L`UMORISMO e “Il sentimento del contrario” - Digilander

LUIGI PIRANDELLO
Nato ad Girgenti (Agrigento) nel 1867 da una famiglia agiata,
abbandona presto l’isola per cercare la sua strada.
Studia lettere a Roma e poi a Bonn, si laurea in glottologia.
Nel 1892, dopo la laurea, grazie ad un assegno del padre si
trasferisce a Roma.
Nel 1894 torna ad Agrigento e si sposa. Ritorna a Roma, insegna
italiano al Magistero, in un primo momento come supplente e poi
diventa di ruolo.
Nel 1903 una miniera di zolfo del padre si allaga e la famiglia
Pirandello perde tutto; non ha più il sussidio del padre e deve
vivere con il misero stipendio di insegnante. Questa situazione
finirà per gettare Pirandello nella disperazione perché la crisi
si ripercuote irrimediabilmente sull’equilibrio psichico già
precario della moglie.
Inizia a collaborare con le industrie letterarie e il nascente
cinema.
L’opera letteraria prosegue e quelle teatrali hanno sempre maggior
successo, soprattutto all’estero.
C’è un nuovo modo di rappresentare che in un primo momento creerà
sconcerto ma susciterà grande interesse successivamente. Dal 1922
lascia la cattedra di italiano e segue le compagnie teatrali.
Poco dopo il delitto Matteotti, Pirandello aderisce al fascismo e
si iscrive al partito, questo gli permette di avere una brillante
carriera.
Muore nel 1936 lasciando alcune opere incompiute.
L’UMORISMO e
“Il sentimento del contrario”
E’
il
testo
fondamentale
della
riflessione
Pirandelliana
sull’arte. Nella prima parte di questo saggio delinea la
letteratura
umoristica
tratteggiandone
la
storia
attraverso
l’analisi di alcune opere del passato. Nella seconda parte delinea
il «sentimento del contrario» nel quale vuole distinguere la
situazione comica da quella umoristica. La situazione comica è una
situazione divertente, che suscita risate, ad esempio una persona
che si veste in una maniera ridicola, contrariamente a quello che
dovrebbe essere. La nostra prima reazione è quella di ilarità,
perché avvertiamo che quella persona è il contrario di quello che
dovrebbe essere: fin qui siamo nell’ambito del comico. Questo è
ciò che analizza l’umorista.
Ma se andiamo oltre questa visione superficiale e mettiamo in
funzione la riflessione, scopriamo che questa persona non prova
alcun piacere a abbigliarsi così ma che forse ne soffre e lo fa
soltanto per far piacere a chi le sta accanto.
Nasce allora un sentimento di pietà, opposto al precedente. Questo
processo di sdoppiamento è chiamato da Pirandello il «sentimento
del contrario»: un misto di riso e di pianto, di disprezzo e di
compassione, di fronte alla «pena di vivere così».
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I personaggi sono tutti borghesi, inseriti in situazioni che a
prima vista farebbero ridere ma in realtà sono inseriti in un
contesto che li soffoca, «la trappola». La situazione alla fine si
farà tragica.
La “Frantumazione dell’io”
Chi cerca di liberarsi dalla prigione delle finzioni per mettere a
nudo il suo vero volto, scopre che la sua identità è inseparabile
dalle maschere che indossa, che è impossibile dar voce alla
propria autentica natura: lo scorrere della vita dentro di noi non
si può afferrare e definire una volta per tutte e il nostro io ci
appare come una continua lotta di «più anime e personalità diverse
e persino opposte», frutto dei diversi modi in cui gli altri ci
vedono, ma anche degli inganni che noi stessi ci costruiamo per
non essere costretti a percepire l’insensatezza della vita.
Se non possiamo conoscere la verità su noi stessi, a maggiore
ragione non possiamo conoscerla a proposito del mondo esterno: non
c’è fuori di noi una realtà uguale per tutti.
La famiglia, secondo Pirandello, è soffocante (vedi “Il fu Mattia
Pascal”), il desiderio di evasione dalla società è molto forte
nello scrittore. Il sentimento del contrario porta alla difficoltà
della percezione della verità: ognuno di noi ha la propria verità.
“Uno, nessuno, centomila” è un esempio della percezione della
verità da parte del protagonista diversa dalla realtà. Esistono
molte verità che ogni personaggio di Pirandello cerca di portare a
galla.
La follia è l’unico modo nel quale i personaggi hanno la
possibilità di gridare al mondo la loro verità.
