Università degli studi di Firenze Facoltà di lettere e filosofia Corso di

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Università degli studi di Firenze
Facoltà di lettere e filosofia
Corso di laurea in Scienze Filosofiche
Tesi di laurea in
filosofia
Witold Gombrowicz e la filosofia
d'immaturità
Candidato
Relatore
Tomasz Garncarek
Prof. Sergio Vitale
A. A. 2009 - 2010
1
Indice
1. L'iniziazione alla Forma
7
2. Soli si vive, soli si muore
16
2. 1 Cartesio la nascita dell'individuo
16
2. 2 Kant, interiorizzazione del tempo e dello spazio, i limiti della ragione
18
2. 3 Husserl, l'enigma della coscienza
27
2. 4 Hegel, lo spirito oppure l'uomo - la visione dinamica
della coscienza
2.5
31
Esistenzialismo – Kierkegaard, la dialettica replica
al dialettico
36
2. 6 Heidegger, l'angoscia o l'esistenza banaleSartre, la libertà o il marxismo
38
2. 7 Sartre, la libertà o il marxismo
41
3. Marx, la liberazione della coscienza
49
4. Non conformisti
59
4. 1 Schopenhauer, l'insopportabile volontà di vivere
59
4. 2 Nietzsche, l'individualismo di Apollo e la tirannide della collettività
dionisiaca
65
5. La filosofia nei romanzi
75
5. 1 I racconti
81
5. 2 Ferdydurke, gli itinerari per le strutture
86
5. 3 Pornografi
98
5. 4 Cosmo, la ricerca del senso
106
5. 5 La conclusione
113
2
6. L'immaturità e la libera scelta dei valori
119
6. 1 L'immaturità
119
6. 2 Contro i poeti – l'immaturità geopolitica
122
6. 3 Diario – Dante non grande poeta fu
125
6. Gli indemoniati
126
3
„Fui io per dire alle basiliche, alle madonne e
al foro romano, ai freschi e alle biblioteche:
siete il vestito dell'uomo, niente di più.”
Witold Gombrowicz, Rozmowy, za Maria
Janion,
Gorączka
romantyczna,
Forma
gotycka Gombrowicza, Państwowy Instytut
Wydawniczy, Warszawa 1975
“Sappiate che vi proibisco di parlare di me
in modo noioso, comune e convenzionale. Ve
lo proibisco in modo categorico. Pretendo un
linguaggio da giorno di festa. Chiunque si
azzardi a parlare di me in modo pesante e
giudizioso verrà crudelmente punito: gli
morirò sulle labbra e si ritroverà con l'orifizio
boccale pieno del mio cadavere.”
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58,
Feltrinelli 2004, p.103
4
Introduzione
In questo lavoro mi propongo di esporre la filosofia di Witold Gombrowicz, e in
particolare quella che ho denominato la sua filosofia d'immaturità. L’autore che
tratto si sentiva cronicamente accusato dell'immaturità e oppresso dall'esigenza
impostagli dell'istruzione. “Ancora una permessa... Eh si, qui purtroppo ci vuole
una permessa, non si scappa, mi tocca farla per forza (…) E prima di inoltrarmi
sulla via dei piccoli e medi orrori subumani mi corre l'obbligo di chiarire,
razionalizzare, dimostrare, spiegare, classificare e localizzare l'idea primaria da
cui derivano tutte le altre idee del libro.”1 La teoria della Forma che sviluppò in
effetto era per lui allora un sorta di vendetta, un regolamento di conti
che
prevedeva lo smascheramento della pretesa maturità di costoro che lo
opprimevano, un disegno che elaborò a lungo e a cui rimase sempre fedele. Lo
sviluppò attraversando varie dimensioni della sua esperienza nella ricerca del suo
tempo perduto, dominato, tramutato, falsificato dagli altri. Lo rivive, ricapitola,
per recuperare il carico d'energia che sentì sperperato e rubato ingiustamente dai
suoi persecutori.
Fin dal suo primo romanzo Ferdydurke, Gombrowicz si divise la sua identità in
due parti. Distinguiamo così nei suoi libri un Gombrowicz giovane e inesperto, in
preda del sistema da una parte, e un Gombrowicz esperto e saggio, che diventa la
voce della coscienza del suo giovane alter ego dall’altra parte. Nel percorso del
suo lavoro l’autore prova a raggiungere il suo se di una volta per poter tutelare la
sua ingenuità, soccorrendo il suo io del passato con dei consigli, per disporlo di
mezzi che gli forniscano la capacità di modificare gli accadimenti. Lo scrittore
applica questo obiettivo come ideatore di romanzi nei quali trasforma e manipola
dei accadimenti in favore del suo discepolo/se. Concentra la sua esperienza di vita
e la trasmette, un metodo con cui intende agevolare il suo allievo. Parla
1 Witold Gombrowicz, Ferdydurke, Feltrinelli, Milano, 1993.
5
espressamente di questa sua finalità nel suo Diario: “io, il Gombrowicz di oggi,
invocavo il mio lontano protoplasta in tutta la sua tremebonda e giovanile
vulnerabilità. (..) Povero, povero ragazzo! Perché non ero al tuo fianco, perché
non potevo entrare in quel salotto e mettermi alle tue spalle affinché ti sentissi
fortificato dal senso della tua vita successiva?”2
In questo progetto lo sopportò la filosofia contemporanea, che relativizza il
tempo e lo spazio, e che consente all'individuo il pieno possesso della gestione dei
valori che lo riguardano. L'uomo moderno è capace grazie alle nuove visioni di
liberarsi da tutte le costrizioni che gli venivano imposte da secoli
dall’indottrinazione religiosa, o dalla scienza istituzionalizzata e gerarchizzata.
Gombrowicz ricompensa il suo debito con questa filosofia, riassumendola in
originale manuale che diviene qui accessibile per l'ampio pubblico. Questo
manuale analizzerò nella prima parte del mio lavoro.
Non sempre Gombrowicz viveva in piena concordia con i suoi maestri. Bisogna
ricordare che si considerava in anzi tutto un letterato. Lontano dai concetti e dalle
teorie, prediligeva una autonoma creazione. “Essere qualcuno significa imparare
in continuazione chi si è, non saperlo a priori. La creatività non si deduce da
qualcosa di già esistente, non è una conseguenza...”3 A fianco all'immaturità
concepita in questo senso, cioè come negazione della inflessibile decrepitezza, si
mostra un idea dell'Arte come promotore della congiunzione degli opposti. Il
coniunctio oppositorum è la pietra filosofica di C. G. Jung. Vorrei soffermarmi su
di essa, per presentarla nell'intero spettro delle sfumature e significati che ottiene
in opera di Witold Gombrowicz.
2 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 106.
3 Diario II, p. 20.
6
I
L'iniziazione alla Forma
Per arrivare al punto dove si cristallizzò la sua filosofia Gombrowicz aveva
creduto di dover passare oltre alla propria biografia ma scoprì successivamente
che in realtà gli conveniva consigliarsi e addirittura approfittare di alcuni aspetti
di essa. Nel Testamento4 nel quale sorge l’intervista con il giornalista francese
Dominique de Roux, confessa che era la relazione con sua madre che aveva
svegliato in lui la sensibilità alla Forma. Gombrowicz apparteneva ad una
famiglia nobile che rappresentava il prototipo di vita borghese. Abbastanza
chiaramente erano da individuare in questo gruppo sociale numerosi
deformazioni. Egli avvertiva nello sviluppo delle forme sociali una artificiosa
superficialità che gli risultava inammissibile. Nella sua madre individuava la testa
dei seguaci dei vacui gesti teatrali. La pretenziosità. Gombrowicz racconta che le
piaceva tanto menzionare nelle conversazioni illustri scrittori, poeti, pensatori,
senza mai averne letto nemmeno uno. Lo testimoniava il fatto che in biblioteca i
libri erano ancora inesplorati, non sbendati, e l'evidenza era ignominiosa. I fratelli
di Gombrowicz conoscevano tutte le sue bugie, e non perdevano delle
vantaggiose occasioni per burlarsi della loro genitrice. “...madre fu una cattolica e
una persona con cosi detti “principi”.
- Un nuovo divorzio in famiglia! - annunciava clamorosamente Jerzy già dal
corridoio, a cui io rispondevo dall’interno della casa:
- Cosa?! Un nuovo divorzio nella famiglia! Ma non è possibile!
- Immagina – gridava Jerzy attraverso le quattro camere – ho incontrato nella
tranvia la zia Rosa, che giurava che intende separarsi dal suo terzo marito!
- No, non ci credo! - gridavo malinconicamente per invitare la mamma ad uscire
4 Wiold Gombrowicz, Testamento, Feltrinelli, Milano, 2004.
7
dalla camera da letto. E quando essa appariva cominciava una discussione, nella
quale noi sostenevamo la tesi, che il divorzio sia un'ottima invenzione, perché “i
bambini guadagnano così un doppio numero di genitori” e “si sentono
ottimamente avendo come opzione due dimore, invece di una”5 Gombrowicz dice
che da allora gli venne a meno la sua suggestione della realtà raffigurata come una
cosa stabile e determinata e comprese che la concretezza era sottomessa alle
perenni fluttuazioni del tempo. La verità si mescolava con la finzione. Dall’ora
Gombrowicz sviluppa la sua dote del romanziere.
Gombrowicz trascorse l'infanzia in campagna. Anche questo non è senza conto.
Il suo fratello Janusz li organizzo una comitiva composta da giovani campagnoli e
lo eresse il loro capo. Durante i loro giochi Gombrowicz sentiva i gridi della
madre o della governante che lo ammonivano di non farsi inumidire i piedi
rassicurandosi che non prendesse freddo. Lui reagì con collera per inammissibilità
di una protesta, e zitto e disperato, si trasportava sulle piccole spalle questa
umiliazione da donna, che avvertiva così cinica e tanto incapace di rendersi conto
quanta vergogna gli causava davanti ai suoi compagni. La sua situazione fu
bizzarra. “Teoreticamente ero il capo, il signore, una creatura elevata, convocata
per dare ordine – nella pratica tutti gli attributi che marcavano la mia superiorità,
come le scarpe, il giubbotto, la sciarpa, e l’obbligo impostomi dalla governante di
vestire, con orrore, soprascarpe, mi gettarono al fondo dell'umiliazione e mi
rimase di guardare con la coda dell'occhio, con accuratamente mascherata
ammirazione i piedi nudi e le camice rustiche delle mie truppe.”6 Gombrowicz
scrive nelle stesse pagine che già all'epoca scoprì che la sua famiglia e lui stesso, i
cosiddetti “signori”, furono qualcosa di grottesco, stupido, dolorosamente comico
e addirittura schifoso. Lo espresse nel seguente mondo: “Proprio cosi! Non me ne
fregava affatto se noi siamo gli sfruttatori del popolo e quale sia la nostra
moralità, ma mi mortificava il fatto che ci comportammo cosi sciocchi nel
panorama della gente semplice.”7
Però Gombrowicz non si scaraventò nel comunismo. Sarebbe stato a parere suo
5 Witold Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 24.
6 Witold Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 25
7 Ivi.
8
solo un incipit favoreggiante del nuovo schema politico. Dal sistema ci si può
allontanare
esclusivamente
acconsentendolo
apparentemente.
Come
dice
Wiettgenstein, per scappare dalla bottiglia verde la mosca nera deve cambiare il
colore al verde. L'amico e biografo di Gombrowicz Tadeusz Kępiński8 ci fornisce
una descrizione dei primi anni giovanili dello scrittore. Al contrario dei ricordi
dello stesso Gombrowicz, mette in luce i primi tratti della sua successiva
stravaganza e il discreto fascino che esso nutriva per la nobiltà. Una volta il
giovane Gombrowicz di appena tredici anni andò in visita dalla famiglia
Kępiński9. Al suono del campanello e alla domanda chi li cercasse, il ragazzino
rispose con una notevole dignità: “Il signor Gombrowicz”.
Gombrowicz riteneva che dalla Forma nella quale siamo sommersi non c'è
rifugio. Lo illustra il fatto che a seconda delle circostanze, dipendentemente
dall'uomo con il quale abbiamo a che fare ci comportiamo diversamente. Non ci
apportiamo mai in modo naturale. Invece di nascondere questo dato di fatto,
bisognerebbe sottolinearlo disse. Kępiński racconta che Gombrowicz si comprò
una volta un capello10. Era un modello inglese, dispendioso e di moda. Lo
indossava con dignità, finché non incontrò un amico che ne possedeva uno
uguale. Si salutarono come se niente fosse, ma il collega insistette che
Gombrowicz fosse ospite nella sua dimora. Arrivati, l'amico aprì un armadio che
conteneva l’intera collezione di capelli della stessa azienda realizzati in vari colori
e in numerose varianti. Il risultato fu che Gombrowicz non si rimise mai più il
suo.
La condotta della propria famiglia e della intera classe sociale a cui
appartenevano rese Gombrowicz sensibile al argomento della teatralizzazione
dell'esistenza. L’esito fu lo sviluppato della sua teoria sulla Forma che viene
generata dagli uomini, e tra di essi, sul palcoscenico dell’umanità. L'uomo impone
all'altro uomo la visione che possiede di lui, togliendogli l'indipendenza
incarcerandolo in una definizione ad esso attribuita. Gombrowicz veniva tenuto
d'occhio dal suo ambiente e di ciò era consapevole. Questa cognizione lo stimolò
8 Tadeusz Kępiński, Witold Gombrowicz i świat jego młodości, Wydawnictwo Literackie,
Kraków, 1989.
9 Ivi. p.31.
10 Ivi. p. 248.
9
a esaminare attentamente il complicato argomento della reciproca dipendenza
umana e trarne in conseguenza un usufrutto. Le strutture che dipinse in
conseguenza nei suoi romanzi avevano lo scopo di palesare questa società nella
sua nudità, smascherandola, spogliandola dallo splendore che da sempre si
attribuivano.
Il fascino per l'immaturità venne scaturito in Gombrowicz, come confesse,
attraverso la turbolenta opposizione tra la sua classe sociale e il resto del mondo.
Espresse in questa occasione le successive parole: “Non riuscivo a capire come la
cultura, l'educazione potesse falsificare tanto il naturale portamento dell'uomo, e
che contrariamente l'analfabetismo desse dei risultati cosi positivi.”11 Una volta
viaggiò in treno diretto a Varsavia, fatta la visita alla proprietà terrena della sua
famiglia in Małoszyce. Quando ad un tratto nel compartimento in cui viaggiava
apparse suo zio, un proprietario terreno, si salutarono e si misero a parlare. Il
treno era pieno di persone che non rispettavano le norme delle divisioni di ordine
al contrario si adagiavano spensieratamente nella prima classe ignorando il
divieto. Questa condizione inconsueta provocò l’ira del suo parente che invitava
gli inopportuni viaggiatori in tono autoritario di lasciare immediatamente lo
scomparto. Ma siccome nessuno gli obbediva suo zio ribadì la stessa richiesta con
una voce calma e tranquilla tirando fuori dalla tasca una pistola volta al bersaglio.
Pertanto tutti uscirono con terrore. Quando arrivò il conduttore Gombrowicz gli
permise di prendersi cura del suo parente che evidentemente aveva perso il senno.
Suo zio si spiegò in questo modo: “Uffa, infine un po' di spazio. C'era una folla
cosi grande che non riuscivo più a sentire le mie proprie parole. Sono malato ai
nervi, non posso dormire, vado a Varsavia sperando di migliorare, perché se si
aggraverà, sarà peggio...”12 Durante questo viaggio Gombrowicz espose allo zio i
motivi per i quali secondo lui i nobili polacchi stiano ammattendo. Il dialogo si
svolse nel seguente modo: “Vedi zio, io ho una teoria – risposi rapidamente, per
evitare che la conversazione si fermasse. - Ascolta zio, è un pensiero molto
interessante. Vedi zio, secondo me la gente semplice ha questo vantaggio su di
noi; è il privilegio di vivere una vita naturale. Hanno dei bisogni elementari e cosi
11 Ivi. p. 34
12 Ivi. p. 35
10
anche i loro valori sono elementari, senza falsità, solidi. Ad esempio: l'uomo
semplice ha fame, allora per lui il valore è il pane. - Come dici – osservò lo zio
gentilmente. - Però per un uomo benestante il pane non è più il valore primo
perché gli avanza. Noi viviamo una vita adagiata, falsificata. Non dobbiamo
lottare per la sopravvivenza, inventiamo perciò dei valori artificiali. Il valore
diventa una sigaretta – o l'eleganza – o la genealogia – o dei cani da caccia...
