limite - Dipartimento di Matematica

Il concetto di limite
Barlumi di questo concetto si possono trovare anche nella remota
antichità.
Si è visto che nei metodi rigorosi di Eudosso e Archimede, fondati
sul metodo di esaustione, applicati sino ai tempi moderni, vi è
un’idea di successione di grandezze che si avvicina indefinitamente
ad una grandezza data, nel senso che la differenza diventa sempre
più piccola.
Molti matematici del 1500 e del 1600, nel dimostrare certe formule di
quadratura, fanno considerazioni che si possono collegare all’idea di
limite.
L. Valerio, con riferimento a tentativi di perfezionamento dei metodi
archimedei, formula con linguaggio oscuro proposizioni sui limiti.
Newton, esponendo nei Principia il metodo delle prime e ultime
ragioni, afferma di non voler considerare somme e rapporti di parti
indivisibili ma limiti di somme e rapporti: “L’ultimo rapporto di
quantità evanescenti si deve intendere non il rapporto delle ultime
quantità ma il limite al quale il rapporto si avvicina sempre
illimitatamente più di qualsiasi differenza...”.
P. Mengoli (1625-1686), discepolo di Cavalieri, nel tentativo di
fondare rigorosamente il Calcolo infinitesimale nell’opera Geometria
speciosa, precorre il concetto di limite (e quello di integrale) di
Cauchy:
“Sia f(x) una quantità positiva definita per tutte le grandezze x < t, allora
f(x) sarà detta quasi infinita se, fin dove è determinabile (cioè nelle
vicinanze di t) può essere determinata in modo da risultare maggiore di
qualsiasi quantità assegnata ...” Sia f(x) una quantità positiva definita
per tutte le grandezze x < t e sia a una certa quantità positiva. Allora f(x)
si dirà quasi identica ad a se, fin dove è determinabile, può essere
prossima ad a più di qualsiasi altra grandezza l  a”.
J. D’Alembert (1717-1783) alle voci differenziale e limite della
Encyclopédie scrive che “la differenziazione di un’equazione consiste
sempre nel trovare il limite del rapporto di due differenze finite di due
variabili che compaiono nell’equazione” e che “una quantità è limite di
un’altra quantità (variabile) se questa si avvicina alla prima così tanto
che la differenza sia inferiore a qualsiasi quantità data (senza
effettivamente coincidere con essa).”
A. Cauchy (1789-1857) dà una formulazione più precisa e aritmetica
del concetto di limite di D’Alembert, ma con linguaggio sempre
cinematico: “Quando i valori successivi attribuiti ad una variabile si
avvicinano indefinitamente ad un valore fissato così che finiscono col
differire da questo per una differenza piccola quanto si vuole, questo
valore fissato viene detto il limite di tutti gli altri”.
Heine, nell'opera
Elemente (1872), ispirata alle lezioni di K.
Weierstrass, dà quella che oggi viene assunta come rigorosa
definizione di limite: “Se data una grandezza  esiste una 0 tale che
per 0 <  < 0 la differenza f(x0 ± ) - L sia minore di  in valore
assoluto, allora L è il limite di f(x) per x = x0”.
Con Cauchy viene fondata l’Analisi matematica moderna, sulla
sintesi dei metodi rigorosi con quelli intuitivo-infinitesimali usati dai
predecessori. Ciò è ottenuto prendendo come concetto base del
calcolo il concetto di limite, estromettendo dal calcolo infiniti e
infinitesimi attuali, a favore di infiniti e infinitesimi potenziali.
Cauchy definisce, quindi, la derivata come limite del rapporto
incrementale, l’integrale definito come limite di una determinata somma
finita, costituendo così, finalmente in modo indipendente l’una
dall’altra, le due operazioni fondamentali del calcolo: derivazione e
integrazione, legate dal noto teorema di inversione. Cauchy precisa
anche il concetto di convergenza delle serie (prima trattate con molta
disinvoltura) dando i primi criteri di convergenza.