35° di Porta Aperta
La Caritas e gli organismi a servizio dei poveri
Introduzione: Significato della celebrazione di un anniversario.
Celebrare il 35° di Porta Aperta credo che per tutti voglia dire anzitutto rendere grazie al Signore
per tutto quello che questa Associazione di Volontariato ha significato per la nostra Chiesa, per la
società modenese, per tanti volontari e operatori che in questi anni hanno svolto il loro servizio con
generosità e competenza, e soprattutto per coloro che hanno beneficiato del servizio in essa svolto.
Non possiamo in questo momento non ricordare con affetto e gratitudine don Adriano Fornari,
promotore di Porta Aperta e primo direttore della Caritas diocesana.
Dicevo nell’omelia della Messa di esequie che don Adriano era la carità fatta persona, tanto la carità
era l’abito che lo rivestiva e che portava con naturalezza. Il suo funerale è stato per tutti un
momento di forte comunione, di unità, un messaggio di consolazione e di speranza.
A 35 anni si è giovani adulti, si raggiunge la piena maturità, è l’età in particolare del portare frutto.
Allora al ringraziamento vogliamo unire l’invocazione dello Spirito del Signore per aprirci con
fiducia e coraggio per continuare a servire con generosità e creatività a partire dai più poveri.
1. La Carità: dono e vocazione della Chiesa
Vorrei legare le mie riflessioni ad un celebre brano di S. Teresa di Lisieux:
“La carità mi diede la chiave della mia vocazione. Compresi che se la Chiesa
aveva un corpo composto di membra diverse, non poteva mancarle l’organo
più necessario, il più nobile di tutti; compresi che la Chiesa aveva un cuore, e
che questo cuore ardeva d’amore. Compresi che solo l’amore fa agire le membra della Chiesa; se l’amore si spegnesse, gli apostoli non annuncerebbero più
il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue. Compresi che
l’amore racchiude tutte le vocazioni: l’amore è tutto , abbraccia tutti i tempi e
tutti i luoghi – in una parola, l’amore è eterno.
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Allora, delirante di gioia, ho esclamato: la mia vocazione è l’amore.
Si, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, Dio mio, me l’hai
dato tu. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore. Così sarò tutto,
così il mio sogno sarà realizzato.
Teresa di Lisieux
Credo che queste parole ci introducano subito al significato che la carità ha per la Chiesa e per il
cristiano e che vorrei innanzitutto richiamare rifacendomi al Messaggio di Benedetto XVI nel Motu
Proprio“ Intima ecclesiae natura”.
La vocazione propria della Chiesa, Afferma Paolo VI nell’E.N. è l’evangelizzazione.
Potremmo dire anche che la vocazione della Chiesa è la carità; come lo è la celebrazione dei misteri
della salvezza.
Nel Proemio del Motu Proprio Benedetto XVI lo afferma a chiare lettere, rimandando all’enciclica
Deus Caritas est, n. 25:
“L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio
(kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia).
Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro”
(Lett. enc. Deus caritas est, 25).
Anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è
espressione irrinunciabile della sua stessa essenza (cfr ibidem); tutti i fedeli hanno il diritto e il
dovere di impegnarsi personalmente per vivere il comandamento nuovo che la Chiesa ci ha lasciato
(cfr Gv 15,12), offrendo all’uomo contemporaneo non solo aiuto materiale, ma anche ristoro e cura
dell’anima(cfr Lett. enc. Deus caritas est, 28). All’esercizio della diakonia della carita la Chiesa è
chiamata anche a livello comunitario, dalle piccole comunità locali alle Chiese particolari, fino alla
Chiesa universale; per questo c’è bisogno anche di un’”organizzazione quale presupposto per un
servizio comunitario ordinato” (cfr ibid, 20), organizzazione articolata pure mediante espressioni
istituzionali.
La parola “Carità” è una parola inflazionata, che è stata ed è ancora usata per indicare atteggiamenti
o comportamenti che nulla hanno a che vedere con la sua natura.
Es. -) la carità usata come maschera per nascondere situazioni di ingiustizia;
-) oppure usata per dare garanzie morali a se stessi più che essere solidarietà con l’altro;
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Oggi questi atteggiamenti si riducono anche se non sono scomparsi.
Ma c’è un altro rischio ed è quello di ridurla solo a dimensione operativa nel sociale.
(Così l’avrebbe voluta Ernst Bloch quando invitava il cristiano a “trascendersi senza trascendenza”,
cioè a lasciarsi prendere non “da quel che è in alto, ma da quel che è avanti a noi” (E. Bloch,
L’atheisme dans le christianesme, Paris, 1978,79).
E’ un rischio che si corre quando non si coglie la natura stessa della carità.
La natura della carità ce la rivela l’ evangelista Giovanni, che ci dà una esplicita definizione: “Dio è
carità” (1 Gv 4,8).
La carità prima di essere una virtù, prima di assumere i connotati operativi, è una persona.
Dio è carità.
“Amati (questo è il nome dei cristiani), amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio (cioè
procede, discende da Dio), chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha
conosciuto Dio, perché Dio è amore, Dio è agape” (1 Gv 4, 7-8).
L’amore è da Dio: lo si riceve per comunicarlo, per amare l’uomo come lo ama Dio.