Quest'artificiosità dei bisogni causa l'artificiosità delle forme – e per questo che
siamo cosi bizzarri e ci risulta cosi difficile
trovare il tono giusto...”13
Commentando la vicenda anni dopo a tavola con dei commensali letterati in un
ristorante chiamato Ziemiańska (Latifondiale), affermò che l’uso della pistola
concepì da se la dialettica dei valori dei marxisti.
La gravitazione di Gombrowicz verso il ceto basso fu condizionata dalle sue
teorie, e poi, dalle circostanze. Quando allora nel trenta nove al età di trent’anni si
trovò in Argentina nel mezzo della guerra, privato ormai per sempre di tutti quei
tesori accumulati dai suoi antenati, lontano dal paese del cui aspetto cavalleresco
e stravagante non rimase nulla, decimato a fondo con palazzi crollati e trasformati
in aziende per l’agricoltura collettiva, Gombrowicz mutò consapevolmente la sua
tattica. Ai suoi tre coinquilini con cui condivideva la permanenza disse, quando lo
sollecitavano a rispettare e attuare i compiti della casa visto che era arrivato il suo
turno di fare le pulizie, di essere un conte polacco, che non era, e che i conti
polacchi erano molto sporchi. E mise una seconda volta provocatoriamente alla
prova la loro pazienza calcolando che i suoi colleghi erano anche dei comunisti,
chiedendoli sentenziosamente: “Dove sono le mie mucche, e dove sono i miei
servi..?” Gombrowicz sosteneva che per salvaguardare l'individualità, di fronte ai
tentativi delle collettività di spianarla e disintegrarla, bisogna renderla fluida. La
Forma, cioè la struttura può essere nello stesso modo paralizzata dalla tradizione,
come dalla stagnazione che provoca l'uguaglianza istituzionalizzata. Da qui
nacque la sua “dottrina” artistica della coniugazione dei contrari. Gombrowicz fu
un'alchimista, distillava dai contrari un valore nuovo, indipendente e attivo.
La sua tesi sosteneva che: L'umanità ha il bisogno di plasmarsi. L'uomo viene
13 Ivi. p. 35
11
creato dall'altro uomo. È in continuo rapporto. È la Forma. Sia che sia
rappresentata dall'esterno come la maschera imposta dagli altri, sia che la
indossiamo noi interiormente credendo che ci aiuti ad essere compresi ed
accettati. La paura dell'isolamento è qui decisiva. Gombrowicz ravvisa che gli
uomini sono fondamentalmente inautentici. Degli artisti si incontrano con degli
altri artisti per imparare il complicato linguaggio del corpo, delle parole, dei
vestiti per far sì che li possa distinguere dagli, ad esempio, scienziati. La loro
facciata è modellata sempre in funzione dell'altro. L'uomo appare folle o pacifico,
intelligente o cretino, maturo o infantile a seconda delle interpretazioni altrui.
L'esistenza dell'uomo risulta cosi costantemente falsificata, rotta, inadeguata al
suo interno. Ma, Gombrowicz si chiede, se interiore esiste ancora? e si interroga
se dopo l'irrintracciabile percorso attraverso il tempo che ha formato via via la
nostra specie, si possa tuttora individuare qualcosa d'originale? Non è più
possibile tornare indietro risponde Gombrowicz. “Essere uomo vuol dire essere
un attore, essere uomo vuol dire fingere di essere uomo”.14
Gombrowicz guarda pero la sua mano e si chiede il perché delle cinque dita
anziché 4623892937392? Perché l'uomo? A questo punto il sipario si chiude.
Inizia una nuova riflessione filosofica che tratta il fenomeno della coscienza, dei
limiti del sapere, per tornare e soffermarsi sopra il marxismo, o la filosofia della
vita. In ultima analisi la filosofia ha per Gombrowicz un simile valore della
letteratura. Per lui i sistemi sono temporanei. Servono all'orientamento mentale
nell'immensità del Cosmo odierno. Nella contemporaneità non ci si parla più della
divisione dualistica tra lo spirito e la materia, il paradiso e l'inferno. La storia
della filosofia con la svolta di Cartesio introduce gradualmente uno svincolamento
dagli antichi concetti. Con l'evoluzione dei nostri linguaggi i nuovi mondi sono
desunti dal vacuo.
Nel Corso di filosofia in sei ore e un quarto15 Gombrowicz offre la sua peculiare
interpretazione della filosofia. Presenta i singoli filosofi in due chiavi: una
oggettiva e una soggettiva. “Fin dai primordi, già in Platone e Aristotele, il
14 Witold Gombrowicz, Diario, Feltrinelli, Milano 2004
15 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994
12
pensiero si divide in pensiero soggettivo e oggettivo. Attraverso Tommaso
d'Aquino, Aristotele raggiunge per varie vie la nostra epoca, mentre il pensiero
platonico, attraverso sant'Agostino, Descartes, l'abbagliante esplosione della
critica Kantiana e il conseguente filone dell'idealismo tedesco – Fichte, Schelling,
Hegel – la fenomenologia di Husserl e l'esistenzialismo raggiunge un rigoglio
molto superiore rispetto ai suoi inizi. Il pensiero oggettivo, invece, oggi si realizza
soprattutto nel cattolicesimo e nel marxismo; ma il marxismo, a detta stessa di
Marx, non è una filosofia, e il cattolicesimo è una metafisica fondata sulla fede,
ossia la convinzione, alquanto paradossalmente soggettiva, che il mondo
oggettivo esista.”16 Prima parlerò dei filosofi che contribuiscono al progetto di
Gombrowicz di smascherare la vecchia oggettività aristotelica e scolastica che
faceva dall'uomo un oggetto. La liberazione da questa mascherata non nasce per
lui con il rinascimento. L'individualismo di Montaigne che apprezzava tanto,
prende per scontato. Montaigne non appartiene a nessuna scuola del pensiero
sistematico. “Sono un rivoluzionario perché sono un artista, e tanto più artista
quanto più rivoluzionario; il millenario processo dal quale derivo, costellato di
nomi quali Rabelais, Montaigne, Lautreamont e Cervantes, è stato un continuo
incitamento alla rivolta, talvolta sussurrato sottovoce e talvolta gridato a
discesa.”17 Quello che Gombrowicz stima in Montaigne e forse più l'aspetto
letterario delle sue opere, il modo di pensare del saggio scettico e isolato francese,
che un sistema coerente. A Gombrowicz come filosofo interessò particolarmente
Cartesio, perché lui cominciò la linea che attraverso Kant, tramite Husserl,
Kierkegaard
e
Heidegger
culminando
con
Sartre
e
l'esistenzialismo.
L'esistenzialismo è la scuola della soggettivazione dei pareri sul mondo. Dalla
solitudine ultima di Sartre ci liberano solamente i giochi linguistici di
Wittgenstein, e solo parzialmente. Ogni gioco è la realtà isolata del giocatore. La
comunicazione, anche se evidente, non si giustifica nel ragionamento rigoroso.
Cioè, fino a oggi nessuno è riuscito a far cadere l'insinuazione di Cartesio
dell'impossibilita della confermazione con l'atto della ragione del fatto che
esistono gli altri uomini, tutt'al contrario, i dubbi crescono. Esistono oltre a chi, a
16 Witold Gombrowicz, Diario 1959-69, Feltrinelli, Milano 2008, p. 385.
17 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 269.
13
chi appunto? Al soggetto che indaga tale questione. Se nel progresso dell'indagine
esistenziale che libera la vita dal peso delle teorie è coinvolto Kierkegaard, non
può mancare Hegel che fornisce la tela per il quadro disegnato dal pastore danese.
Hegel
è l'incrocio.
La sua
evoluzione prosegue con Kierkegaard e
l'esistenzialismo par eccellenze, oppure con Marx, che sviluppò certi o negò certi
altri componenti. È importante sottolineare che entrambi, Marx e Hegel
rivendicano lo spazio per la collettività, per la morale d'insieme. Lo tentava di fare
anche Kant, ma il suo imperativo, secondo Gombrowicz, permette all'individuo di
seguire la sua etica qualsiasi sia, e non è universale che non c'è. Schoppenhauer
discende dalla problematica di Kant, cerca il noumeno, la cosa in se, la collettività
lo interessa come il campo delle deviazioni e patologie, che sono i volti effettivi
dei più naturali e principali proprietà e attività umane. Il suo parere condivide
Nietzsche, che dal divorzio con degli ideali non verificabili fa il manifesto.
Per Gombrowicz gli sistemi particolari, anche se costituiscono un mosaico di
elementi che si riferiscono reciprocamente, sono piuttosto i punti di riferimento
nel Cosmo che crescono notevolmente in confronto con il modello datoli da Dante
e dagli suoi contemporanei. Perfino il valore di Dante e delle dimensioni
mitologiche e dogmi religiose può essere riabilitato dalla simbolica psicologica
contemporanea al pari delle proposizioni moderne.
Gombrowicz racconta la sua storia di filosofia alla moglie Rita e al amico e
giornalista francese Domenique de Roux. Ai quali dice che ha scoperto
l'insufficienza della loro educazione. Il corso è perciò semplice e chiaro. È
cristallino nella determinatezza del principio dell'abolizione del pensiero astratto
dal piedistallo della sua ingiustificata assunzione. L'operazione si compie da se,
perché la scienza ormai da tempo aveva perso la fiducia nelle sue forze. La fisica
quantistica decapita la classica, le teorie che pretendono l'omni comprensibilità si
contraddicono reciprocamente, senza perdere della gravita. “Il fatto che ho sempre
considerato questi sistemi come il frutto di una mia facoltà, quella di ragionare,
che tuttavia era solo una delle mie funzioni e, in definitiva, un'espansione della
mia vitalità alla quale, volendo, potevo anche non arrendermi. (…)
L'esistenzialismo non si rivolge solo alle mie facoltà cognitive, l'esistenzialismo
mi vuole tutto intero, vuole penetrare nell'intimo della mia esistenza, vuole essere
14
la mia stessa esistenza. (…) Questa non è più teoria, ma un'aggressione alla tua
esistenza da parte della loro, e ad atti del genere si risponde non con
argomentazioni ma vivendo in modo diverso da come loro vorrebbero – talmente
diverso da rendere loro impenetrabile la nostra vita.”18 La pretesa maturità dei
sistemi viene offuscata da Gombrowicz, il che non vuol dire che Gombrowicz si
voglia divorziare dalla filosofia. Secondo De Roux fu proprio essa e il suo
insegnamento che gli salvo la vita quando malato si voleva suicidare.
18 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 259
15
II
Soli si vive, soli si muore
1.
Cartesio, la nascita dell'individuo
Il primo filosofo esaminato da Gombrowicz nel suo corso fu Cartesio. Cartesio
apre questa linea dei pensatori che attraverso Kant, Kierkegaard, Husserl,
Heidegger e Sartre delineano l'esistenzialismo. L'allontanamento dall'oggettività
medievale e antica, ripiena con delle divinità e moralità urbane, fiorirà con il
segreto distaccamento del saggio. Solo Hegel cercherà di fermare l'inevitabile
marcia dell'individualismo, che poi viene seguito da Marx. Un po' fuori stanno
Schoppenhauer e Nietzsche.
Gombrowicz ritenne che Cartesio scopri per la modernità il soggettivismo.
”Descartes, padre del pensiero moderno”.19 Con il suo famoso metodo di dubitare
di ogni cosa già data dalla tradizione, vede che praticamente nessuna delle
vecchie verità è capace di opporsi all'incertezza. Con l'inizio del razionalismo cosi
scoppiato, niente più poteva rimanere certo.
Nel Discorso del metodo, che è la sua opera più importante, Cartesio torna al
momento quando individuò nell'insegnamento dei padri Gesuiti, i suoi maestri,
una o la confusione. Le verità e convinzioni intoccabili dai tempi di Aristotele
avevano acquistato uno status di materia accessibile per analizzi ed eventuale
disaccordo. L'attento esame ha sostituito la credenza ai dogmi rimasti finora
intoccabili nel sacro timore. Il metodo cartesiano è allora la decostruzione.
Cartesio per illustrare le sue idee propone di immaginare una stanza buia,
19 Diario II. p. 60.
16
collocata in un cosmo oscuro. Al di dentro di questa camera si trova l'uomo che
non vede nulla e non sente niente. L'unica cosa che gli è rimasto da mettere in
pratica sono i suoi pensieri. L'”io” chiuso è costretto di constatare che l'unica
verità la quale non sveglia lo scetticismo, è il fatto che pensa. “Ricordate
Descartes? Quando penso a un centauro non posso avere alcuna certezza che esso
esista – l'unica certezza di cui sono certo è il mio pensiero sul centauro... Anche se
Amleto, il principe Danese è un sogno, non c'è dubbio che questo sogno
shakespeariano su Amleto sia esistito, ed è questo il fatto concreto di cui abbiamo
urgentemente bisogno.”20 L'oggetto non notato dal soggetto non esiste. Tutto si
riduce a questo locale mondo appartenuto all'”io”. Cartesio eliminò l'oggetto
tradizionale. Era rimasto solo il soggetto e i suoi fantasmi. D'ora in poi in filosofia
si occuperà della coscienza. Questa coscienza non è la coscienza di X o di Y. Ma è
una cosa sola, dice Gombrowicz.
La rivoluzione di Cartesio a fianco al puro piacere di conoscere, consisteva
anche nel fatto che le sue scoperte avevano delle implicazioni di natura politica.
Cartesio subito capi l'errore d'intervenire nell'ordine sociale. Inventò una raffinata
teoria che confermo la presenza di Dio nel mondo, perciò anche dell'oggettività.
Se noi tendiamo alla perfezione disse, e cerchiamo continuamente l'eccellenza,
allora deve esistere una cosa che supera ogni altra. Questa cosa è il Dio. Secondo
Gombrowicz e Husserl Cartesio si spaventò come Galileo, che sotto la pressione
dell'apparato d'inquisizione tradì Copernico e gli acquisti della sua rivoluzione.
D'ora in poi la filosofia è stata falsificata, riassume Gombrowicz.
Cartesio è importante per Gombrowicz perché permette alla filosofia
d'introdurre la nozione dell'individuo. L'uomo fu oppresso dalla gerarchia delle
istituzioni che si serviva dell'autorità della scienza come fu estenuato dalle scale
gerarchiche medievali basate sull’autorità divina. L'artista che si allontanò da tale
Forma imposta dall’alto abbisognava di buone giustificazioni per una simile
indipendenza inconsueta nei tempi. La filosofia contemporanea si propone di
aiutargli in questo. Lo sta facendo mettendo in dubbio la competenza delle
gerarchie di compiere qualsiasi giudizi.
20 Diario II, p. 34.
17
2. Kant, l’ interiorizzazione del tempo e dello spazio, i limiti della
ragione
2. 1. La critica della ragione pura
“...la dialettica metafisica mi fa lo stesso effetto che faceva ai nostri latifondisti,
gente d'animo semplice, per i quali Kant era solo un venditore di fumo. Quanto
bisogna faticare per arrivare allo stesso risultato, ma a un livello d'evoluzione
superiore!”21
Kant riprende le implicazioni fornite da Cartesio. La razionalità che caratterizza
la complessità del suo lavoro ha le radici nella rigorosa scientificità di Newton. La
disciplina della ricerca si congiunge con la logica dell'argomentazione. Ma Kant
nelle sue ricerche è costretto a confessare che le rigide regole di quell'universo
non sopportarono la prova del tempo. Kant inizia di sottolineare l'importanza del
soggetto, il processo iniziato da Cartesio. In conseguenza il soggetto si prenderà
sulle spalle il peso dell'invenzione kantiana che afferma che il tempo e lo spazio
sono nelle sue mani. Il tempo e lo spazio non sono per Kant oggettivamente
all'esterno, sono delle proprietà del soggetto, proiettate da esso al mondo. Kant
proclamò l'insufficienza della mente umana di raccogliere tutte le caratteristiche
del mondo. Il campo dell'operare della scienza si limitò significativamente. Le
domande se esiste Dio e quale sia la natura del mondo devono sparire una volta
per sempre. Kant continua la via intrapresa da Cartesio. Si parla qui dei dati della
coscienza piuttosto che degli oggetti materiali della cui materiale presenza
sarebbe approvata da tutti. Contrariamente ad un assoluto punto di riferimento
abbiamo qui a che fare con dei personali fenomeni dell”io”.