Per la prima volta i personaggi sono in preda ai loro dubbi, sono
angosciati, questa situazione e tipica della società di fine 1800.
Questo rispecchia la situazione del tempo dove le persone non
riescono a trovare una giusta collocazione.
LE NOVELLE
E’ una grande raccolta divisa in molti volumi che sono pubblicati
e venduti.
Le Novelle sono distinte tra quelle in cui l’ambientazione è
tipica del mondo popolare siciliano (l’ambiente dove è cresciuto
il Pirandello) e quelle in cui la ricostruzione è tipica
dell’ambiente grigio e chiuso della piccola borghesia romana
(dovute al periodo in cui è vissuto a Roma).
In questo periodo il Pirandello, anche se nei primi racconti sente
ancora dell’influenza del Verga, ha già oltrepassato sia il
realismo che il verismo. La sua fantasia si esercita sui casi
limite, sulle situazioni più estreme nelle quali l’assurdità della
vita si mostra con particolare evidenza.
E’ presente il sentimento dell’umorismo, molte novelle sono
tradotte in opere teatrali (esempio: “La patente”, “Pensaci
Giacomino”).
All’interno delle novelle ci sono già casi paradossali e assurdi.
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“Il treno ha fischiato”
E’ stato pubblicato sul Corriere della Sera e poi inserito nel
volume delle Novelle “La trappola”.
E’ una novella strana perché ci si trova già nel mezzo del
racconto, il buon senso ci permetterà poi di ricomporre la storia.
In realtà il narratore parte da un altro punto di vista per poi
arrivare, tassello dopo tassello a scoprire la causa della
malattia.
Si scopre che questo impiegato, una persona mansueta, si era
ribellato la sera prima con il suo capoufficio. I compagni lo
descrivono come «il classico somaro che tira la carretta con il
paraocchi».
Il narratore aggiunge poi anche il tassello della situazione
familiare disastrosa del protagonista.
Infatti ha in casa tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella
della suocera. Non solo, ma aveva anche due figlie vedove.
E tutti dovevano trovare spazio in quell’ambiente familiare così
soffocante.
Lui oltretutto per sbarcare il lunario lo troviamo nella sua
cameretta a fare lavoro di ricopiatura.
Il ritratto ormai è chiaro: è l’emblema del nucleo familiare visto
come una trappola; il peso della famiglia che grava sulla sua
personalità.
Una sera il sonno non arriva subito e nell’attesa sente in
lontananza il fischio di un treno.
Questo fischio gli spalanca un nuovo universo. Ricorda di quando
era giovane e viaggiava, ritrova sensazioni che da tempo non
provava più.
La sua fantasia gli permette di aprire un universo tutto nuovo,
ecco perché lo troviamo all’inizio della storia vagheggiante a
parlare della Siberia e dei suoi viaggi.
Questa è una novella circolare.
“La patente”
Da novella viene trasformata in atto unico teatrale. Ci sono delle
analogie perché Pirandello trasforma la novella in atto unico in
modo paritetico.
Lui vuole rappresentare il buon senso, per cui il lettore e lo
spettatore hanno la stessa visione dei fatti. Il giudice
rappresenta il buon senso, abituato ad analizzare le prove, non da
la patente di iettatore a chi gli presenta delle prove fasulle.
In questa novella il sentimento dell’umorismo è ben presente, il
personaggio fa ridere, è buffo. Man mano che la novella si dipana
non ridiamo più perché quello che in realtà si vede nel
personaggio è la visione di un uomo disperato che per sopravvivere
accetta la nomea di iettatore.
Se riuscisse ad ottenere anche la patente, tutti pagherebbero
purché lui vada via dalle vetrine dei negozi.
Noi non riusciamo più a ridere perché cogliamo la disperazione che
c’è in quell’uomo. La verità fa ruotare la situazione da comica a
tragica: si coglie il tragico che sta dietro l’evento comico.
