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Valentina D’Amato
Matricola 1916
Corso SSIS Puglia Sostegno 800 hh Sede di Bari
Tesina
di
Clinica delle minorazioni (Prof.ssa Baldassarre)
Una Diagnosi complessa: ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), o più
semplicemente ADD (Attention Deficit Disorder), sindrome da deficit di attenzione
e iperattività.
Valentina D’Amato
Matr. N. 1916
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Valentina D’Amato
Matricola 1916
Una Diagnosi complessa: ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), o più semplicemente
ADD (Attention Deficit Disorder), sindrome da deficit di attenzione e iperattività.
Paolo…il terremoto!
Paolo ha 15 anni frequenta la seconda classe dell’Istituto Tecnico Industriale ed è un
“terremoto”: basta un nonnulla per distrarlo. Il suo comportamento iperattivo e
deconcentrato che manifestava già da anni, è oggi un problema concreto, ai limiti
dell’handicap. Il suo comportamento è pressoché ingestibile. In classe è sempre fuori
posto, impulsivo, si atteggia a buffone della classe. Se non è impegnato in lotte e litigi coi
compagni si barcamena socialmente come buffone della classe; è deriso, evitato e spesso,
nonostante il suo comportamento clownesco, mostra disappunto e tristezza.
Paolo sembra apprendere con notevole difficoltà nelle aree verbali, lettura in particolare;
ha risultati migliori in matematica, educazione fisica, disegno tecnico.
Incontra enormi difficoltà nel completare autonomamente un compito; si dimentica
spesso di quanto aveva programmato di fare anche se intendeva farlo. Quando inizia un
progetto, gioco o incarico, quasi mai lo porta a termine.
Nonostante Paolo sia appassionato di sport in cui vorrebbe eccellere ha difficoltà di
coordinazione ed è impulsivo e distraibile, così da essere un giocatore poco desiderabile.
Gli insegnanti e i genitori, preoccupati e frustrati dal fallimento delle tradizionali misure
già messe in atto (richiamare, sgridare, stimolare il ragazzo), richiedono un intervento
inerente al comportamento, apprendimento e umore di Paolo. E’ invero di fondamentale
importanza che l’istituto scolastico sappia instaurare e mantenere un dialogo aperto e
continuo coi genitori, ricco di momenti di confronto e di riflessione, e che li tenga
costantemente informati delle problematiche che il loro figlio si trova ad affrontare. E’
necessario che la scuola poi segnali il problema e sia in grado di sviluppare un clima di
collaborazione coi servizi territoriali che si occupano del percorso riabilitativo.
Questo caso ci dà l'idea di cosa sia un “Bambino Iperattivo con Deficit dell’Attenzione”
(ADHD), un vero e proprio disturbo neuropsichiatrico caratterizzata da: Deficit di
attenzione, Impulsività, iperattività.
Ma analizziamone ogni singolo e peculiare aspetto…
I PROBLEMI DI CONDOTTA
I problemi di condotta (il “bambino onnipotente”) rappresentano una delle più frequenti
patologie con cui si confronta oggi l’insegnante di sostegno. Essi sono condizionati da
complessi fattori psico-sociali ed antropologici che caratterizzano fortemente la condizione
del bambino/ragazzo e della famiglia moderna.
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E’ importante sottolineare che molti dei disturbi di condotta evidenti nei bambini/ragazzi
si associano a “iperattività”, cioè a un controllo inadeguato dell’attività motoria.
I motivi ambientali, però, non spiegano tutti i casi di disturbo di condotta con iperattività,
dal momento che esiste un gruppo di soggetti che presentano un disturbo organico (cioè
una vera e propria malattia) dei meccanismi di controllo dell’attenzione, che
secondariamente porta ad un insufficiente controllo dell’attività motoria: il “Disturbo da
Deficit di Attenzione” (ADD, Attention Deficit Disorder nella letteratura di lingua inglese,
ADS, Aufmerksamkheitsdefizit Störung nella letteratura di lingua tedesca), meglio
conosciuto come “Disturbo di Attenzione con Iperattività” (ADHD nella letteratura
anglosassone, DDAI, nella letteratura italiana).
La condizione clinica che meglio permette di definire il problema non è quindi
l’iperattività, ma il Disturbo di Concentrazione (DC), meglio definito come “Disturbo
dell’Attenzione” .
