fisici e psichici assieme ai suoi bisogni specifici. Cambia quindi il ruolo dell’educatore, ora attento al far superare all’educando le difficoltà che potevano ostacolare il vivere a pieno l’età infantile e quindi promuovere le esperienza che lo avrebbero reso vero fanciullo anzichè vero uomo. La pedagogia dell’educazione nuova si costruì in base a quattro elementi. Il primo fu la rilevanza assegnata alla psicologia del fanciullo e quindi educare significava promuovere la crecita intellettuale, fisica, psichica, affettiva, sessuale, appellandosi alle risorse e rispondendo ai bisogni del bambino, rispettandone l’intrinseca natura ed i suoi ritmi di sviluppo. Il secondo fattore si ritrova nell’attenzione portata agli interessi-bisogni del fanciullo ed alla costruzione di un metodo fondato su progetti individualizzati. Un'altra caratteristica dell’educazione nuova fu il rapporto tra scuola e vita: la scuola doveva adeguarsi e cambiare non dimostrandosi più come luogo “astratto” dove venivano insegnati concetti teorici slegati per lo più dal vivere quotidiano, ma diventare più strumento per formare ispirandosi alla vita comunitaria sociale. La quarta caratteristica fu infine di considerare l’intelligenza non solo sul piano teorico ma anche sul piano pratico inserendo nelle scuole attività manuali ponendo alla pari cultura scientifica e cultura umanistica. 2. Le prime esperienze: il rinnovamento dell’educazione collegiale. Il passaggio all’educazione nuova richiese tempo ed apporti di numerose personalità come Dewey, Claperède, Montessori, Decroly. Un passaggio che vide le basi solide formatesi solo nel 1920. La nuova realtà educativa deve il suo essere alle prime esperienze contemporanee inglesi, tedesche e francesi. L’organizzazione scolastica inglese, per lo più di iniziativa privata, si prestava meglio che in altri stati alle innovazioni che sarebbero state portate dagli studi pedagogici, psicologici e sociologici del tempo. Fu quindi negli istituti collegiali inglesi che si videro i primi cambiamenti in direzione della nuova educazione. l primo, promosso da Cecil Reddie, formatosi in Germania sulla pedagogia herbartiana, applicò al suo collegio, regole di vida sociale e di autogoverno democratico senza mettere in discussione i principi cardine collegiali, basati sull’ordine e disciplina. Reddie nel suo collegio fondato nel 1889 in Inghilterra, impostò un sistema sulla base di quello statale con governo(direttore ed insegnanti), popolo(allievi), prefetti o capitani(i migliori allievi), e per tutte le altre incombenze ciascuno era responsabilizzato a rispondere ad un determinato servizio. La formazione del carattere nel fanciullo veniva affidata più alla capacità di autoadeguarsi volontariamente alle regole sociali che di resistere alla disciplina ferrea ed impersonale. A livello scolastico, Reddie, promosse attività nuove come l’introduzione di lavori manuali, integrazione di materie scientifiche e lingue straniere, l’adozione di pratiche antimnemoniche(formare l’allievo ad usare il ragionamento anzichè la semplice memoria) ed esercizi fisici. Nel 1892 Haden Badley fondò anch’esso una “scuola nuova”,sulla base del Reddie, a Bedales di cui diremo, come nota di differenza rispetto alla prima, l’aver creato una scuola per la preparazione dei più piccoli e l’introduzione della coeducazione (padiglioni separati per maschi e femmine, quindi scuola maschile e femminile!) L’esperienza di Reddie ispirò scule nuove in Germania ed in Francia, ma non si ebbero esperienze tali da incidere in modo significativo sulle scuole statali, rimanendo quindi scuole d’elitè. Questo fu il limite nelle scuole europee che rallentò la crescita della nuova educazione, più rapida in Inghilterra. In sostanza quello che preoccupava i riformatori dell’istruzione secondaria in Europa era il rapporto con la vita che la modernizzazione stava mutando e quindi anche le scuole avevano bisogno di adeguarsi a questo cambiamento attraverso una formazione orientata alla modernità. Introduzione quindi dello studio delle lingue moderne, attività fisica e manuale, ridimensionamento degli studi classici a favore di quelli scientifici, il tutto in un contesto educativo aperto, familiare, nella natura. 3. Le prime scuole attive a livello elementare. L’educazione nuova quindi muoveva verso la formazione dei giovani borghesi, ma anche a livello elementare si manifestarono iniziative rinnovatrici. Negli ambienti inglesi il rinnovamento della scuola collegiale fu esemplare, mentre nel rinnovamento della scuola infantile, elementare e popolare vi fu una varietà di iniziative legate a paesi diversi. Si andò dalle scuole sperimentali vere e proprie (Dewey, Decroly), a scuole frutto dell’intuizione educativa di un educatore(Scuole dell’Ave Maria), da iniziative fortemente strutturate (Montessori) a quelle lasciate alla personalità del maestro. Anche se diverse, tutte le esperienze, si richiamavano ad eguali principi come l’autoeducazione, dell’interesse, del lavoro, dello sviluppo psicologico e cioè quello che si definisce il movimento dell’educazione nuova. La University laboratori school di Jhon Dewey fondata nel 1896 è l’esperienza che spianò la via alla scuola del futuro. Secondo Dewey la scuola non avrebbe dovuto trasmettere capacità formali ma doveva diventare l’occasione per introdurre i fanciulli alla vita sociale facendo loro ripercorrere attraverso le attività didattiche, quelle tappe evolutive che un tempo percorrevano nelle comunità umane. L’aspetto psicologico per il Dewey gli istinti ed i poteri del fanciullo forniscono il materiale e danno l’avvio a tutta l’educazione. La scuola avrebbe dovuto dominare queste risorse e direzionarle in buoni risultati. La scuola doveva essere una grande famiglia, essere scuola attiva, distribuendo gli allievi in piccoli gruppi che lavoravano insieme all’insegnante in un rapporto di cooperazione anziché subalternità. Questa scuola di Chicago prevedeva tre tipi di attività: pratiche, conoscenza dell’ambiente sociale, comunicazione simbolica. 4. I movimenti giovanili e lo scoutismo. Gli anni di fine ottocento coincisero con la formazione di gruppi giovanili per lo piu formati da gioventù di media ed alta borghesia con rivendicazioni di una vita diversa, talvolta in modo radicale, concezioni anticonformistiche dei rapporti sociali. Nel 1906 Gustav Wyneken con l’aiuto dei Wanderwogel di Karl Fisher creò una libera comunità educativa che puo essere definita come base ai successivi movimenti giovanili. Il fine era quello di un educazione alla libertà contro ogni forma di coercizione, libertà concepita come autonomia personale. I giovani borghesi iniziarono a sperimentare altre forme educative come quelle sportive. In questo clima prese vita l’esperienza dello scoutismo nel 1907 attraverso il suo promotore Robert Baden-Powell. Lo scoutismo è un’esperienza educativa, durante il tempo libero, dove coincidono forte senso dell’onore, spirito di gruppo,del dovere, dell’esplorazione e del gioco. L’esplorazione e la scoperta si devono però fondare sulla Legge Scout che si centra su tre principali assi educativi: 1: necessità di ordine sociale, 2: l’aspirazione verso la giustizia e, nei gruppi cattolici, verso la carità, 3: l’impegno alla coerenza personale. In Italia la prima associazione scoutistica è stata fondata nel 1910 da Mario Mazza. 5. Dalle scuole nuove alla pedagogia dell’attivismo. Il primo ventennio dell’educazione nuova fu caratterizzato non solo dal moltiplicarsi delle iniziativa pratice, ma anche dalla ricerca delle basi teoriche sulle quali fondare la nuova concezione puerocentrica. Iniziò così il passaggio da scuole nuove a scuole attive della pedagogia dell’attivismo e da una pedagogia a base filosofica ed empirica alle scienze dell’educazione integrando gli apporti della psicologia e della sociologia. 6. Funzionalismo ed esperienza in John Dewey Nel confronto con i concetti di Durkheim si puo osservare che mentre nel sociologo francese la preoccupazione era quella di mantenere unita una società con un nucleo organico di valori e le tradizioni in un momento di profondo cambiamento, nel pedagogista filosofo statunitense Dewey si manifestò una maggior flessibilità, consapevole di avere a che fare con una società molto più eterogenea di quella europea. La concezione del rapporto tra individuo e società è per il Dewey legata alla concezione di esperienza. L’esperienza non era ne empiristica ne legata a cose necessarie ma, in forma evolutiva, è sia la realtà considerata nel suo dinamismo sia la sperimentazione di essa. All’idea di esperienza è strettamente legata quella di natura: essa è una continua emergenza di forme nuove che deriva dall’iterazione uomo – ambiente. L’uomo cerca di piegare l’ambiente ai suoi fini e l’ambiente trasforma l’uomo in un processo continuo ed iterattivo. Secondo il Dewey c’è continuità tra contesto biologico, sociale e culturale; una continuità di tipo adattivo-costruttiva ed i processi di adattamento si svolgono in continua opera di costruzione personale. L’educazione si presenta come adattamento alle forme di vita, ai costumi ed agli ideali della società a cui appartiene e come sviluppo costruttivo della personalità dell’educando che opera per trasformare la realtà che lo circonda. Il fine dell’educazione è assicurare la stabilità sociale e promuovere tutte le capacità dell’educando. La società è per gli individui come gli individui sono per la società. 7. Pensare ed apprendere: le cinque fasi del pensiero riflessivo. Nell’educazione coesistono un fine sociale ed un fine individuale. Dewey prospetta cinque fasi del pensiero riflessivo che costituiscono la trama per il metodo dell’apprendimento per problemi. Sulla base di un problema/disagio l’osservazione è il primo strumento didattico, il secondo è l’intelletualizzazione del problema, il terzo è formulare un ipotesi, il quarto passaggio è verificare teoricamente l’ipotesi precedentemente pensata e da ultimo è verificare nella pratica il risultato dell’ipotesi. Pensare, educare a pensare ed apprendere sono per Dewey aspetti diversi di uno stesso processo attivo con cui un individuo stabilisce i rapporti iterattivi con la realtà al fine di modificarla. La sua scuola attiva è centrata sul concetto che non esiste una verità costante ma che va continuamente verificata. 8. Democrazia, educazione e scuola. La società democratica è quella che meglio si presta al pieno sviluppo dell’uomo perché, secondo Dewey, favorisce la liberazione di una maggiore varietà di capacità personali ed aumenta l’area degli interessi condivisi. La società democratica è un tipo di vita comunitaria aperta alla partecipazione attiva agli stessi scopi, interessi valori, disponibile a trasformarsi ed a rinnovare continuamente le proprie abitudini. Perché questo accada è necessario che la democrazia sia sostenuta dall’educazione. L’educazione fa convergere l’individuo nella società in modo da garantire la continuità della vita sociale ed assicura che le aspettative, gli interessi e gli impulti siano orientati in modo costruttivo. E’ un processo però non statico perche la democrazia esige da un lato la partecipazione delle persone verso un bene comune e la continua verifica dei valori che la regolano e dall’altro consente ad ogni singolo individuo di dare il meglio di se stesso nella società. Se la società democratica è frutto dell’intelligenza degli uomini, l’educazione dell’intelligenza è ovviamente elemento necessario per la costituzione di una democrazia. Seguendo questo ragionamento anche la scuola non deve formare gli alunni secondo norme conformistiche o modelli standardizzati, ma deve basarsi sugli interessi ed attività degli alunni. L’educazione è attiva o passiva se è in grado o meno di promuovere le risorse di un individuo, di inserirlo in modo non conformistico nella società, di renderlo protagonista consapevole delle sue scelte e di quelle della comunità. 