L'opera di Kant si divide in due parti. Nella Critica della ragione pura Kant
21 Witold Gombrowicz, Diario (1953-58), Feltrinelli, Milano 2004, p. 242.
18
esamina la coscienza. La coscienza riflette sulla coscienza. Gombrowicz sostiene
che la coscienza non è la stessa cosa della ragione, e allora l'indagine non riguarda
proprio quello che suggerirebbe il titolo del libro. La seconda parte della sua
opera di vita si intesta “La critica della ragione pratica”. Qui Kant giustifica,
servendosi della ragione, la necessita della morale, quando la Critica della ragione
pura aveva già svincolato l'uomo dalla scala dei valori universali e
dall'asservimento alla ragione stessa. “Ma già la Critica della ragion pura e poi
giù giù Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard e tutti gli altri hanno cominciato a
tracciare terreni inaccessibili al pensiero e a scoprire che la vita si faceva beffe
della ragione. Questo la ragione non poteva sopportarlo e, da quel momento, è
iniziato
il
suo
tormento
che
raggiunge
il
suo
culmine
tragicomico
nell'esistenzialismo.”22
Il ragionamento di Kant nella Critica della ragione pura si divide in parti. La
prima tratta l’estetica trascendentale. Secondo la quale la trascendenza è il
collocarsi al di fuori del mondo e esaminarlo in tutta la complessità. Essa è la
continuazione dell'operazione intrapresa da Cartesio. L'estetica invece per Kant
riproduce la matematica, che è per lui la scienza delle forme e delle relazioni che
nascono tra di loro. Kant fu attratto dalla meravigliosa semplicità delle leggi
matematiche come il teorema di Pitagora. Allo stesso tempo nutriva ancora la
presunzioni della divisione del mondo tra lo spirito e la materia. Per lui doveva
allora esistere una dimensione superiore, che sarebbe responsabile della
irripetibile bellezza di alcune verità geometriche. Inventò il livello a priori come
quello eterno e immutabile, il sogno già di Platone. Nella matrice di questa zona
delle perfette idee collocò delle leggi matematiche.
Il maggior problema che lo occupava, fu l’ interrogativo come mai le leggi che
aggiungono qualcosa alla realtà, cioè quelle che chiamò i giudizi sintetici che
provengono da noi, possono essere allo stesso tempo immutabili e eterne, cioè a
priori. Se sono variabili, allora non sono originali. Kant scopri, con lo scopo di
evitare questa complicazione, che il tempo e lo spazio sono in noi, perciò noi
aggiungiamo qualcosa che è eterno in noi e eternizzato da noi. La matrice è in noi.
22 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 260.
19
Per Gombrowicz questa realtà oggettiva è molto rilevante nella sua ossessiva
ricerca di ridurre tutto all'”io”. Grazie a Kant il soggetto acquistò un'enorme
indipendenza.
Nella seconda parte dell'analitica trascendentale Kant mette a fuoco la fisica.
Indaga secondo quali regolarità corrispondono con Sé delle cose materiali. Pur
trovandosi nel suo campo visivo saranno sempre delle percezioni individuali, i
fenomeni. La scoperta copernicana di Kant, dice Gombrowicz, è che il mondo
fisico è il mondo dei fenomeni. La classica materia non c'è più. È stata sostituita
con dei mondi personali dei soggetti. Qualcosa vediamo, se poi tutto questo è
verificabile anche sul livello comune, rimane fuori delle nostre capacita
giudicativi.
Nella terza parte, la dialettica trascendentale, Kant si propone a decifrare i
problemi metafisici come l'esistenza di Dio. Kant risponde che non è possibile
risolvere certi problemi. Misteri come la domanda dell'esistenza della cosa in se
dovranno dopo Kant rimanere per sempre nella sfera dell'inverificabile esoterica.
Essa paradossalmente crescerà successivamente con lo sviluppo della scienza
basato sulle scoperte di Kant. In conseguenza per la prima volta si pone la
questione dei limiti della coscienza. Da Kant in poi l'uomo non pretenderà più di
poter raccogliere il sapere del mondo in un sistema integrale totale.
2. 1. 1 I giudizi – il tempo e lo spazio si trovano in noi
L'analisi dei giudizi, la divisione tra quelli provenienti dall'esperienza cioè
quelli a posteriori, e a priori è il tema principale della Critica della ragione pura.
Kant fornisce il catalogo della coscienza. Illustra come quella funziona, come
fonda i suoi edifici, dove la realtà caotica si sistematizza a seconda delle
somiglianze dei fenomeni disposti in scaffali metodicamente sistemati. È la
metodica aristotelica.
La Critica della ragione pura si propone lo scopo di catalogare il mondo. I tipi e
le proprietà estratti dall'ambiente sono destinati a trovare un luogo adatto nelle
20
tabelle della mente. Una sistemazione compiamo mediante i giudizi. Nella Critica
della ragione pura tutto che noi sappiamo del mondo esprimiamo mediante i
giudizi. Per capire la questione Gombrowicz fornisce il seguente esempio. “Io
esisto, è giudizio condizionale: se do un calcio a Domenico, egli me né da due”.
La relazione che si stabilisce qui è di tipo causale.
I giudizi si dividono in conseguenza in analitici e sintetici. I giudizi analitici
sono quelli che derivano dall'analisi. L'analisi è la scomposizione dell'oggetto
d'interesse in parti essenziali. Secondo Kant questi giudizi sono indifferenti, non
aggiungono nulla al nostro sapere. Quello che mettono in rilievo già si trova nella
definizione delle cose che trattano. Se la definizione dell'uomo allude al fatto che
l'uomo è l'essere vivente, allora non è stato detto niente di nuovo. La definizione
dell'uomo comporta in se la nozione dell'esistenza. Se invece diciamo che l'acqua
bolle con una certa temperatura, qualcosa in più arricchisce la nostra conoscenza
del fenomeno del acqua. È il giudizio sintetico.
Principalmente i giudizi analitici sono a priori. Sono delle verità immutabili
forniti dalla natura, che, come delle caratteristiche che determinano l'appartenenza
dell'uomo alla sua specie, non cambiano mai. Invece i giudizi basati
sull'esperienza, la conoscenza che deriva dall'osservazione sono chiamate da
Kant a posteriori. I giudizi sintetici sono basati sull'esperienza. Allora sono a
posteriori. I giudizi a posteriori non garantiscono la loro validità una volta per
sempre. Non è detto che non arriverà un giorno, quando l'acqua non bollirà più.
Secondo Kant però esistono anche i giudizi sintetici a priori che aggiungono
qualcosa alla realtà e possono essere validi una volta per sempre. Nel caso della
legge fisica, la quale dice che l'azione equivale alla reazione, o della geometria
dove una linea retta è la strada più corta da un punto a un altro, sono degli esempi
che lo confermano. Se si accetta le premesse, le leggi di Newton avranno
un’irriducibile gravita.
In seguito Kant pone il problema: come sono possibili quei giudizi sintetici a
priori. Se aggiungono qualcosa alla realtà, allora non appartengono al mondo
fermo ripetibile e sicuro. Dovrebbero essere casuali, alla preda della variabilità
dell'inaffidabile statistica. Kant spiega, che quello accade in virtù del presupposto
21
che lo spazio e il tempo sono le proprietà del soggetto. Il tempo e lo spazio non si
trovano più al esterno dell'uomo, costui li progetta verso le cose che stanno fuori.
Il soggetto produce il tempo e lo spazio. Il soggetto produce il tempo e lo spazio.
È come un campo di forze magnetiche che attrae gli oggetti. È dentro dell'uomo,
dove dimorano delle assolute astrazioni. Le matrici che poi informano la realtà
aspettano in un soggetto a loro turno per incarnarsi nel mondo. L'aggiunta alla
realtà delle proprietà sintetiche accade con la piena approvazione dell'universale
diritto a priori.
Kant spiega perché il tempo non può essere oggettivo. Sono le tre condizioni
che determinano questo fatto. Prima: Lo spazio non deriva dall'esperienza, ma è la
sua condizione. Lo spazio non è oggetto ma elemento dell'esistenza dell'oggetto.
Seconda: Lo spazio non deriva dalla deduzione, non è un concetto di qualche
cosa. Non lo possiamo comprendere come concreto, non è un oggetto. È una
intuizione. Quando un bambino impara le nuove parole li facciamo vedere una
sedia e diciamo che questa e una sedia. Lo spazio è invece indimostrabile.
L'apprensione della terminologia che la riguarda, deriva dall'intuizione. Lo stesso,
lo si può dire del tempo. Non lo possiamo indicare concretamente. Deriva da noi e
quindi è la condizione delle cose. Private da esso, si disperderebbero nel caos. Noi
contestualizziamo le cose, le mettiamo insieme rendendole significative, in
riferimento ad una struttura del tempo che c'è in noi. La struttura completa vien
composta dallo spazio e dal tempo, dal soggetto e dalle cose. Terza condizione: In
geometria costruiamo nello spazio le figure che non sono le nostre impressioni.
Ma geometria e i suoi oggetti non sono nemmeno fondati sull'esperienza. Pur
sempre non si può dubitare di loro. Come le figure geometriche non sono
sensibili, ma nemmeno non sono delle illusioni, cosi lo spazio che li contiene non
è sperimentale in senso stretto e non è nemmeno un incubo, è concreto ed è
imposto dall'osservatore.
Secondo l’avviso di Gombrowicz, i giudizi sintetici a priori i quali cercava Kant
sono nient'altro che i giudizi analitici. Se fosse stato vero che il giudizio della
matematica due volte due uguale a quattro sia sintetico, cioè aggiungesse qualcosa
alla realtà, avrebbe dovuto essere altrettanto vero che X e Y che si sono incontrati
due volte, sabato e domenica sono quattro e non i due. Infatti il giudizio due volte
22
due uguale a quattro è pura analisi della situazione matematica già prestabilita,
finché non abbia nulla a che fare con un'esperienza. Pur resta che lo spostamento
del peso dalla gravita della realtà esterna oggettiva al soggetto, che contribuì alla
sua liberazione, è un grande merito kantiano, e perciò non trascurato da
Gombrowicz.
2. 1. 2 Le categorie – la coscienza non può essere
catalogata, sono delle categorie create da lei
Il nostro sapere si esprime mediante i giudizi. La coscienza assomiglia a un
panello di controllo che si preoccupa di raggruppare dei dati che là giungono,
disposti in uno schema gerarchico, a seconda delle loro somiglianze. La
classificazione dei giudizi introdotta da Kant segue quella di Aristotele. Ci sono i
giudizi qualitativi, universali o particolari. Tutti cavalli hanno quattro zampe è un
giudizio universale. Alcuni uomini sono bianchi è un giudizio particolare. Poi i
giudizi si dividono nei affermativi, negativi, infinitivi. L'esempio del giudizio
affermativo è che i pesci non sono degli uccelli.
Kant deduce da ciascuno di questi giudizi una categoria. Dal giudizio
affermativo “voi siete Francesi”, trae l’ “unita”. Dal giudizio particolare “certi
uomini sono mortali”, trae la categoria della “molteplicità”. Dal giudizio
universale ”tutti gli uomini sono mortali”, la categoria della “totalità”.
I dubbi che Gombrowicz presenta in seguito riguardano l'interpretazione che
Kant impone al fenomeno della coscienza. La coscienza secondo Gombrowicz
non è un meccanismo. La coscienza non può essere scomposta in parti. Non è
condizionata dalla scienza, ma permette la scienza. Il corpo e il cervello non
possono essere coscienti della coscienza, è la coscienza che li rende possibili. Al
contrario della coscienza, dice Gombrowicz, la scienza non offre la conoscenza
diretta dell’ essenza delle cose. I suoi metodi e le leggi provengono dall'esperienza
e valgono soltanto per le cose. Non si può immaginare la coscienza come un
23
oggetto per la scienza. L'atteggiamento scientifico, fisico in senso classico,
differisce da quello rappresentato dalla coscienza. E' essa, che è cosciente dei
metodi e delle leggi fisiche, e non al contrario. Gombrowicz riassume che la
coscienza, che è l'elemento fondamentale, non può formulare delle categorie o dei
giudizi. Kant si pone la domanda come è possibile il nostro sapere del mondo. In
questa domanda la coscienza scopre la sua limitatezza. La coscienza è il sapere
che si sa, conclude Gombrowicz. Essa non può giudicare. È indivisibile e
incondizionata.
“In filosofia, a dire il vero, non si può dire niente” dice Gombrowicz. Non è
rimasto nulla delle categorie di Kant, riassume. Le condizioni del soggetto per
essere cosciente dell'oggetto non possono avere il senso assoluto, continua. Le
categorie sono in noi come il tempo e lo spazio, conclude in risultato
Gombrowicz. La scoperta copernicana di Kant è in opinione di Gombrowicz
quella, che con lui l'unica cosa rimasta da porre all'esame saranno i fenomeni
della coscienza. L'universale, oggettivo mondo materiale non c'è.
2. 1. 3 Metafisica – la scoperta dei limiti del pensiero
umano
La terza parte della Critica della ragione pura si occupa della problematica che
si pone per l’eventuale possibilità dei giudizi sintetici metafisici. Con la
metafisica si intende in questo caso Dio, l'anima e il mondo nel suo aspetto non
sensibile. Sono le sintesi e non le percezioni dirette, come una seggiola.
Servendosi delle sue famose antinomie, Kant mostra l'insufficienza della
conoscenza e della ragione nell'obiettivo di spiegare il mondo. I conclusioni che
trae nella loro applicazione, hanno sempre il carattere delle contradizioni.
Nella prima sintesi Kant dice che per l'uomo l'anima assimila tutte le percezioni.
L'anima è il recipiente delle impressioni. Le sintetizza. Ma tutte le cose sono
percepite nel tempo, dice. L'unica cosa che sta fuori del tempo ed è immortale è
l'anima. L'anima e il tempo sono inconciliabili. Come mettere insieme la
24
temporalità delle cose e l'eternità dell'anima? Per Gombrowicz l'intera
divagazione è una pura fantasia. L'anima è inesistente, o se mai prenderla in
considerazione, inaccessibile. Questo fatto avrà una colossale significanza per
Gombrowicz, che sempre invocava alla riduzione delle pretensioni dell'uomo di
fronte a sé, alle dimensioni umane e per cosi dire, della vita.
Kant fornisce degli numerosi esempi per dimostrare l'incoerenza circoscritta alla
mente. La cosa per essere una cosa deve rimanere limitata, indivisibile. Se è cosi,
lo spazio e il tempo non possono essere considerati le cose. Codesti si estendono,
sono quantificabili in minuti, chilometri ecc. divisibili a loro volta infinitamente.
Allo stesso tempo le cose nella loro condizione più originale devono contenere lo
spazio e il tempo, se no sono assenti. La cosa che contemporaneamente deve per
forza essere l'unica e indivisibile per rimanere quella concreta cosa, e spezzata nei
parti come un oggetto spazio temporale, concettualmente ed è praticamente
inammissibile. È in se, e per se contraddittoria.
Kant dice anche che il Cosmo deve essere illimitato nel tempo e nello spazio per
includere tutto. Se è cosi anche degli oggetti devono estendersi all'infinito, perché
gli oggetti sono spaziali. Allo stesso tempo l'oggetto per essere un oggetto deve
essere finito. L'idea dell'oggetto è contraddittoria perché bisogna che l'oggetto sia
infinito e limitato contemporaneamente.
Ci mettono in confusione anche i tre argomenti sull’esistenza di Dio. Il primo è
ontologico. La nostra idea di Dio è la visione di una perfezione. Secondo il parere
di Kant, la perfezione deve esistere. L'esistenza è invece per lui equivalente con la
percepibilità. Pero il Dio non può essere percepito. Questo esclude la possibilità
della deduzione della sua presenza, dalla sopra riportata argomentazione. È un
argomentazione troppo sofisticata, polemizza Gombrowicz.
Il secondo argomento è cosmologico. Il mondo deve avere una causa. Lo
presuppone la categoria della causalità. In questo caso anche Dio deve avere una
causa. Ma un Dio causato non sarebbe onnipotente, e chi sarebbe in questo caso?
Nel terzo argomento, teleologico, tutto ciò che esiste ha uno scopo, è perciò
sarebbe l'opera di Dio. Pero anche Dio può essere ridotto al suo scopo.
Teleologico, nella ricerca del suo fine, sarebbe troppo antropocentrico.
25
Kant conclude che gli errori della metafisica derivano dalla ad essa procedura
adattata struttura, che la allontana dall'esperienza. La ragione non può preparare
l'oggetto puro - il noumeno. Noi vediamo le cose diversamente. A seconda delle
circostanze, delle condizioni meteorologiche, della nostra salute. Infine nella
fisica dei quanti la nostra osservazione, gli atomi della luce che ci permettono di
vedere, deformano, battendogli, gli atomi che avevamo desiderio di intravedere,
prima che eravamo capaci di compierlo. Kant non ha delle illusioni in proposito
alla possibilità di trovare il noumeno. L'assoluto è irraggiungibile. Siamo limitati
ai fenomeni.