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I ROMANZI
All’età di 26 anni pubblica il primo romanzo (“Marta Aiola”) e
successivamente nel 1921 sulla rivista “La tribuna” con il titolo:
“L’esclusa”
La famiglia di Rocco Pentàgora si trascina di generazione in
generazione un'eredità strana e grottesca, le corna. Perciò quando
Rocco scopre le lettere d'amore che la moglie Marta ha ricevuto da
un vicino, l'avvocato Gregorio Alvignani, crede che la tradizione
sia confermata e la caccia di casa. Marta tuttavia è innocente, e
per di più incinta. Traumatizzata dal ripudio e dalla morte del
padre, stroncato dall'umiliazione del disonore caduto sulla
famiglia, Marta perde il figlio e rischia di morire. Respinta da
tutti, si trasferisce a Palermo, dove nessuno la conosce, e trova
un incarico da maestra con cui può mantenere, seppure a fatica, se
stessa, la madre e la sorella. Intanto incontra di nuovo Gregorio,
e questa volta cede alla sua corte; nel frattempo Rocco, dopo una
grave malattia, si è pentito di averla cacciata. In città, Marta
conosce la madre di Rocco, anch'essa cacciata di casa, che
solidarizza con lei. Quando la vecchia signora sta morendo, sarà
proprio Marta a chiamarne il figlio: Rocco, pieno di rimorsi,
accorre a salutare la madre e a riprendersi la moglie. Marta
tornerà così a casa, ma è incinta di nuovo, e non di suo marito:
"esclusa" quand'era innocente, sarà riammessa nella società del
paese quando non lo è più.
La trama dimostra già una propensione a considerare gli aspetti
grotteschi
della
realtà,
con
intendimenti
che
forzano
e
contraddicono l’impostazione verista del racconto.
“Il turno”
Scritto nel 1902, è questo il secondo romanzo di Luigi Pirandello.
Protagonista dell’intera vicenda è in fondo il disegno bizzarro e
imprevedibile di un caso che pare divertirsi a scompaginare
dispettosamente
i
complicatissimi
piani
architettati
da
Marcantonio Ravì per la felicità della figlia Stellina.
Come in gran parte della sua narrativa, quella che Pirandello
indaga in questo romanzo con particolare ironia, è una realtà
profondamente inconoscibile, che sfugge a ogni pretesa di
deterministica previsione e delude ogni attesa: l’uomo si muove
con passo incerto in questo labirinto e intravedendo con sgomento
nella propria coscienza un’altrettanta fitta oscurità, scopre
rabbrividendo tutta l’inconsistenza e la labilità della propria
povera, dispersa identità.
“Il fu Mattia Pascal”
E’ il terzo romanzo ed è il più famoso. Pubblicato prima (1904) a
puntate sulla «Nuova Antologia» e poi nel 1910 in un volume, il
romanzo scritto in uno dei periodi più drammatici della vita di
Pirandello, richiama sin dal titolo l'attenzione sulla paradossale
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vicenda del protagonista. Si tratta di Mattia Pascal, che a
conclusione di una boccaccesca vicenda si ritrova ammogliato con
Romilda Pescatore ed è costretto a tenersi in casa la suocera, che
con la sua invadenza gli rende impossibile la vita. Asfissiato da
una situazione familiare che è un susseguirsi di frustrazioni e di
beghe, ed è aggravata dal dissesto finanziario, Mattia decide di
abbandonare la famiglia, l'impiego di bibliotecario e il paese Miragno sulla riviera ligure - pronto ad imbarcarsi per l'America.
Sulla via di Marsiglia, si ferma a Montecarlo e alla roulette
vince una cospicua somma; decide quindi di ritornare a casa, ma
ecco che su un giornale legge la notizia... del suo suicidio: come
suo infatti è stato riconosciuto, dalla moglie e dalla suocera, il
cadavere di uno sconosciuto ritrovato in quei giorni in paese.
Alla iniziale indignata sorpresa succede nell'animo di Mattia la
gioia: gioia di potersi liberare dalle angherie della vita
familiare, di ricominciare una vita nella quale realizzarsi.
Assunto il nome d Adriano Meis, vive a Roma nella pensione del
signor Anselmo Paleari e "ricomincia" la sua vita. Ma via via si
accorge che la sua nuova situazione è - sia pure in modo diverso
dalla prima anch'essa limitante, avversa ad una piena
realizzazione della sua personalità: l'essere privo di identità
"burocratica" - di documenti, di stato anagrafico - impedisce ad
Adriano Meis di vivere, cioè di sposare la giovane figlia di
Paleari, Adriana, di denunziare chi l'ha derubato ecc. Egli può
vivere, ma come un forestiere della vita. Per sbloccare questa
situazione il personaggio simula il suicidio di Adriano Meis
(basta lasciare cappello e bastone e un biglietto con le
generalità sulla spalletta del ponte Margherita) e ritorna in
qualità di Mattia Pascal al paese natio; ma qui trova che la
moglie si è risposata e ha una bambina, che nella vita del paese
egli è ormai un estraneo, "forestiere" anche qui. Non gli resta
che la compagnia di una vecchia zia e di un prete che ha preso il
suo posto di bibliotecario. E intanto pensa a narrare la sua
storia. Ma lui chi è? E’ il fu Mattia Pascal.