9. Il cenacolo Ginevrino e la psico-pedagogia di E. Claparède. Un altro fondamentale polo di elaborazione dell’attivismo pedagogico furono gli ambienti psicopedagogici di Ginevra ed in particolare l’istituto Jean Jacques Rousseau, fondato nel 1912. Edouard Claparède, di formazione medica, ebbe forti interessi psicologici ed educativi e nell’istituto Rousseau inizio i suoi studi. Inizialmente si occupò di fanciulli diversamente abili ed aprì un seminario di psicologia pedagogica rivolto agli insegnanti. Per sottolineare la centralità del fanciullo il motto scelto per l’istituto fu “Il maestro vada a scuola dal fanciullo. Fondatore ed animatore dell’istituto, Claparède era convinto che l’efficacia dell’azione educativa dipendesse dalla preparazione psicologica del maestro e della loro capacità di essere scienziati del’educazione (osservare, sperimentare innovare continuamente la loro attività professionale). La pedagogia doveva quindi avere come base la psicologia del fanciullo. Secondo Claparède l’intelligenza è la capacità di risolvere con il pensiero nuovi problemi, strumento finalizzato all’adattamento dell’individuo quando istinto ed abitudine non sono più sufficienti. Quindi l’intelligenza nasce da una situazione di squilibrio. Il bisogno è la risposta allo stato di squilibrio e la risposta al bisogno è data oltre che dall’istinto e l’abitudine, dall’intelligenza razionale. Il medico francese enuncia uan prima legge o legge del bisogno : ogni bisogno provoca reazioni atte a soddisfarlo. Lo sviluppo della vita mentale è legato quindi allo scarto tra bisogno e mezzi per soddisfarlo. Se la legge del bisogno appartiene alla sfera biologica dell’individuo, nella sfera psicologica parliamo di legge dell’interesse: l’interesse, inteso come relazione tra bisogno ed oggetto, è alla base dei nostri comportamenti. In una situazione nuova, infine, quando non è possibile associare o pensare ad un simile di una situazione si parla di legge del brancolamento cioè reazioni per trovare nuovi interessi e bisogni. 10. La concezione funzionale dell’educazione e la scuola su misura. Sulla base psicologica delle tre leggi precedenti Claparède elaborò la sua teoria dell’educazione funzionale. Secondo questa teoria l’educazione era vista come graduale e progressivo adattamento rispetto allo sviluppo di bisogni-interessi e delle capacità del fanciullo. Il fondamento dell’educazione non deve essere il castigo o la ricerca di una ricompensa ma l’interesse profondo di apprendere, quindi la disciplina interiore deve sostituire la disciplina esteriore. In questa nuova concezione di educazione il maestro non aveva il ruolo dogmatico di trasmissione di nozioni, ma doveva fungere da stimolatore di interessi e in promotore di bisogni intellettuali e morali Per rinnovare l’educazione infantile, secondo Claparède, si doveva intensificare la ricerca sulla psicologia del fanciullo ed una preparazione scientifica maggiore degli insegnanti sia dall’aggiornamento nelle ricerche psicologiche sia nell’osservazione ed impostazione sperimentale dell’attività didattica. 11. La scuola attiva e la carta per l’educazione nuova. Il peso ed il prestigio goduti per la prima parte del ‘900 dei seminari di Ginevra si deve all’azione di divulgazione di Adolphe Ferrière. Ferrière si voltò alla causa dell’educazione nuova e visitò istituti d’educazione e scuole modello in Europa ed in America entrando in contatto con molti educatori attivi. Sotto il profilo teorico egli fece da moderatore delle esperienze di tutti questi educatori attivi richiamandosi alla teoria dello “slancio vitale” inteso come la volontà nel fanciullo di accrescere le possibilità di vita sia nell’autoconservazione sia come promozione di sviluppo biologico, psicologico, sociale. Per scuola attiva il Ferrière intendeva la scuola nella quale il fanciullo era protagonista, promuoveva l’attività spontanea del bambino, movendosi dai bisogni agli interessi, rispettando l leggi dello sviluppo psicologico, mettendo il fanciullo a contatto con la natura e lo rendeva attivo attraverso attività manuale e coscientizzazione della libertà personale. Nel 1919 fu redatta e diffusa la carta per l’educazione nuova per elencare i punti che avrebbero qualificato una scuola che ambiva a diventare “nuova”. I trenta punti erano divisi:10 per l’organizzazione della scuola, 10 per l’educazione intellettuale e 10 per l’educazione morale. Minimo lo spazio per l’educazione religiosa. 12. Altre esperienze dell’attivismo psico-pedagogico: O. Decroly. Il medico Belga Ovide Decroly, nel condividere l’anti-adultismo che sosteneva il movimento riformatore, intendeva l’educazione come preparazione alla vita attraverso l’insegnamento di vivere a pieno la fanciullezza e superare le difficoltà adeguate al suo grado di sviluppo. A Decroly si deve l’applicazione dell’interesse-bisogno sul piano degli apprendimenti e la definizione della funzione di globalizzazione (meccanismo psicologico). Secondo il medico Belga il programma di una scuola deve essere centrata sui bisogni dell’uomo, raccogliere gli interessi dei fanciulli la cui soddisfazione traccia i programmi di insegnamento. La pedagogia non è altro che psicologia applicata ed educare significa seguire il corso evolutivo naturale dei dinamismi psichici. Sui piano didattico è possibile tradurre i bisogni in centri di interesse dove raccogliere le attività utili alla formazione dell’individuo e prospettava una divisione delle materie diversa da quella tradizionale in quanto non teneva conto della varietà di interessi e capacità dell’allievo. La proposta è quella di svolgere il sapere e l’apprendimento attraverso centri di interesse e di svolgere i centri di interesse sulla base di tre momenti: osservazione (osservazione con coscienza ed esperienziali), associazione (collegamento con altre conoscenze, consapevolezza del perché e del come), espressione (manifestare il proprio pensiero agli altri non soltanto a parole ma anche attraverso il non verbale o artistico). La funzione di globalizzazione di Decroly è da lui spiegata secondo la teoria che una persona nel percepire una sensazione o acquisire una conoscenza non sente una serie di elementi combinati ma percepisce un “tutto” (struttura indifferenziata) e solo dopo questa prima conoscenza globalizzante è possibile analizzare e fare sintesi. 13. L’educazione nuova in Italia e Maria Montessori. Tutte le espressioni più significative della cultura italiana hanno carattere antipositivistico sia in campo artistico, letterario, filosofico. Gli anti-positivisti ebbero in Giovanni Gentile la loro figura più carismatica e furono soprattutto preoccupati di salvaguardare la dimensione spirituale dell’uomo che le scienze umane rischiavano di dimenticare o annullare. Così, mentre in America Dewey pubblicava il saggio “Come pensiamo” 1910, Gentile pubblicava in Italia il “Sommario di pedagogia” 1913 che muoveva in tutt’altra direzione, condannando alla non diffusione la psico-pedagogia sperimentale. Nonostante i limiti ed i condizionamenti, anche in Italia si sviluppò una nuova sensibilità verso l’infanzia e la necessità di tenere in maggior considerazione le esperienze evolutive, gli interessi ed i bisogni. L’aspetto diverso dalle esperienze europee ed americane in Italia è dato dal fatto che la rivendicazione dei diritti dell’infanzia non è stata condotta da psicologi e pedagogisti, ma da figure esterne al mondo degli educatori e della scuola. All’interno di queste dinamiche, Maria Montessori aprì in un popolare quartiere romano, nel 1907, la prima “casa dei bambini”. La pedagogia, secondo la Montessori, doveva essere scientifica nel senso di rispettare le leggi evolutive del fanciullo liberandosi da giudizi metafisici e dal peso delle tradizioni, ma liberandosi anche dagli eccessi di quel positivismo che pretendeva, esercitando un’educazione “catena di montaggio”, di assicurare “buone abitudini”. Occorreva quindi promuovere l’autoeducazione nei bambini e l’educatore non doveva impartire nozioni, dare ordini e piegare l’animo infantile alla volontà degli adulti ma creare un ambiente adatto al suo bisogno di agire, giocare, assimilare spontaneamente ed a “misura di bambino”. Quindi grande importanza all’ambiente, ai materiali, e ad una impercettibile ma sostanziale disciplina ordinata. 14. Il materiale Montessoriano. Il materiale montessoriano fu inizialmente sperimentato sui bambini diversamente abili e successivamente sui bambini normodotati. Il materiale doveva soddisfare sia il bisogno di manipolazione che il graduale sviluppo dei sensi e dell’intelligenza del bambino. Con materiali in grado di sviluppare capacità sensoriali e materiali per le funzioni logiche, lo scopo era quello, oltre che di sviluppare i sensi, di sviluppare l’intelligenza, acquisire l’abitudine all’ordine e alla chiarezza. La Montessori individuò quattro qualità fondamentali dei materiali: il “controllo dell’errorer” (incastri), l’attraenza (lucentezza, colore”, dimensioni adatti, materiale limitato in quantità. Le critiche verso questa pedagogia furono molteplici. Citando il Dewey, si lamentava che la Montessori sottovalutava il materiale rudimentale di cui si serviva il bambino spontaneamente predisponendo invece materiale legato a distinzioni intellettuali fatte dagli adulti, ritenendo che la mente infantile assorbisse l’intelligenza impiegata nel predisporre e considerare il materiale. Claparède lamentava che gli oggetti didattici, fissati in modo preordinato, sarebbero stati applicati in modo dogmatico portando il limite di essere stati creati per i bambini diversamente abili che hanno continua necessità di stimoli a differenza dei bambini normodotati. Inoltre gli esercizi della Montessori erano compiuti per se stessi senza essere associati a soluzioni di problemi di vita pratica. Anche Decroly criticò la Montessori su quest’ultimo punto contrapponendo il metodo analitico al metodo globale Decrolyano. 15. La teoria della mente assorbente. Cercando di rinnovarsi la Montessori si propose, negli anni ’30 ’40, di attenuare certe rigidità psicologiche implicite nel suo metodo, prospettando la teoria della “mente assorbente”. La Montessori, sulla linea della funzione di globalizzazione del Decroly, affermava che non si assorbe un suono per suono, oggetto per oggetto ma iniziamo con l’assorbire una totalità, distinguendo successivamente oggetto per oggetto e suono per suono come evoluzione del primo assorbimento globale. Al fenomeno della mente assorbente la Montessori associa un profondo concetto di libertà dell’infanzia che prospettò con l’immagine del “bambino esploratore”. 16. Gli attivisti della seconda generazione. Con gli anni ’30 entrarono in scena gli attivisti della seconda generazione. L’interesse era quello di tradurre le teorie puerocentriche nello sforzo di immettere nella scuola quegli elementi di novità che fino ad allora furono applicati per lo più in ambienti élitari. Nei vari paesi Americani ed Europei, gli attivisti della seconda generazione avevano ovviamente come riferimenti i propri studiosi da cui partirono le prime iniziative e cioè il Dewey in America, il Claparède in Svizzera, il Decroly in Belgio, Binet e Durkheim in Francia. Le varie iniziative di questi attivisti, anche se svolte in situazioni diverse, ebbero in comune l’obiettivo di attuare metodi di insegnamento e stili di vita scolastica rispettosi dei tempi e modi di sviluppo del bambino ed orientati a promuovere l’individualizzazione (solo così si sarebbe potuto arrivare alla “scuola su misura”), il lavoro cooperativo in piccoli gruppi (processi di socializzazione e collaborazione), impostando l’apprendimento come ricerca. In questa impostazione dell’apprendimento come ricerca è esemplare il metodo proposto da Kilpatrick che esaltava l’attività progettuale e di ricerca personale e di gruppo individuando obiettivi iniziali, intermedi e finali organizzando in modo conseguente le fasi dell’apprendimento. All’istituto J.J.Rousseau studiò e sviluppò la sua ricerca psicologica Jean Piaget che, raccolta l’eredità di Claparède, sviluppò più approfonditamente lo studio sulla natura dell’intelligenza non tanto in qualità o quantità delle prestazioni intellettuali ma sull’ordine di funzionamento. Piaget diede consistenza sperimentale all’affermazione secondo la quale il bambino ha modi di pensare, di agire, di fare e di parlare diversi dall’adulto, derivata dalla teoria cognitivista secondo la quale le strutture mentali erano l’esito di una costruzione graduale dell’intelligenza. 