Gombrowicz conclude che Cartesio e Kant impongono al pensiero umano dei
limiti. L'Universo conserverà una parte dei suoi segreti. In questa maniera la
filosofia diventa matura. L'uomo rimarrà minorenne. Esattamente come
consigliava Niccolo Cusano nella Dotta ignoranza. Questa strada sarà ripresa è
portata in avanti da Feurebach, Husserl e Marx. Le domande “Cosa è il mondo?”
scenderanno nel sottoterra, proseguite dalla preoccupazione come migliorarlo, o
fissarlo. Alla fame del miracolo risponderà l'eco.
2. 2 La critica della ragione pratica
Dopo il successo della Critica della ragione pura Kant scrive la Critica della
ragione pratica. Cerca di proseguire questa stesura nella stessa maniera della
precedente. Se nel primo libro si proponeva di giudicare la realtà concreta, e i suoi
fenomeni, qui pretende di giustificare i valori dei nostri compiti. Invece di capire
come stanno le cose Kant si propone di ordinare che cosa si dovrebbe fare.
I suoi imperativi vengono divise in ipotetici e categorici. L’Imperativo
categorico dice che per esempio “bisogna agire moralmente”. È incondizionato,
non dipende da nulla. Quando dico che “per andare in cielo devo essere morale”,
questo è invece l'esempio dell'imperativo ipotetico.
Gombrowicz commentando le proposizioni di Kant osserva che la morale
dipende in esse dalla nostra volontà. Dice che le leggi di Kant si interpretano
26
confusamente. Hitler pensando di poter guarire l'umanità dalla malattia degli ebrei
era in accordo con la sua etica personale. L'imperativo categorico di Kant, di non
impostare all'altro, ciò che non ci piace, non subisce qui nessuna violenza. Per
Kant conta la buona volontà, sostiene Gombrowicz. La morale non è mai assoluta,
e sta oscillando a seconda degli uomini. È la scoperta kantiana di Gombrowicz e
l'esistenzialismo. “No, caro Kant! La tua Critica, per quanto meravigliosamente
esatta e profonda, per quanto scritta con il sudore della fronte, non è sufficiente.
Afferra l'ascia! Afferra l'ascia, ti dico, vai fuori e mena fendenti a destra e a
sinistra su donne e bambini, su giovani e operai, su tutti, tutti, tutti!... Lo stermino
della stupidita non va praticato soltanto sulla carta! Uccidere, bisogna! Eh?... ma
che diavolo dico?”23
3. Husserl, l'enigma della coscienza
Non solo secondo Gombrowicz senza la fenomenologia l'esistenzialismo non
sarebbe mai possibile. Heidegger semplicemente adoperò degli effetti del lavoro
di Husserl, che era il suo maestro dell'Università di Freiburgo. Per testimoniare la
sua gratitudine dedicò L'essere e il tempo al maestro. Husserl pero non si
accontentò e non condivise l'entusiasmo per le sue scoperte.
Da quando non era ammissibile sostenere la persistenza del Noumeno Husserl
rivolse l'attenzione verso i fenomeni introducendo una semplice operazione.
Dichiarò di mettere il mondo tra parentesi. Il mondo smette di essere reale nel
senso attribuitogli dai fisici classici. Iniziò l’era dove l'unica cosa da considerare
rimasero i fenomeni, le apparenze degli oggetti eventualmente esistenti. Il
concetto del fenomeno era già noto nell'antichità, ma aveva un'applicazione
diversa. I fenomeni di Husserl sono delle percezioni del soggetto.
23 Diario II, p. 351.
27
Husserl partì dal dubbio metodico di Cartesio e dalla sua constatazione che
l’unica verità ammissibile è il fatto che io penso. L'armadio esiste come un
fenomeno della mia percezione. Se poi sia oggettivo o meno, è la domanda di
secondo ordine. In questa realtà i sogni abbino lo stesso valore che la veglia.
Sopra Husserl vale la pena di soffermarsi per un attimo. La sua preparazione
era essenzialmente scientifica. Studiò l'astronomia e la sua prima ricerca
riguardava la matematica e le teorie dei numeri. Voleva giustificare il fondamento
psicologico della logica. Qui possiamo individuare le tracie del suo seguente
soggettivismo. In quei tempi la biologia o la geografia furono considerate
altrettanto elitarie come la matematica o la logica, un fatto che per Husserl fu
sconvolgente.
Husserl sotto l'occhio del suo maestro Brentano apprende dalla sua psicologia la
nozione della tensione. Husserl protese a conoscere degli oggetti. Concepì un
atteggiamento dove la coscienza venne illustrata come una tensione del soggetto
verso le cose. Questa tensione è l'intenzionalità. Gli oggetti dell'indagine
intenzionale Husserl chiamò dei noemi. Sono le somme della cosa vissuta dai
molteplici angoli. Sono gli agglomerati dei numerosi punti di vista.
L'oggetto di Husserl esiste nella coscienza del soggetto che lo vede. Hussel non
fu soddisfatto di questa limitazione. Come accade che noi ci permettiamo di
affermare di vedere lo stesso mondo? Husserl tenta di offrire un'alternativa per la
perplessità. Il principio della recezione della realtà è l'ego. Questo ego è astratto.
Vuol dire che appartiene a tutti e a nessuno allo stesso grado. È l'io visto dal punto
di vista psicologico, biologico, fisico ecc. Dietro questo ego astratto, con il quale
osserviamo anche il mondo, Husserl collocò un altro ego. Lo pose nella sfera che
chiamò primordiale. L'ego astratto è vissuto dall'ego primordiale. In effetti
l'oggettività dell'ego astratto viene confermata dal primordiale. L'ego astratto è
astratto e oggettivo appunto perché condivisibile dal punto di vista dell'ego
primordiale che aspira all'universalità. L'astrazione si ottiene con un operazione
che rende l'ego un concetto puro, senza delle memorie o esperienze personali.
Perciò ci vuole che lo vedessimo come un semplice punto di osservazione. La rete
dei collegamenti tra gli ego astratti uguali per tutti che si focalizzano in ego
28
primordiale altrettanto condivisibile Husserl lo chiamò l'intersoggettività. Alla
fine della vita confessò che il suo sogno è fallito e non riuscì a formalizzare la sua
scienza in una onnicomprensiva meta scienza. L'oggettivo di apologizzare la
logica o la matematica falli. Anzi Husserl, come confermarono i suoi assistenti
rivolse lo sguardo favorevole verso un ragionamento simile all'esistenzialismo.
Husserl ritenne importante la nozione della teleologia. La teleologia che
descrisse il progresso che compì l'intelletto umano partendo dalle scoperte dei
Greci fino alle cime della civiltà contemporanea, occidentale ed europea. Ed ebbe
lo scopo di raggiungere il massimo delle potenze, come in Hegel, che secondo
Husserl fin dalle primizie fu iscritto nel genotipo del homo sapiens. Husserl
osservò la decadenza, la decrepitezza di questa gloriosa marcia. Le prove furono
appunto le tendenze alla psicologizzazione, la detronizzazione dei più sacri tesori
della cultura come l'indipendenza dalle scienze rigorose. Lo sviluppo del pensiero
subì secondo lui una stagnazione, un’incertezza.
Husserl si chiese quali siano le basi sulle quali posa il processo conoscitivo.
Nominando il fondamento la sfera primordiale, Husserl volle sapere se quella sia
attiva oppure passiva. La passiva presuppone che come punto di partenza
coesistano tutte le possibilità contemporaneamente in uno stato a temporale.
L’Attiva richiede una generazione dove il futuro si crea spontaneamente
dall'inizio. Qui si pongono delle fonti del tempo. Dalle quali scorrono dei
successivi intervalli del tempo che attraggono e contengono le cose. Se la seconda
opzione fosse vera però, si rischierebbe il dialettico ritorno al punto di partenza.
Questa accadde appunto nel caso della storia delle scienze europee, nel loro
regresso e nella loro crisi. La circolazione è infinita. Jacques Derrida nota nel
saggio su Husserl proprio il fatto che la primordialità passiva non differsce da
quella attiva. La crisi delle scienze europee è appunto il titolo del penultimo libro
di Husserl. Joanna Święszkowska24 paragonando la filosofia di Gombrowicz ai
giochi linguistici di Wittgenstein, allude all'esistenza dei due tipi di discorso. Il
discorso apollineo è tipico per il ragionamento logico, passivo è subordinato.
L'attivo, generico è chiamato da lei dionisiaco. Gombrowicz sarebbe l'erede di
24 Joanna Święszkowska, Gry językowe Witolda Gombrowicza, Wydawnictwo Uniwersytetu
Warmińsko Mazurskiego, Olsztyn 2008.
29
questo secondo.
La biologia indaga una cellula dice Gombrowicz, e si chiede come la conoscenza
della cellula si realizzì nella sua mente. Con Husserl si inizia di trattare la
questione della conoscenza. La conoscenza che riflette su se stessa. Questa
conoscenza è un formato personale. Tutto si riduce alle impressioni quasi private.
Gombrowicz spiega: “Analogamente, non sono mai nato. Non sono nato nel
1904”.25 Nella mia mente dice, c'è un’idea del anno 1904 e del fatto che io
Witold Gombrowicz sono nato nel 1904, non c'è niente di più. Dai individuali
supposizione di Witold Gombrowicz o qualsiasi uno non si può passare alla verità
oggettiva. Per Gombrowicz la coscienza è una sola, non c’è la possibilità di
incontrare delle altre. La coscienza astratta passa nell'altra coscienza altrettanto
astratta informandola. È tutto ciò che sappiamo, non andiamo oltre. La vita è un
complesso di dati che si raggruppano intorno al centro della nostra percezione.
Per gli esistenzialisti la coscienza è unica. Non varia negli individui. Il tema
dell'unita o meno dell'intelletto era il tema principale delle polemiche del
medioevo. Ci si chiedeva se ogni uno abbia un 'intelletto diverso o se c'è un unico
per tutti, un intelletto con delle implicazioni di natura religiosa, se è possibile la
resurrezione.26 “La mia coscienza è solo un dato della coscienza definitiva”27,
ribadisce Gombrowicz. Si divide nella graduale prosecuzione delle coscienze. La
prima coscienza viene descritta dalla seconda, la seconda dalla terza, e via
dicendo. Poi si riuniscono, e da capo.
Husserl ridusse fenomenologicamente il pensiero e continuò il processo che lo
precedette. “Non c' è dubbio che, da duecento anni a questa parte, la coscienza
europea operi all'insegna della produttività: Kant, Marx, Husserl e Heiddeger
segnano in Germania le tappe di questa cauta e progressiva riduzione dello
spirito.”28
25 Diario II, p. 328.
26
Nella filosofia medievale si aveva bisogno di una coscienza moltiplicata, invece
dell'intelletto unico, perché allora al momento della resurrezione ogni uno poteva riacquistare le
proprie memorie, esperienze mentali, ecc.
27 Ivi, p. 88.
28
30
1. Hegel, lo spirito oppure l'uomo - la visione dinamica della
coscienza
“Per non parlare della morte cattolica con il suo inferno e il suo purgatorio, tutta
intrisa dell'anticipazione della pena. Ce ne preoccupiamo talmente poco che
sembra quasi un pensiero alla Hegel, un pensiero che si pensa da solo.”29 La
concezione della storia di Hegel presuppone, che l'uomo in essa inserito fa parte
della grande macchina delle trasformazioni. Qui non c'è quasi posto per lo sforzo
individuale. Tutto è già previsto, la fine è determinata, dobbiamo solo aspettare,
affinché il movimento circolare delle metamorfosi terminerà nella gloriosa
culminazione. Sara la totale spiritualizzazione ed unificazione del tutto. Purtroppo
siamo in movimento. Sono le grandi scoperte di Hegel, le quali praticamente
nessuno non cercherà di revisionare. Gombrowicz parla della: “naturale
conseguenza del nostro attuale pensiero, cosi appassionato di movimento e di
divenire e cosi avverso al mondo statico e definito.”30
La presentazione della filosofia di Hegel era per Gombrowicz indispensabile,
perché Hegel fu lo spunto e la causa della ribellione di Kieerkegaard e in
conseguenza della nascita dell'esistenzialismo. Hegel pero è anche il padre della
seconda linea nella filosofia rivelata da Gombrowicz. È quella che sottopone
l'individuo alle esigenze del gruppo. È la storia, l'eroe del romanzo filosofico di
Hegel. Dico romanzo, perché tanti sono d'accordo dell'alto livello letterario della
fenomenologia dello spirito. Anche l'idea che lo anima, è in realtà altrettanto
favolosa, come surreale. Lo spirito totale morale, raggiunto dall'umanità
nell'ultima fermata dell'avanzamento, aggrappa l'uomo e lo digerisce. Esattamente
parimenti scompare l'io dei marxisti, uniformato nella coscienza anonima
unificata. Gombrowicz non allevava tante speranze per il pensiero hegeliano, ma
29 Witold Gombrowicz, Diario (1953-58), Feltrinelli, Milano 2004, p. 54.
30 Ivi. p. 316.
31
alcune nozioni di tale pensiero valevano la pena di essere avvalorare, secondo lui.
Una di esse fu il concetto del divenire, del costante movimento, che fu appena
sfiorito nella filosofia classica. Queste mutazioni sono principalmente un
perpetum mobile, ma all'uomo è stato permesso di lasciarci anche delle sue tracie.
È diventato l'autore delle sue leggi, che conciliano la morale tradizionale tracciata
e portata nell'intimità privata del singolo con l'etica dello stato. Egli, nel progresso
monumentale della storia, si realizza finalmente, nell'identificarsi con lo Spirito,
un dato al quale da sempre aspirava. La coscienza umana è l'attore e lo spettatore
di questa opera grandiosa.
Il protagonista di Hegel, pur stigmatizzato dalla passività, ha intanto
l'opportunità di godere lo spettacolo della coscienza. Il mondo è assimilato dalla
ragione per mezzo di un complesso processo illustrato da Hegel in una metafore.
Immaginiamo un enorme tempio, dice Gombrowicz. Dopo il superamento
dell'entrata sono visibili solo i pezzi del muro. Come accostati alle pareti, con
impregnati in pietra racconti degli scultori medievali, le nozioni della coscienza,
pian piano, si spiegano con ciascun passo nel tempio della chiesa – mente.
Acquistano il senso nel suo insieme. Sono comprensibili solo una volta per bene
contestualizzati dall'inerzia nella pienezza del mito che rappresentano. La
decifrazione è un processo lento, progressivo. Quando finalmente ci è consentito
di raggiungere il centro, ecco che si assimila e comprende davvero l'immenso
materiale finora disperso. I frammenti raccolti acquistano il senso. La ragione ha
reso la cattedrale consistente. La nostra evoluzione nel mondo, lo sviluppo che
dobbiamo compiere, corrispondono a questo processo. Con il passare dei giorni
divento sempre più colto. L'accumulazione degli aspetti diversi della stessa cosa
mi permette di non cadere in interpretazioni parziali. Ogni giorno ci aggiunge dei
fenomeni prima impensabili. I motivi dei singoli eventi, otterranno nel cosmo
raccolto la lucidità, che non avevano ancora quando erano appena apparse. Al
momento finale della nostra storia saremo in grado di risponderci alle domande
che da tanto non ci lasciavano in pace. La segreta destinazione del cosmo non ci
provocherà più nessuna perplessità. L'umanità sarà il testimone della scomparsa
del tempo e dello spazio. Il soggetto e l'oggetto si trasformeranno nell'unità
assoluta, nella congiunzione totale. Cesserà ogni movimento.
32
Le fantastiche proposizioni di Hegel non hanno per Gombrowicz nessuna
validità. Lo aiutano però ad orientarsi nel mondo. Per Gombrowicz, Hegel gli
diede uno dei numerosi itinerari alternativi. Pero la dialettica che servì a Hegel per
sviluppare il magnifico sistema conserva ancora importanza per lui. La formula
così:. Ogni tesi ha la sua antitesi al livello più alto. Segue la sintesi, che di nuovo
è pronta di operare come la tesi. Le antinomie sembrano di non aver una fine. Il
proseguimento continuo dello sviluppo si realizza nelle contraddizioni. Hegel
sostiene che l'imperfetto spirito umano quando si trova nella fase preparatoria, è
fondato sulla contraddizione. È uno spirito parziale e quindi insufficiente per
colmare una composizione chiusa e completa. I giudizi che fonda sono anche loro
imperfetti.
È la base stessa dello spirito che impone il procedimento contraddittorio. Il tutto
presuppone una parte. Quando penso al colore bianco, automaticamente lo metto
in rapporto con il nero. Nella storia c’è da osservare un paragonabile meccanismo
nel funzionamento dello stato, dice Hegel. Dopo la dittatura segue la rivoluzione.
