12 febbraio 2007 – parrocchia S. Demetrio, Mosorrofa (RC) Il ruolo “profetico” della famiglia oggi, con riferimento alla Familiaris Consortio S. Ecc. Mons. Santo Marcianò Molte parole si dicono sulla famiglia ed è giusto che sia così. Ne parlano i sociologi, gli psicologi, i medici, i politici, i preti… Ma anche la famiglia ha qualcosa da dire: per questo, possiamo parlare di un suo ruolo “profetico”. Vorrei, dunque, coniugare subito un binomio che diventa quasi un’immagine: famiglia e parola. Cosa c’è di più reale, elementare, bello, della parola, delle parole dette in famiglia? E’ in famiglia che la parola si apprende; che, senza paura, si affrontano i balbettii e i tentativi di quel linguaggio che ci farà comunicare col mondo. Ma è lì che si apprende - se ci pensiamo bene - il significato delle parole, il loro peso, il loro valore. E’ lì che le parole fondamentali vengono accolte non come un insieme di lettere ma come esperienze, volti, vita. “Mamma, pane, luce, amore…”: parole, certamente. Ma non solo. E dentro la famiglia, la famiglia cristiana, si vive il primo incontro con quella Parola Vivente che è Cristo, per la quale e nella quale tutto esiste. Le parole umane, da questo incontro con Lui, vengono vivificate e trasformate, mentre la vita diventa sempre più il luogo per annunciare il grande Dono che questa Parola è e porta al mondo. In questo annuncio, la Chiesa vede il cuore della sua missione, il senso della sua esistenza. Annunciare il Vangelo, la Parola di Dio. Con la stessa paziente pedagogia di una madre che insegna ai suoi bambini la pronuncia delle sillabe e rivela il significato delle parole, con la stessa convinzione che tutto ciò sarà importante per entrare in comunione con gli altri e vivere, la Madre Chiesa non cessa di accogliere il balbettio di ogni creatura, di correggerla ed incoraggiarla, per farle conoscere Cristo, Parola Viva; per farla comunicare con Lui e far comunicare Lui ad ogni creatura. E’ qui il senso della profezia. Una profezia, quella della Chiesa, di cui la famiglia non è solo destinataria ma direttamente partecipe in qualità di «Chiesa domestica»1, secondo la precisa definizione del Concilio Vaticano II. L’esortazione apostolica “Familiaris Consortio” riconosce pienamente alla famiglia questa sua dimensione ecclesiale, vedendo inserito in essa quel compito profetico che la famiglia cristiana vive «accogliendo e annunciando la Parola di Dio» e per il quale «diventa così, ogni giorno di più, credente ed evangelizzante»2. In questo Documento, Giovanni Paolo II colloca il ruolo profetico tra gli specifici compiti della famiglia cristiana, dopo aver riflettuto sulle sue caratteristiche alla luce della Parola di Dio e della realtà attuale. Tra i compiti, precisamente, che la inseriscono nella partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa. Quello profetico non è, pertanto, un aspetto opzionale riservato ad alcune famiglie che ricevano, ad esempio, uno speciale mandato a recarsi in Paesi di missione o che rivestano ruoli di particolare responsabilità nelle comunità… No. Si tratta di una vera e propria partecipazione vitale, grazie alla quale vive la famiglia e vive la Chiesa. Alla luce dei suggerimenti dati dalla Familiaris Consortio, vorrei quindi sviluppare questa riflessione tentando di rispondere a due domande: 1. E’ davvero necessaria, oggi, una profezia da parte della famiglia? E’ lo sguardo sulla realtà. 2. Di cosa e per chi è profeta, oggi, la famiglia cristiana? E’ lo sguardo al Mistero. 