17. Attivismo e pedagogia laica in Italia nel secondo dopoguerra. Nelle ragioni per cui l’attivismo non influenzo in modo importante l’Italia, non si deve sottovalutare il regime fascista degli anni ’20 ’30 che puntava più all’uniformità piuttosto che all’individualizzazione dei processi formativi e si sforzava di inquadrare bambini, adolescenti e giovani entro schemi nazionalisti ed autoritari. Non mancavano comunque i contatti con le esperienze attivistiche europee. Un forte rilancio dell’attivismo si è verificato nel dopoguerra ed in particolare grazie a Carleton Wasbhurne, americano, che animò iniziative sull’aggiornamento degli insegnanti e dando vita alla sezione italiana dell’Associazione per l’educazione nuova a Roma, Milano, Firenze, Torino, Genova. A Firenze, nel 1945 costituì il maggior centro di divulgazione della pedagogia statunitense (in particolare Dewey). Lamberto Borghi, che soggiornò a lungo negli Stati Uniti negli anni ’30 ed ebbe contatti diretti con Dewey e gli ambienti dell’educazione nuova, divenne l’editore italiano delle opere dello studioso statunitense assimilandone il pensiero. La battaglia laica degli anni ’50 si svolse contro la pedagogia cattolica ed in forme diverse contro il comunismo anche se non mancarono incontri tra laici e cattolici su alcune questioni come la riforma della scuola media, i rapporti tra sistema scolastico e sviluppo economico e la visione di una scuola promotrice di una democrazia non solo formale. Nella cultura pedagogica laica vanno ricordati due personaggi di rilievo: Armando Armando e Giovanni Maria Bertin. Il primo, editore, ebbe il ruolo di far conoscere in Italia le oprere della pedagogia tedesca e sovietica, il secondo ha identificato nell’educazione alla ragione, lo scopo essenziale dei processi formativi. Negli ultimi anni Bertin si è incontrato con le letture di Nietzsche, ponendo un nuovo modello di persona capace di farsi carico di requisiti come lo “spirito libero”, la “nobiltà”, la “lievità”, al valore della differenza come ricchezza. Cap 3 - PEDAGOGIA DEI VALORI, IDEALISTI, NEO-UMANISTI E MARXISTI DEL PRIMO NOVECENTO 1. Due diverse concezioni di libertà. A fianco delle teorie puerocentriche si svolse una vivace polemica anti-positivistica con il rinnovamento dell’ideale dell’educazione vista come il superamento di se ed orientata all’affermazione della propria umanità in forme non solo psicologiche e sociologiche ma anche spirituali e culturali. Tra fine ottocento e primi novecento questa diversa posizione tentò di riconquistare gli spazi che il positivismo aveva fatto propri. La filosofia dei valori in Germania, il neoidealismo in Italia e programmi diell’educazione liberale negli Stati Uniti, il proposito di un “uomo nuovo” di Marx ed Engels, tracciarono itinerari diversi da quelli tracciati dall’educazione nuova. Sul piano teorico sta una diversa concezione di libertà educativa. Nelle scuole attive il concetto di libertà è legato allo sviluppo psicologico e la stessa libertà non ha altri fini che quelli dettati dallo sviluppo stesso. Nelle scuole anti-positiviste la libertà dell’uomo è vista come la possibilità di aumentare la coscienza ed autocoscienza di se attraverso cui raggiungere altre esperienze di maggior significato. La psicologia in questo caso non è fondamento dell’educazione ma supporto ausiliario. Sul piano pedagogico, nelle teorie positivistiche hanno avuto maggior importanza gli approcci sperimentali mentre l’anti-positivismo ritiene migliori approcci di tipo filosofico e o politico. 2. La pedagogia dei valori nella cultura tedesca. Negli ultimi decenni dell’ottocento in Germania, insieme all’espansione in campo pedagogico dell’herbartismo, si verificò un ritorno a “Kant” collegandosi al bisogno di avere una nuova generazione di intellettuali che sottoponessero la fede positivistica nella scienza ad una critica valutazione. Una critica emersa è stata di riconoscere che la scienza riducesse la realtà a fatti esteriori, dando la capacità di distinguerli e governarli ma non capace di penetrare qualitativamente le esperienze umane sia sul piano personale che sociale. Questo ritorno a “Kant” si sviluppò in quanto da un lato perché il solo metodo valido per la filosofia era quello critico in modo da forgiare gli strumenti per dominare un processo e ricondurlo ai propri fini, dall’altro l’interesse teorico nel rapporto tra scienze della natura e scienze dello spirito.(essere e dover essere dato dal valore). Contro la teoria dell’essere si contrappone la teoria del dover essere, quindi la libertà dell’uomo affidata al mondo dei valori. Gli autori che “sposarono” questa diversa teoria considerarono la pedagogia non come scienza dell’educazione nella quale operano psicologia, sociologia e metodi didattici, ma come filosofia applicata in grado di fornire gli strumenti per superare il naturalismo, riflettendo sugli ideali formativi, formando il carattere e l’autodominio, per la promozione dell’etica personale e collettiva. 3. Etica e formazione del carattere in F.W.Forester Forester, formatosi in clima kantiano in Germania, si interessò della promozione dell’etica personale. Il suo interesse per i problemi morali fu in centro della sua riflessione e gradualmente si avvicinò ai valori religiosi espressi dal Cristianesimo. Il suo punto di partenza era quello di rifiutare di ridurre l’esistenza umana come semplice processo naturale perché le azioni oltre che da ordini di tipo fisico sono regolate da ordini di tipo morale e razionale oltre che di libera applicazione attraverso l’autodominio di se. L’individuo, secondo lo scrittore, si identifica e si qualifica attraverso il carattere ed è il carattere che da la forza alle sue decisioni. Dalla maturità del carattere si misura la maturità dell’uomo ed assicura l’ordine interiore, la coerenza, l’autonomia, la fermezza e fedeltà. Le strategie educative secondo cui Forester intendeva raggiungere “l’uomo di carattere” riguardano “l’obbedienza volontaria” ossia il libero incontro tra l’autorità dell’educatore e la libertà dell’educando nella graduale costruzione del principio di responsabilità personale. 4. Sergei Hessen: la pedagogia come teoria della cultura. Sergei Hessen, nato in Siberia, fu espressione di quella concezione etica dell’esistenza umana secondo la tradizione neo-kantiana. La sua ricerca si svolse in due direzioni, la prima nel tentativo di approfondire i rapporti tra educazione, pedagogia, filosofia e cultura e la seconda cercando di indagare quali fossero i caratteri della scuola democratica intesa oltre che strumento di alfabetizzazione, strumento di promozione delle capacità di ciascuno. Secondo Hessen si confrontano due tipi di educazione: una negativa che lascia scorrere “l’essere” ed una positiva che promuove il “dover essere”. L’educazione negativa pone l’alunno a fare le cose da se nella teoria che per processo naturale la sua libertà è da difendere. Nell’educazione attiva invece la sola libertà autentica è quella sperimentabile nella volontaria subordinazione alla legge. Il compito della pedagogia è identificato nella chiarificazione concettuale dell’intreccio tra fini ideali, mondo della cultura e crescita personale e quindi da un lato teoria della cultura e dall’altro scienza normativa (libera condivisione di ideali e valori). La scansione delle tappe evolutive dell’uomo non è data dalla psicologia ma è un esperienza più complessa. Hessen distingue tre momenti: l’anomia (gioco, immaginazione, assenza di legge), eteromia (passaggio da affetti familiari a mondo della comunità, autonomia (compimento dello sviluppo dell’uomo). Hessen, come il Dewey, è dell’idea che la scuola è promotrice di progresso sociale e per questo prospettò l’ipotesi di una scuola senza privilegio sociale ma aperta a tutti in tutti i suoi gradi di cultura sostituendo la vecchia formula della scuola popolare che esigeva il minimo di cultura per tutti. Un massimo di cultura per tutti=scuola unica. Scuola unica per richiamare il diritto di ciascun individuo all’istruzione. 5. Georg Kerschensteiner e la scuola del lavoro. Georg Kerschensteiner promosse una riforma scolastica ispirata al principio della scuola del lavoro, espressione che si tramuterà in “suola attiva”. Kerschsteiner si propose di promuovere una scuola che si preoccupasse sia delle esigenze degli allievi che di formare un buon cittadino che si inserire nella società in modo attivo e con alto senso civico e pensò di trovare la soluzione nel valorizzare l’educatività del lavoro. Lavoro quindi come capacità creativa personale nella quale si sviluppano doti anche richieste dalla società umana(professionalità, riflessione, precisione, autocontrollo, spirito di collaborazione. Quindi tutte le attività pratiche potevano arrivare a fini educativi sia nel lavoro adulti, che nel lavoro gioco che al lavoro didattico. 6. La reazione anti-positivistica nell’idealismo di Giovanni Gentile. Giovanni Gentile, negli anni ’20 e ’30 fu, assieme a Benedetto Croce, uno degli esponenti più rilevanti dell’anti-positivismo in Italia e ne condizionò in modo rilevante la cultura filosofica, artistica, pedagogia e letteraria. Gentile, contrario a ridurre l’esperienza umana solo come fatto psicologico e sociologico, riaffermò la centralità dell’uomo che pensa ed attraverso il pensare scopre il valore della propria umanità. Quindi in risposta ad un educazione scientifica fu opposta l’educazione dello spirito con l’invito”conosci te stesso”. La comprensione dell’esperienza umana poteva essere possibile solo attraverso la riflessione filosofica e non solo psicologica e sociologica. 7. La riforma dell’educazione nel sistema gentiliano. Gentile voleva riformare l’educazione non soltanto operando sul piano dell’organizzazione degli studi ma promuovere la riforma morale degli italiani attraverso la religione dello spirito. A livello teorico la riflessione educativa gentiliana corre di pari passo con la sua filosofia secondo la quale una pedagogia senza riflessione filosofica non può esistere. L’educazione è vista quindi come “farsi dello spirito”. La libertà dell’individuo secondo Gentile non era intesa in termini individualistici e razionali perché si farebbe un astrazione e si ridurrebbe l’uomo ad un dato. Era da inserire in questo concetto lo spirito e cioè ciò che consente all’umanità di percepirsi come tale. L’uomo è sintesi di individuale e di universale, espressione dello spirito che permette l’essere ed il dover essere, il superarsi. 8. L’identità di maestro e scolaro. Gentile nega la dualità di educatore ed educando. La dualità sparisce dal momento in cui l’educando fa proprie le parole e gli insegnamenti dell’educatore e quest’ultimo si fa carico delle aspettative dell’educando. Non ha senso quindi contrapporre educazione negativa ed educazione positiva perché nella concezione gentiliana l’educazione è unica perché unica è la persona umana ed unico è il suo spirito. 9. La didattica come teoria della scuola. La didattica rappresenta un aspetto importante nella riflessione di Gentile tanto da renderla teoria della scuola. Nel trattare la didattica, il filosofo siciliano, percorre due strade, una critica e l’altra propositiva. La critica era rivolta ad una teoria della scuola secondo la quale s’istituisce la scuola in quanto c’è qualcosa da imparare (le varie materie) definendo anticipatamente gli elementi da studiare e quindi da sapere. Secondo Gentile questa concezione banalizzava il sapere ed il filosofo rispondeva con la tesi dell’unità del sapere come processo infinito, ovvero il sapere è la capacità di un continuo conoscere ed apprendere inteso come relazione interna con l’uomo e non solo come accumulo di nozioni. Il compito della scuola gentiliana era dunque quello di promuovere il sapere più che di trasmetterlo, di favorire l’interesse culturale più che aumentare le nozioni, di liberare l’intelligenza creativa e critica invece di limitarla all’interno di regole prestabilite 10. La riforma scolastica del 1923 A Gentile toccò, come ministro dell’istruzione nel 1923, attuare la riforma scolastica. La riforma a cui pensò Gentile era concepita in modo tale da essere parte di quella riforma morale degli Italiani che risultava fondamentale per avere la coscienza di essere nazione. Il sistema scolastico fu pensato con una base molto larga fino a giungere al vertice attraverso prove ed esami atti a verificare la reale maturazione della persona e la sua capacità di entrare nella classe dirigente. Sul piano culturale la riforma gentiliana ebbe un doppio baricentro: l’affermazione dell’unità del sapere e la consapevolezza che il sapere per eccellenza risiedeva nel percorso classico-umanistico. Nel ginnasio-liceo, architrave del sistema scolastico, furono posti i precedenti principi lasciando spazio alla cultura e trattazione del sapere scientifico in forma culturale e non in termini di acquisizione di abilità pratiche. Tutti gli altri tipi di scuola che si scostavano dal liceo classico furono pensate come copie imperfette. I programmi furono predisposti tenendo conto dell’esigenza di valorizzare la cultura classica ed il rispetto della libertà d’insegnamento. Il principio della libertà d’insegnamento permetteva di sviluppare altre forme di formazione che dovevano però sottostare ad un’ovvia verifica per garantire la maturità e la preparazione del candidato oltre che il legale valore del titolo di studio, rappresentata dall’esame di stato, uguale per tutti, posto a conclusione di ogni ciclo di studi secondari. La riforma del 1923 ha introdotto anche l’insegnamento religioso e nell’impossibilità, a livello dei ceti popolari, di promuovere l’autocoscienza filosofica, era compito dei religiosi far capire ai ceti subalterni di essere parte di una vita con orizzonti più ampi che si innervava nella nazione italiana. La riforma ha interrotto i rapporti con il positivismo. 11. Gentile e i “gentiliani” nella vita scolastica italiana. In campo pedagogico le figure più vicine a Gentile furono quelle di Giuseppe Lombardo Radice, Ernesto Codignola, Ugo Spirito, Gino Ferretti, Mario Casotti e Luigi Volpicelli. 