È effemeride, piuttosto corregge delle inammissibili disuguaglianze, deve perciò
essere seguita da una correzione, un sistema conservatorio, oligarchico,
democratico, qualsiasi. Nella cattedrale il nulla è completato da qualcosa. Passo
dopo passo la statua della ragione si rende perfetta, con l'avanzamento dei singoli
successi della scienza.
Il dialettico movimento riguarda in Hegel anche la logica. La novità qui è
illustrata da un furbo ragionamento, osserva Gombrowicz. Hegel prende
l’affermazione che “non esiste nulla” ma la accompagna però con la precisazione,
che esiste questa affermazione. Cosi qualcosa esiste, e quello è l'essere. Se non è
una cosa deve essere almeno una categoria. Ora se applicheremo la legge della
conseguenza dialettica, la categoria dell'essere dovrà essere accompagnata da
quella del non essere. Il punto di partenza di ogni procedimento hegeliano sono le
antinomie dello spirito. È la dialettica. Degli elementi delle coppie del
procedimento dialettico otterranno il senso nella reciproca attribuzione. Il bianco
è bianco solo determinato dalla opposizione del nero. La logica di Hegel differisce
dalla tradizionale perché non postula del principio dell'identità. A non è uguale ad
A. Nella cattedrale tutto si contraddice nel movimento che non è arrivato alla sua
33
piena realizzazione. Le impressioni che nell'uomo stimolano il processo
conoscitivo e che continuamente si creano nei confronti a certi oggetti, mutano
appena si trovano in un altro complesso interpretativo.
Gombrowicz è impressionato dalla filosofia del divenire di Hegel, apprezza
l'innovatività, il fatto, che non ha pari nei sistemi che la precedono. In questo
senso rappresenta un passo avanti. È il progresso fatto dalla ragione in quanto
tale. In ogni scoperta scientifica, ogni volta quando si arricchisce il dominio del
sapere, cresce anche la ragione, cosicché è gradualmente intensificata. Esclusi
dalla considerazione sono gli animali, è il fatto sintomatico, perché Hegel
giustificando le conquiste europee in America, pone grande valore nell’eredità
occidentale, diminuendo gli indigeni paragonandoli alle bestie. È la filosofia della
storia dell'uomo. Hegel non pone l'importanza alla natura, per lui il sole tramonta
o si leva sempre nella stessa maniera, non ci sono delle oscillazioni. I pianeti
girano da sempre allo stesso modo, perciò non lo interessano. Il motore dei
cambiamenti che portano all'evoluzione, è lo spirito umano. In Hegel c'è la
particolare coscienza, che non è la coscienza umana che è consapevole ma è il
mondo che raggiunge questo stato passo dopo il passo. “L'uomo è il principio
attraverso il quale la ragione del mondo arriva alla coscienza di se”31.
Gombrowicz non è indifferente nei confronti del fatto che Hegel attribuisce
all'uomo una qualche potenzialità, fin ora secondo lui negatagli completamente.
Delle virtù antiche praticate dall'individuo, avevano lo scopo di migliorare la sorte
della comunità. Quelle medievali furono gratificate con l’idea di una vita ultra
terrena. Adesso all'uomo venne chiesto di prendersi la responsabilità per il
disegno delle proprie leggi. Perchè la Storia sarebbe stata l'effetto dei singoli atti
degli individui.
L'innegabile successo della Fenomenologia dello spirito è dovuto alla
focalizzazione della sua attenzione sulla storia. Per Hegel la storia è la storia dello
stato, lo stato è la morale, la quale dipende dall'uomo. Nell'uomo c'è il conflitto
tra la morale impostagli dalle leggi, e quella che si trova dentro di lui, l'etica del
costume. La situazione ideale è far coincidere questi contrari. L'etica è il concetto
31 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994, p. 78.
34
che concilia e raccoglie in se il diritto e la morale tradizionale interiorizzata ma
non scritta. Il mondo etico è constatato come cosa infinita e dunque come totalità.
Esiste il diritto umano e divino e una loro influenza reciproca. C'è l'uomo e la
donna, la nazione e famiglia, la legge del giorno, e della notte, i diritti
dell'individuo. È presente anche il movimento (il divenire), che è da riscontrare
nelle leggi del governo e nella guerra che è per Hegel la potenza negativa.
Abbiamo la relazione etica tra l'uomo e la donna nel senso di fratello e sorella ecc.
L'etica di Hegel tende nella sua varietà ad unirsi in infinito alla totalità. Hegel si
propone lo sforzo sovrumano di strutturalizzare l'universo in uno schema che
raggiunge tratti divini nella mega dimensione. L'individuo si trova qui in secondo
piano. Lo Stato gli offre la prospettiva di avanzare. Lo stato nella fase della
culminazione del mondo, risplende nello spirito. Che cos'è lo Stato? Lo Stato è
appunto la realizzazione delle esigenze morali. “Lo stato è la realtà dell'idea
morale. È lo spirito morale in quanto volere (volontà); l'idea morale è evidente per
se stessa e sostanziale, che pensa mediante se stessa e sa e realizza ciò che sa in
quanto sapere”32 L'idea dello stato acquisisce dei tratti antropocentrici e la
morale viene animata. Per Gombrowicz questo teatro, dove gli animali parlano, e
lo Spirito Santo annunzia l'apocalisse, è: “un orribile esempio dello stile
hegeliano”. Lo spiega cosi: in precedenza l'uomo fu sottoposto alla legge morale,
per esempio divina, o all'imperativo categorico kantiano. L'uomo usufruisce della
legge già preparatagli. La rivoluzione consiste nel fatto che d'ora in poi l'uomo col
aiuto di se stesso si sta procurando dei diritti nel processo dialettico. Cosi anche le
leggi non solo l'uomo occorre che siano imperfette, parziali e in movimento.
Nonostante lo spirito politico, Gombrowicz vuole vedere in Hegel la tendenza di
rivendicare lo spazio per l’uomo.
Tuttavia Hegel resta fedele alla globalizzazione e all'apologia dello stato. Hegel
definisce lo Stato in due modi. Lo stato è la realizzazione del volere individuale.
Lo stato è lo spirito che si estende senza confini attribuendo la forma al cosmo. Il
processo dialettico è onnipresente. Lo stato nello stadio ultimo, dopo le infinite
guerre, positive in quanto ai risultati, approfitta dello splendore del benessere.
32 Ivi. p. 81.
35
Assume l'aspetto divino. La propagazione dei sistemi di Hegel è dovuta alla
mediazione di Marx, allo quale passeremo in avanti.
4. Esistenzialismo – Kierkegaard, una dialettica
replica al dialettico
“Ho già detto che questa corrente spirituale, cosi caratteristica per i nostri tempi,
proviene dai due bisogni dell'uomo moderno. Il primo è il crescente dispiacere
che sboccia dal pensiero astratto e teoretico che nutre il desiderio di cogliere una
realtà concreta, quella che nella lingua parlata si chiama “la vera vita”. Il secondo
– è di riuscire a cogliere questa vita nella sua variabilità, nel suo movimento, al
caldo. Quando attraverso i secoli, da Aristotele al Kant, il pensiero umano si
concentrava in anzi tutto sul mondo delle cose, l’ esistenzialismo si è proposto di
conquistare la verità dell'esistenza, della vita, di qualche cosa che è l'eterno
movimento, il diventare, il cambiamento.
Ma c'è anche all’origine dell'esistenzialismo un'altra necessità, non meno
urgente: non solo desideriamo separarci
dall'astrazione e impossessarci del
concreto; non solo abbandoniamo delle cose morte e vogliamo mettere a fuoco la
vita; ci separiamo dall'oggettivismo, e stiamo tornando al soggettivismo”33
Hegel fu l'ultimo che cercò di raccogliere l’insieme di tutte le nozioni
metafisiche e di collegarli. Gombrowicz ironizza a proposito in Corso di filosofia,
che secondo la legge della dialettica hegeliana all’ora ci sia il tempo per
apparizione dell'antitesi raffigurata da Kierkegaard. Kierkegaard, il pastore
protestante danese, nutrì al principio una pia ammirazione per Hegel. Ma ad un
tratto si ribellò. La lotta che scoppiò fu per Gombrowicz una dei più drammatici
accadimenti nella cultura.
33 Witold Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 194 – 93.
36
Ecco il nocciolo della sua opposizione. All’interno del monumento della propria
dottrina Hegel rimaneva irraggiungibile. La teoria che costruì fu imponente, però
senza valore, sostenne Gombrowicz. Perché? Nei suoi scritti apparse una sola
volta la parola “esistenza”, disse. Hegel trascurò l'esistenza, è per questo le sue
dissertazioni non valsero molto.
Marx quando descrisse da Berlino in una lettera diretta al suo padre il resoconto
dei suoi progressi nei suoi studi, ammise in essa di nutrire disprezzo per le teorie
di Hegel perché testimoniavano sua alienazione determinata da una promozione di
una vita che assomigliava ad un eremitaggio di astrazioni. Le idee proposte da lui
non avevano delle applicazioni pratiche secondo Marx. Anzi la sua fu secondo lui
una filosofia aristocratica, vuota e inutile. Vale la pena ricordare pero, che poi
Marx nella cerchia privata di amici confessò che non avrebbe potuto vivere mai
secondo le prescrizioni di Marx.
Concetti e astrazioni, dice Gombrowicz, è tutto quello che ci sopraggiunge dai
scritti di Hegel. Per Hegel il cavallo è un animale a quattro zampe, reclamò
Gombrowicz. Accade però che i cavalli sono diversissimi tra di loro, la gamma
dei loro colori e dei disegni nei quali sono raffigurati è infinita, i loro gusti ed
abitudini altrettanto. Sono nati in giorni diversi, portano svariati nomi, sono
distinguibili ed entrano in relazione. In conseguenza secondo Gombrowicz i
concetti universali introdotti da Aristotele, i famosi concetti universali presenti in
Tommaso, Cartesio, Spinosa e Kant mirano al nulla. Il suo pensiero è che:
L'esistenza preferisce l'uomo che si possa toccare. “È qui che il pensiero trova la
sua contraddizione più interessante e più violenta”.34 L’esistenzialismo è la
contrapposizione adoperata incoscientemente da Kierkegaard, rispetto al metodo
dialettico di Hegel composto dalla dinamica distinzione tra tesi – antitesi – sintesi,
che portò proprio all'esistenza, nota Gombrowicz.
Certe implicazioni nella rivoluzione di Kierkegaard sono tragiche, disse.
Lasciando indietro i concetti Kierkegaard è uscito dalla terra ferma del
ragionamento, sostenne. E affermò che si era declassato come scienziato. Con
34 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994, p. 84.
37
l'avvenuta mancanza non poteva più sperare nel sostegno della nobile società dei
ricercatori. Il discorso filosofico ebbe delle regole rigide. Per conquistare
l'attendibilità del da lui fondato esistenzialismo Kierkegaard dovette adattare
qualche nuovo sistema. Dovremo attendere questo desiderato risultato dal suo
successore Husserl.
Proseguendo con il Corso di filosofia Gombrowicz spiega: “L'esistenzialismo è
nato direttamente dall'attacco di Kirkegaard a Hegel. A dire il vero non esiste una
scuola esistenzialista, ne esistono parecchie, tra qui quelle di Jaspers, Gabriel
Marcel (questo triste idiota), Sartre, ma in realtà l'esistenzialismo è un
atteggiamento che viene da Parmenide, Platone, Gesù Cristo, San Agostino, e
giunge fino ai nostri giorni”35. Gombrowicz distingue l'esistenzialismo nel senso
esteso, e qui c'è un posto anche per Socrate, da come lo intendiamo pensando
all’esempio di Heidegger. Gli esistenzialisti presi nella loro totalità si distinguono
dai rappresentanti della filosofia classica. La differenza principale è tale che
l'esistenzialismo, come è stato detto, rifiuta l'uso dei concetti. I concetti sono
inesistenti nella realtà, dice Gombrowicz. Perché provengono da dimensioni
completamente diverse. Per esempio i numeri possiamo attribuire agli oggetti, ma
in quanto tali scappano dalla nostra gestione diretta. Invisibili, irraggiungibili,
ordinano il mondo da una posizione infinita. La tragedia dell'esistenzialismo
consiste nel fatto che, negando la mente pura, si privò dal tramite cardinale che la
fece operare e divenne così un irraggiungibile mistero. Incapace di mantenere la
sua posizione di fronte agli attacchi.
Il ragionamento cammina tramite concetti. Le leggi generali sono impensabili
senza la logica. Un'onnicomprensiva teoria esistenziale sarebbe allora in queste
condizioni quasi impossibile. Eppur la strada che porta ad una rivitalizzazione
della filosofia venne aperta da Kierkegaard. Che scompose il monolito di Hegel,
trovando un buco nella sua impeccabile costruzione. “La verità hegeliana è
anticipata prima dal ragionamento”. Le proposizioni precedono la loro
elaborazione. Le idee sono scelte autoritariamente. Il ragionamento giustifica le
preferenze che lo anticipano. “È impossibile lottare con ciò che l'anima ha scelto”,
35 Ivi, p. 85.
38
confermò Gombrowicz con la citazione dello
scrittore romantico polacco
Żeromski. Hegel premeditò il suo universo. In conseguenza non ebbe il diritto di
continuare con il suo ragionamento classico come se niente fosse. Fu un discorso
nel vuoto, sospeso nell’aria per un capriccio del suo autore. Il suo mondo
accademico fu sospeso nel vacuo della futilità dell'incosciente visionario.
5. Heidegger, l'angosciosa coscienza della
struttura
“Per Kieerkegaard, Heidegger e Sartre, più profonda è la coscienza e più
autentica è l'esistenza: misurano l'autenticità e la verità dell'esperienza dalla
tensione della coscienza.”36
Dopo la decostruzione del mondo classico e della scienza riconosciuta fino
all’ora come assolutamente valida, rimase l'io e l'incerto cosmo fenomenico.
Heidegger focalizzò l'attenzione sul vecchio e da tanto non spolverato tema
dell'esistenza. La questione dell'esistenza fu posta dai filosofi antichi, ma nel
percorso dal medioevo alla modernità pare però che venne trascurata. Mentre gli
studiosi del medioevo erano preoccupati per l’applicazione della fede nella
ragione, rendendola autorevole quelli moderni intraprendevano la strada verso il
soggettivismo. Heidegger si chiese: che cos'è l'essere? Che cos'è l'esistenza (una
forma dell'essere)? Quale è il senso dell'esistenza?
Le cose vennero definite dal “Seiendes” disse, dall'assurdità, dalla
disconnessione con il tempo. Le cose non sanno di esistere. Anche l'uomo è una
cosa, ma non si ferma su questo livello. L'uomo trascende la sua coscienza verso
l'esterno e la esamina da fuori.
“Sein” è sensato e significativo. Il Dasein trascende, adduce alle cose un
contesto. Dalla cosa si arriva al suo significato. Partendo dall'affermazione
dell'uomo si passa a dar senso alle cose e agli uomini. Il Dasein è l'essere
36 Witold Gombrowicz, Diario (1953-58), Feltrinelli, Milano 2004, p. 254.
39
superiore alle cose. È il significato. L'esistenza assurda è ontica, la sensata è
ontologica. Per essere un uomo la potenzialità deve farsi uomo. Secondo
Heidegger ci sono poche persone che meritano la definizione di uomo, di uomo
appartenente alla vita, gli altri vivono in relazione con le cose che Heidegger
chiama “Sorge”. “Sorge” è la Cura, è la preoccupazione della propria
sopravvivenza, la conservazione della vita, della specie ecc. La relazione
dell'uomo con l'ambiente è pervasa dalla superficialità. La religione è la fuga dalla
responsabilità. La scienza istituzionalizzata è la prova di evitare il confronto con
la nuda condizione umana. L'esistenza diventa banalizzata. La scienza profonda
cede il posto a quella superficiale. L'uomo quando si occupa delle cose, le espone
a seconda della sua esperienza privata. È drammatico vedere, dice Gombrowicz,
come la scienza assomiglia alla biografia del suo autore, alle necessita del tempo.