1. Uno sguardo sulla realtà La conoscenza della realtà attuale della famiglia è, secondo la Familiaris Consortio, «una imprescindibile esigenza dell’opera evangelizzatrice».3 1 2 3 Concilio Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, 11 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 51 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 4 1 E’ anzitutto onesto riconoscere che il modello di famiglia che nel concreto si impone regola i costumi e lo stesso profilo di una società più di quanto si possa immaginare, fin nella sua costituzione ed organizzazione. Pensiamo, ad esempio, a quanto la procreazione contribuisca in modo decisivo all’espansione o riduzione demografica e dunque al rafforzamento numerico-politico di un popolo. Pensiamo all’economia di una nazione, che può puntare sulla famiglia come soggetto di risorse o semplice oggetto di consumo. Pensiamo alla regolazione dell’esercizio della sessualità umana, al quale vengono imposti limiti naturali proprio dai legami familiari e parentali e i cui valori, d’altra parte, vengono naturalmente trasmessi con l’educazione delle nuove generazioni. Pensiamo, ancora, ai ruoli familiari, il cui cambiamento può incidere notevolmente sul senso dell’identità personale ed anche vocazionale. La semplice parola “coppia”, ad esempio, assume oggi una serie di significati: poligamia in alcune culture, convivenza in altre; coppie formate da coniugi separati o semplicemente da due persone, non importa il sesso o lo stato di vita, che vogliano condividere un’esperienza affettivo-sessuale anche temporanea … il problema è molto più serio di quanto non sembri! Entrando poi nel tema della “procreazione”, vediamo che questo termine è applicato indifferentemente alla generazione naturale e a forme di tecnologia che perseguono artificialmente la genesi di una vita umana. D’altra parte, la stessa procreazione naturale viene ostacolata con pratiche di contraccezione, sterilizzazione e aborto sempre più raffinate e diffuse. La natalità, pur se per una serie di concause, tuttavia nei paesi Europei ha un calo generalizzato e significativo. Nel 2004 il numero di figli per donna è stato in Italia di 1.33. Anche la parola “vita” è fortemente in crisi. Quale vita la famiglia si trova ad accogliere e quale a rifiutare? Accanto all’aborto, intravediamo prospettive sempre più nuove ed inquietanti: l’eliminazione selettiva di embrioni con la diagnosi prenatale, la clonazione umana, l’eutanasia… Ma, assieme a questi dati preoccupanti, emergono altri elementi positivi: la maggiore libertà personale e consapevolezza della scelta coniugale; la maturità delle relazioni e la promozione della dignità femminile; la corresponsabilità nella procreazione e educazione dei figli… Il tutto contribuisce a creare quell’«insieme di luci ed ombre» nel quale la famiglia oggi si trova a vivere e all’interno del quale deve trovare una direzione. La storia, da sola, non va necessariamente verso il progresso ma è affidata alla libertà umana: ed ecco che «solo l’educazione all’amore radicato nella fede può portare ad acquisire la capacità di interpretare i segni dei tempi»4. 2. Uno sguardo al Mistero Se molte scienze possono parlare della famiglia, la famiglia stessa può però parlare non solo di sé ma di Dio, attraverso il proprio essere. In un passaggio della Familiaris Consortio divenuto molto famoso, Giovanni Paolo II si esprime così: «famiglia, diventa ciò che sei!»5. Il cuore della profeticità della famiglia – egli afferma - è la «fedeltà al disegno di Dio Creatore»6. Alla famiglia cristiana spetta dunque il compito di profetizzare la Parola di Dio sulla famiglia! Ma si può parlare della famiglia come “oggetto” del disegno di Dio Creatore? Credo che alla luce della Sacra Scrittura non vi siano dubbi al riguardo. La comunità familiare si radica nella creazione dell’uomo fatto “maschio e femmina”, con la sua differenza e complementarietà, con la sua capacità e il suo bisogno di vincere la solitudine, con la sua potenzialità di donare la vita continuando, con la generazione dei figli, l’opera Divina della creazione7. La famiglia è radicata nella creazione: ma la sua stessa creazione è affidata anche alla libertà e all’amore dell’uomo e della donna. L’appello interiore che li porta a scegliersi e scegliere di amarsi è preceduto, derivato, dalla Parola creatrice che viene da Dio, alla quale