12. Il programma dell’educazione liberale. Il richiamo alla esemplarità e al valore educativo della tradizione costituisce uno dei motivi portanti del programma dell’educazione liberale, messo a punto negli Stati Uniti negli ambienti dell’università di Chicago negli anni ’30. Dal punto di vista pedagogico risultò netta la polemica contro le tesi educative esclusivamente centrate sullo sviluppo naturale del fanciullo dell’attivismo deweyano. Feroce avversario dell’attivismo pedagogico fu Robert Maynard Hutchins che assieme a Mortimer J. Alder fu uno dei promotori più autorevoli al ritorno nell’educazione liberale come conquista della libertà interiore attraverso il valore della cultura e della sapienza (perfezione umana attraverso intelligenza e saggezza). Un educazione impostata sulle virtù intellettuali rende l’intelletto adeguatamente disciplinato e abituato, capace quindi di operare in tutti i campi. Hutchins riconosceva che alcuni aspetti delle teorie puerocentriche non erano da respingere come l’utilità di partire dalle capacità degli individui ed il porre i fanciulli di liberarsi dalle inibizioni ma non con programmi ad inclinazioni naturali. Contro l’invadente materialismo era necessario opporre la cultura umanistica per educare coerentemente l’intelletto. Il valore delle grandi opere. 13. Il bivio pedagogico di Jacques Maritan. Jacques Maritan pubblicò nel 1943 la sua opera “educazione al bivio” sulle correnti liberali del momento. Secondo Maritain l’educazione contemporanea si trova ad un bivio epocale: pensare l’uomo come individuo emergente dall’evoluzione naturale e dallo sviluppo sociale, e pensare l’uomo come “persona che si possiede attraverso l’intelligenza e la libertà”. L’opera di Maritan (Educazione al bivio) si articola in due parti principali, la prima volta a denunciare gli errori dell’educazione contemporanea e cioè il misconoscimento dei fini, le false idee riguardo al fine, il pragmatismo, il sociologismo, l’intellettualismo, il volontarismo, ogni cosa puo essere insegnata. La seconda parte è indirizzata nell’indicare il programma dell’educazione liberale ed individua quattro principi pedagogici: il compito del maestro è di liberare le buone energie per reprimere quelle cattive, centrare l’attenzione sull’interiorizzazione dell’influenza educativa, la tendenza dell’educatore a unificare e non a disperdere (mani e mente devono lavorare insieme), l’insegnamento deve liberare l’intelligenza e non appesantirla (attiva comprensione personale, dominio della ragione sui dati appresi). 14. Il marxismo, l’educazione pedagogica. Nel sistema marxista l’educazione non è scollegata alla realtà ed ai processi socio-economici e la pedagogia è di conseguenza non è separata dal contesto sociale e produttivo. Secondo Marx ed Engels la vera essenza della storia degli individui consiste nella loro attività produttiva: la struttura economica è dunque onnipotente da poter condizionare l’insieme delle convinzioni, delle teorie filosofiche, della morale, della religione e di ogni altra forma ideale perché queste sono prive di storia e mutano con il variare della struttura economica. L’ideale proviene dal materiale e le teorie sono il risultato di condizioni reali. Marx prospetta la ricomposizione della frattura tra uomo intellettuale e uomo lavoratore pensando ad un uomo onnitalterale anzichè unilaterale. In questo contesto Marx prospettò “l’istruzione ai delegati” del 1866-67, una riforma dell’istruzione fondata su uno stretto rapporto tra scuola e lavoro (scuola politecnica o tecnologica) una scuola capace di riunire conoscenze operative ed intellettuali. La proposta educativa e pedagogica del marxismo ha come caratteri essenziali il non concepire l’esistenza di pedagogia senza politica e quindi qualsiasi riforma scolastica deve considerare i rapporti tra sistema economico e sistema politico nella direzione di spezzare il modello dell’istruzione borghese. Marx assegnava alla classe proletaria il compito di lavorare per un modello educativo proprio. Volgeva al comunismo il sistema politico atto a garantire la riforma morale della società senza più discriminazioni. 15. La pedagogia Marxista tra Marx e la rivoluzione russa. Nel 1936 furono condannati i metodi ispirati all’attivismo ed all’educazione intesa come sviluppo spontaneo e nel 1940 un rapporto al Presidium (organo politico dell’Unione Sovietica) individuò le seguenti caratteristiche dell”uomo nuovo”: massimo rendimento sul lavoro, senso patriottico, piena adesione all’ideologia marxista-leninista, spirito collettivistico, interesse per la protezione dei beni pubblici con il prevale quindi di un impostazione estremamente autoritaria. 16. La pedagogia del collettivo di Anton Semionovic Makarenko. Anton Semionovic Makarenko fu una forte personalità della scuola e della pedagogia sovietica nella sua prima fase di sviluppo. Estremamente opposto alla concezione di educazione come sviluppo naturale, Makarenko ebbe come obiettivo quello di educare l’uomo nuovo in termini coerenti e funzionali con lo scenario del socialismo attraverso sistemi direttivi. Questa ideologia si inserisce a pennello con la tradizione pedagogica marxista con la novità di creare “l’uomo socialista” non solo nell’azione e nella militanza politica ma anche mediante l’educazione e la scuola. Unificò il modello socialista con una prassi educativa. Anche per Makarenko i fini educativi coincidevano con quelli politici ed il vero “uomo nuovo” era dunque il socialista sovietico militare. L’educazione politica dunque come fine della formazione umana attraverso la collettività. Il concetto di collettività di Makarenko è più che un semplice insieme di individui associati bensì un gruppo raccolto con fini comuni e per un lavoro comune, in una organizzazione comune che opera come organismo sociale con a capo una direzione unica.(speriamo che ad uno di quelli li non venga in mente di suicidarsi….sai che strage!!). Ogni collettivo è parte di una società e legata ad altre collettività. Il collettivo è l’insieme dei valori espressi da ciascuno e nessuno va sacrificato ed il lavoro produttivo e lo sforzo nell’apprendimento si fondano sull’idea di far parte di un’esperienza più estesa rivolta ala “pedagogia delle prospettive”. La proposta di prospettive sempre più lontane costituisce l’anima del sistema educativo dell’ucraino e le prospettive per essere tali dovevano assumere significato politico e morale nel senso di “formazione del carattere”. 17. L’educazione come egemonia in Antonio Gramsci Antonio Gramsci, di origini sarde, studiò nell’università di Torino, militante del partito socialista, si trovò a dover definire i rapporti tra educazione, pedagogia, politica in una realtà come quella italiana che dagli anni ’20 fu segnata dal movimento operaio e dalla disgregazione a causa della dittatura fascista. La sua analisi politico culturale fu segnata da un lato dalla diminuzione di peso politico della classe operaia e proletaria e dall’altro dalla necessità di mettere in pratica i teoremi marxistie leninisti. Al centro dell’analisi di Gramsci sta il concetto di egemonia secondo il quale assistiamo in un sistema politico ad una lotta tra egemonie e quindi per un progetto egemonico a favore della classe operaia era necessario che la stessa si mettesse in gioco nell’elaborare una cultura ed un insieme di ideali in grado di essere alternativi al dominio della borghesia. Il progetto egemonico è connesso al “blocco storico” e cioè un sistema di alleanze sociali che si costituisce dalla spinta della classe al potere strettamente forte quanto capace di sviluppare soluzioni per le classi subalterne. Il disegno culturale e pedagogico di Gramsci si fonda sulla convinzione che l’egemonia ed il blocco storico si costruiscono attraverso un azione educativa organica e sistematica che forma mentalità, cultura, forma un sistema di ideali, linguaggi e modelli di comportamento. Quindi l’educazione è un processo intenzionale e finalizzato. Per la costituzione dell’egemonia è centrale il principio di autorità: ogni generazione educa la nuova generazione e l’educazione è la lotta per formare l’uomo attuale nella sua epoca. La cultura a sua volta è la capacità di modificare la realtà ed adattarla per dominarla. La libertà non è spontaneità ma risulta legata al principio di responsabilità. 18. Il ruolo degli intellettuali e i compiti della scuola unica. Gramsci individuò nella funzione degli intellettuali e nella scuola due elementi di fondamentale importanza. Non c’è organizzazione senza intellettuali ma prospetta intellettuali “organici” cioè capaci di non staccarsi dalle masse popolari e capaci di “sentire il popolo”. L’elemento popolare sente ma non sempre comprende mentre l’intellettuale comprende ma non sempre sente. L’altro polo per la costituzione dell’egemonia è rappresentato dalla scuola, una scuola capace di porre i giovani nelle condizioni di raggiungere quei gradi di cultura che ciascuno sarebbe stato in grado di raggiungere in base alle proprie capacità individuali. Da qui la proposta di una scuola iniziale unica che, per superare ogni possibile divisione di ceti e di classi sociali, fosse gestita dallo stato. Il principio della scuola unica però si opponeva alla precoce specializzazione degli studi voluta dalla riforma gentile nell’esigenza della formazione delle élites dirigenti. 19. La pedagogia marxista e lo sviluppo scolastico. In Unione Sovietica si andò gradualmente affermando, dagli anni ’30, una pedagogia di Stato dogmatica e condizionata da teorie pedagogiche deterministe (esempio i meccanismi di condizionamento di Pavlov o la trasmissione ereditaria delle modificazioni prodotte dall’ambiente). Le teorie ed i tentativi di chi si sforzò di interpretare il marxismo in forme meno dogmatiche furono represse. Il comunismo in occidente vede come caso emblematico proprio l’Italia. Dopo una fase di allineamento con Mosca nell’immediato dopoguerra, negli anni ’50 il partito comunista, sollecitato dalle opere di Gramsci critiche al sistema sovietico, mise a punto una politica scolastica più elastica e diede vita ad un importante rivista pedagogica e scolastica “Riforma della scuola”, superò le diffidenze verso le teorie puerocentriche ed elaborò una teoria pedagogica capace di confrontarsi sia con gli ambienti cattolici che quelli neo-illuministici e laici. In via generale viene segnalato che alla pedagogia marxista in Italia è da riconoscere lo sforzo di introdurre una nuova razionalità volta a riorganizzare la società, la scuola, i metodi didattici ed i rapporti sociali diversa da quella di tendenza spiritualistica e metafisica e diversa dalla corrente scientifica e sperimentale. Sul piano Politico-scolastico in italia i comunisti sono contraddistinti dalla forte caratterizzazione popolare, dalla tendenza comunitaria ed un ampia disponibilità verso l’innovazione e la sperimentazione. Cap 4 - LA PEDAGOGIA CATTOLICA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE 1. L’EREDITA’ DEL PRIMO OTTOCENTO Immediatamente dopo l’età napoleonica, e contro di essa, vi fu uno sforzo di ricristianizzazione della società europea e italiana Si ribadì l’importanza di una coscienza religiosa e per raggiungere questo obiettivo si partì dal popolo. Contemporaneamente si sentì la necessità di combattere la diffusissima povertà popolare e si diffuse la convinzione che gli strumenti più adeguati fossero l’educazione e la scuola. In questo periodo le scuole furono considerate come l’espressione di “carità operosa” del cristiano. Sorsero molte congregazioni religiose con l’obiettivo di educare, la spinta all’educazione delle masse portò ad una sempre minore propensione claustrale del clero. Dibattito del primo ‘800 sulla natura (la Chiesa rifiuta le tesi empiriste e si divide in Conservatori e Filo-Liberali) e sugli aspetti educativi (il dibattito è di tipo politico e mette in discussione il potere temporale della Chiesa). 2. UNA DOPPIA CIRCOLAZIONE PEDAGOGICA I Conservatori ritenevano che solo la Chiesa possedesse la verità e che quindi solo ad essa competesse l’educazione dei giovani. Praticamente sottolineavano una maggiore garanzia di stabilità e gerarchizzazione per gli stati, dove la Chiesa si fosse occupata di educazione; per i ceti superiori era prevista una buona scuola ed il diritto allo studio, per il popolo erano previste le sole scuole di carità. Metodologicamente ritenevano che la tradizione e l’esperienza fossero garanzia di risultati e quindi ignoravano le nuove spinte pedagogiche. La scuola spetta solo alla Chiesa e non allo Stato. I Liberali ritenevano che la Chiesa dovesse liberarsi dei legami terreni (no al potere temporale) per poter salvare l’uomo. Lo Stato cristiano dovrebbe provvedere allo sviluppo scolastico senza monopolizzare. Richiesta di insegnamento religioso e libertà d’insegnamento (libertà d’aprire scuole). I Liberali portano: Pedagogia popolare, educazione alla libera personalità, attenzione al problema del metodo e interesse per le esperienze esterne all’Italia. Restano comunque solo tra gli intellettuali. Esistono quindi nell’800 educativo cattolico una pedagogia povera e una colta. 