UNA SINDORME BEN DEFINITA
La proposta di una sindrome così ben definita si affaccia in Italia dopo la pubblicazione
negli Stati Uniti - circa venti anni fa - del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali DSM III, che definiva le caratteristiche cliniche di questo disordine. Le critiche
iniziali, però, furono così marcate in Italia, come in altri Paesi, da impedire la diffusione
della conoscenza organica dell’ADHD. Basti pensare che nel 1978 la casa editrice Feltrinelli
pubblicava la traduzione italiana di un libro di Schrag e Divoky dall’eloquente titolo “Il mito
del bambino iperattivo”. Ciò nonostante, il problema era così sentito che in questi ultimi
vent’anni molteplici progressi scientifici sono stati fatti, soprattutto in America, sulla
comprensione dell’ADHD.
Sebbene il problema sia stato ormai ben identificato e delineato nella letteratura
internazionale, e, quindi, diagnosticato e trattato da molti pediatri e neuropsichiatri, nel
nostro paese esso è stato finora trattato in modo non sufficientemente demarcato (Levi e
Penge 1996) dalla cosiddetta “Sindrome da iperattività”, termine generico che si riferisce
ad una costellazione sintomatologica etio-patogeneticamente disomogenea, che contiene
una serie svariata di disturbi organici o funzionali dei meccanismi di controllo dell’attività,
alla cui base, spesso, esistono deviazioni dei meccanismi psico-emotivi, sconfinanti in veri
e propri disturbi di personalità.
La conseguente caratterizzazione psico-patologica del problema ha fatto sì che esso
restasse lontano non solo da una prospettiva diagnostica e terapeutica adeguata alla sua
vera natura ma anche dall’interesse da parte del vasto pubblico di pediatri, insegnanti e
genitori che avrebbe, invece, meritato di conoscere un problema di così grande portata
sociale, per la sua elevata diffusione nella popolazione infantile.
A partire dagli anni quaranta, gli psichiatri hanno utilizzato molti nomi per definire i
bambini caratterizzati da iperattività e da una disattenzione e impulsività fuori della
norma.
Questi soggetti sono stati considerati affetti da “Minima disfunzione cerebrale”, da “Sindrome
infantile da lesione cerebrale”, da “Reazione ipercinetica dell’infanzia”, da “Sindrome da
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iperattività infantile” e, più recentemente, da “Disturbo dell’attenzione”. I frequenti
cambiamenti nelle definizioni rispecchiano l’incertezza che hanno avuto i ricercatori sulle
cause del disturbo e perfino su quali fossero esattamente i criteri diagnostici.
DETERMINANTE GENETICA
Da diversi anni, però, i ricercatori che si occupano di ADHD hanno iniziato a metterne in
luce sintomi e cause e hanno trovato che il disturbo può avere una causa genetica.
Attualmente, le teorie in proposito sono molto diverse da quelle che andavano per la
maggiore anche solo pochi anni fa. I ricercatori stanno chiarendo che l’ADHD non è un
disturbo dell’attenzione in sé - come si era a lungo ritenuto - ma nasce da un difetto
evolutivo nei circuiti cerebrali che stanno alla base dell’inibizione e dell’autocontrollo.
A sua volta, questa mancanza di autocontrollo pregiudica altre importanti funzioni
cerebrali necessarie per il mantenimento dell’attenzione, tra cui la capacità di posticipare
le gratificazioni immediate in vista di un successivo e maggiore vantaggio. Insomma,
questi bambini sono quelli che preferiscono l'uovo oggi alla gallina domani!
I bambini affetti da ADHD, pertanto, non riescono a controllare le loro risposte
all’ambiente. E' come se in questo momento che state leggendo veniste bombardati da
tanti altri eventi disturbanti, come la televisione accesa, i vostri figli che gridano fuori la
stanza, il telefono che squilla e voi non riusciste ad annullare tutti questi stimoli per
focalizzare la vostra attenzione solo su quello che state facendo e che vi interessa tanto. Se
non aveste questa capacità di "filtrare" gli stimoli e "prestare attenzione" comincereste a
sentirvi agitati perché vi rendereste conto di non riuscire nel vostro intento. Pensate se poi
l'attenzione vi venisse richiesta per cose non tanto gradite, come studiare una pagina di
storia medioevale, cosa fareste?