essi rispondono. E’, in definitiva, una vocazione. La famiglia è fondata sul matrimonio che, se nella società, si delinea come istituzione e organizzazione, per il cristiano è, prima di tutto, una libera risposta ad una vera e propria chiamata di Dio. Potrebbe sembrare esagerato definire così ciò che, in fondo, nasce dalla semplicissima e profondissima esperienza di amore tra l’uomo e la donna. Ma – ed ecco un punto veramente nodale della riflessione proposta dalla Familiaris Consortio – la famiglia è vocazione perché l’amore stesso è vocazione. E’ la «fondamentale e nativa vocazione dell’essere umano»8. La profezia affidata alla famiglia, la parola che la famiglia deve dire da parte di Dio, è fondamentalmente una: l’amore. Ed è questa l’essenza stessa di Dio. Papa Benedetto XVI ha sentito il bisogno di ripeterlo con la sua prima Lettera Enciclica: «Dio è amore»9. E di ripetere il senso di questa parola, l’amore, che oggi è fra le più usate ed abusate. Ma, in fondo, chi più della famiglia può più radicalmente insegnare a ripronunciare questa parola? Come nella 4 5 6 7 8 9 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 6 Ibidem, 18 Ibidem, 11 Cf Giovanni Paolo II Lettera alle Famiglie, 9 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 11 Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est. Cf 1 Gv 4, 16 2 famiglia si impara a parlare così si impara ad amare. E come si impara la verità e il significato del linguaggio così si impara la verità e il significato dell’amore. In tre piccole tappe, la stessa Familiaris Consortio ci indica la «missione» della famiglia e, dunque, della sua profezia: «custodire, rivelare e comunicare l’amore quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa»10. a) Custodire l’amore: l’amore è dono ricevuto La profezia non si realizza abbandonando, in qualche modo, i propri compiti, ma consiste nell’accogliere e vivere in pienezza l’amore come dono. E’ il dono dell’amore coniugale che, secondo una definizione bellissima di Paolo VI nella Humanae Vitae, possiede quattro fondamentali caratteristiche 11. E’ un amore pienamente umano Un amore che, per dire pienezza, coniuga in modo unico e peculiare sensibilità e spiritualità, impulso e libertà, volontà e sentimento. Con quella sintesi che solo la natura dell’amore, in quanto rispettosa della natura umana, sa fare. Sembra di cogliere un’eco di questa definizione nelle parole della Deus Caritas Est: «Non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima…Solo in questo modo l’amore, l’eros, può maturare fino alla sua vera grandezza»12. E’ un amore totale Porta ad una condivisione senza riserve, delle cose e della vita, che arriva fino all’intimo dono della corporeità. E’ davvero un dono che, più si fa totale, più – scrive Benedetto XVI - «cerca il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio anzi lo cerca»13. E’ un amore esclusivo e fedele fino alla morte Lo è proprio per questa sua totalità, che implica il corpo sessuato e lo spirito, lo spazio e il tempo. Non c’è altro amore, sulla terra, che richieda l’esclusività. Solo l’amore di Dio, certamente, può farlo. E, in particolare, l’amore che Dio dona e chiede ad alcune persone che consacra interamente a Sé. Ma anche questo, se ci pensiamo bene, è un mistero di “amore sponsale”! L’amore coniugale è un unico amore che chiama due persone, quelle due persone, uniche nella storia. La fedeltà è il criterio della definitività dell’amore ma anche della sua pienezza. E’ necessario essere fedeli alla persona ma anche allo stesso amore coniugale che liberamente si è accolto, scegliendo di viverlo14. E’ un amore fecondo E’ ad esso che il Creatore ha affidato il compito della trasmissione della vita. La fecondità – dice ancora la Familiaris Consortio - è «frutto e segno» di questo amore15. E come l’amore coniugale non è un piacere, un diritto, un arbitrio ma, alla fine, un dono da accogliere e custodire, così la procreazione. La