LUIGI PIRANDELLO Nato ad Girgenti (Agrigento) nel 1867 da una famiglia agiata, abbandona presto l’isola per cercare la sua strada. Studia lettere a Roma e poi a Bonn, si laurea in glottologia. Nel 1892, dopo la laurea, grazie ad un assegno del padre si trasferisce a Roma. Nel 1894 torna ad Agrigento e si sposa. Ritorna a Roma, insegna italiano al Magistero, in un primo momento come supplente e poi diventa di ruolo. Nel 1903 una miniera di zolfo del padre si allaga e la famiglia Pirandello perde tutto; non ha più il sussidio del padre e deve vivere con il misero stipendio di insegnante. Questa situazione finirà per gettare Pirandello nella disperazione perché la crisi si ripercuote irrimediabilmente sull’equilibrio psichico già precario della moglie. Inizia a collaborare con le industrie letterarie e il nascente cinema. L’opera letteraria prosegue e quelle teatrali hanno sempre maggior successo, soprattutto all’estero. C’è un nuovo modo di rappresentare che in un primo momento creerà sconcerto ma susciterà grande interesse successivamente. Dal 1922 lascia la cattedra di italiano e segue le compagnie teatrali. Poco dopo il delitto Matteotti, Pirandello aderisce al fascismo e si iscrive al partito, questo gli permette di avere una brillante carriera. Muore nel 1936 lasciando alcune opere incompiute. L’UMORISMO e “Il sentimento del contrario” E’ il testo fondamentale della riflessione Pirandelliana sull’arte. Nella prima parte di questo saggio delinea la letteratura umoristica tratteggiandone la storia attraverso l’analisi di alcune opere del passato. Nella seconda parte delinea il «sentimento del contrario» nel quale vuole distinguere la situazione comica da quella umoristica. La situazione comica è una situazione divertente, che suscita risate, ad esempio una persona che si veste in una maniera ridicola, contrariamente a quello che dovrebbe essere. La nostra prima reazione è quella di ilarità, perché avvertiamo che quella persona è il contrario di quello che dovrebbe essere: fin qui siamo nell’ambito del comico. Questo è ciò che analizza l’umorista. Ma se andiamo oltre questa visione superficiale e mettiamo in funzione la riflessione, scopriamo che questa persona non prova alcun piacere a abbigliarsi così ma che forse ne soffre e lo fa soltanto per far piacere a chi le sta accanto. Nasce allora un sentimento di pietà, opposto al precedente. Questo processo di sdoppiamento è chiamato da Pirandello il «sentimento del contrario»: un misto di riso e di pianto, di disprezzo e di compassione, di fronte alla «pena di vivere così». pag. 1 di 9 I personaggi sono tutti borghesi, inseriti in situazioni che a prima vista farebbero ridere ma in realtà sono inseriti in un contesto che li soffoca, «la trappola». La situazione alla fine si farà tragica. La “Frantumazione dell’io” Chi cerca di liberarsi dalla prigione delle finzioni per mettere a nudo il suo vero volto, scopre che la sua identità è inseparabile dalle maschere che indossa, che è impossibile dar voce alla propria autentica natura: lo scorrere della vita dentro di noi non si può afferrare e definire una volta per tutte e il nostro io ci appare come una continua lotta di «più anime e personalità diverse e persino opposte», frutto dei diversi modi in cui gli altri ci vedono, ma anche degli inganni che noi stessi ci costruiamo per non essere costretti a percepire l’insensatezza della vita. Se non possiamo conoscere la verità su noi stessi, a maggiore ragione non possiamo conoscerla a proposito del mondo esterno: non c’è fuori di noi una realtà uguale per tutti. La famiglia, secondo Pirandello, è soffocante (vedi “Il fu Mattia Pascal”), il desiderio di evasione dalla società è molto forte nello scrittore. Il sentimento del contrario porta alla difficoltà della percezione della verità: ognuno di noi ha la propria verità. “Uno, nessuno, centomila” è un esempio della percezione della verità da parte del protagonista diversa dalla realtà. Esistono molte verità che ogni personaggio di Pirandello cerca di portare a galla. La follia è l’unico modo nel quale i personaggi hanno la possibilità di gridare al mondo la loro verità. Per