3. TRADIZIONE E MODERNIZZAZIONE: IL CASO DI DON BOSCO E DEI SALESIANI Don Bosco (1815-1888) “metodo preventivo” (1877) è espressione della pedagogia povera, è indirizzato ai giovani poveri ma non c’è un vero e proprio metodo o progetto di lungo respiro. Prima iniziativa è “Oratorio di Valdocco” 1846 a Torino con successivi allargamenti (laboratori, classi per poveri, ospizi, pensionati), nel 1850 d. Bosco organizza gli Oratori torinesi poi altre case in Italia, Europa ed infine all’estero. Tutto questo movimento si sviluppa legato ai bisogni del momento. Non fu un pedagogista e la sua filosofia è quella dell’ottimismo sulla natura umana, del prete comprensivo e paterno. I suoi principi sono di una religione vicino ai giovani, il maestro amorevole e l’istruzione come strumento per migliorare le condizioni di vita dei ceti popolari. Il suo “metodo preventivo” consiste nella prevenzione sociale per ordinare la società senza disgregarla, l’obiettivo era di formare uomini cristianamente solidi per vivere da onesti cittadini, la base per la convivenza è quella dei valori religiosi. Il motivo fondamentale del successo di D. Bosco fu l’assenza di pregiudizi e intransigenze verso il moderno, inoltre ebbe una grande lungimiranza nel del problema sociale individuando i giovani poveri e soli come soggetto educativo. D. Bosco pratica una grande varietà di interventi educativi (istruzione religiosa, cultura, assistenza). Il buon cittadino è il buon cristiano. Nell’esperienza salesiana c’è un intreccio tra tradizione e innovazione, molteplicità e flessibilità d’intervento, inserimento nei cambiamenti del mondo. 4. LA RIFLESSIONE DI ANTONIO ROSMINI Antonio Rosmini (1797-1855 sacerdote Trentino) tenta una risposta filosofica alla speculazione moderna attraverso una ricerca intellettuale. Rosmini vuole giustificare l’antropologia cristiana accettando la filosofia moderna (Kant), affermando che è necessario comprendere cosa significa sapere (condizioni di conoscenza), accetta la necessità del sapere a-priori (conoscere prima di vivere la conoscenza empirica) ma lo definisce in termini spirituali e non fisici: sapere aprioristico = qualcosa esiste intuito originato dallo spirito). Al centro del sapere c’è la persona umana in funzione della quale propone una metafisica personalistica. Poneva il problema del pluralismo filosofico e teologico nella Chiesa non basta il tomismo (i neo tomisti e l’enciclica aeterni patris 1879, lo avversano). Rosmini propose (Le 5 piaghe della Chiesa 1848) il rinnovamento della Chiesa al servizio dell’uomo e senza potere temporale. Opere pedagogiche: sull’unità dell’educazione 1826, Del principio supremo della metodica 1857, Catechismo disposto secondo l’ordine delle idee 1844 Rosmini ritiene che l’educazione debba tendere alla cognizione e all’amor di Dio (scopo della creazione dell’uomo) a questo scopo bisogna formare l’uomo in modo armonico, le diverse esperienze quindi andavano univocamente orientate per evitare dispersioni culturali e conoscenze puramente mnemoniche. Problema del metodo: l’apprendere è l’insieme delle esperienze e delle capacità innate. L’apprendimento si ha per piccoli passi, in modo continuo e basandosi sulle capacità dell’alunno e al suo sviluppo (legge della gradazione). “l’ordine scientifico” è proprio della progressione della scienza e dei sapienti, “l’ordine didattico” è proprio degli ignoranti che si stanno formando. La Chiesa, secondo Rosmini, doveva necessariamente rinnovare il metodo. 5. I “ROSMINIANI” NELLA CULTURA PEDAGOGICA DEL SECONDO 800 I “Rosminiani” propongono: pedagogia spiritualista a base religiosa, collaborazione con lo Stato liberale, rinnovamento dei metodi e delle pratiche didattiche. Giovanni Antonio Rayneri (1810-1867 Torino) occupa la cattedra superiore di metodo, (diventerà di pedagogia) e mette in pratica il principio di gradazione di Rosmini ai maestri (Primi principii di metodica 1850 diventa il testo fondamentale per la preparazione dei maestri). Giuseppe Allievo (in cattedra 1868-1912) predica l’accettazione dello Stato liberale, propone l’insegnamento libero e non monopolizzato dallo Stato definisce quindi il diritto prioritario della famiglia in campo educativo. 6. LA RIPRESA DEL TOMISMO A LOVANIO E IN ITALIA A causa delle troppe differenze di pensiero serpeggianti nel mondo cattolico Leone XIII pubblica l’enciclica Aeterni Patris (1879) nella quale consiglia il ritorno al tomismo per difendere la fede e il progresso dalle ideologie liberali e socialiste attraverso una nuova sintesi tra fede religiosa e società moderna restaurando quindi l’intelligenza cristiana. Il rinnovamento non venne dall’Italia (troppe polemiche anti-moderne e anti-liberali) ma dall’Università Cattolica di Lovanio. Desiré Mercier (1851-1926) ha la “cattedra di alta filosofia di S. Tommaso” è aperto al dialogo con il pensiero moderno, fonda nel 1889 “l’Institut superieur de philosophie” e la “revue neoscolastique de philosophie”. Nasce la neoscolastica: la filosofia è il prolungamento delle scienze fisiche, l’esperienza sensibile non è sufficiente. L’uomo è Sostanza (fisicità) e principio vitale (Anima), educare significa far esplicitare ciò che è il principio vitale (principio della scolastica). L’uomo è una “sostanza” dotata di una tendenza naturale a realizzare le sue potenzialità, il passaggio dalla potenza all’atto transita dalla volontà la volontà sceglie. Agostino Gemelli (1878-1959), medico e psicologo, fonda l’Università Cattolica di Milano nel 1921 sulla esperienza di Lovanio. Negli anni ’20 il riferimento è la rivista de “La Civiltà Cattolica”, si parla di libertà d’insegnamento, ripristino dell’insegnamento della religione cattolica, contrasto verso la cultura positivista, incompatibile con la posizione cristiana. C’è una secca chiusura sulla pedagogia moderna. 7. RELIGIONE E LIBERTA’ IN LUCIEN LABERTHONNIERE Il maestro di Laberthonniere fu Blondel (1861-1949) secondo il quale la modernità può accettare il cristianesimo solo nella misura in cui questo risponde ai suoi più profondi interrogativi. Inoltre, in pedagogia, la verità si manifesta sempre da sé per cui l’allievo dev’essere posto in una condizione d’ascolto e ci devono essere tutte le buone condizioni perché il sapere passi (l’assoluto, la verità arrivano da soli attraverso la provvidenza che agiscearea filosofica platonico-agostiniana). Laberthonniere (1860-1932) afferma quindi il primato della libertà della persona sulla necessità delle cose, dell’azione sul pensiero astratto (thoriè de l’education 1901). La verità si coglie nell’interiore dell’uomo e non nel rumore del mondo esterno si deve puntare sull’interiore dell’uomo nel quale esiste Dio. Il punto di partenza era quindi la vita quale ci è data e tutti i problemi e le aspirazioni che essa comporta. Il problema di base era il rapporto tra l’autorità del maestro e la libertà dell’allievo, in questo spazio l’empirismo diventa manipolatorio della coscienza dell’allievo. Lasciare l’educando a se stesso per non modificarne la coscienza è inutile perché egli non l’ha ancora sviluppata una coscienza. L’autorità può asservire ( subordinare gli altri) ed in questo si ha l’autoritarismo. L’autorità può liberare ( asservire gli altri) si ha il liberismo. Allo stesso modo c’è un obbedire Servile (obbedire = subire) ed un obbedire di Accettazione (Obbedire = Accettare). L’educazione è un aiuto alla conquista di sé per divenire ciò che si deve essere. Nell’insegnamento religioso il maestro deve far sì che gli alunni credano, deve quindi essere propositivo. 8. I CATTOLICI E L’IDEALISMO Fondamentalmente i cattolici ebbero un buon rapporto con l’idealismo a causa dell’interesse per l’interiorità, per la soggettività, e per la fede conquistata e non imparata. In questo rapporto fu importante Ernesto Codignola che tradusse in Italia sia Lberthonniere che Blondel. 9. LA CRITICA DI CASOTTI A GENTILE Mario Casotti (1896-1975) ha la cattedra di pedagogia della Cattolica di Milano, fu allievo di Gentile, aderisce alle posizioni neo-tomiste. La pedagogia di S. Tommaso d’Aquino 1931, pedagogia generale 1947-48. Critica la troppa filosofia e la poca pedagogia. In Maestro e scolaro 1930, pone il paradosso: “in pedagogia Maestro e scolaro sono due o diventano uno solo?” l’educazione si ha quando un soggetto che ha delle conoscenze in atto, avendo maturato una propria moralità, le promuove in un altro che le ha solamente in potenza. Es.: il medico guarisce il malato non dandogli la salute dall’esterno ma promuovendo la sua capacità di guarire. L’uomo nasce con delle potenzialità che l’educazione porta a compimento nel rispetto delle leggi della natura. Per cui la conoscenza si svolge secondo il processo di crescita determinati dalle scienze umane (psicologia, biologia, sociologia) il cui apporto è fondamentale in pedagogia. La definizione della pedagogia di Casotti è: un metodo (una scienza) con cui si traduce un’idea nella pratica. Il fine dell’educazione sta nel VERO e nel BENE che in Dio vengono unificati. Nel sistema pedagogico riveste grande importanza la didattica (metodologia del processo conoscitivo), anche come ricerca sperimentale. 10. LA CRITICA AL NATURALISMO PEDAGOGICO E ALLA SCUOLA ATTIVA La Chiesa vedeva con preoccupazione l’attivismo sia perché era di matrice protestante sia perché concepiva l’uomo come autosufficiente e quindi senza bisogno di Dio. Pio XI emise nel 1929 l’enciclica Divini illius magistri contro l’educazione naturalistica e il monopolio statale dell’educazione stessa. L’educazione perfetta è quella cristiana e solo la Chiesa la può attuare, la Chiesa ha mandato sociale e Maternità Sovrannaturale. L’educazione cristiana ha come fine la Santità. 11. LA SCUOLA ATTIVA SECONDO L’ORDINE CRISTIANO Negli anni ’30 i pedagogisti cattolici devono rispondere alle proposte del naturalismo pedagogico, principalmente degli ambienti di Ginevra e del Belgio (non gli ossi duri come Dewey). C’era una base teorica unitaria ed organica: l’uomo del naturalismo è solo parziale poiché esiste anche la dimensione spirituale e razionale, ogni uomo ha anche un destino religioso in educazione le azioni umane vanno ricondotte loro fine che è Dio. Le esperienze concrete sono state disomogenee. Stefanini 1933 l’attivismo sviluppa il soggetto in modo imperfetto perché lo ferma alla soddisfazione dei sui bisogni più immediati. Casotti 1935 rivendica un attivismo cattolico precedente a quello attualmente in discussione ma dimostra mancanza di senso storico e non comprensione dell’attivismo attuale. Editrice Bresciana molto attenta e intelligentemente critica all’attivismo estero. Devaud (1876-1942 Friburgo) sacerdote Per una scuola attiva secondo l’ordine cristiano 1940, affronta la sfida dell’attivismo accettandone la capacità innovativa ma criticandone il limite del naturalismo. Devaud si confronta in continuazione con Claparede, ferriere e Decroly. L’attività intelligente era per Devaud la capacità di giudizio e non la mera soddisfazione di un bisogno. La scuola può dirsi attiva se oltre allo sviluppo del fisico e della psicologia, pensa a creare conoscenze che generino opinioni. Per devaud inoltre i metodo sono neutri rispetto ai fini quindi anche le scuole cattoliche potrebbero usare le metodologie delle scuole attive. 12. ALCUNE ESPERIENZE: SORELLE AGAZZI, BOSCHETTI ALBERTI, AGOSTI Innovazione pedagogica e visione religiosa dell’esistenza risultano intrecciate naturalmente. Rosa e Carolina Agazzi (Brescia 1866-1951 1870-1945), Scuola per l’infanzia con ambienti domestici in cui si favorisce la collaborazione tra “piccoli” e “grandi” da quest’idea è nata la scuola materna. Le Agazzi ritengono che l’ambiente sia basilare per il bambino, affermano che il bambino stesso aspira al suo proprio sviluppo e portano l’attenzione all’interezza del bambino e non solo ad alcuni aspetti della sua crescita. Nelle scuole delle Agazzi la religione è ritenuta basilare per la piena formazione umana. L’educazione è espressione della vita naturale del bambino. Dal 1910 le scuole delle Agazzi si spargono per l’Italia anche perché costano meno delle montessoriane e hanno una metodologia più semplice. Maria Boschetti Alberti (canton ticino 1927 La scuola serena): ha portato novità didattiche in contesti usati, le attrezzature sono molto sobrie, l’insegnante è sempre vicina all’allievo. Marco Agosti (Brescia 1890-1983 Verso la Scuola Integrale), nel 1930 propone, alle elementari, il Sistema dei Reggenti prevede una scuola intesa come una piccola Polis in relazione con le altre comunità (famiglia, Chiesa…), un alunno a turno Reggeva la classe cioè regolava i ritmi e le attività predisposte dal maestro. Le caratteristiche di questa impostazione sono: la semplice organizzazione, la presenza attiva e costante dell’insegnante, il metodo empirico e il forte carattere popolare dell’intera impostazione. In generale Ginevra vede male le scuole cattoliche perché troppo empiriche e poco scientifiche. Resta aperta la questione di come garantire l’innovazione pedagogica e se questa è possibile ovunque o solo sotto uno stretto controllo sperimentale. 