parola “procreazione”, pronunciata nella sua verità, si richiama alla realtà della creazione, che è opera di Dio. Alla stupenda vocazione che li fa «liberi e responsabili collaboratori dell’amore di Dio Creatore»16, gli sposi partecipano non solo con le loro intenzioni ma con la verità del dono reciproco. E’ «mentre si donano tra loro» - specifica la Familiaris Consortio - che i coniugi «donano al di la di se stessi la realtà del figlio, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva e indissolubile del loro essere padre e madre»17. Nella luce della profezia, possiamo così decisamente affermare che «l’amore e la vita costituiscono il nucleo della missione salvifica della famiglia cristiana nella Chiesa e per la Chiesa» 18. E l’amore e la vita sono inscindibilmente legati. Sulla strada aperta dalla Humanae Vitae, l’antropologia di Giovanni Paolo II ci avverte con chiarezza: non si può “toccare” questo mistero, in nessuna delle sue componenti. Rifiutare o manipolare con tecniche di qualunque natura (siano esse di contraccezione, sterilizzazione, fecondazione artificiale) il significato unitivo e procreativo scritto da Dio nella stessa fisiologia della sessualità umana significa non donarsi all’altro in totalità, significa colpire «la stessa creazione di Dio nell’intreccio più intimo tra natura e persona»19. 10 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 17 Cf Paolo VI, Lettera Enciclica Humanae Vitae, 9 12 Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est, 5 13 Ibidem, 6 14 Marcianò S., Pellicanò P., Secondo il mio cuore (Ger 3, 15). Sessualità, affettività e vocazione all’amore: un itinerario formativo, un cammino spirituale. San Paolo 2001, p. 228 15 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 28 16 Paolo VI, Lettera Enciclica Humanae Vitae, 1 17 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 14 18 Ibidem, 50 19 Ibidem, 32 11 3 b) Rivelare l’amore: l’amore è dono da testimoniare Il concetto della rivelazione ci richiama quasi spontaneamente quella visibilità connessa alla realtà sacramentale. E’ molto interessante che la teologia di Giovanni Paolo II parli del matrimonio come di un “sacramento primordiale”20, che poi diventa reale evento sacramentale. L’amore coniugale diventa partecipazione dell'azione salvifica del Cristo: per questo viene consacrato e reso stabile con la grazia del sacramento. Questo sacramento non è autoprodotto dall’uomo ma viene dallo Spirito. E la Grazia non annulla ma, per superarla, richiede la natura, anche in tutte le dinamiche della vita affettiva e sessuale. La sessualità umana, dunque, diventa una chiave centrale per rivelare e comprendere la portata della profezia che alla famiglia è affidata. Leggiamo ancora nella Familiaris Consortio: «La sessualità, infatti, è una ricchezza di tutta la persona – corpo, sentimento e anima - e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell’amore»21. Ciò che rende possibile questo dono è la virtù della castità. E’ ad essa che la persona deve la capacità di rispettare e vivere il “significato sponsale” del corpo umano 22. E’ grazie ad essa, cioè, che le dinamiche affettive, emotive ed impulsive possono diventare spinta verso l’amore offerto alla persona amata e non semplicemente verso un compiacimento, ricercato in modo più o meno conscio. La castità rivela e permette di vivere in modo realmente profetico il significato profondo della sessualità umana e dunque dell’amore. Lo fa per gli sposi, in cui questa virtù si compie vivendo pienamente nel rapporto coniugale le caratteristiche dell’amore coniugale: pienamente umano, totale, esclusivo e fedele, fecondo. Lo fa per coloro che, chiamati alla verginità, offrono nel corpo il tutto della loro realtà affettivo-sessuale all’Unico Amore, quello di Dio, scelto con libertà e gioia. In un testo scritto per i seminaristi, abbiamo chiamato la famiglia con questa espressione: «Icona del dono di sé»23. E’ importante che la