la prima volta i personaggi sono in preda ai loro dubbi, sono angosciati, questa situazione e tipica della società di fine 1800. Questo rispecchia la situazione del tempo dove le persone non riescono a trovare una giusta collocazione. LE NOVELLE E’ una grande raccolta divisa in molti volumi che sono pubblicati e venduti. Le Novelle sono distinte tra quelle in cui l’ambientazione è tipica del mondo popolare siciliano (l’ambiente dove è cresciuto il Pirandello) e quelle in cui la ricostruzione è tipica dell’ambiente grigio e chiuso della piccola borghesia romana (dovute al periodo in cui è vissuto a Roma). In questo periodo il Pirandello, anche se nei primi racconti sente ancora dell’influenza del Verga, ha già oltrepassato sia il realismo che il verismo. La sua fantasia si esercita sui casi limite, sulle situazioni più estreme nelle quali l’assurdità della vita si mostra con particolare evidenza. E’ presente il sentimento dell’umorismo, molte novelle sono tradotte in opere teatrali (esempio: “La patente”, “Pensaci Giacomino”). All’interno delle novelle ci sono già casi paradossali e assurdi. pag. 2 di 9 “Il treno ha fischiato” E’ stato pubblicato sul Corriere della Sera e poi inserito nel volume delle Novelle “La trappola”. E’ una novella strana perché ci si trova già nel mezzo del racconto, il buon senso ci permetterà poi di ricomporre la storia. In realtà il narratore parte da un altro punto di vista per poi arrivare, tassello dopo tassello a scoprire la causa della malattia. Si scopre che questo impiegato, una persona mansueta, si era ribellato la sera prima con il suo capoufficio. I compagni lo descrivono come «il classico somaro che tira la carretta con il paraocchi». Il narratore aggiunge poi anche il tassello della situazione familiare disastrosa del protagonista. Infatti ha in casa tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera. Non solo, ma aveva anche due figlie vedove. E tutti dovevano trovare spazio in quell’ambiente familiare così soffocante. Lui oltretutto per sbarcare il lunario lo troviamo nella sua cameretta a fare lavoro di ricopiatura. Il ritratto ormai è chiaro: è l’emblema del nucleo familiare visto come una trappola; il peso della famiglia che grava sulla sua personalità. Una sera il sonno non arriva subito e nell’attesa sente in lontananza il fischio di un treno. Questo fischio gli spalanca un nuovo universo. Ricorda di quando era giovane e viaggiava, ritrova sensazioni che da tempo non provava più. La sua fantasia gli permette di aprire un universo tutto nuovo, ecco perché lo troviamo all’inizio della storia vagheggiante a parlare della Siberia e dei suoi viaggi. Questa è una novella circolare. “La patente” Da novella viene trasformata in atto unico teatrale. Ci sono delle analogie perché Pirandello trasforma la novella in atto unico in modo paritetico. Lui vuole rappresentare il buon senso, per cui il lettore e lo spettatore hanno la stessa visione dei fatti. Il giudice rappresenta il buon senso, abituato ad analizzare le prove, non da la patente di iettatore a chi gli presenta delle prove fasulle. In questa novella il sentimento dell’umorismo è ben presente, il personaggio fa ridere, è buffo. Man mano che la novella si dipana non ridiamo più perché quello che in realtà si vede nel personaggio è la visione di un uomo disperato che per sopravvivere accetta la nomea di iettatore. Se riuscisse ad ottenere anche la patente, tutti pagherebbero purché lui vada via dalle vetrine dei negozi. Noi non riusciamo più a ridere perché cogliamo la disperazione che c’è in quell’uomo. La verità fa ruotare la situazione da comica a tragica: si coglie il tragico che sta dietro l’evento comico. pag. 3 di 9 I ROMANZI All’età di 26 anni pubblica il primo romanzo (“Marta Aiola”) e successivamente nel 1921 sulla rivista “La tribuna” con il titolo: “L’esclusa” La famiglia di Rocco Pentàgora si trascina di generazione in generazione un'eredità strana e grottesca, le corna. Perciò quando Rocco scopre le lettere d'amore che la moglie Marta ha ricevuto da un vicino, l'avvocato Gregorio Alvignani, crede che la tradizione sia confermata e la caccia di