13. LA PEDAGOGIA CATTOLICA DI FRONTE ALLA “CRISI DELLA CIVILTA’” Crisi di civiltà tra gli anni ’20 e i ’30 dopo le tesi di Spengler (tramonto dell’occidente 1918): la civiltà occidentale si sta spegnendo e passerà la mano ad un’altra. Secondo i cattolici la causa di ciò sta nella poca fede a favore della ragione non c’è più Dio, tutto passa sulle spalle dell’uomo ma questi non può reggere da solo. Quindi forte critica della cultura laica e Marxista. C’erano forti fervori anti-religiosi la Chiesa era vista come l’unica che può intervenire ed è la sola che può farlo quindi l’educazione cristiana è la sola che può salvare la civiltà. Maritain 1927 (trois reformateurs: luther, descartes, rousseau 1925), afferma che la pedagogia per essere scienza deve avere base filosofica. I tre riformatori hanno razionalizzato l’umano privandolo del divino quindi invece di fare un paradiso in terra lo hanno alienato con l’umanesimo tragico del 1800-1900. Foerster viene apprezzato in italia per la sua attenzione al carattere alla fortezza. La posizione di Foerster era di chiara critica contro il fascismo e il nazismo che tendevano ad omologare l’uomo. Romano Guardini (1885-1968 sacerdote tedesco (?)) Persona e libertà, anti-nazista e anti-fascista, più che al carattere guarda alla qualità e verità dello incontro educativo. 14. LA RIVISTA “ESPRIT” CONTRO INDIVIDUALISMO E TOTALITARISMO La rivista l’Esprit (1932) nasce in Francia come risposta alla crisi di civiltà, esprimendo fin dall’inizio una forte critica alla borghesia. Per la rivista la persona non era né il borghese individualista né l’uomo massificato del totalitarismo. Il cristianesimo era minacciato dall’indifferenza che ne esauriva la forza vitale. L’obiettivo de l’Esprit era il rifiuto di Marx e della Borghesia a favore di una chiesa non compromessa con il potere. Il personalismo è inteso come filosofia della persona. 15. IL PROGETTO PERSONALISTA DI EMMANUEL MOUNIER Emmanuel Mounier (1905-1950 francese) revolution personaliste et communitaire 1935, manifeste au service du personalisme 1936, qu’est-ce que le personnalisme ? 1947. Definisce la persona come essere spirituale particolare nel suo modo di essere e nella sua indipendenza, costantemente dinamico e creativo. Quindi la persona è espressione della struttura aperta, dinamica e misteriosa dell’essere umano. Il personalismo Mouneriano è fortemente radicato nella storia: la persona è un esser relazionale che si sperimenta nel tempo attraverso l’altro. In quest’ottica l’educazione ha lo scopo di formare l’uomo totale fraternamente preparato al mestiere di uomo. L’educazione nel personalismo è diversa dalla tradizionale a dalla attiva perché ha un di più: è il compiersi di un progetto personale dato dal valore religioso l’evento educativo è visto come la maturazione di una vocazione personale in un contesto di comunità, al culmine del processo educativo c’è la padronanza della volontà (e quindi la libertà) per andare verso i valori (gli altri). Altri contributi del personalismo de l’Esprit: tematiche dell’educazione familiare per superare il modello borghese ed aprirsi ai proletari la famiglia è educativa quando ha dimensione comunitaria e rende le persone consapevoli del loro destino. La scuola deve porsi al servizio della società personalista: sistema di scuole libere ma coerenti con cultura e religione, necessità d’individuare dei valori condivisi di base per la scuola pubblica. 16. IL PERSONALISMO FILOSOFICO E PEDAGOGICO DI LUIGI STEFANINI Luigi Stefanini (1891-1956 Veneto) Personalismo Sociale 1952, Personalismo educativo 1955. Nel personalismo di Stefanini l’essere è personale e tutto ciò che non è personale nell’essere è creatività comunicativa. Il centro della riflessione di Stefanini è che l’atto esprime se stesso: le strutture logiche sono il risultato di una riflessione che testimonia l’identità e la continuità della persona. L’educabilità è la originalità attiva che consente alla persona di aprirsi all’universo quindi l’uomo educato è capace di essere persona nella società e di comunicare in essa. Non è possibile un’educazione di elite, la scuola deve offrire a tutti le stesse possibilità (1962 medie uguali per tutti). La personalizzazione deve rinnovare i piani pedagogici per valorizzare appieno l’integralità del soggetto umano. 17. LA PEDAGOGIA CATTOLICA ITALIANA NEGLI ANNI ’50 E ‘60 Le problematiche di maggior interesse erano: la l’attivismo pedagogico, la sperimentazione in pedagogia, la questione della laicità. Stefanini identifica i Pedagogisti Cristiani (neotomisti) e i Cristiani Pedagogisti (personalisti). Per i Pedagogisti Cristiani vedono Dio è nell’educando e soccorre misericordioso, partono dai presupposti della fede e della dottrina cristiana. I Cristiani Pedagogisti approfondisco l’educazione partendo dall’uomo e dando priorità alla scienza sulla fede. Nel ’50 la pedagogia cattolica è molto presente inoltre il personalismo divenne più pratico, morale e politico, unendo le posizioni di Maritain e di Mounier. Il personalismo diventa sempre più inserito nel mondo e nella società e si laicizza favorito in questo da un rinnovamento religioso che preparò la strada al Concilio Vaticano II (1962-1965) autonomia delle finalità temporali della chiesa e apertura alle realtà terrene. C’è una demitologizzazione del Cristianesimo, e con la dichiarazione Gravissimum educationis si sancisce il diritto del cristiano ad essere cristianamente educato: sia nell’uomo (umano) che nell’anima (l’anima cristiana del battezzato). La Chiesa non rivendica più il proprio esclusivo diritto alla educazione Cristiana (Divinis illius magistri 1929). Aldo Agazzi (1906 – vivente) considera l’educazione nella sua dinamica storica (la persona si fa nella storia) inoltre spinse sull’educazione popolare. Cap 5 - LE PEDAGOGIE DELLA CRISI 1. LA CRITICA ALLA CONCEZIONE CLASSICA DELL’UOMO Paul Ricoeur parla di Marx, Nietzsche e Freud come di tre “maestri del sospetto”, sono cioè sospettosi (critici) sulle sicurezze intorno alle coscienze, da questi innovativi punti di vista si possono aprire nuove possibilità ma in pratica si sono avute spesso delle inibizioni. L’elemento comune alla crisi della ragione classica sta nella ricerca di verità, giudizi e forze che condizionano l’uomo. Il nichilismo ha azzerato i miti di progresso, razionalità scientifica e sviluppo. Per cui educazione e pedagogia non possono basarsi solo sulla razionalità ma sono da rivedere alla luce di forze incomprensibili. 2. LO SFONDO STORICO DELLE CULTURE DELLA CRISI La crisi di cui si discute è la crisi della ragione classicamente intesa. La cultura del 1800-1900 del centro Europa vuole scoprire l’uomo dall’interno e capirne le debolezze: non è più persona ma è individuo allo sbaraglio in un mondo incomprensibile (Kafka). L’arte del tempo sperimenta nuovi orizzonti al limite dell’umano, non ci sono più certezze metafisiche ma solo coscienza (Kandinskij, Klee). Nietzsche smaschera l’umanesimo e la sua morale: il mondo non è così come la tradizione vuole farci credere, siamo noi ad averlo dipinto in questo modo davanti ai nostri stessi occhi. La metafisica è irreversibilmente finita attraverso nuovi valori si supera l’uomo attuale e si realizza la volontà di potenza la liberazione dalla paura e dall’incertezza. Nel Fanciullo Cosmico si ha il massimo della felicità umana, l’eterno ritorno all’istante liberato dalla temporalità. Il Fanciullo Cosmico è in una dimensione Dionisiaca e Gioiosa, la coscienza è pura illusione e non c’è più legame Vero/Bene, Metafisica/Etica. 3. L’ORIGINE DELLA PSICOANALISI Freud (1899-1939 Vienna) -L’interpretazione dei sogni 1899, Tre saggi sulla teoria sesuale 1905scopre l’inconscio e il preconscio. La psicoanalisi ha una concezione naturalistica dell’uomo basata sul principio del piacere: la pulsione (sta tra il somatico e lo psichico) a soddisfare un bisogno riduce lo stato di tensione, la pulsione è alogica e amorale. Freud struttura l’ES inconscio, l’insieme delle pulsioni dominate dal principio del piacere, l’IO regola e media le pulsioni dell’ES difendendo l’individuo da esso, il Super-IO le regole sociali (Fondamentali per la vita me frustranti per l’ES). Fromm afferma che il contenuto dell’inconscio rappresenta l’uomo intero. Freud ritiene che per capire l’uomo si debba accettare che i processi mentali siano quasi tutti inconsci, pochi sono consci è necessario dare parola al sogno. L’educazione consiste nella capacità di padroneggiare le pulsioni (che di per se stesse sono positive) e non di reprimerle (tra l’altro un’educazione così intesa è anche un antidoto alla nevrosi). In quest’ottica è completamente da rivedere il rapporto tra psicologia e pedagogia le relazioni educative da ristrutturare in termini diagnostico-terapeutici, limitare il concetto di responsabilità. 4. IL BAMBINO PSICOANALITICO: LA NATURA COME PULSIONE La patologia adulta è la normalità del bambino. Il bimbo nasce con un’energia sessuata poi matura e si sviluppa in modo non lineare. Il bambino tende alla soddisfazione diretta delle pulsioni è quindi “corrotto” e “perverso”, tutte le patologie adulte hanno origine nell’infanzia. Introduzione alla psicoanalisi 1932. Il processo di Rimozione si ha come difesa ed è l’opposto dell’impulso l’impulso resta confinato nell’ES. L’educazione ha lo scopo di transitare il singolo dalla vita sessuale infantile a quella adulta, l’agente principale è il complesso di Edipo che per Freud è universale per tutta l’umanità civilizzata. Secondo Freud la repressione coincide con la ragion d’essere dell’educazione che, reprimendo il desiderio, può creare nevrosi tuttavia non se ne può fare a meno ed ha la risorsa di sostituire al principio del piacere quello di realtà attraverso il quale le pulsioni possono essere sublimate e trasformate in positivo (Arte, Filosofia, Religione, Scienza…). Quindi nell’educazione, sempre in equilibrio tra frustrazioni e gratificazioni, conta principalmente il modo d’essere dell’educatore più che il suo modo di fare. Alfred Adler (1870-1937) in polemica con Freud Il temperamento nervoso, La psicologia del bambino difficile. Per Adler la sessualità è parte dell’ AMBITIO (ciò che spinge ciascuno a vivere secondo un volontà di potenza desiderio di affermazione), la cosa fondamentale è capire l’insieme degli obiettivi da raggiungere per ciascuno al fine di educare. Anna Freud (1895-1982) Ok terapia analitica ma solo in caso di nevrosi infantile, contraria alle logiche direttive e autoritarie, l’ideale è l’armonia tra mondo esterno e mondo interno. Stimolò l’attenzione di tutti ai bisogni dei bambini prima che si trasformassero in disturbi. Melanine Klein (1882-1960) identifica un inconscio dinamico nel quale sono presenti oggetti indipendenti dalla percezione del mondo esterno. L’inconscio descritto dalla Klein è isolato dalla realtà. In generale le opinioni sulla psicanalisi erano che potesse rinnovare la pedagogia oppure che le fosse del tutto estranea. Comunque i contributi psicanalitici sulle modalità di sviluppo del bambino furono quelli di uno sviluppo non lineare, il rispetto per le dinamiche infantili, riscoperta della corporeità, il ruolo genitoriale con accenti di affettività e riferimento di sicurezza, ci furono inoltre nuovi apporti sui rapporti tra infanzia e adolescenza. 5. LE ESPERIENZE ANTI-AUTORITARIE DEGLI ANNI ’20 E ’30 “Educazione Libera” esce a Mosca nel 1907 vi si scriveva che la causa del male è l’autorità di qualsiasi genere essa sia, lo scopo era quello di creare personalità libere in cui l’ethos comunista si sarebbe formato attraverso la vita comunitaria e il mutuo aiuto. Vera Schmidt (Mosca) apre nel 1921 un asilo d’infanzia su basi psicanalitiche nel totale rispetto per la spontaneità del bambino, anche troppo rispetto: dopo le critiche nel 1922 l’asilo chiude. Stessa sorte per Bernfeld a Vienna, il troppo antiautoritarismo venne criticato e l’silo fu chiuso. Alexander Neill (1883-1973) apre a Summerhill una scuola antiautoritaria nel 1925, era previsto che il bambino potesse fare tutto ciò che voleva nel limite dei diritti degli altri per sé non doveva essere limitato in niente. Neill afferma che l’educatore deve liberare la forza originaria del singolo e non sottometterlo con le repressioni, l’allievo creerà da sé la propria responsabilità che comunque non può esser imposta chi non la capisce. 