vita consacrata apprenda il senso della donazione, anche fisica, che gli sposi vivono e ne custodisca il mistero nella propria donazione che diventa profezia del Regno dei cieli: essa è rinuncia al matrimonio ma va vissuta in modo sponsale, come mistero d’amore sponsale verso Cristo e la Sua Chiesa. Dentro il mistero dell’amore coniugale, dunque, il corpo umano, con la sua sessualità, rivela e realizza pienamente la sua vocazione di «segno», fatto per trasferire nel mondo visibile il mistero dell’invisibile, il mistero nascosto in Dio 24 . c) Comunicare l’amore: l’amore è dono da donare. L’amore non è che dono e, di conseguenza, non può che essere donato. La specifica “carità coniugale”, quasi naturalmente, si comunica e fa della famiglia una «comunità di persone»25. La famiglia diventa così profezia di questa profonda verità: è l’amore, l’amore ricevuto e donato, l’amore vero - e cioè non semplicemente sentito ma vissuto nelle sue esigenze oggettive – che è alla base di una comunità di persone. I «legami naturali della carne e del sangue» maturano se è questa forza interiore a plasmare e vivificare la comunione e la comunità familiare26. Questi vincoli di filialità, fraternità, parentalità fanno sì che l’amore si comunichi attraverso esperienze concrete che, sempre con l’aiuto di Familiaris Consortio27, potremmo declinare in poche, conclusive parole, “segno profetico” per ogni comunità umana, civile ed ecclesiale. L’amore è cura. Cura per l’altro: ognuno, in famiglia, è “prossimo”. La Familiaris Consortio insiste sull’importanza che la prima cura, in famiglia, sia per il bambino: che, con rispetto e generosità, ne siano riconosciuti i diritti. E tanto più questo è vero quanto più il bambino è piccolo, malato, sofferente, handicappato…28 L’amore è poi cura dell’anziano, il cui rifiuto e la cui emarginazione, spesso caratteristiche delle nostre famiglie benestanti, generano sofferenza ed impoverimento spirituale ma il cui carisma, accolto e valorizzato, porta ricchezze inattese e «oltrepassa le barriere fra le generazioni, prima che queste insorgano»29, dice testualmente Giovanni Paolo II. Come non pensare al germe di pace che questa cura naturalmente può seminare? 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi sull'amore umano. Città nuova 1985, p. 275 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 37 Ibidem, 37 Marcianò S., Pellicanò P., Secondo il mio cuore… p.220 Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò…, p. 91 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 18 Ibidem, 21 Cf Ibidem, 21 Ibidem, 26 Ibidem, 27 4 Ma l’amore è cura di ogni sofferente. Anzi, l’amore è l’unica, vera arma che l’uomo possiede per non farsi vincere dalla sofferenza e dalla morte. L’amore non ha nulla a che vedere con quella che l’Evangelium Vitae chiamerà la «falsa pietà»30 di chi, proponendo rimedi quali l’eutanasia, vuole dimenticare come «la domanda che sgorga dal cuore dell’uomo nel confronto supremo con la sofferenza e la morte… è soprattutto domanda di compagnia, di solidarietà e di sostegno nella prova. E’ richiesta di aiuto per continuare a sperare, quando tutte le speranze umane vengono meno»31. L’amore è servizio Più di quanto non ci si renda conto, è il servizio che si vive nel quotidiano della vita familiare, che ne regola la stessa organizzazione. Tutti i ruoli all’interno della famiglia, non ultimo quello della donna al quale la Familiaris Consortio dedica parecchia attenzione, sono illuminati e vivificati dalla luce semplice del servizio reciproco, nel cui respiro l’essere umano cresce imparando la gratuità e la gratitudine. L’amore è condivisione Condivisione dei beni materiali e delle ansie della vita. Delle gioie, dei successi e delle scelte più importanti. In famiglia si vive naturalmente quell’amore vero che, se possiede di suo, è inquieto finché non può mettere in comune con l’amato, finché sa che egli è nel bisogno. E che non trova pace