I personaggi di Pirandello per sfuggire da una trappola ricadono
in un’altra nuova e magari peggiore.
Il protagonista esperimenta su di sé le contraddizioni di un
vivere
umano
disgregato.
L’evento
straordinario
porta
il
protagonista ad un tale straniamento da sè stesso da poter vedere
la propria vita dal di fuori, come fosse un altro.
“Suo marito”
Questo romanzo suscita scandalo perché il protagonista lascia il
posto di lavoro per dedicarsi alla moglie, scrittrice che ottiene
successo. Il marito la opprime troppo per i consigli sul da farsi
che continua a darle.
I contemporanei vedono in questa rappresentazione un fatto reale,
vedono dietro la moglie del protagonista la scrittrice Grazia
Deledda che si era appunto separata dal marito.
Esce a puntate nel 1944 su varie riviste letterarie ma non è uno
dei suoi romanzi più famosi.
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Il tema è quello dell’opposizione tra aspirazione ad essere sé
stessi e necessita di rivestire un ruolo
“Serafino Gubbio operatore”
Questo romanzo è più importante di quello precedente perché
riguarda la frantumazione dell’io nei suoi personaggi.
Esce a puntate sulla rivista “Nuova Antologia”.
Il protagonista fa l’operatore cinematografico in un’industria
cinematografica ai suoi albori.
Si presenta come una sorta di diario, il protagonista vede il
mondo
sotto
un’altra
dimensione
(è
dietro
alla
macchina
cinematografica), vede un mondo muto, si denota una perdita di
identità.
Serafino, ancora studente, frequenta la vecchia casa di Sorrento
di nonna Rosa. Qui conosce Giorgio Mirelli, il nipote, e la
sorella Duccella. Giorgio diventerà pittore e si innamorerà
vanamente di un'attrice russa, la Nestoroff, che lo tradirà con il
nobile Aldo Nuti, a sua volta legato a Duccella. Giorgio si
suicida per la sua passione andata delusa. Duccella e Nonna Rosa
vivono da allora nel dolore. Duccella non sa perdonare il Nuti.
Serafino ricorda con amarezza la sorte dell'amico Giorgio.
La Nestoroff lavora presso la casa cinematografica Kosmograph,
presso cui Serafino è operatore. E' unita ora a Carlo Ferro, un
tipo energico ed autoritario, che ambiguamente la lega a sé. Aldo
Nuti giunge alla casa cinematografica, per riconquistare la
Nestoroff . Egli è vittima di una grave crisi depressiva perché in
realtà vorrebbe riavere l'amore di Duccella, che ora invece lo
disprezza. Serafino osserva nel suo ruolo privilegiato questi
drammi, ma è segretamente coinvolto. Prova pietà per il Nuti e
vorrebbe aiutarlo. Si inserisce a questo punto della vicenda la
giovane Luisetta, aspirante attrice che nutre pietà e anche amore
non corrisposto per il Nuti. A sua volta Serafino soffre per
Luisetta che segretamente ama.
Il Nuti accetta di interpretare un ruolo pericoloso che sarebbe
spettato
al
Ferro:
dovrà
uccidere
una
tigre
sul
set
cinematografico. Nella scena finale del film tuttavia, invece di
uccidere la tigre, egli uccide la Nestoroff per vendicarsi della
sua insensibilità verso gli uomini e per gelosia. Rimane però
ucciso, sbranato dalla stessa tigre. Serafino, che sta filmando la
scena, per lo shock, diviene
muto e rinuncia ad ogni forma di
sentimento e di comunicazione. Continuerà solo a svolgere il suo
ruolo di operatore e rinuncerà anche all'amore per Luisetta.
Finalmente è diventato l’appendice naturale della macchina da lui
utilizzata, ormai lui non potendo più raccontare lo fa fare dalla
macchina.
Pirandello è il primo autore che parla delle macchine, questi
nuovi strumenti che avviavano un processo di instupidizzazione
dell’essere umano; questi congegni non fanno altro che distruggere
i sentimenti.
E’ la disgregazione dell’io perché l’uomo diventa parte integrante
della macchina.
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Finisce che il protagonista continua a girare la manovella della
macchina da presa senza aprire più bocca.