L'esistenzialismo non accetta questa falsificazione. Per essere autentico bisogna
accettare l'angoscia. Che cos'è l'angoscia esistenziale? La paura di qualcosa,
l'angoscia del nulla. Il nulla è la perdita, il niente e il nonsenso. Per Heidegger il
nulla procede l'essere. L'esistenza è come una fiamma che richiede l'alimentazione
dice Gombrowicz. La vita è la conquista, è il progettarsi nel futuro. La
preoccupazione del futuro si traduce nel concetto della Cura. Sono le possibilità
del mio essere, dice Heidegger. Il presente dura in funzione del futuro. L'uomo ha
delle sue aspettative, paure, desideri, piani, che fanno sì ch esista simultaneamente
due momenti del tempo. È nel presente completamente sommerso nei sogni del
futuro. Il futuro in conseguenza determina il suo presente. Si rendono uno e nulla,
perché l'uomo è in relazione superficiale con la sua vita. L'uomo non vuole
veramente adempiere dei propositi che intende. Li basta
soffermarsi per un
attimo, per poi evadere da esso per gettarsi in un altro affare. Heidegger lo chiama
la curiosità e dichiara che la curiosità è vuota. Vuoto è anche il modo di parlare
degli uomini che non pretendono di dire qualcosa, ma di ripetere degli schemi di
conversazione. Ripetono quello che avevano ascoltato. Fanno quello che hanno
visto fare gli altri. Cosi Si va al cinema come vanno tutti, Si legge dei giornali, dei
libri che ci consigliano, e per lo più ci Si scandalizza della trivialità come lo fanno
gli altri.
L'esistenza che non viene accompagnata da questa coscienza si manifesta in un
40
banale ritiro. A differenza del passato causale il futuro può essere l'ingaggiato per
la libertà e creazione. Questa schematicità notata e teorizzata da Heidegger è un
incentivo che trasporta molto il pensiero di Gombrowicz. Delle implicazioni
pratiche sono state portate alla maturazione da Sartre. Nonostante abbia constatato
delle somiglianze Gombrowcz disse: “Quando ho cercato di applicare alla vita la
massima consapevolezza possibile, tentando di costruirvi sopra la mia esistenza,
mi sono reso conto che mi stava succedendo qualcosa di molto sciocco. Niente da
fare: non si possono soddisfare le esigenze del Dasein (Esserci) e, nello stesso
tempo, fare merenda con caffè e brioche. Avere paura del nulla, ma molta di più
del dentista. Essere una coscienza che gira che gira in pantaloni e parla al
telefono. Una responsabilità che va a fare spese nel centro. Portare sulle spalle il
peso di un'esistenza significativa, dare un senso al mondo e restituire il resto a
dieci pesos.”37 La contraddizione dell'esistenzialismo che sostiene la fuga dalla
teorizzazione è apparso a Gombrowicz in tutto il suo orrore.
6. Sartre, la libertà o il marxismo
La differenza principale tra la filosofia classica e l'esistenzialismo dice
Gombrowicz, consiste nel fatto che la prima si limita alla descrizione del mondo
come il regno delle cose. L'uomo è per Aristotele una cosa. Nell'esistenzialismo
l'accento si sposto all'individuo e alla sua esistenza. Anche nella filosofia di Hegel
è messa in rilievo questa differenza. Il suo concetto del divenire lascia lo spazio
libero per la vita. L'avanzamento dipende dall'uomo. è lui a scegliere delle leggi.
L'esistenzialismo si propone di restringere il campo d'esame solo ai fatti
concernenti l'essere e il tipo particolare dell'essere che è l'esistenza.
Il mondo esistenziale, secondo Gombrowicz è impenetrabile. Il metodo
fenomenologico assicura una qualche approssimazione. Gombrowicz paragona
37 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 258.
41
l'atteggiamento del fenomenologo al processo di mangiare un carciofo. Tagliando
una foglia dopo una foglia si arriva al centro. Il centro non è afferrabile
razionalmente. Bisogna cambiare il procedimento e servirsi dell'intuizione diretta.
Sartre è l'esistenzialista par excellenze. “Ma per comprendere i postulati
enunciati da Sartre in Situazioni bisognava aver prima capito il suo concetto di
“liberta”, il che richiedeva lo studio approfondito delle settecento pagine di
L'Essere e il Nulla (barba tremenda); ma, in quanto ontologia fenomenologica,
L'Essere e il Nulla richiedeva la preventiva conoscenza di Husserl, per non parlare
di Hegel e di Kant... Quanti mi chiedo, tra tutti quelli che hanno discusso le tesi di
Sartre, sarebbero stati in grado di affrontare una commissione esaminatrice?”38 Il
pensiero di Sartre, venne distinto come una piramidale catalogazione degli strati
della coscienza che in seguito venne scaturito principalmente da Heidegger. Come
abbiamo visto, fu Heidegger che abbozzo dei sentieri che portarono l’uomo alla
libertà. Per essere libero l'uomo deve ricordarsi della sua morte, e rinfrescare
continuamente il suo tendere verso la propria morte, anche se questo provoca
l'angoscia. Non è tanto il voler morire, quanto l’apprendere che la morte può
avvicinarsi in ogni momento, da qualsiasi parte e in qualsiasi modo, e questo
ricordo si dovrebbe eleggere motore delle nostre proprie scelte. L'uomo si proietta
continuamente nel futuro. Idea quello o questo. Una simile attività lo aiuta a
dimenticarsi della sua reale destinazione. L'uomo parla e riflette sulla morte, per
banalizzarla, per renderla una realtà che riguarda solo gli altri e non lui stesso. C'è
la certezza della morte, dice Heidegger, ma la maniera di esserne certo, favorisce
appunto un allontanamento dal pericolo. Certamente si muore, dicono di solito gli
uomini, ma purtroppo siamo vivi aggiungono. Heidegger parla della libertà che è
data all’uomo nell'indirizzarsi verso la Propria morte, che disegna il composto più
autentico, ed originale dell'uomo. Soltanto con questa coscienza possiamo esistere
pienamente.
Da questo luogo veniamo provvisti dall'elenco dei livelli dell'iniziazione alla
coscienza. Non hanno coscienza le cose, gli animali e gli uomini che si ritirano
dalla responsabilità. Sartre riprende la concezione dell'uomo di Husserl. L'uomo
38 Diario II, p. 185.
42
non è l'essere in sé, come gli oggetti. È per sé, è cosciente di sé. Dentro di lui c'è
lo spazio che passa da lui all'oggetto della sua coscienza. La coscienza si divide.
Nel quadro e nello spettatore c'è una quantità della coscienza relativa al singolo.
Ma tra di loro rimane il vuoto che secondo Sartre è tragico. Lui intitola il suo libro
appunto L'essere e il Nulla.
Seguendo Sartre Gombrowicz suddivide l'essere in tre tipi. 1. L'essere in sé,
cioè l'essere delle cose. 2. L'essere per sé, che è l'essere della coscienza. (La
coscienza è presente nell'oggetto e nel soggetto. È nel quadro e nello spettatore.
L'essere indipendente è la morte.) 3. Esseri viventi ed esseri esistenti. L'uomo è
esistente perché cosciente, libero di scegliere consapevolmente e creare il suo
essere, agli animali invece questo privilegio è sottratto. Innovazione introdotta
dagli esistenzialisti nell'ambiente della filosofia della vita, fu quella, per sopra
menzionati motivi, di principiare una concentrazione rivolta esclusivamente sugli
uomini. Occorre rammentare che agli uomini incoscienti non viene riconosciuta
l'esistenza. Per Sartre gli animali non hanno ne l'esistenza ne la coscienza. È la
classificazione che proviene dall'Essere e il nulla.
Sartre determina le dimensioni del mondo fenomenico. Gli oggetti differiscono
dagli uomini, ma non vengono più definiti come una volta. La solidità della
materia è apparente. Gli oggetti sono delle curvature dello spazio unico, che
ottiene delle diverse sfumature che poi si mostrano come le cose. L'essere in se
degli oggetti è atemporale. È in sé. L'oggetto non è perfetto, abbisogna della
coscienza che lo riconosce. A non è uguale ad A. Una seggiola non è una seggiola.
Dipende dall'osservatore, dalla sua interpretazione. L'essere in se degli oggetti
non dipende né dallo spazio né dal tempo. Invece l'essere per se ha l'inizio e la
fine. Per questo motivo l'essere in se può essere anche considerato superiore
all'esistenza umana. La nausea, il titolo del suo capolavoro, significa secondo
Sartre quello che è di troppo nel uomo. È il corpo. Il corpo è inevitabile per la
concretizzazione dell'esistenza. L'uomo possiede un suo passato. È fatto,
realizzato e definito. Le sue azioni future sono determinate dai precedenti.
Nell'avvenire passa dal mondo delle cose all'attualizzazione. Scopre se stesso.
Quello però li sottrae la libertà.
43
Sartre va oltre alle limitazioni che il corpo impone all'uomo. “Chi, più di lui,
aveva il diritto di pretendere il ritirarsi dietro l'oggetto, dietro il corpo, addirittura
dietro l'”io”, nella sfera del pour soi, dove si esiste per se stessi? Introdurre il
Nulla nell'uomo – ma ciò portava anche alla purificazione della bruttezza!”39 A
tale punto Sartre libera l'uomo e se, che rimane solo. Gombrowicz descrive il
processo che lo porto a tale punto. Sarte fu spaventato dalla folla. “Fatto sta che
Sartre, allora giovane, passeggiava in avenue de l'Opera alle sette di sera, nel
momento di maggior traffico. La cosa (come in seguito confidò agli amici) era
particolarmente insopportabile – sperimentare l'uomo a distanza ravvicinata, quasi
come una minaccia fisica e, nello stesso tempo, sentirlo disumanizzato dalla
massa, come un'ennesima ripetizione dell'uomo, una replica, un esemplare, quasi
una scimmia... (…) ...il nostro giovane non ancora autore di L'Essere e il Nulla
prese a invocare con tutta l'anima la solitudine. Ah! Stare per conto proprio!
Appartarsi! Tagliare i ponti! Fuggire!”40 Qui avviene, che Sartre si spaventò della
possibilità che la sua solitudine potrebbe essere condivisa dagli altri. Gli altri
potrebbero sentire la solitudine allo stesso modo come la percepì Sartre. Visto
questo, Sartre sviluppa instancabilmente la sua concezione del ritirarsi dalla
società. “...basandosi su varie filosofie del passato, abbozzò un proprio sistema
che, in quella fase iniziale, proclamava semplicemente che io sono io, non Pietro
o Paolo: io sono io in modo esclusivo, definitivo, impenetrabile agli altri come
una scatola di sardine. A parte che gli altri non esistevano!”41 L'inesistenza
dell'altro è necessaria, se si vuole salvare la coerenza logica della descrizione
della coscienza. Per la coscienza del soggetto l'altro deve essere l'oggetto. Per la
mia coscienza, quando rifletto su di me, sono l'oggetto. Allora non esisto, in tal
modo l'altro non può coesistere, è sempre e solo l'oggetto della mia percezione.
“...l'esistenza degli altri è comunque la più evidente e tangibile delle realtà – ma
per Sartre, esistenzialista oltre che marxista e moralista, riconoscere tale realtà è
stata quasi una questione di vita o di morte. E tuttavia, dopo un'approfondita
analisi di questo problema in Descartes, Kant, Hegel e Husserl, egli si è trovato
costretto ad ammettere che, in senso rigorosamente filosofico, l'esistenza dell'altro
39 Diario II, p. 239.
40 Diario II, p. 179.
41 Ibidem.
44
è inaccettabile. Nel momento stesso in cui accettassi il fatto che anche l'altro è una
coscienza, per quella coscienza estranea diventerei un oggetto, quindi una cosa. A
stretto rigore di logica, non possono esistere due soggetti, l'uno esclude l'altro.”42
Sartre consacrò quindici pagine, dice Gombrowicz, per deliberare se l'altro uomo
esiste o meno. Disperatamente voleva un segno che lo difesse dalla bestia della
solitudine. Dai suoi ragionamenti risultò che esistette solo lui. L'uomo è per un
altro uomo solo l'oggetto. Lo avevano appreso Kant, Hegel e Husserl. Von Kleist
stava per suicidarsi quando scoprì il soggettivismo kantiano. La responsabilità che
l'uomo libero e solitario ha dinanzi a se stesso, implica l'angoscia. Lo
riconoscevano Heidegger, Kirkegaard, e Sartre. L'angoscia per Heidegger
differisce dalla paura che è sempre di qualcosa. Di una tigre. L'angoscia invece ci
sopprime da dentro. In questo vuoto è solitudine esistenziale, dice Gombrowicz,
l'uomo è responsabile della scelta che compie, e la deve sostenere liberamente. Il
rifiuto della scelta è nel sistema sartriano anche una scelta. Invece nel comunismo
o capitalismo ci si può accomodare in una posizione neutra. Sartre è un ateo senza
compromessi. Di qui scaturisce la sua nozione della indeterminata scelta dei
valori. Nella sua assoluta libertà l'uomo crea dei valori. Può scegliere tra
assassinare il suo nemico oppure lasciarlo in pace. Non c'è l'arbitro a giudicarlo.
Nella sua scelta si rende l'assassino o meno. Sceglie il futuro e il passato. Si
concretizza.
La maggioranza degli uomini rifiuta la considerazione della problematica posta
dall'esistenzialismo. Si ritirano dalle responsabilità. Sartre chiama questo atto la
malafede. L'uomo si inganna, ma è libero a farlo. Il respingimento della volontà è
compiuto dalla volontà stessa. È la libera decisione. La solitudine viene in
conseguenza dimenticata. La responsabilità si dissolve in un mito della
convivenza. Dal faticoso dovere di organizzare la vita l'individuo è sostituito dal
gruppo e dai suoi idoli. Per Sartre è un porco colui che nasconde di fronte a se la
responsabilità. Racconto la storia di un giovane, che scoprì di essere omosessuale
e si spaventò di quest'orrore. Lo mascherò diventando un antisemita.
Heidegger e Sartre sono d'accordo sul fatto che l'uomo merita il suo nome solo
42 Diario II, p. 386.
45
se è autentico. Chi sceglie l'inautenticità vive una vita falsa. Ma il loro uomo
esistenziale è concreto, solo, e fatto di nulla, è quindi libero. Può scegliere di
nascondersi dietro di sé, di essere un antisemita o un nazista. Queste sono le
inevitabili conseguenze delle premesse della filosofia esistenziale. È per questo
che Gombrowicz sostiene che è impossibile fare la filosofia. “Ecco un gioco di
parole, proprio di Heidegger come Sartre di cui si infischierà assolutamente chi ha
scelto la pretesa non-esistenza”.43, dice.
Adesso Sartre, quando ormai nessuno rimase nel suo orizzonte, si preoccupò di
nuovo, questa volta della solitudine sconvolgente. La solitudine enorme, che dal
sua esordio fu moltiplicata dalla quantità di tutti gli uomini viventi. “Come? Sono
solo! (…) Ho respinto la filosofia classica perché troppo sociale e comunicativa
nella sua logica astratta, mi sono chiuso in me stesso, io – impenetrabile e solo in
seno alla mia coscienza!”44 Disperato, Sartre si gettò alla ricerca degli uomini.
Ma allora venne fuori che: “...quest'Altro, ristabilito e ripristinato da Sartre, non
aveva più niente a che fare con l'uomo concreto. Non era ne Pietrone Paolo, ma
semplicemente l'Altro in quanto tale. Un Oggetto al quale si concedeva il carattere
di Soggetto e di cui si riconosceva la libertà.”45 Qui culmina la tragedia. Sartre
che scappava dalla gente, fu circondato dalla foresta degli tutti possibili individui.
Dall'uomo in generale. Per lo più, sollecitato dai contenuti di tutti i libri editi da
lui. Identici. Sartre stava per suicidarsi. L'oscillazione dall'assoluto isolamento,
alla sfrenata socievolezza sembra molto caratteristico per Sartre. Cosi almeno si
presenta l'intera vicenda nel racconto di Gombrowicz, che da parte sua lo udì da
Georges Girreferest – Prest.46
Non è l'unica interpretazione. Il coinvolgimento politico di Sartre non era il
secreto. Quali furono gli argomenti della sua fissazione sul marxismo? Perché,
come chiese Gombrowicz, Sartre non fu autenticato come porco, quando scambiò
la responsabilità con lo schieramento collettivo? Lo sfruttamento dell'uomo da
parte dell'altro uomo fu nella prospettiva sartriana una limitazione della libertà
altrui, dunque, come disse, la limitazione della libertà sua. Solo accettando la
43
44
45
46
Ivi, p. 101.
Ibidem.
Ibidem.
Diario II, p. 178.