casa. Marta tuttavia è innocente, e per di più incinta. Traumatizzata dal ripudio e dalla morte del padre, stroncato dall'umiliazione del disonore caduto sulla famiglia, Marta perde il figlio e rischia di morire. Respinta da tutti, si trasferisce a Palermo, dove nessuno la conosce, e trova un incarico da maestra con cui può mantenere, seppure a fatica, se stessa, la madre e la sorella. Intanto incontra di nuovo Gregorio, e questa volta cede alla sua corte; nel frattempo Rocco, dopo una grave malattia, si è pentito di averla cacciata. In città, Marta conosce la madre di Rocco, anch'essa cacciata di casa, che solidarizza con lei. Quando la vecchia signora sta morendo, sarà proprio Marta a chiamarne il figlio: Rocco, pieno di rimorsi, accorre a salutare la madre e a riprendersi la moglie. Marta tornerà così a casa, ma è incinta di nuovo, e non di suo marito: "esclusa" quand'era innocente, sarà riammessa nella società del paese quando non lo è più. La trama dimostra già una propensione a considerare gli aspetti grotteschi della realtà, con intendimenti che forzano e contraddicono l’impostazione verista del racconto. “Il turno” Scritto nel 1902, è questo il secondo romanzo di Luigi Pirandello. Protagonista dell’intera vicenda è in fondo il disegno bizzarro e imprevedibile di un caso che pare divertirsi a scompaginare dispettosamente i complicatissimi piani architettati da Marcantonio Ravì per la felicità della figlia Stellina. Come in gran parte della sua narrativa, quella che Pirandello indaga in questo romanzo con particolare ironia, è una realtà profondamente inconoscibile, che sfugge a ogni pretesa di deterministica previsione e delude ogni attesa: l’uomo si muove con passo incerto in questo labirinto e intravedendo con sgomento nella propria coscienza un’altrettanta fitta oscurità, scopre rabbrividendo tutta l’inconsistenza e la labilità della propria povera, dispersa identità. “Il fu Mattia Pascal” E’ il terzo romanzo ed è il più famoso. Pubblicato prima (1904) a puntate sulla «Nuova Antologia» e poi nel 1910 in un volume, il romanzo scritto in uno dei periodi più drammatici della vita di Pirandello, richiama sin dal titolo l'attenzione sulla paradossale pag. 4 di 9 vicenda del protagonista. Si tratta di Mattia Pascal, che a conclusione di una boccaccesca vicenda si ritrova ammogliato con Romilda Pescatore ed è costretto a tenersi in casa la suocera, che con la sua invadenza gli rende impossibile la vita. Asfissiato da una situazione familiare che è un susseguirsi di frustrazioni e di beghe, ed è aggravata dal dissesto finanziario, Mattia decide di abbandonare la famiglia, l'impiego di bibliotecario e il paese Miragno sulla riviera ligure - pronto ad imbarcarsi per l'America. Sulla via di Marsiglia, si ferma a Montecarlo e alla roulette vince una cospicua somma; decide quindi di ritornare a casa, ma ecco che su un giornale legge la notizia... del suo suicidio: come suo infatti è stato riconosciuto, dalla moglie e dalla suocera, il cadavere di uno sconosciuto ritrovato in quei giorni in paese. Alla iniziale indignata sorpresa succede nell'animo di Mattia la gioia: gioia di potersi liberare dalle angherie della vita familiare, di ricominciare una vita nella quale realizzarsi. Assunto il nome d Adriano Meis, vive a Roma nella pensione del signor Anselmo Paleari e "ricomincia" la sua vita. Ma via via si accorge che la sua nuova situazione è - sia pure in modo diverso dalla prima anch'essa limitante, avversa ad una piena realizzazione della sua personalità: l'essere privo di identità "burocratica" - di documenti, di stato anagrafico - impedisce ad Adriano Meis di vivere, cioè di sposare la giovane figlia di Paleari, Adriana, di denunziare chi l'ha derubato ecc. Egli può vivere, ma come un forestiere della vita. Per sbloccare questa situazione il personaggio simula il suicidio di Adriano Meis (basta lasciare cappello e bastone e un biglietto con le generalità sulla spalletta del ponte Margherita) e ritorna in qualità di Mattia Pascal al paese natio; ma qui trova che la moglie si è risposata e ha una bambina, che nella vita del paese egli è ormai un