6. LA RIVOLUZIONE SESSUALE DI WILHELM REICH Wilhelm Reich (1879-1957 Polacco) Maturità sessuale, astinenza e morale matrimoniale. Una critica alla riforma sessuale borghese Vienna 1930 è un autore d’interesse perché: rivisita la psicanalisi sotto la luce Marxista, propone una importante teoria sessuale, anticipa le future ricerche sul ruolo della famiglia. Secondo Reich l’individuo nasce sano, la rimozione è l’effetto patologico della repressione sociale e la repressione coincide con la morale borghese è quindi necessaria la libertà sessuale del singolo per ottenere la libertà del singolo dai servaggi sociali. Reich fu allontanato dal partito comunista e dal movimento psicanalitico. Reich afferma che la diversità dei contesti in cui gli uomini vivono porta ad una loro effettiva DIVERSITA’ reale principio della connessione dell’ideologia con la personalità. Il processo di differenziazione ha inizio nella famiglia dove, sotto l’influenza dei genitori, si crea la personalità autoritaria. 7. MARXISMO E PSICOANALISI NELLA SCUOLA DI FRANCOFORTE l’Istituto per la ricerca sociale nasce a Francoforte nel 1923 con lo scopo di avviare studi interdisciplinari sulle teorie sociali. Vi fece parte Erich Fromm. Max Horkheimer (1895-1973) e Theodor adorno (1903-1969) elaborano la Teoria critica della società: il pensiero critico deve rifiutare qualsiasi compromesso col reale, è un pensiero “negativo” c’è quindi una forte avversione per l’illuminismo,la borghesia e il capitalismo alienante che, in particolare, deriva dallo spirito di positività. Viene rivalutato il Marxismo liberandolo dai positivismi (sono contro il modello ‘socialista’ sovietico) e dando spazio alla dialettica più che agli idealismi. 8. GLI STUDI SULLA FAMIGLIA E SULLA PERSONALITà AUTORITARIA Gli studiosi di Francoforte individuarono nella psicanalisi il collegamento delle scienze della società con i comportamenti umani, cioè può mediare la sfera economico-sociale (“struttura” marxista) e la sfera politico-culturale (“sovrastruttura” marxista). Lo studio delle dinamiche psicologiche permette di capire la storia poichè gli individui sono dotati di coscienza. Quindi lo scopo diventa capire la psicologia dei GRUPPI SOCIALI ed in questo spazio c’è la connessione tra l’opera di Freud e quella di Marx. Indagine sulle basi psicologiche dell’autorità per capire il perché dei totalitarismi (monografia del 1936): il conflitto di classe si basa sulla interiorizzazione della costrizione e la famiglia, con i ruoli borghesi, ne riproduce il consenso. Per formare una personalità autoritaria gli insuccessi devono essere vissuti come incapacità o inadeguatezza e trasformati in colpe, quindi per risolvere il problema è necessario creare una nuova famiglia basta sull’affetto e non più sull’autorità paterna borghese. Adorno La personalità autoritaria 1950 vuole evidenziare il tipo antropologico che favorisce i regimi totalitari e il “potenziale fascistico” insito nelle società liberal-democratiche la personalità è simile al sadomasochista con un Edipo non risolto e un transfert dell’aggressività. Il tema della personalità autoritaria torna spesso nel ’60 e l’immagine è di un uomo asservito e dominato (anche nell’intimo) dal potere e questo anche a causa delle informazioni di massa. Herbert Marcuse (1898-1979) negli anni ’50 e ’60 denuncia il rischio della “società unidimensionale” cui corrisponde “l’uomo mimetico” che non sa più distinguere tra bisogni veri e falsi e si limita a possedere cose più che a vivere la propria anima. Il totalitarismo della società capitalistica avanzata (la società unidimensionale) è supportato anche dal sistema di produzione. In questo contesto l’educazione può solamente alienare e mimetizzare l’uomo e questo particolarmente in campo sessuale, diventa quindi necessario liberare l’uomo dalla sessuofobia come premessa per una società meno alienante. Marcuse teme addirittura l’autoannientamento della società che respinge l’eros. 9. L’ANTI-PEDAGOGIA DEL “GRANDE RIFIUTO” Esperienza della scuola di Francoforte: 1. la classe operaia non è il soggetto rivoluzionario 2. il dominio sociale si ha solo in presenza di elementi ideologici, psicologici e culturali 3. i processi capitalistici si fondano oggi su economia e politica Adorno e Marcuse rifiutarono questi temi e proposero la “Teoria del Grande Rifiuto” utopia dell’uomo libero da ogni domino e organizzazione. La scuola di Francoforte svela le contraddizioni dello sviluppo denunciandone i costi in termini di originalità e presenza umana, evidenzia la perversione di molti meccanismi pedagogici a partire dalla famiglia (di stile borghese). Viene smascherato il fatto che l’individuo non è più realmente libero e responsabile. L’unica vera educazione sarebbe evidenziare gli autoritarismi e le violenze nascoste per contrastare ciò che tende ad annullare la cultura (originale e creativa) di qui si ha la negazione ferma della pedagogia del “dover essere” e si mette in dubbio ogni altra pedagogia quindi il “Grande Rifiuto” è anti-pedagogico. Cap 6 - PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE NELLA CULTURA CONTEMP. 1. LE AMBIVALENZE DI FINE SECOLO Il 1800 si chiude con la riflessione sul significato del valore della scienza e dei dogmatismi del positivismo (crisi di fine secolo). Il XX secolo vede la scoperta della soggettività individuale sviluppando le ambivalenze di prospettiva identificate nelle precarietà e insicurezze e nella percezione della possibilità di una crescita ulteriore. 2. DALLA PEDAGOGIA ALLE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E’ il nuovo quadro di riferimento che prevede l’interdisciplinarietà di più scienze all’interno della pedagogia e nello svolgersi dei progetti educativi. Facoltà di Scienze dell’educazione appaiono in Francia nel ’60, in Italia verso il 1985. Ad oggi esistono quattro modelli principali entro cui si muove la ricerca: Pedagogia empirico-Operativa con impostazione induttivo sperimentale Pedagogia critica che prevede una profonda coscienza politica Pedagogia attenta alla soggettività personale (quadro teorico vario rafforzamento della personalità, critica verso le istituzioni) Pedagogia della parola e del dialogo ricerca la padronanza dello strumento del linguaggio 3. LA CONFERENZA DI WOODS HOLE E LA TEORIADEL CAPITALE UMANO Già dagli anni ’30 ma soprattutto dopo la seconda guerra, erano sempre più pesanti le critiche verso la pedagogia attiva, inoltre la spinta stessa di Dewey si stava esaurendo. Nel ’57 l’Urss lancia lo Sputnik superando gli USA i quali ritengono fondamentale creare una task force che cerchi le strategie per colmare il presunto gap tecnologico basandosi su una riforma della pedagogia stessa. Quindi si ha la conferenza di Wodds Hole nella quale una trentina di scienziati cercano, attraverso le loro interdisciplinarietà, d’individuare quali siano i migliori processi formativi da utilizzare per insegnare la scienza. Lo scopo non è quello di una riforma. Si forma la Teoria del capitale umano ( Schultz Chicago) la formazione non è uno spreco di risorse ma un investimento in Capitale Umano (crea la capacità di produrre). In quest’ottica l’investimento scolastico migliora la produttività complessiva e quindi l’istruzione è da intendersi un progresso sociale (Istruzione come investimento). Su questa base nasce, nel 1961, l’ OCDE (Organizz. di Cooperaz. e di Sviluppo Economico) che rivestirà un ruolo attivo sulle politiche dell’istruzione. 4. JEROME BRUNER E LE CRITICHE A DEWEY E PIAGET Jerome Bruner (psicologo di Harvard, New York nato nel 1915) fu il presidente la conferenza di Wodds Hole ( Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture 1964). J. Bruner studia i processi mentali psico-pedagogici e psico-linguistici. Studi sullo sviluppo cognitivo 1968. La sua critica a Dewey: insistendo sul carattere di continuità con la famiglia, Dewey sottovaluta la capacità dell’istruzione di introdurre nuove prospettive. Bruner dice che l’educazione è la capacità di procedere da sé nel farsi una cultura interiore; il fine è conoscere il mondo, le sue leggi per ordinare l’esperienza e scoprire il mondo stesso. Bruner dà importanza alle capacità fondamentali dell’individuo: abilità manuali, vedere e immaginare, operazioni simboliche. L’apprendimento deve essere in grado di organizzare l’esperienza inserendola in una “struttura”. Il pensiero è un’attività che risolve problemi, sistema categorie e definisce strategie. L’apprendimento passa attraverso: Rappresentazione attiva (azione evocata dall’incontro con l’oggetto) Rappresentazione iconica (rapp del mondo attraverso un’immagine separata dall’azione) Rappresentazione simbolica (attività simbolica innata che si sviluppa fino al linguaggio) La sua critica a Piaget: non esiste un vero e proprio innatismo né le fasi di sviluppo sono sequenziali e uguali per tutti, infatti risentono molto dell’influenza ambientale, le stesse rappresentazioni non sono sempre contemporaneamente presenti. 5. LA TEORIA BRUNERIANA DELL’ISTRUZIONE La scuola progredita e avanzata poggia sul modello strutturalista, logico, scientifico in cui è presente il linguaggio simbolico. Devono essere forniti strumenti metodologici e capacità critiche per padroneggiare la realtà (istruzione formale). Ogni disciplina è un sistema di idee e contenuti e una maniera di conoscere. Una disciplina si conosce quando se ne padroneggia la struttura (il suo senso interno e coerente) e la si può usare in situazioni nuove. Fondamentali sono l’impostazione e l’organizzazione dei programmi didattici, i metodi, il ruolo dell’insegnante e delle motivazioni. Formula tre principi: Programma a spirale fornire da subito gli elementi costitutivi della disciplina Epistemocentrismo attenta selezione dei contenuti, rigore metodologico e procedure d’indagine corrette Adeguata considerazione per gli aspetti ambientali motivazione, orientamento, rassicurazione In questo modo lo studente acquisisce un proprio sapere organico e interdisciplinare con cui si autorassicura. Bruner riconosce inoltre l’importanza dell’intelligenza artistica che integra quella logica. 6. NEO-COMPORTAMENTISMO E ISTRUZIONE PROGRAMMATA L’istruzione programmata è costituita da piani di studio per piccoli passi e con immediati rinforzi positivi alle risposte giuste (Skinner 1904-1990 Harvard). Il neo-comportamentismo afferma che gli aspetti osservabili spiegano i processi mentali (rifiutano l’introspezione), per loro quindi l’apprendimento avviene attraverso i processi di stimolo/risposta. Skinner introduce la definizione di rinforzi positivi e negativi inoltre progetta una serie di macchine e tecniche per insegnare (individualizzazione dell’apprendimento, autoapprendimento, sviluppo di altre vie d’apprendimento) con lo scopo di eliminare le interferenze dei rapporti personali: l’insegnante fa solo controllo e verifica. 7. LE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO: “MASTERY LEARNING” E CURRICOLI Le teorie cognitiviste e neo-comportamentiste dal 1950 in poi mirano a potenziare l’intelligenza e a migliorare la condizioni d’apprendimento. Si afferma che l’istruzione debba seguire le attitudini e i tempi di apprendimento dello studente. Il mastery learning (Benjamin Bloom nato nel 1913, Chicago) consiste nella parcellizzazione e ottimizzazione in vista dell’obiettivo; i passaggi sono: definizione obiettivi, contenuti raggruppati in unità significative, metodi e tecniche adeguati, verifiche intermedie e verifica finale del raggiungimento degli obiettivi. La ricerca del curricolo (itinerario formativo) si è sviluppata intorno agli obiettivi e alle prassi didattiche, gli obiettivi sono le competenze necessarie e vengono raccolti in tassonomie (criteri di raggruppamento) divisi in sfera cognitiva, sfera affettiva, sfera psicomotoria. Robert Mills Gagnè (nato nel 1916 Florida) pone come elementi costitutivi dell’apprendimento: Il soggetto che apprende, le situazioni di stimolo e l’organizzazione della programmazione dell’apprendimento. L’insegnante gli elementi esterni alla situazione d’apprendimento, in questo senso l’apprendimento è dato da situazioni oggettive e soggettive. Punto di vista curricolare: Obiettivi chiari e determinati, direttività rigida e scientifica, ottimizzazione dei tempi e delle risorse, coerenza tra obiettivi e risultati. 8. L’APPRENDIMENTO COME MEDIAZIONE Feuerstein (1921 rumeno, allievo di Piaget oggi a Tel Aviv) l’adulto è il mediatore tra il sapere e l’allievo, ha il compito di facilitare e organizzare, fornisce schemi mentali che lo mettono in grado di imparare da solo. Solo l’intervento dell’adulto permette la strutturazione di processi cognitivi corretti. L’intelligenza è considerata malleabile e il ritardo cognitivo è in realtà un mancato apprendimento. Feuerstein produce sia un Test per la valutazione di ciò che l’allievo è in grado di apprendere sia il PAS, una serie di esercizi definiti “strumenti” per il superamento delle carenza cognitive incontrate. 