46
libertà altrui ci si può liberare dallo sguardo dell'altro che ci persegue e chiede il
riconoscimento. Sartre postulava il coinvolgimento degli uomini della cultura
nella politica e pubblicò la Critica della ragione dialettica nella quale provava a
conciliare l'esistenzialismo con il marxismo. Sartre fu atterrito tra il marxismo
scientifico e l'esistenzialismo che è il suo contrario, osservò Gombrowicz. “Qui
crolla drammaticamente tutta la filosofia di Sartre e tutte le sue possibilità
creatrici, e quest'uomo dotato di uno straordinario genio diventa un triste ometto
(marxismo – esistenzialismo), che in fondo è obbligato a fare una filosofia di
concessioni”47 Il sistema morale ha nel caso di Sartre la stessa mancanza di
quella di Hegel, perché fu anticipato e imposto arbitrariamente.
Per Gombrowicz l'immensità del mondo scappa dalle tentazioni di avanzare
un'unica interpretazione. Le teorie della luce, corpuscolare e ondulatoria sono
ambedue valide, entrambe escludentesi, ripete spesso. L'abisso crescerà con il
passare del tempo, aggiunge, cosi che con gli anni dovremmo adattarci
all'aumento della problematica irrisolvibile. “Alla luce di queste riflessioni, la
letteratura che sostiene che si può accomodare il mondo è la cosa più idiota che si
possa immaginare”.48
C'è un altro punto significante, dove Gombrowicz si scandalizzatò per la
l’esposizione, o piuttosto, l'omissione sartriana. Nello svincolamento dell'uomo
dal corpo, Sartre si dimentica del dolore. “Il che non esprime la vostra cieca e
addirittura animalesca affermazione della vita, quanto la vostra inaudita
insensibilità nei confronti di un dolore che ancora non provate, di un'agonia
ancora non vostra; è la stupida indifferenza con la quale si sopporta la morte
finché si tratta ancora di quella altrui. Tutta una serie di considerazioni e
considerazioncine – dogmatiche, nazionalistiche, utilitaristiche – tutto un
ventaglio di teorie e di pratiche che si dispiegano a ruota di pavone... lontano dalla
morte. Il più lontano possibile.”49 Nel parere di Gombrowicz, e lo scrive anche nel
saggio Contro i poeti, i dotti francesi giudicano dall'altezza delle loro poltrone, e
non vedono la più evidente verità, che l'uomo è determinato dal dolore. Il dolore
47 Ivi, p. 99.
48 Ivi, p. 102.
49 Gombrowicz, Diario (1953-58), Feltrinelli, Milano 2004, p. 397.
47
non è concettualizzabile. Nel “Su Dante” Gombrowicz rintracci, dopo un lungo
itinerario alla scoperta d'un poeta fiorentino non manomesso, cosa impossibile, da
cinque secoli del tempo, la presenza di Dante nel Dolore. È il dolore del suo
inferno. Gombrowicz proclama La divina commedia il più patologico poema
dell'umanità, perché sopra la porta dell'Inferno Dante scrisse: fatto dal massimo
Amore. Come mai l'amore fu coinvolto nel castigo, si chiede, e risponde che fu la
caratteristica dei tempi che imponevano delle recite ai quali nessuno credeva. Fu
l'inquisizione e la paura, Dante teme. Altrimenti gli rimarrebbe di costatarlo
stupido o sadistico. Nel deserto, l'uomo sartriano sceglie la morte. Non beve, non
perché non c'è dell'acqua. Sceglie la tortura come se simboleggiasse un bene, e
quindi quella li procura l'estasi. Questo elemento provocò lo scetticismo di
Gombrowicz.
L'esistenzialismo in quanto tale è nella visione di Gombrowicz ambiguo.
“Dell'esistenzialismo dobbiamo prendere atto esattamente come abbiamo dovuto
prendere atto di Nietzsche e di Hegel. Non solo, ma anche estrarne tutti i possibili
arrochimenti e approfondimenti che esso può darci. Però vietato crederci...
Usiamola pure, questa scienza, visto che tutto sommato è la migliore di cui
disponiamo... ma chi ci crede è grottescamente rigido, moralmente pesante, goffo
e impacciato! Teniamo pure da parte l'esistenzialismo come uno strumento
ausiliario di riserva. Ma anche se ci abbagliasse con lo splendore della rivelazione
suprema, ignoriamolo. Trattiamolo con disdegno. Qui non c'è posto per la
lealtà.”50
50 Ivi. 263.
48
49
III
Marx, la liberazione della coscienza
2. Marx, la liberazione della coscienza
“La furia spaventosa per tutto quello che mi facilitava l'esistenza – i soldi, la
discendenza, l'educazione, le connessioni – che facevano di me un sibarita e
pigrone, uno che si poneva tra di me e la vita come il vetro, mi digestiva sempre
di più e quasi sono diventato comunista.”51 Questo passo proviene dalle memorie
di Gombrowicz. Racconta il periodo della sua vita quando dopo aver compiuto gli
studi lavorava come assistente giudiziario. Assisteva alle vivisezioni dei cadaveri
e scriveva rapporti per riunioni. Questo lavoro gli occupavano due giorni della
settimana, poi giocava a tennis e scriveva le novelle fantastiche. Questa inerzia gli
porto col tempo la disperazione. E all’improvviso si sentiva allontanato dalla
realtà e gettato nella forma
falsa. Questa vita visse fino a quando non gli
capitasse la rivelazione liberatrice dall'impasse. In un albergo incontrò durante
una passeggiata nelle montagne una ragazza. “Una cameriera. Le chiedo qualcosa
da mangiare, lei si siede accanto a me, le offro una birra (…) …mi ascoltò con
attenzione. - Stupidaggini! - giudicò. - Certo che hai la vita facile... ma per te la
tua vita facile è più difficile che per un altro la sua vita difficile, allora fa lo
stesso!” Questa verità non mi accecherebbe fino a questo grado, se non provenisse
da lei... l'incarnazione della salute e della semplicità.”52
Quello che ho detto fin qui, lo potevo fare, perché me lo hanno permesso le mie
condizioni materiali, grazie ai quali potevo studiare e sviluppare la coscienza,
direbbe Marx. La coscienza per Marx dipende dall'esistenza. È per questo che lui
si concentra sulla ricerca di sistemi che portino al miglioramento dell'esistenza di
tutti. Marx conobbe Hegel quando era giovane. Nelle lettere al padre espresse
opinioni devastanti a riguardo. Condannò il gusto per l'astrazione di Hegel, dello
51 Witolod Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 69.
52 Ivi. s. 69
50
quale trovò innumerevoli testimonianze nei scritti. Hegel si era fermato sulle
questioni della metafisica, obiettava Marx, che era inaccessibile all'ampio
pubblico. Il filosofo dovrebbe cambiare il mondo, contestò, non solo
comprenderlo e descriverlo. Intanto Marx si avvalse delle invenzioni di Hegel, ma
la sua concezione della filosofia della storia venne notevolmente modificata. Il
rapporto con il mondo esterno, la dominazione della natura furono per lui i veri
propositi degni del saggio. Marx giustamente, secondo Gombrowicz, osserva che
la filosofia che si ritira dalla vita normale non valga tanto.
Hegel ispira Marx con la sua invenzione del processo dialettico graduale.
Ricordiamo la tesi che attraverso l'antitesi arriva fino alla sintesi. La concezione
della storia di Hegel trova in Marx un seguace. La storia secondo Marx si realizza
con delle antinomie. I periodi si ripetono eternamente in un proseguimento
ritmico delle andate e dei ritorni degli stessi avvenimenti. Le rivoluzioni cedono il
posto alle dittature ecc. L'evoluzione è secondo Marx sufficientemente lenta da
non prenderla in considerazione.
L'essere condiziona la coscienza. Marx riduce la ragione alla dimensione
sociologica. Dopo la riduzione fenomenologica di Husserl, la riduzione
sociologica porta alla convinzione che la coscienza è condizionata esclusivamente
dall'esistenza. Il livello di vita, il collocamento nella quella o quell'alta zona
dell'appartenenza sociale, influiscono i pareri. L'attività mentale dell'individuo
rispecchia il suo posto nella gerarchia sociale dove è collocato. “Ma a questo
punto il marxismo tira fuori un argomento veramente ottimo e acuto, che tocca il
centro del problema, ossia il famoso “io”. “Il tuo io”, dicono i marxisti, “ è già
stato formato dalle condizioni della tua vita e dal processo della tua storia; tu sei
quale ti ha forgiato e determinato la tua classe sociale sfruttatrice (…) Che cosa
vuoi difendere? Su che cosa ti intestardisci? Sull'”io” che ti hanno fabbricato e
che uccide la libertà della tua vera coscienza?”
Argomento eccellente e perfettamente in linea con la mia visione dell'uomo. So
con certezza – una certezza che ho cercato migliaia di volte di esprimere
artisticamente – che la coscienza, l'anima e l'io non sono che la risultante della
nostra situazione nel mondo e tra la gente. (…) Ma ora attenzione! Fermi con le
mani! Giù le carte, vediamo vediamo un po' a che gioco giocate... ed ecco svelato
51
il trucco per mezzo del quale tutta questa dialettica si trasforma in una trappola. Il
fatto è che questo pensiero dialettico e liberatore si arresta esattamente sulla soglia
del comunismo: finché sto dalla parte del capitalismo, sono libero di mettere in
dubbio le mie verità, ma appena mi arruolo nelle file della rivoluzione,
l'autocontrollo non è più consentito. Di colpo, con un'incredibile capriola, la
dialettica cede il passo al dogma; il mio mondo relativo, mobile e confuso diventa
un mondo rigidamente definito, dove tutto è contemplato e precisato. (…) Salta
agli occhi questa incredibile ambiguità comune a tutti i comunisti, compresi quelli
intellettualmente più raffinati: finché si tratta di distruggere la vecchia verità, ci
incantano con la libertà dello spirito demistificatore e con il bisogno di verità
interiore. Ma quando, sedotti dalla canzone, ci lasciamo intrappolare nella loro
dottrina... trac, la porta si chiude e dove ci ritroviamo? In un convento? In una
chiesa? In una sorta di organizzazione? (...) Il nostro “io” è diventato un “io”
garantito, degno di fede”53 Gombrowicz osserva che in quanto la coscienza
limitata dal capitalismo, dalle condizioni di vita era l'esempio della dipendenza
dell'”io” dagli altri, da coloro che ci sfruttano, anche la nuova struttura, perché è
appunto una struttura non differisce essenzialmente dal suo discreditato
opponente. Il comunismo è una chiesa dove l'individualità è sottoposta alle
esigenze della vita collettiva. La coscienza non è liberata. È rinchiusa di nuovo,
solo che
l'algoritmo è diverso, lo schizzo, le gerarchie rimangono, resta il
paralizzo dell'immobilità e la meccanicità delle vuote formule. Il linguaggio dei
comunisti è offuscato da espressioni stereotipici. Ad esempio invece di dire “tu”,
il comunista del Patto di Varsavia diceva “voi”. “Cosa pensate voi di questa
vicenda camarad?” I comunisti si riconoscono grazie alla loro particolare retorica,
come i cristiani che non dicono “Buon giorno”, ma “Sia lodato Gesù Cristo”. Ma
forse questo vale per ogni sub cultura.
Gombrowicz in una maniera abbastanza attraente presenta l'ideologia
dell'asservimento alle circostanze dell'esistenza marxista, che ricollega alla sua
visione dell'uomo incatenato dalla Forma. L'uomo è la vittima del sistema. Lo
sviluppo della coscienza nell'avanzata organizzazione sociale, trasforma lo Stato
in un macchina generata per produrre dei beni. Caratteristico per questa
53 Witold Gombrowic, Diario (1953-58), Feltrinelli, Milano 2004, p. 273-74.
52
organizzazione è il fatto che l'uomo cerca un altro uomo che lo potrebbe sostituire
nel processo della produzione dei beni. I beni vengono accumulati dai singoli
mediante lo sfruttamento degli individui deboli e sottomessi alla pressione dei
potenti. L'uomo obbliga l'uomo a lavorare. La nozione di base del marxismo è che
la massa degli sfruttati è dominata dalla sovrastruttura attraverso il raffinato
apparato dell'oppressione.
La filosofia, la religione, le leggi sono cerate dai padroni per pianificare la
coscienza delle vittime. La religione insegna che Dio è un’istanza suprema, il
fatto che giustifica le autorità. “Rex regit, dominus dominatum”. L’umiltà viene
premiata nell'altro mondo. Gombrowicz vede gli inizi del cristianesimo nella
rivoluzione degli schiavi a Roma. Poi il movimento subisce una reazione, e la
religione giustificherà in conseguenza il diritto alla proprietà per una piccola
minoranza.
Nella morale borghese la proprietà è l'oggetto della cura. Ma i poveri ai quali
spetta obbedire alla borghesia non hanno nulla, perciò i diritti di proprietà servono
allo sfruttatore. La trasformazione del mondo non entra in gioco in questa
prospettiva. La filosofia è l'attività che da secoli elabora un sistema possibilmente
più astratto, alienato, limpido. Già Aristotele dichiara, nelle prime pagine della
Metafisica, che la contemplazione è per lui il massimo delle pratiche umane. La
ragione è separata dalle basi. Il filosofo greco cerca di nascondere le dipendenze
dalle necessità organiche. La pretesa autosufficienza è ipocrita. La casta degli
scienziati sfrutta gli operai e i contadini.
Il Marxismo dimostra delle mistificazioni come lo fanno Freud o Nietzsche,
spiega Gombrowicz. E prosegue dicendo che nei nobili ideali, dimorano delle
bestie feroci. La natura dell'uomo è stata notevolmente deviata fino alla
fondazione dell'economia che deforma la nostra coscienza. La produzione dei
beni in base allo sfruttamento è la formazione generale della cosiddetta società.
La religione, la filosofia, o la scienza, accettano e sostengono la schiavitù.
Uno dei meccanismi del furto è presentato nella teoria del plusvalore. Il lavoro,
la fabbricazione dei beni è mercantilizzato. I proprietari delle aziende, i capitalisti
comprano il lavoro come se fosse una merce acquistabile al minor prezzo
possibile. All'operaio deve solamente essere salvaguardato il minimo per la
53
sopravvivenza. Deve poter generare i figli, nutrirsi e vestirsi. E quello che
produce in più, incassa il capitalista, è il plusvalore. Il valore della produzione
supera il pagamento che riceve l'operaio.
Adam Smith sostiene che se l'offerta è maggiore alla domanda la merce
deprezza. Nel capitalismo il lavoro è la merce che avanza, quindi il prezzo dei
suoi effetti si abbassa. Il progresso della svalutazione può essere frenato solo con
l'aumento della produzione. Parallelamente gli operai saranno costretti di offrire il
loro lavoro a prezzi che diminuiscono perché sono in troppi. Ma in realtà sono
poveri, perché il capitalista è il signore del plusvalore. Il capitale aumenta, il
lavoro si svaluta. Segue l'alienazione, l'uomo serve come una macchina, non può
essere se stesso, il capitale è anonimo e gli rimane ignoto.
Gombrowicz non condivide pienamente delle obiezioni di Marx. Dice che il
capitale non finisce nella tasca del padrone, perché quello non può comprare più
di una yacht all'anno. Quello che avanza, lo investe per lo sviluppo industriale.
Secondo lui nel marxismo conta la convinzione e le sue implicazioni, che la
coscienza è deformata perché non ammette il fatto dello sfruttamento. Il
marxismo non fornisce delle idee ma una liberazione della coscienza. La
coscienza dipende dalle condizioni della vita.
Gombrowicz è attratto dalla parte dinamica del pensiero. La realizzazione del
marxismo chiama la ciliegina sulla torta. La svolta è determinata dall'assoluta
necessita storica di leggi economiche inesorabili. Il capitale si concentra nelle
mani di un ristretto gruppo privilegiato. Il proletariato lo dovrebbe attaccare e
distruggere, per poi distruggere la borghesia intera. Le miniere, le fabbriche, e le
terre, finirebbero così nelle mani degli operai e dei contadini. Qui finisce la prima
fase del processo da Marx progettato. Ora lo Stato sotto la forma della dittatura
che nasce in conseguenza domina tutto. Cosiddette democrazie popolari sono solo
un camuffamento, dice Gombrowicz. La libertà individuale in una tale realtà è
consacrata alla diffusione della rivoluzione proletaria nel mondo. In questa fase
preparatoria la gratificazione dei singoli equivale ancora ai servizi resi. A ciascuno
il suo.
Nel secondo passo lo Stato cede in questa situazione il posto agli innumerevoli
organismi cooperative neonati. I membri di questi organizzazioni sarebbero così
54
in possesso dell'opportunità dell'adattamento all'ordine della giustizia universale.
Sussegue la fase “stupida”, giudica Gombrowicz. Ciascuno verrebbe remunerato
secondo i suoi bisogni e non secondo i suoi meriti. Ogni uomo avrà in tale
circostanza il diritto di vivere mentre lo stato controlla se le norme sono rispettate.