Ebbene, questa mancanza di controllo rende i bambini ADHD: disattenti, iperattivi e
impulsivi. I sintomi centrali dell’ADHD, quindi, sono essenzialmente caratterizzati da un
marcato livello di disattenzione e una serie di comportamenti -secondari- che denotano
iperattività e impulsività.
LA REALTA’ CLINICA DELL’ADHD
Nella loro realtà clinica questi sintomi si organizzano e si manifestano con una serie di
aspetti complessi, nell’ambito dei quali non devono mai essere persi di vista.
Andranno quindi sempre distinti:
1) Sintomi puri (“core symptoms”);
2) Profili sintomatologici specifici (aggressività, disturbo socialità, immaturità,
isolamento)
3) Problemi comportamentali associati (di cui il più frequente è quello opposizionale,
definito come “Oppositional Defiant Disorder”, ODD)
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L’ADHD UN PROBLEMA MARGINALE?
L’ADHD non è affatto un problema raro, anzi appare - nell’ambito dei problemi di
condotta - uno dei principali problemi della dimensione infantile moderna, un vero e
proprio problema medico-sociale .
La prevalenza dell’ADHD varia molto, secondo gli strumenti utilizzati e le realtà socioantropologiche in cui viene studiata. I soggetti colpiti comunque sono numerosissimi in
tutto il mondo. Ovunque adeguatamente ricercato il disturbo in età scolastica mostra una
prevalenza intorno al 4%.
L’ADHD è stato identificato dai ricercatori in tutte le nazioni e in tutte le culture studiate.
Il disturbo è maggiormente rappresentato nel sesso maschile secondo un rapporto che va
da 3 a 9 maschi ogni femmina, a seconda delle ricerche, forse perché i maschi, secondo
Barkley, sono geneticamente più soggetti alle malattie del sistema nervoso.
Va rilevato che gli strumenti di screening utilizzati per un primo orientamento diagnostico
(DSM-III-R e DSM-IV) sovrastimano il problema, perché lo confondono con il capitolo più
ampio dei disturbi di condotta. Nella stima estrema, la prevalenza si ridurrebbe dal 18 al
3.9 %, dopo la valutazione con modelli diagnostici di secondo livello.
QUANTO DURA?
L’ADHD non è un problema marginale che si risolve con l’età. Contrariamente a quanto
si riteneva un tempo, la condizione può persistere in età adulta.
La sua storia naturale, infatti, è caratterizzata da persistenza fino all’adolescenza in circa
due terzi dei casi e fino all’età adulta in circa un terzo o la metà dei casi. E molti di quelli
che non rientrano più nella descrizione clinica dell’ADHD hanno ancora significativi
problemi di adattamento nel lavoro, a scuola o in altri contesti sociali.
L’ADHD, infatti, significativamente si associa a disturbi dell’adattamento sociale
(personalità antisociale, alcoolismo, criminalità), basso livello accademico ed
occupazionale, problemi psichiatrici, fino ad essere considerato uno dei migliori
predittori, in età infantile, di cattivo adattamento psicosociale nell’età adulta. Anche se
sembra che questo sia patrimonio più delle forme comorbili che delle forme semplici e
delle forme con disturbi neuro-psicologici, e sia strettamente dipendete dal contesto
evolutivo in cui cresce il bambino con ADHD, è la persistenza stessa dell’ADHD a
rappresentare il fattore di peggior prognosi psicosociale, indicando che maggiormente
perdurano gli effetti del disturbo più profondo è il loro influsso sullo sviluppo psicoemotivo.
Le forme comorbili sono più correlate ad una serie di profili sintomatologici negativi per
quanto riguarda il rapporto con l’ambiente, con veri e propri profili psichiatrici e, quindi,
hanno una peggiore prognosi.
Le correlazioni più frequenti sono con:
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Disturbi di Condotta (CD): aggressività, ansietà, psico-patologia materna, bassa
auto-stima;
Disturbo Opposizionale (ODD): deprivazione sociale, basso rendimento scolastico,
bassa competenza sociale.