In questo romanzo il mondo del cinema diventa emblema della
condizione
dell’uomo
nell’età
delle
macchine,
nell’era
contemporanea, che viene respinta, per sognare il vecchio mondo
d’un tempo.
“Uno, nessuno e centomila”
Un mattino Vitangelo (Gengè) Moscarda è sconvolto da una banale
osservazione della moglie, che gli fa notare come il naso gli
penda verso destra. Da quel momento Vitangelo comincia a diventare
consapevole della differenza fra l'idea che ci facciamo di noi
stessi e le opinioni che di noi hanno gli altri, tutte diverse le
une dalle altre. Egli narra così in prima persona le stranezze
compiute da quel momento, solo per il gusto di vedere le reazioni
della gente. Prima sfratta senza nessun bisogno una coppia di
poveracci da una casa di sua proprietà, poi regala loro la casa.
Si accorge che la gente lo ritiene più o meno un usuraio perché
vive di rendita su una banca di sua proprietà, anche se lui non se
ne cura affatto, e decide allora di venderla. Intanto la moglie,
che lo ha abbandonato, cerca, d'accordo con i soci della banca, di
dimostrare la pazzia del marito per poter amministrare al suo
posto l'istituto di credito. Avvertito di queste manovre da Anna
Rosa, amica della moglie, Vitangelo fa in tempo a devolvere i suoi
averi nella costruzione di un ospizio di mendicità, in cui egli
stesso va a vivere. Un giorno, intanto, ha cercato di abbracciare
Anna Rosa, che gli ha sparato: ma al processo nega che la donna
sia colpevole. Tutti ridono di lui, vedendolo vestito con
l'uniforme dei poveri dell'ospizio; ma Vitangelo, socialmente
distrutto, è un essere felice: egli ha consapevolmente voluto
cancellare la propria individualità sociale per tornare a fondersi
con il flusso senza tempo della natura. Non è più "nessuno", ma
proprio perché ha rinunciato alla propria identità storica riesce
ad immedesimarsi col cosmo, a vivere delle proprie sensazioni,
nella felicità di un presente senza passato, e perciò sempre
nuovo.
Vitangelo Moscarda si convince improvvisamente che l'uomo non è
"uno", ma "centomila"; vale a dire possiede tante diverse
personalità quante gli altri gliene attribuiscono. Solamente chi
compie questa scoperta diventa in realtà "nessuno", almeno per se
stesso, in quanto gli rimane la possibilità di osservare come lui
appare agli altri, cioè le sue centomila differenti personalità.
LE OPERE TEATRALI
Pirandello è uno degli autori italiani più conosciuti e
rappresentati all’estero. Le sue opere teatrali sono basate
sull’umorismo al di là della stessa rappresentazione e sono
definite metateatrali (teatro nel teatro).
La base concettuale del teatro pirandelliano poggia in gran parte
sulle idee espresse nell’Umorismo e nei saggi di argomento
teatrale; la dialettica incessante tra Vita e Forma, cioè tra il
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continuo flusso nel quale si manifesta l’esistenza a livello
coscienziale, emotivo e sentimentale dell’individuo e la necessità
di bloccare il flusso in forme stabili che permettano all’uomo di
darsi un’identità e di occupare un posto nell’ambito sociale,
costituisce la materia della quasi totalità dei drammi e delle
commedie.
“Sei personaggi in cerca d’autore”
Fa parte di una trilogia del genere metateatrale. Anche se questa
opera è qualitativamente superiore, ci sono punti di contatto con
Enrico IV.
Dramma in tre atti rappresentato nel 1921 con clamoroso insuccesso
al Teatro Valle di Roma e con trionfale accoglienza al Teatro
Manzoni di Milano. Una compagnia teatrale sta provando una
commedia di Pirandello, ed ecco che le si presentano sei
personaggi: il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, la
Bambina e il Giovinetto. Dicono di essere personaggi che un autore
ha confusamente immaginato ma non ha saputo o voluto tradurre
definitivamente in un'opera. E loro vogliono vivere, essere
rappresentati, e perciò raccontano a frammenti, con continue
reciproche interruzioni, la loro misera storia: la Madre, dopo
avere avuto il Figlio, si è innamorata del segretario del Padre e
va a vivere con lui. Dalla nuova unione nascono tre figli. Dopo
molti anni il Padre incontra, inconsapevolmente, la Figliastra in
una casa di appuntamenti: il tempestivo intervento della Madre
evita il consumarsi di un incesto. Il Padre, sconvolto da quanto è
successo, accoglie in casa tutta la famiglia, cioè i figli non
suoi e la Madre; ma ne deriva una situazione insostenibile: il
Figlio si isola in un mutismo inaccessibile, la bambina giocando
cade in una vasca del giardino e il fratello ragazzo, che non ha
fatto nulla per salvarla, si uccide con una rivoltellata. Questa
aggrovigliata storia affascina il Capocomico, che prova a farla
recitare ai suoi attori; ma in quella recitazione i personaggi non
si riconoscono: la finzione dell'arte è inadeguata alla dolente
realtà.