estraneo, "forestiere" anche qui. Non gli resta che la compagnia di una vecchia zia e di un prete che ha preso il suo posto di bibliotecario. E intanto pensa a narrare la sua storia. Ma lui chi è? E’ il fu Mattia Pascal. I personaggi di Pirandello per sfuggire da una trappola ricadono in un’altra nuova e magari peggiore. Il protagonista esperimenta su di sé le contraddizioni di un vivere umano disgregato. L’evento straordinario porta il protagonista ad un tale straniamento da sè stesso da poter vedere la propria vita dal di fuori, come fosse un altro. “Suo marito” Questo romanzo suscita scandalo perché il protagonista lascia il posto di lavoro per dedicarsi alla moglie, scrittrice che ottiene successo. Il marito la opprime troppo per i consigli sul da farsi che continua a darle. I contemporanei vedono in questa rappresentazione un fatto reale, vedono dietro la moglie del protagonista la scrittrice Grazia Deledda che si era appunto separata dal marito. Esce a puntate nel 1944 su varie riviste letterarie ma non è uno dei suoi romanzi più famosi. pag. 5 di 9 Il tema è quello dell’opposizione tra aspirazione ad essere sé stessi e necessita di rivestire un ruolo “Serafino Gubbio operatore” Questo romanzo è più importante di quello precedente perché riguarda la frantumazione dell’io nei suoi personaggi. Esce a puntate sulla rivista “Nuova Antologia”. Il protagonista fa l’operatore cinematografico in un’industria cinematografica ai suoi albori. Si presenta come una sorta di diario, il protagonista vede il mondo sotto un’altra dimensione (è dietro alla macchina cinematografica), vede un mondo muto, si denota una perdita di identità. Serafino, ancora studente, frequenta la vecchia casa di Sorrento di nonna Rosa. Qui conosce Giorgio Mirelli, il nipote, e la sorella Duccella. Giorgio diventerà pittore e si innamorerà vanamente di un'attrice russa, la Nestoroff, che lo tradirà con il nobile Aldo Nuti, a sua volta legato a Duccella. Giorgio si suicida per la sua passione andata delusa. Duccella e Nonna Rosa vivono da allora nel dolore. Duccella non sa perdonare il Nuti. Serafino ricorda con amarezza la sorte dell'amico Giorgio. La Nestoroff lavora presso la casa cinematografica Kosmograph, presso cui Serafino è operatore. E' unita ora a Carlo Ferro, un tipo energico ed autoritario, che ambiguamente la lega a sé. Aldo Nuti giunge alla casa cinematografica, per riconquistare la Nestoroff . Egli è vittima di una grave crisi depressiva perché in realtà vorrebbe riavere l'amore di Duccella, che ora invece lo disprezza. Serafino osserva nel suo ruolo privilegiato questi drammi, ma è segretamente coinvolto. Prova pietà per il Nuti e vorrebbe aiutarlo. Si inserisce a questo punto della vicenda la giovane Luisetta, aspirante attrice che nutre pietà e anche amore non corrisposto per il Nuti. A sua volta Serafino soffre per Luisetta che segretamente ama. Il Nuti accetta di interpretare un ruolo pericoloso che sarebbe spettato al Ferro: dovrà uccidere una tigre sul set cinematografico. Nella scena finale del film tuttavia, invece di uccidere la tigre, egli uccide la Nestoroff per vendicarsi della sua insensibilità verso gli uomini e per gelosia. Rimane però ucciso, sbranato dalla stessa tigre. Serafino, che sta filmando la scena, per lo shock, diviene muto e rinuncia ad ogni forma di sentimento e di comunicazione. Continuerà solo a svolgere il suo ruolo di operatore e rinuncerà anche all'amore per Luisetta. Finalmente è diventato l’appendice naturale della macchina da lui utilizzata, ormai lui non potendo più raccontare lo fa fare dalla macchina. Pirandello è il primo autore che parla delle macchine, questi nuovi strumenti che avviavano un processo di instupidizzazione dell’essere umano; questi congegni non fanno altro che distruggere i sentimenti. E’ la disgregazione dell’io perché l’uomo diventa parte integrante della macchina. pag. 6 di 9 Finisce che il protagonista continua a girare la manovella della macchina da presa senza aprire più bocca. In questo romanzo il mondo del cinema diventa emblema della condizione dell’uomo nell’età delle macchine, nell’era contemporanea, che viene respinta, per