fino a che non può aiutare l’altro a sopportare la sofferenza e a raccogliere la gioia. L’amore è sacrificio Sì, è il sacrificio che non solo genera ma soprattutto custodisce l’amore. Il sacrificio di se stessi, delle proprie esigenze ed inclinazioni, dell’aspettativa e dell’orgoglio. Il sacrificio di sé apre così la porta alla comprensione, al perdono, alla riconciliazione. Ma l’uomo rifugge naturalmente da questa dimensione. Per educare al sacrificio, dunque, occorre anche educare alla preghiera che trasforma dall’interno il cuore umano e lo rende capace di ciò che sembra umanamente impossibile e forse inutile32. Questo sacrificio acquista così anche un valore sacramentale: unisce alla grazia del sacramento del matrimonio quella della Riconciliazione celebrata in Cristo; e si nutre del Sacrificio Eucaristico, consumato nella comunione con Lui, Amore che in Esso si dona33. L’amore è libertà nella verità «La carità è paziente e… tutto spera», dice San Paolo (1 Cor 13, 4). Perciò, l’amore rende necessario e possibile quello «scambio educativo» - lo chiama così la Familiaris Consortio - che contraddistingue soprattutto i rapporti tra genitori e figli. Obbedienza e rispetto da un lato, un servizio ordinato al bene umano e cristiano dall’altro, si fondono assieme in una relazione educativa che diventa, soprattutto oggi, profezia per un cammino di crescita verso la pienezza della libertà responsabile 34. I genitori che educano «ai valori essenziali della vita umana» esercitano un vero e proprio ministero di evangelizzazione e catechesi che rimane fermo, paziente e colmo di speranza anche dinanzi al rifiuto dei figli e, d’altra parte, rappresenta un cammino di aiuto fondamentale nel discernimento e nella scelta vocazionale dei giovani35. L’amore è dare la vita Il significato pieno della fecondità dell’amore ritorna a questo punto in modo concreto. «In realtà, ogni atto di vero amore verso l’uomo testimonia e perfeziona la fecondità spirituale della famiglia, perché è obbedienza al dinamismo interiore profondo dell’amore come donazione di sé agli altri». Non stupisce che la profezia di questa fecondità sia affidata alla paternità e maternità responsabile: da una parte essa significa accoglienza e rispetto della fertilità umana, generosa e fiduciosa apertura al figlio come dono; d’altra parte, essa conduce al superamento di una possibile sterilità fisica, perché trova nell’amore la fecondità del donarsi «al di là dei vincoli della carne e del sangue». «La fecondità delle famiglie deve conoscere una sua incessante “creatività”, frutto meraviglioso dello Spirito di Dio che spalanca gli occhi del cuore per scoprire le nuove necessità e sofferenze della nostra società e che infonde coraggio per assumerle e darvi risposta»36. Conclusione 30 31 32 33 34 35 36 Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae, 66 Ibidem, 67 Cf Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, 59-62 Cf Ibidem, 21; 57; 58 Ibidem, 21 Cf Ibidem, 37-40; 53 Ibidem, 41 5 Profeta, in realtà, è qualcuno che parla al posto di un altro, a nome di un altro e per suo specifico incarico. La profezia dunque non è, come una certa terminologia veloce porta spesso riduttivamente a concludere, una previsione di futuro ma l’espressione di una Parola affidata. E’ vero, questa Parola vive nell’oggi e si compie anche nel futuro; ma solo se è Parola di Vita eterna. «Tu hai parole di vita eterna», esclamava Pietro rivolto al Signore Gesù (Gv 6, 68). Alla Chiesa Madre, e alla famiglia che «partecipa della maternità della Chiesa»37, queste parole eterne sono affidate come bene prezioso, salvifico: occorre custodirle e annunciarle, occorre, cioè, dire con le parole e la vita, la verità sulla famiglia. Così, essa sarà fonte di amore e felicità, per la famiglia stessa, per coloro ai quali la famiglia si rivolge; per ogni creatura umana che, nella famiglia, riceve l’esistenza, la dignità e l’amore. E così sia! 37 Ibidem, 49 6