9. DALL’INTELLIGENZA ALLA MENTE Le pedagogie empirico-operative sono messe in discussione nello stesso ambito cognitivista. Si afferma che il metodo sia astorico e neutro per cui non può essere considerato una valida misura della teoria. Si manifesta una rinnovata attenzione alla complessità della mente umana. Howard Gardner (1943) ritiene che non esista la sola intelligenza logico-formale ma che accanto ad essa ci siano molti altri modi dell’intelligenza. Per cui è necessario individualizzare l’apprendimento. La posizione di Gardner è una revisione del cognitivismo logico-formale. Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza (1983), Educare al comprendere. Stereotipi infantili e apprendimenti scolastici (1991). 10. LE ISTANZE CRITICHE DELLA PEDAGOGIA RADICALE Le pedagogie critiche si sviluppano tra il ’60 e il ’70 in conflitto con il sistema culturale e sociale. L’attacco alle teorie pedagogiche empirico-operative si sviluppa nel rifiuto delle istituzioni ritenute troppo autoritarie ed oppressive sulla base teorica della riproposta centralità dell’inconscio (Lacan). In Francia nel ’60 si sviluppa la corrente anti-pedagogica nella quale si afferma che la scuola riproduce il conformismo della cultura della cultura socialmente apprezzata, viene denunciata la violenza delle istituzioni (scuole, ospedali, prigioni…), vengono criticati i metodi della trasmissione del sapere, il ruolo del maestro viene negato e sostituito dalla competenza del gruppo, infine s’intende l’evento educativo come una scoperta creativa personale. Lo sviluppo personale è dato dalla liberazione dai condizionamenti (non più colpe né tabù) e dall’emancipazione sociale dalle norme e dalle costrizioni. 11. GLI APPORTI DELLA SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE Negli anni ’60-’70 si cerca di dimostrare come la scuola non liberi le classi subalterne ma perpetui invece le ingiustizie sociali. In questo l’opera di Bordieu la famiglia trasmette conoscenze-valori e un ethos di classe, il primo determina il rendimento a scuola, il secondo la durata degli studi. Louis Althusser (1970 la scuola sottomessa alle logiche di classe –lettura Marxista-) afferma che la riproduzione degli apparati di produzione si abbia attraverso gli apparati di Stato e definisce due tipi di apparati statali: Repressivi (Governo, Polizia, tasse..) e ideologici (Chiesa, scuola…), la scuola è il più importante apparato statale ideologico e ha lo scopo di riprodurre l’idea della classe dominante. In questo modo fallisce il suo obiettivo di essere vicina alle classi più deboli. 12. FINE DEL PERSONALISMO E RITORNO DELLA/E PERSONA/E Le pedagogie funzionaliste e anti funzionaliste hanno in comune il fatto che in entrambe l’analisi strutturale precede l’esperienza umana, resta in secondo piano la soggettività. Il personalismo è una reazione ai totalitarismi e alle guerre. La rinnovata fiducia nell’uomo e nelle sue potenzialità permette un ritorno alla persona. Nella cultura cattolica si riscopre il valore del rapporto e dell’altro, inoltre c’è un distacco dal empirismo e si sottolinea la positività della intenzione umana. In tutta questa serie di fermenti non c’è in effetti un quadro di riferimento teorico comune. Dopo la crisi dei miti di scienza, progresso e benessere si ha il ritorno alla convergenza sulla figura umana come centro di senso. 13. LA SOCIETA’ CONVIVIALE DI IVAN ILLICH Illich (Slavo 1925) -Descolarizzare la società. Per un’alternativa alla istituzione scolastica 1970afferma che la scuola dell’800 non può più cambiare quindi è necessario eliminarla per creare qualcosa di nuovo. Illich afferma l’esistenza di un limite di benessere al di sotto del quale non è possibile umanizzazione e di un limite superiore al di sopra del quale il progresso diventa degenerazione. Azioni negative della scuola secondo Illich l’istruzione ha valore solo se eseguita a scuola, la riuscita sociale dipende dal numero a dal livello dei corsi seguiti. La soluzione è quella di capovolgere le istituzioni non la scuola come società ma la società come scuola, tutta la comunità deve caricarsi della educazione in modo non standardizzato. Società conviviale lo strumento è al servizio della persona integrata alla collettività. 14. IL MODELLO NON DIRETTIVO DI CARL ROGERS Negli anni ’40-’50 la psicologia umanistica afferma che l’uomo ha la capacità e le risorse per opporsi ai propri impulsi. L’uomo può vivere in una prospettiva di sviluppo continuo l’uomo è un insieme di risorse che devono essere valorizzate in vista dell’autosviluppo. Carl Rogers (1902-1987La terapia centrata sul cliente 1953), afferma che l’uomo è potenzialità intrinseca e che l’educazione ne è lo sviluppo. La cura rafforza le positività del curato e questa si ha solo nella relazione d’aiuto. La relazione d’aiuto si ha quando si cerca di favorire nell’altro la crescita in un clima di accettazione, empatia e sincerità. Il tutto si basa sulla fiducia nel potenziale dell’altro. Fino al ’70 Rogers ebbe credito poi iniziarono le critiche sul rischio di sentimentalismo. 15. FRANCOISE DOLTO E L’EDUCAZOINE COME CONDIVISIONE Françoise Dolto (1908-1989) dà grande importanza agli aspetti affettivi, partecipativi e autoresponsabilizzanti. Il gioco del desiderio, Le parole dei bambini, La libertò d’amare. Nell’esperienza della Maison Verte si esprime l’importanza della relazione madre-figlio. La Dolto rifiuta di limitare l’uomo all’aspetto biologico ed afferma che non si deve parlare di istinto animale ma di desiderio sessuato. Identifica la maggiore potenzialità dell’uomo nel suo ‘essere di linguaggio’, nella capacità di parlare e proprio nella negazione di ciò esiste il pericolo: il non-detto e la menzogna. Nel rapporto tra genitori e figli parla di rassicurare i figli, i quali non ci appartengono ma sono liberi. 16. IL DIBATTITO SULL’ETICA CONTEMPORANEA Il dibattito sull’etica assume importanza poiché esiste una crisi dell’ethos (costume e tradizioni). La morale cristiane è stata spazzata via dalla secolarizzazione, le grandi ideologie sono entrate in crisi lasciando l’uomo nell’incertezza . In questa situazione di crisi i “valori comuni” dovrebbero regolare una società complessa e i suoi conflitti, diventa necessario superare lo scarto tra etica pubblica e morale privata. Tuttavia resta aperta la questione se i valori comuni in effetti possano bastano. 17. ALCUNE PROPOSTE (SAVATER, MACINTYRE, JONAS) E RELATIVE RICADUTE PEDAGOGICHE Savater (1947 vivente, Basco) redige la Teoria dell’amor proprio in base alla quale si ha un’etica autoaffermativa (si agisce sempre per il proprio vantaggio) per cui le norme etiche devono realizzare ciò che si è quindi non esiste il vero altruismo, la virtù è da considerarsi un fatto personale. Per quanto riguarda la solidarietà, il singolo che aspira ad una più alta moralità può scegliere la solidarietà e la virtù ma solo egli lo può fare. La posizione di Savater è vicina alla filautia (cura di se stessi) dei greci. Comunitaristi il bene morale può essere definito solo in una comunità con tradizioni collettive, l’uomo è persona che sta con altri (si richiama all’idea delle polis). MacIntyre (Scozzese, vivente) -Dopo la Virtù 1988- afferma che le basi etiche sono attività sociali fatte in un contesto di tradizione la virtù è il rispetto e la conservazione della tradizione. La tradizione è intesa in senso dinamico e in grado di dare strumenti d’interpretazione. In questo contesto la comunità si deve occupare anche della formazione. L’educazione è un’opera comunitaria affidata allo strumento delle narrazioni cioè alla trasmissione dei valori specifici di una comunità. Hans Jonas (1903 germania) –il principio di responsabilità 1979- propone il principio di responsabilità nel quale afferma che le conseguenze di ogni azione hanno conseguenze su se stessi, sull’altro/i e sull’ambiente; quindi è necessaria una nuova etica che tenga conto del fatto che le conseguenze delle azioni non devono mettere a rischio la specie. La dimensione ordinatrice e generatrice della responsabilità consiste nel “prendersi cura di”, il massimo livello di responsabilità è il “prendersi cura del futuro”. 18. LE PEDAGOGIE DELLA PAROLA C’è una rinnovata attenzione all’importanza della parola e del linguaggio (l’uomo è sapiens in quanto loquens). Paulo Freire (1921 vivente lavora in Brasile tra i campesinos) –Pedagogia degli oppressi 1977, L’educazione come pratica della libertà 1973- afferma che l’educazione è tale solo se vissuta come acquisizione di conoscenze liberanti, è quindi un processo di coscientizzazione (intesa come “parola”, conquista dell’autonomia della coscienza stessa), quindi è la parola che dà autonomia. Alfabetizzazione e coscientizzazione sono inseparabili e l’apprendimento è legato alla coscienza di una situazione reale vissuta. L’educatore deve individuare l’universo tematico adatto agli alunni e porlo come problema in cui rientrano aspirazioni e speranze si può fare attraverso le parole generatrici (vocaboli con significato sia grammaticale che etico-politico). Don Lorenzo Milani (1923-1967) propone le scuole popolari e utilizza la parola come strumento per liberarsi e per capire. Ritiene che a scuola non si debba bocciare, a chi fa più fatica si deve offrire la scuola a tempo pieno e agli svogliati bisogna dare uno scopo. La scuola deve essere per tutti e non solo per i ricchi. Riteneva infine che la scuola non fosse da abbattere ma da riformare profondamente. La fedeltà al Vangelo si opponeva al consumismo borghese. 19. LE PEDAGOGIE DEL DIALOGO – EBNER E BUBER Ferdinand Ebner (1882-1931 filosofo austriaco) –parola e amore. Dal diario 1916/17, aforismi 1983- afferma che la coscienza è tale grazie alla parola e questa esiste in funzione del IO…TU relazionale che esce dal solo IO. La parola conta veramente nella misura in cui è PNEUMA (espressione dell’interiore vitalità umana), in questo senso esistono due linguaggi: linguaggio sociale (superficiale) e linguaggio pneumatico (nel quale si fa esperienza dell’altro). Martin Buber (1878-1965 ebreo austriaco) –io e tu 1923 – la salvezza dell’uomo moderno consiste nella relazione tra uomo e uomo. Buber distingue tra la relazione IO-TU e la IO-ESSO, ciò che cambia tra l’una e l’altra è il punto di vista dell’IO, del soggetto: nell’IO-TU c’è un rapporto vero e profondo mentre nell’IO-ESSO si ha solo un rapporto parziale; entrambe le relazioni risultano necessarie nella vita dell’uomo. Buber è interessato al “tra”, alla relazione in quanto tale. Quando la relazione dell’IO-TU si consuma nasce il NOI e la vera realizzazione dalla comunità. Dal punto di pedagogico, Buber, critica sia la vecchia che la nuova educazione (per lui contano solo le filosofie del dialogo), l’alternativa è in un’educazione fatta in una relazione con l’interezza del maestro:l’allievo cresce attraverso l’incontro con il maestro solo quando questi è capace di costruire una reale reciprocità tra se stesso e gli allievi. 20. LE PEDAGOGIE DEL DIALOGO – CAPITINI E DOLCI Aldo Capitini (1899-1968 nonviolento antimilitarista) –Rivoluzione Aperta 1956, La nonviolenza oggi- critica lo storicismo e lo stato etico nella loro attenzione alla Storia e al Tutto dimenticandosi del singolo, dell’individuo. Critica inoltre la Chiesa che ha snaturato la funzione liberante del messaggio evangelico. Capitini si basa inoltre sull’apertura al “tu-tutti” e alla “compresenza” o “realtà di tutti”: l’apertura al “tu-tutti” è l’interesse e l’affetto per l’altro nella sua limitatezza, nella sua possibilità di morire, attraverso l’apertura si sperimenta la “compresenza” cioè la realtà di tutti i viventi che diventa un essere creatore di valori. La pratica (l’educazione) per raggiungere la compresenza è quella della non-uccisione, non-menzogna, non-violenza. Da questi presupposti la scuola deve avere un’apertura ai mutamenti del tutto evitando stereotipie e luoghi comuni. Danilo Dolci (1924 vivente triestino) –Creatura di creature 1979, Palpitare di nessi 1985 – di lui ho capito solo che il dialogo apre al confronto esistenziale e libera la persona. Il resto … è leggenda! 21. DUE SCENARI DEL FUTURO: MULTIMEDIALITA’ E GIUSTIZIA Nel mondo multimediale pieno di informazioni serve creare una personalità solida con spiccato senso critico e forte autocontrollo (il tipico adolescente odierno) perché non si perda nel mare di notizie che ha a disposizione. L’ineguaglianza e la diversità delle culture è caratteristica del nostro tempo e quindi si deve riscoprire la Giustizia come principio che governa i rapporti fra gli uomini; questo tipo di giustizia è la sola che può garantire la riconciliazione (ma la giustizia non è umana!).