sognare il vecchio mondo d’un tempo. “Uno, nessuno e centomila” Un mattino Vitangelo (Gengè) Moscarda è sconvolto da una banale osservazione della moglie, che gli fa notare come il naso gli penda verso destra. Da quel momento Vitangelo comincia a diventare consapevole della differenza fra l'idea che ci facciamo di noi stessi e le opinioni che di noi hanno gli altri, tutte diverse le une dalle altre. Egli narra così in prima persona le stranezze compiute da quel momento, solo per il gusto di vedere le reazioni della gente. Prima sfratta senza nessun bisogno una coppia di poveracci da una casa di sua proprietà, poi regala loro la casa. Si accorge che la gente lo ritiene più o meno un usuraio perché vive di rendita su una banca di sua proprietà, anche se lui non se ne cura affatto, e decide allora di venderla. Intanto la moglie, che lo ha abbandonato, cerca, d'accordo con i soci della banca, di dimostrare la pazzia del marito per poter amministrare al suo posto l'istituto di credito. Avvertito di queste manovre da Anna Rosa, amica della moglie, Vitangelo fa in tempo a devolvere i suoi averi nella costruzione di un ospizio di mendicità, in cui egli stesso va a vivere. Un giorno, intanto, ha cercato di abbracciare Anna Rosa, che gli ha sparato: ma al processo nega che la donna sia colpevole. Tutti ridono di lui, vedendolo vestito con l'uniforme dei poveri dell'ospizio; ma Vitangelo, socialmente distrutto, è un essere felice: egli ha consapevolmente voluto cancellare la propria individualità sociale per tornare a fondersi con il flusso senza tempo della natura. Non è più "nessuno", ma proprio perché ha rinunciato alla propria identità storica riesce ad immedesimarsi col cosmo, a vivere delle proprie sensazioni, nella felicità di un presente senza passato, e perciò sempre nuovo. Vitangelo Moscarda si convince improvvisamente che l'uomo non è "uno", ma "centomila"; vale a dire possiede tante diverse personalità quante gli altri gliene attribuiscono. Solamente chi compie questa scoperta diventa in realtà "nessuno", almeno per se stesso, in quanto gli rimane la possibilità di osservare come lui appare agli altri, cioè le sue centomila differenti personalità. LE OPERE TEATRALI Pirandello è uno degli autori italiani più conosciuti e rappresentati all’estero. Le sue opere teatrali sono basate sull’umorismo al di là della stessa rappresentazione e sono definite metateatrali (teatro nel teatro). La base concettuale del teatro pirandelliano poggia in gran parte sulle idee espresse nell’Umorismo e nei saggi di argomento teatrale; la dialettica incessante tra Vita e Forma, cioè tra il pag. 7 di 9 continuo flusso nel quale si manifesta l’esistenza a livello coscienziale, emotivo e sentimentale dell’individuo e la necessità di bloccare il flusso in forme stabili che permettano all’uomo di darsi un’identità e di occupare un posto nell’ambito sociale, costituisce la materia della quasi totalità dei drammi e delle commedie. “Sei personaggi in cerca d’autore” Fa parte di una trilogia del genere metateatrale. Anche se questa opera è qualitativamente superiore, ci sono punti di contatto con Enrico IV. Dramma in tre atti rappresentato nel 1921 con clamoroso insuccesso al Teatro Valle di Roma e con trionfale accoglienza al Teatro Manzoni di Milano. Una compagnia teatrale sta provando una commedia di Pirandello, ed ecco che le si presentano sei personaggi: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, la Bambina e il Giovinetto. Dicono di essere personaggi che un autore ha confusamente immaginato ma non ha saputo o voluto tradurre definitivamente in un'opera. E loro vogliono vivere, essere rappresentati, e perciò raccontano a frammenti, con continue reciproche interruzioni, la loro misera storia: la Madre, dopo avere avuto il Figlio, si è innamorata del segretario del Padre e va a vivere con lui. Dalla nuova unione nascono tre figli. Dopo molti anni il Padre incontra, inconsapevolmente, la Figliastra in una casa di appuntamenti: il tempestivo intervento della Madre evita il consumarsi di un incesto. Il Padre, sconvolto da quanto è successo, accoglie in casa tutta la famiglia, cioè