Tutto questo è dovuto, purtroppo, al fatto che i soggetti affetti da ADHD manifestano nel
tempo dei sintomi secondari che si pensa siano il risultato dell’interazione tra le
caratteristiche proprie del disturbo con l’ambiente scolastico, sociale, familiare in cui il
bambino si trova inserito. Basti pensare che il 58% degli studenti affetti da ADHD ha
subito almeno una bocciatura durante la propria carriera scolastica (Cantwell e Satterfield
1978), insuccessi che sono attribuiti al loro deficit cognitivo (Marzocchi et al. 1999), alla loro
scarsa motivazione (Van De Meere 1998) o alla comorbilità con i disturbi
dell’apprendimento scolastico che possono essere presenti nel 50% dei bambini ADHD
(Lambert e Sandoval 1980)
DI CHI E’ LA COLPA?
Un’altra domanda che molti genitori si pongono è se il comportamento iperattivo del
bambino sia dovuto ad errori che essi hanno commesso e se c’è qualcosa di sbagliato nel
modo in cui lo stanno educando. Rispetto alle cause dell’iperattività è stato ormai
dimostrato – l’abbiamo appena ribadito - che esiste sia una predisposizione ereditaria, sia
un anomalo funzionamento del sistema nervoso centrale. Nella maggior parte dei casi,
quando un bambino è iperattivo c’è qualcun altro in famiglia (ad esempio, uno dei genitori
o uno zio) che da piccolo presentava caratteristiche simili anche se magari in modo meno
accentuato. La causa dell’iperattività non è da cercare nel modo in cui i genitori hanno
educato il figlio, anche se va precisato che alcuni errori educativi possono peggiorare
notevolmente la situazione. Tra i fattori aggravanti possiamo citare la mancanza di
autocontrollo del genitore (con tendenza ad urlare o a dare sberle), una scarsa coerenza e
un clima familiare caratterizzato da tensioni, stress e mancanza di rispetto tra genitori.
COSA FARE?
Per prima cosa quando si sospetta che sussista un problema di iperattività il bambino va
sottoposto ad un’accurata valutazione psicologica. I normali test d’intelligenza non sono
sufficienti e la semplice interpretazione dei disegni del bambino non è certo uno
strumento diagnostico adeguato. Sono necessari complessi test neuropsicologici adatti ad
indagare sulle cosiddette “funzioni esecutive”, cioè sul funzionamento del bambino al
livello di attenzione, memoria, riflessività, pianificazione, integrazione percettiva.
Un errore da evitare assolutamente è quello di “sedare” il bambino ricorrendo a qualche
tranquillante, per quanto blando possa essere. E’ stato dimostrato che la somministrazione
di tranquillanti peggiora la condizione del bambino iperattivo, rendendo il suo
comportamento ancora più incontrollato e disorganizzato.
In realtà non esiste una cura per l’iperattività, ma esistono efficaci tecniche
comportamentali che possono migliorare notevolmente la situazione del bambino in
famiglia e a scuola.
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Nel tentativo di cercare aiuto nei casi di ADHD, ci si può affidare a trattamenti che alcuni
ritengono efficaci ma la cui validità non è stata provata scientificamente. Per accertarsi che
i trattamenti siano sicuri ed efficaci, è bene evitare quelli controversi e informarsi sui
risultati valutativi delle terapie consigliate.
La maggior parte degli esperti suggerisce nei casi di ADHD un trattamento ad approccio
multimodale per l’ADHD che consiste in interventi di vario genere. Quelli che non
prevedono l’impiego di farmaci e che si sono rivelati efficaci comprendono gli interventi
educativi, le modificazioni comportamentali, il parent training, e il counseling orientato
alla gestione della rabbia.
E’ necessario quindi che genitori ed insegnanti si avvalgano di una consulenza psicologica
sistematica per apprendere i metodi da applicare, tenendo comunque presente che per
poter conseguire risultati concreti sono indispensabili costanza e sistematicità nell’uso di
tali procedure. Per quanto riguarda l’intervento sul bambino, le psicoterapia di
impostazione psicodinamica risultano scarsamente utili, mentre sembra dare buoni
risultati una terapia comportamentale attraverso cui il bambino possa apprendere come
lavorare sulle proprie emozioni e come mettere in pratica strategie di autocontrollo.