C’è una presa di distanza tra gli attori e i personaggi. Lo scopo
di Pirandello era di mettere in scena un’opera di carattere
borghese.
Doveva
essere
una
critica
alla
rappresentazione
melodrammatica del tempo, voleva colpire questo genere di opere
particolarmente enfatizzate.
I sei personaggi non si riconoscono nella convenzionalità della
finzione teatrale: essi possono inscenare, o meglio vivere, la
loro tragedia, che per gli altri è finzione ma per loro è dolorosa
realtà.
E’ l’impossibilità che l’opera abbia un senso. Già il fatto stesso
che questi non abbiano un nome proprio dà il senso della loro “non
esistenza”.
I personaggi quando entrano in scena e chiedono di essere
rappresentati non hanno più bisogno dell’autore. Anche su questo
palcoscenico la verità è sempre soggettiva, si suppone che
l’autore conosca tutto ma in realtà i personaggi finiscono per
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smentire gli autori. Non si ha un’unica visione della realtà ma ce
ne sono diverse.
“Enrico IV”
Viene messo in scena nel 1922. E’ la dissociazione fra la materia
ed il suo significato.
E’ una tragedia perché Pirandello ha restaurato il teatro
aristotelico (luogo, tempo, azione), si svolge in un unico
ambiente, attorno ad una reggia e il protagonista è un giovane
aristocratico che durante una festa in costume, nei panni appunto
di Enrico IV,
per un'improvvisa impennata dei cavallo batte la
testa e impazzisce. Per dodici anni vive nella fissazione di
essere veramente Enrico IV e i parenti gli mettono accanto, nella
sua villa trasformata in reggia, valletti, servitori in costume,
un quadro della marchesa di Toscana. Quando dopo tanto tempo
riacquista la ragione, si rende conto di quanto é successo in
quegli anni: Matilde Spina, la giovane da lui amata che lo
accompagnava nella famosa cavalcata, è diventata l'amante di
Belcredi, colui che, per eliminare il rivale, aveva provocato
apposta l'impennata del cavallo. Per reazione decide dì continuare
a fingersi pazzo: così guarderà dal di fuori, da "esiliato", la
vita. Ma una sera (sono ormai trascorsi vent'anni dalla festa che
è all'origine del dramma), arrivano nella villa Belcredi, Matilde
con la figlia Frida e il genero Di Nolli, e un medico che per
guarire il pazzo sottoponendolo a uno choc, fa prendere a Frida,
travestita da contessa Matilde di Toscana, il posto del grande
dipinto che raffigura la contessa. Quando Enrico IV entra, ella lo
chiama e il sedicente pazzo, rivedendo in quel volto la bellezza
che vent'anni prima aveva Matilde Spina, la donna amata, per poco
non impazzisce di nuovo. Ma poi sì calma e rivela che ormai da
tanti anni è guarito. Tutto sembra volgere per il meglio ed Enrico
IV tenta di abbracciare Frida, che col suo travestimento gli ha
dato per un momento l'illusione di essere riportato di vent'anni
indietro, apparendogli come la Matilde amata nella sua giovinezza.
La Matilde che gli viene presentata è in realtà la figlia della
vera Matilde, erano infatti già passati venti anni.
Ma Belcredi gli si oppone violentemente, ed Enrico lo trafigge con
la spada. Ora non gli resta che riprendere a fingersi pazzo: sarà
la sua condanna, ma nel contempo l'unico modo che gli permetterà
di restare esiliato e libero dalla realtà.
Il tema della pazzia è il tema principale. Il tutto si svolge
all’interno di una sala, il dramma si realizza molto velocemente.
I pazzi sono gli unici lucidi di questa società, gli unici che
possono dire la verità.
La follia, prima vera e poi finta del protagonista, è l’elemento
che costruisce un gioco di specchi psicologici nel quale
l’esistenza
dei
personaggi
viene
completamente
dissociata,
scomposta e analizzata nelle pieghe più intime.
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