Nell’ottica biblica allora anzitutto e primariamente dobbiamo parlare non di chiesa-agape, ma di
agape-chiesa, non di carità nella chiesa, di chiesa che fa la carità, ma di chiesa nella carità.
L’agape anzitutto la si riceve (questo è ricordato perennemente alla chiesa dalla centralità nella sua
vita dell’eucarestia).
La Chiesa è Chiesa di Dio, e non semplicemente entità sociologica o gruppo umanitario; ed è chiesa
viva della e nell’agape, “ecclesia caritate formata”, chiesa plasmata, strutturata dalla carità prima
di essere soggetto di organizzazione di carità.
Solo una chiesa che ha sperimentato e conosciuto e continua a sperimentare l’amore di Dio su di sé,
amore che è misericordia, perdono, dilezione, accoglienza, fedeltà…., sa poi esserne ministra al suo
interno e testimoniarne tra gli uomini, nel servizio all’uomo. Si, se non si ama il fratello che si vede
è impossibile amare Dio che non si vede (cfr ! Gv 4,20), se non si serve l’uomo è chiaro che non si
è conosciuto il Dio di Gesù Cristo.
Sempre dunque la chiesa è chiamata a misurarsi sull’agape.
(Agàpe è il termine comunissimo nel N.T., per parlare della carità (141 volte agapàn; 118 volte
agàpe, 61 volte agapetos. In totale 320 volte) e implica un senso di “stima, delicatezza, rispetto,
nobiltà, perfino il senso della bellezza” (C. Spicy)
Suppone che l’uomo debba “rinascere” per possederlo.
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2. La vita cristiana: esperienza di carità.
Il prossimo, in particolare il povero,
sacramento di Cristo
La vita cristiana si esprime nella carità, nel servizio all’uomo.
La Caritas è nata soprattutto intorno alla scelta dell’amore preferenziale del povero.
La carità cristiana si esprime in tanti modi, però diventa dovere impellente in presenza del bisogno,
della sofferenza, della povertà, dell’emarginazione.
Occorre essere attenti alle vecchie e alla nuove povertà. Stando in guardia “contro le mode” .
C’è il rischio della moda anche nelle risposte alla povertà.
Occorre servire il povero con la consapevolezza che è “sacramento” di Cristo. E’ un modo autentico
e sicuro di incontrare il Signore.
Lui che finché era quaggiù non voleva essere servito ma servire, oggi vuole essere servito nella
presenza dei fratelli, e ci assicura che lo troveremo sempre camminando per questa via.
La carità è pertanto sempre cristologica.
L’ “ottavo sacramento” è il povero, il fratello che ha bisogno di noi.
Paolo Vi nell’enciclica “Mysterium fidei” afferma che con quella eucaristica, certamente
privilegiata, anche altre presenze di Cristo sono reali.
Tra queste elenca non solo le presenze liturgiche sacramentali: nell’assemblea del popolo di Dio,
nella Parola di Dio, nelle varie celebrazioni sacramentali, ma anche la presenza di Cristo nella
persona dei poveri e dei fratelli in genere ( 18-20).
Amare Gesù nei fratelli non fa perdere di vista la concretezza, la singolarità della persona che ho
davanti, i suoi bisogni, le sue esigenze, la sua fisionomia umana.
Al contrario, amando il fratello in Dio, lo colgo alle radici della sua personalità e del suo destino:
Più amo Gesù in Lui, più lo amo dal di dentro. L’amore cristiano non disumanizza mai, ma è
essenzialmente personalizzante.
3. L’esercizio della carità nella Chiesa
Vorrei legare a quanto detto finora l’esercizio concreto della carità nella Chiesa.
Nel Proemio Benedetto XVI, riprendendo un passaggio della Deus caritas est, dice : “ l’azione
pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si
nutre dell’incontro con Cristo” ( n. 34). Questo vuol dire che , nell’attività caritativa, le tante
organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta o distribuzione di fondi, ma
devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere , altresì,
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una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo lì’educazione alla
condivisione, al rispetto e all’amore secondo la logica del Vangelo di Cristo.
L’attività della Chiesa , a tutti i livelli, deve evitare il rischio di dissolversi nella comune
organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante. ( Deus Caritas est,n31 ).
Questo amare , infuso nei nostri cuori, è una rivelazione, una “ epifania”dell’amore di Dio ed
insieme dell’amore dell’uomo che da Dio lo riceve. Per questo la Chiesa è “ sacramento, cioèprecisa il Concilio – segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano” ( LG n.1).Così la Chiesa – nel suo essere e nel suo agire è “ imago Dei”, è “ trasparenza “
della Trinità nel tempo; è “ epifania” dell’amore che è Dio.
Se questo è vero la preoccupazione prima non è di potenziarsi allargandosi a dismisura ( certo
secondo le proprie possibilità più bisognosi si raggiungono meglio è, ma non a scapito dell’essetre “
opera segno”, un’opera dove c’è attenzione alla singola persona, considerata “ sacramento “ di Gesù
Cristo.
E’ fondamentale che l’operatore Caritas radichi il suo servizio in una solida spiritualità.
Il mantenere le caratteristiche di “ opere segno” è fondamentale per gli organismi e le strutture
cattoliche.
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