Anche ricorrendo a questi metodi i risultati non saranno certo immediati e a volte si avrà
l’impressione di non approdare a niente. Ma se si persevera e se si riesce a mantenere un
buon rapporto di collaborazione tra la famiglia e la scuola, si potrà ottenere un graduale e
sostanziale miglioramento del bambino. Questo non significherà la scomparsa definitiva
di tutti i comportamenti problematici, ma senz’altro una condizione di maggior benessere
per il bambino e per coloro che gli sono attorno.
GLI INTERVENTI TERAPEUTICI ( TERAPIE PSICOLOGICHE E
FARMACOLOGICHE )
I protocolli terapeutici che vengono programmati e realizzati per il trattamento
dell’ADHD mirano a ridurre la gravità dei sintomi e a favorire un buon inserimento del
bambino nel suo ambiente di vita. L’obiettivo, infatti, consiste nello sviluppare un
adeguato benessere che dipende anche dalle relazioni con i genitori e con gli insegnanti. Di
conseguenza, un trattamento che includa tutte le persone coinvolte nella vita del bambino
con ADHD appare essere la risposta più efficace per contrastare le difficoltà innescate dal
disturbo stesso. Una tipologia di trattamento che risponde a questa esigenza è quello
combinato che comprende sia la terapia psicologica che quella farmacologia. La terapia
psicologica a sua volta può articolarsi in diversi formati, dalla consulenza agli insegnanti,
alla formazione dei genitori fino al training cognitivo e metacognitivo per il bambino (in
alcuni casi può essere indicata anche la psicoterapia). L’intervento psicologico che
riguarda tutte e tre le figure coinvolte viene detto multimodale e un noto studio americano
(Gruppo MTA – Multimodal Treatment for ADHD) esemplificativo di tutti gli studi sui
training multimodali, ha confermato l’importanza della combinazione di entrambi i fattori
terapeutici (farmaco e training psicologici) come risposta più adeguata sia per ridurre la
gravità dei sintomi dell’ADHD, sia per favorire nel bambino e negli educatori (genitori e
insegnanti) adeguate abilità relazionali e di gestione delle situazioni complesse.
Programmare un trattamento significa soprattutto adattare la terapia in base alla
situazione sociale in cui si trova inserito il bambino. Il clinico deve tenere in
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considerazione diversi fattori che determinano una certa scelta terapeutica, tra cui la
comorbilità del bambino, la situazione familiare (il livello socio-economico e il vissuto dei
genitori stessi), la collaborazione con la scuola, nonchè la possibilità per i genitori di
recarsi presso il servizio di riferimento.
COSA ACCADE NELLA PRATICA QUOTIDIANA
Nella pratica purtroppo si rileva che quanto è necessario per una adeguata e monitorata
presa in carico dei bambini con ADHD e delle loro famiglie non è realmente ed equamente
disponibile nella realtà italiana. La situazione dei servizi territoriali di neuropsichiatria
dell'infanzia e dell'adolescenza (NPIA) è spesso molto critica, poiché nonostante diversi
richiami normativi nazionali e regionali ad un modello integrato e completo, sia in termini
di professionalità (neuropsichiatri, psicologi, terapisti della neuropsicomotricità dell’età
evolutiva, fisioterapisti, logopedisti, educatori ecc) sia in termini di strutture (polo
territoriale, polo ospedaliero, comunità terapeutiche, servizi semiresidenziali ecc), la
situazione reale risulta essere estremamente variabile da una Regione all’altra e a volte
addirittura tra aree diverse della stessa Regione, con livelli di disomogeneità di risorse a
disposizione e di interventi conseguentemente erogati davvero notevoli, che lasciano alla
sensibilità di singoli amministratori locali scelte che dovrebbero invece essere di scenario.
Da quanto sopra specificato appare necessario che gli enti di governo sia nazionali che
locali attivino strategie per garantire una reale ed adeguata rete di servizi di NPIA che
includa i servizi territoriali, i Centri di riferimento per l’ADHD e tutto quanto necessario
per il funzionamento del Registro Nazionale dell’ADHD, onde permettere non solo la
corretta declinazione del percorso di presa in carico dei bambini e degli adolescenti con
ADHD in stretto contatto con la scuola e i servizi sanitari di base, ma anche il
monitoraggio e la valutazione dell’appropriatezza
degli interventi organizzativi
multiprofessionali, a tutela dei diritti dei pazienti e delle loro famiglie.
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