i figli non suoi e la Madre; ma ne deriva una situazione insostenibile: il Figlio si isola in un mutismo inaccessibile, la bambina giocando cade in una vasca del giardino e il fratello ragazzo, che non ha fatto nulla per salvarla, si uccide con una rivoltellata. Questa aggrovigliata storia affascina il Capocomico, che prova a farla recitare ai suoi attori; ma in quella recitazione i personaggi non si riconoscono: la finzione dell'arte è inadeguata alla dolente realtà. C’è una presa di distanza tra gli attori e i personaggi. Lo scopo di Pirandello era di mettere in scena un’opera di carattere borghese. Doveva essere una critica alla rappresentazione melodrammatica del tempo, voleva colpire questo genere di opere particolarmente enfatizzate. I sei personaggi non si riconoscono nella convenzionalità della finzione teatrale: essi possono inscenare, o meglio vivere, la loro tragedia, che per gli altri è finzione ma per loro è dolorosa realtà. E’ l’impossibilità che l’opera abbia un senso. Già il fatto stesso che questi non abbiano un nome proprio dà il senso della loro “non esistenza”. I personaggi quando entrano in scena e chiedono di essere rappresentati non hanno più bisogno dell’autore. Anche su questo palcoscenico la verità è sempre soggettiva, si suppone che l’autore conosca tutto ma in realtà i personaggi finiscono per pag. 8 di 9 smentire gli autori. Non si ha un’unica visione della realtà ma ce ne sono diverse. “Enrico IV” Viene messo in scena nel 1922. E’ la dissociazione fra la materia ed il suo significato. E’ una tragedia perché Pirandello ha restaurato il teatro aristotelico (luogo, tempo, azione), si svolge in un unico ambiente, attorno ad una reggia e il protagonista è un giovane aristocratico che durante una festa in costume, nei panni appunto di Enrico IV, per un'improvvisa impennata dei cavallo batte la testa e impazzisce. Per dodici anni vive nella fissazione di essere veramente Enrico IV e i parenti gli mettono accanto, nella sua villa trasformata in reggia, valletti, servitori in costume, un quadro della marchesa di Toscana. Quando dopo tanto tempo riacquista la ragione, si rende conto di quanto é successo in quegli anni: Matilde Spina, la giovane da lui amata che lo accompagnava nella famosa cavalcata, è diventata l'amante di Belcredi, colui che, per eliminare il rivale, aveva provocato apposta l'impennata del cavallo. Per reazione decide dì continuare a fingersi pazzo: così guarderà dal di fuori, da "esiliato", la vita. Ma una sera (sono ormai trascorsi vent'anni dalla festa che è all'origine del dramma), arrivano nella villa Belcredi, Matilde con la figlia Frida e il genero Di Nolli, e un medico che per guarire il pazzo sottoponendolo a uno choc, fa prendere a Frida, travestita da contessa Matilde di Toscana, il posto del grande dipinto che raffigura la contessa. Quando Enrico IV entra, ella lo chiama e il sedicente pazzo, rivedendo in quel volto la bellezza che vent'anni prima aveva Matilde Spina, la donna amata, per poco non impazzisce di nuovo. Ma poi sì calma e rivela che ormai da tanti anni è guarito. Tutto sembra volgere per il meglio ed Enrico IV tenta di abbracciare Frida, che col suo travestimento gli ha dato per un momento l'illusione di essere riportato di vent'anni indietro, apparendogli come la Matilde amata nella sua giovinezza. La Matilde che gli viene presentata è in realtà la figlia della vera Matilde, erano infatti già passati venti anni. Ma Belcredi gli si oppone violentemente, ed Enrico lo trafigge con la spada. Ora non gli resta che riprendere a fingersi pazzo: sarà la sua condanna, ma nel contempo l'unico modo che gli permetterà di restare esiliato e libero dalla realtà. Il tema della pazzia è il tema principale. Il tutto si svolge all’interno di una sala, il dramma si realizza molto velocemente. I pazzi sono gli unici lucidi di questa società, gli unici che possono dire la verità. La follia, prima vera e poi finta del protagonista, è l’elemento che costruisce un gioco di specchi psicologici nel quale l’esistenza dei personaggi viene completamente dissociata, scomposta e analizzata nelle pieghe più intime. pag. 9 di 9