Purtroppo bisogna rimanere in attesa. Il comunismo adatta la dialettica
hegeliana. È consapevole della sua momentanea imperfezione, dice Gombrowicz.
Solo seguendo la via intrapresa, attraversando le fasi intermedie, si può
lentamente approssimarsi al previsto paradiso.
Secondo Gombrowicz, il capitale in realtà non si concentra nelle mani di uno
stretto gruppo di speculanti delle società delle azioni. Perché esse hanno degli
numerosi piccoli disponenti. La pratica dei paesi comunisti insegna, dice, che se
l'uno sprovvisto di interesse privato, non fa nulla che abbia come conseguenza
una crisi e una rovina, come è accaduto in Polonia.
Alcune proposizioni dei comunisti sembrano a Gombrowicz molto ragionevoli.
Ancora il lato dinamico. Il proletariato è il punto di partenza. Non ha niente da
perdere, nulla da conservare. È pronto per distruggere tutto. Nutre dei bisogni che
erano rimasti sospesi e tenuti in arresto durante i secoli vissuti nel castigo. Il
proletariato non è corrotto dalla vita vile e lussuriosa. Ma è
l'universale
fondamento della società. È la vittima dei rapporti economici e della produzione.
La liberazione del proletariato è l’inevitabile preludio alla formazione dell'ordine
sociale. Ecco che tutto si converte in bisogni naturali dell'uomo.
Il valore delle cose è in stretto rapporto con il bisogno di queste. Un bicchiere
d'acqua nel deserto è prezioso, a Firenze è un'ovvietà. Il marxismo è la liberazione
dei bisogni. I bisogni sono le fonti dei valori. Non è un'ideologia ma la pratica.
L'uomo torna allo stato di natura dove scopre i suoi bisogni naturali. Questi sono
per lui i valori originali, non quelli deliberati o immaginati. I valori ci emergono
all'improvviso, le nuove idee e pensieri fatte e concretizzati da uomini di sangue e
ossa. Le idee si incarnano nella storia, nell'azione. Le teorie non materializzate
vengono considerati inesistenti da Marx. “La contemplazione va al diavolo”54
Il riconoscimento dei bisogni dell'uomo va per i comunisti in pari passo con la
convinzione, condivisa da Gombrowicz, della dipendenza biologica dell'uomo.
54 Ivi, p. 132.
55
Sartre dice che l'uomo gettato nel deserto beve, perché sceglie la vita, ma non lo
deve fare per forza. Secondo Marx l'individuo non può dimenticarsi dei suoi
legami con la società ed è obbligato a scegliere la vita.
I marxisti pur riconoscendo dei suoi naturali limiti, riservano le ricette del
benessere al genere umano. “Io, che fino a poco tempo fa mi arrabbiavo con i
cattolici e con i comunisti per il loro aristocratico egoismo nei confronti degli
animali...”55 Nelle visioni dei comunisti non c'è lo spazio per gli animali.
Gombrowicz intendeva scrivere un dramma intitolato L'uomo, e la mosca che
soffre. “Sono realmente spaventato del fatto di non riuscire a sopportare il dolore
di una mosca.”56 Nel Diario si trova il frammento che illustra la sua morale
bioetica. “Mi ero sdraiato al sole (…) Alcuni scarabei, non saprei come altro
chiamargli, si aggiravano laboriosamente nel deserto con scopi non meglio
identificati. Uno di essi giaceva sul dorso, non più distante della lunghezza del
mio braccio. Il vento l'aveva rovesciato. Il sole gli bruciava l'addome, cosa quanto
mai spiacevole considerata l'abitudine dell'addome di stare sempre in ombra –
giaceva agitando le zampine ed era evidente che quel dimenio monotono e
disperato era l'unica cosa che gli restasse da fare – già perdeva le forze, chissà
dopo quante ore che stava li, già agonizzava. Io, gigante che la mole rendeva
inaccessibile e praticamente inesistente per la bestiola, osservai quell'agitarsi... e,
allungata la mano, lo liberai dal supplizio. Partì dritto davanti a se, restituito alla
vita nello spazio di un secondo. L'avevo appena fatto quando un po' più in la, vedi
uno scarabeo nella stessa posizione dello primo. Anche lui agitava le zampine.
Non avevo voglia di muovermi... Ma perché salvarne uno e non un altro? Perché
l'uno si e l'altro no? Ne fai felice uno e ne lasci soffrire un altro? Presi uno stecco,
allungai il braccio e lo salvai. Avevo appena finito quando, un po' più in la vidi un
altro scarabeo nella stessa identica posizione, (…) Sarebbe stato troppo terribile
per quel terzo scarabeo fermarsi proprio sulla soglia della sua morte... troppo
crudele, anzi quasi impossibile... Se almeno tra lui e quelli che avevo salvato ci
fosse stato un limite, qualcosa che mi avesse autorizzato a smettere... (…)
Guardandomi attorno, vidi
un po' più in la altri quattro scarabei (…) nelle
55 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 374
56 Ivi p. 323
56
pianure, sui valichi e nelle gole vicine sempre nuovi scarabei – un'eruzione di
puntini torturati – mi misi a correre come un pazzo portando soccorso, soccorso,
soccorso! Sapevo comunque che non sarebbe durato in eterno: non solo quel
pezzo di spiaggia ma l'intera costa pullulava a perdita d'occhio di questi insetti,
per cui sarebbe arrivato un momento in cui avrei detto “basta” e ci sarebbe stato
un primo scarabeo abbandonato al suo destino. Quale, quale, quale? (…) perché
proprio quello li, perché quello li? Finché di colpo, senza sforzo, mi arresi,
sospesi la mia empatia, mi fermai, pensai con indifferenza: “Be, ora basta”, mi
guardai intorno, pensai: “Fa caldo” e “ È ora di rientrare” e me ne andai. E lo
scarabeo, lo scarabeo davanti al quale mi ero fermato, restò li ad agitare in aria
delle zampine (cosa che ora mi lasciava indifferente, come un gioco di cui mi
fossi stufato – ma, sapendo che si trattava di un'indifferenza imposta dalle
circostanze, me la portavo dentro come un corpo estraneo.”57 È il frammento più
illustrativo della morale di Gombrowicz. A un certo punto la compassione si
presenta come un danno per il benefattore. Nessun uomo, o gli uomini sono
capaci di raccogliere e dominare l'insieme, l'infinito. Il comunismo, restringendosi
ad accontentare il homo sapiens è una specie di fascismo, visto che una volta
abolito Dio, non rimane chi potrebbe chiarire e difendere la supremazia umana.
La morale non si lascia a codificare. La morale di Gombrowicz è in rapporto con
la sua educazione dell'erede dei condottieri e cacciatori, che prendono solo di
quanto devono, e che nel bosco sono altrettanto liberi come le loro “vittime”.
“Ma allora da dove proviene questa mia avversione per ogni tipo di morale
definita e strutturata in sistema? Dal mio amore per la semplicità. Voglio avere
una morale libera, la morale della mia natura, voglio preservare la mia
freschezza... ed è precisamente in questo aspetto, cioè nella morale, che l'uomo
costruito mi appare
non solo fuori luogo, ma addirittura una morte della
morale.”58
Nella problematica entra anche il paradosso dell'intellettuale che recita la parte
dell'operaio. Gombrowicz scrisse nel Diario: “Odiavo i salotti, adoravo di
nascosto le dispense, le cucine, le stalle, i braccianti e le serve – allora ero una
57 Ivi. p. 346
58 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 268
57
specie di marxista – e il mio erotismo precoce, saziato dalla guerra, dalla violenza,
e dai canti dei soldati, in seguito mi spinse verso quei corpi segnati dai lavori
pesanti e sporchi. La bassezza divenne per sempre il mio ideale. Se adoravo
qualcuno, era lo schiavo. Ma non sapevo che adorando lo schiavo diventavo un
aristocratico.”59
Il dilemma dei teorici del comunismo è simile alla difficile conciliazione tra il
soggetto e l'oggetto nell'operato degli esistenzialisti. Se si parla dell'eguaglianza,
si propone la questione dal punto di vista soggettivo. Il soggetto fa costantemente
finta di essere contemporaneamente l'oggetto del suo discorso. Il che non è vero,
perché allora non ci sarebbe nessun comunismo. Non ci sarebbe chi lo avrebbe
potuto notare.
Ci si potrebbe domandare se c'è una qualche morale stabile di Gombrowicz? Si.
Nei Ricordi dalla Polonia scrive: “Dei locali notturni quasi non frequentavo.
L'alcol non mi ci tentava abbastanza, la danza anzi di meno, e degli amatori di
questi club numerosi – delle donne o degli uomini – mi sembravano poco
interessanti. E questa vita d'oro sullo sfondo della miseria di Varsavia fu troppo
colpente – spesso mi succedeva di vedere l'odio negli occhi degli operai che
sistemavano le strade presto la mattina, quando noi ben vestiti uscivamo
dall'Adria e chiamavamo i taxi (…) Quei posti non furono nemmeno abbastanza
lussuriosi, la maggioranza delle tavolate cercava di consumare il meno possibile e
si sentiva, sotto l'aspetto finanziario, l'atmosfera prevalentemente ascetica.”60 La
vita di Gombrowicz in Varsavia si concentrava sui caffè dove si incontravano gli
intellettuali e artisti. I suoi amici furono i letterati di seconda sorte, magari quelli
che sarebbero stati apprezzati nel futuro. A proposito dei primi scrisse: “Nessuno
di questo gruppo non fu artista alla scala macro e non poteva ambire
all'eccezionalità, nonostante questo il loro scrivere poteva avere delle apparenze
di buona condotta che distingue l'uomo educato, eloquente, con un gusto
approssimativamente stabilito, con un'immaginazione più disciplinata di un
semplice fabbricante di kitsch. (…) non furono uomini malvagi, ma li mancava
l'istinto, questo istinto che contrassegna un uomo educato, per una questione di
59 Dominique de Roux, Rozmowy z Gombrowiczerm, Wydawnictwo Literackie, Kraków, 2000,
str. 12 – 13.
60 Witold Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 115.
58
eredità, di educazione, di tradizione ma che spesso rimpiazzava benissimo questa
mancanza di orizzonte, di una visione del mondo, di una morale, di fede. D'anno
in anno sprofondavano nell'edonismo, nella perversione, in connessione a queste
cattiverie – d'anno in anno erano più persi, più ubriachi e disperati. Affinché
arrivò la guerra.61
61 Ivi. s. 87.
59
III
Non conformisti
1. Schoppenhauer, l'insopportabile volontà della vita
“Sarò anche un bambino, ma un bambino che è passato per la scuola di
Schopenhauer e Nietzsche. Diciamocelo francamente: che volete che conti la
sofferenza di dieci milioni di schiavi o un obitorio di cento milioni di cadaveri? Se
richiamassimo in vita tutte le vittime fatte dalla storia nel corso dei secoli,
assisteremmo a una processione senza fine, E non so forse, anche fin troppo bene,
che la vita è sostanzialmente tragica?”62
Schopenhauer è marginale nel mio intento di mantenere la conseguenza logica
delle due linee che ho proposto di far notare. Il suo pensiero è situato da
Gombrowicz più vicino agli esistenzialisti che al massiccio monumento etico
dell'umanità creato da Hegel e Marx. La teoria di Schopenhauer appare come
un’esplicazione delle complicazioni che Gombrowicz individua nel marxismo.
Per loro due l'uomo non differisce dall'animale nella sua brama per la vita, e nel
suo diritto alla vita. Si descrive qui la vita come crudele, dove l’uomo è
raffigurato come homo homine lupus. Gombrowicz prende da Schopenhauer
tanto riguardo allo stile, quanto alla sua capacità di analizzare la vita. “Io in
questo tempo ero davvero sfavorevole all'arte. Ed ero pieno di Schopenhauer con
la sua antinomia tra la vita e la contemplazione.”63
Per Gombrowicz Schopenhauer è un importante esponente della filosofia poiché
approfondisce la strada aperta da Cartesio e Kant per condurla successivamente
all'indipendenza del soggetto grazie ad un nuova comprensione del mondo. Dopo
la rivoluzione kantiana i filosofi continuavano a chiedersi che cosa sia la cosa in
se, afferma Gombrowicz. Schopenhauer dichiara di conoscere la risposta giusta.
62 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 269.
63 Witold Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 60.
60
La nuova cognizione raggiunse attraverso un’intuizione interna. La scoprì
mediante un sapere interiore che non venne elaborato razionalmente, ma sbocciò
dall’immediato e dall’assoluto. Per Schopenhauer anche l'uomo è un noumeno, è
una cosa. Deve dunque cercare il suo assoluto e la sua essenza nella propria
intuizione. L’intuito rivelò a Schopenhauer che l’elementare caratteristica
dell'uomo è la volontà di vivere.
Gombrowicz era scontento del fatto che in Francia, degli anni sessanta, nessuno
condivideva con lui l'opinione che Schopenhauer raffigurasse il padre della
filosofia della vita. Questo parere nutriva perché siffatto studioso non infondeva
più una pura dimostrazione intellettuale delle attività spirituali, ma entrava in
contatto diretto con l'esistenza. Tale via veniva sostenuta anche da Nietzsche e
dall'esistenzialismo. Si tratta della prima volta nella storia della filosofia che il
pensiero toccò così da vicino la vita. Ogni singolo è dotato del desiderio di vivere.
Questo si traduce nella sua necessità di difendersi, di conquistare i propri diritti.
La pietra resiste alle pressioni che le sono imposte da fuori. La luce penetra lo
spazio e dura nel tempo. Gli animali vengono al possesso dei propri territori e
combattono se qualcuno prova di invadere il loro regno.
Secondo Schopenhauer il Noumeno che Kant bramava con un enorme tormento
di carpire, si nascondeva in questo fatto di assoluta validità. La cosa in se è la
volontà di vivere che è in tutto. La metafisica volontà di esistere di Schopenhauer
è identica sia a lui che alla sua scrivania. Il filosofo afferma che: La volontà di
vivere per manifestarsi deve istallarsi nello spazio e nel tempo. L'ordine
noumenico dal quale proviene non conosce né lo spazio né il tempo, e nemmeno
degli oggetti reali. La volontà di vivere deve limitarsi che accade in un processo
di divisione nella quale la volontà di vivere anima le cose e i esseri viventi.
Schopenhauer introduce qui il concetto di principium individuationis. Ogni cosa
ottiene nella sua distribuzione il proprio motore. I fenomeni, ugualmente
equipaggiati con la volontà di vivere entrano nei reciproci conflitti. Il gatto segue
il topo, la rana la mosca, perché tutti nello stesso grado vogliono esistere. La
grande scoperta di Schopenhauer è che noi per sopravvivere dobbiamo perseguire
una lotta incessante. Il dolore, la morte, le sofferenze sono il nostro pane
quotidiano e non c'è via d'uscita da questo cammino macabro.
61
Gombrowicz sostiene che la filosofia può realizzarsi anche tramite una corrente
simile a quello propostoci dall'illuminismo francese. Nel libro “Candido” Voltaire
condanna ferocemente la società borghese che ipocritamente si serve
dell'ideologia e della religione per giustificare le guerre. Voltaire postula i
vantaggi della vita semplice dei contadini. La filosofia dovrebbe occuparsi dei
sentimenti sollecita Gombrowicz. E prosegue dicendo che una zanzara tigre
diventa per lui rilevante nel momento in cui entra in relazione con esso. Nella
pura astrazione c'è solo una gelida speculazione. Piacere o dolore sono gli unici
attributi
capaci
di
svegliarmi
dall'indifferenza
aggiunge.
“Si
dice
di
Schopenchauer che è pessimista. Ma è dire troppo poco! È nello stesso tempo una
visione grandiosa e tragica, che purtroppo coincide con la realtà”64. Per
Schopenhauer la natura non si occupa degli individui ma solo della specie. La
donna è preoccupata del prolungamento della sua specie. In amore una coppia si
studia attentamente per sapere se potrebbero generare bambini con retti requisiti.
La selezione procede secondo i contrari, il grande naso cerca il piccolo. L'amore
di una donna per il suo bambino è per lei dannoso perché nutrendolo e
crescendolo sacrifica la sua individualità.
I piaceri dei quali godono gli uomini consistono solo nell'annullamento del
dolore. Schopenhauer esaminò che provò il gusto per il cibo, perché aveva fame .
Si scandalizzava per il fatto che tartarughe di un’isola del Pacifico quando appena
venuti al mondo si fanno strada attraverso la sabbia per apparire prive di
salvaguardie sulle spiagge diventano potenziali vittime di strage causati da cani
selvaggi. Il suicidio che si potrebbe auto infliggere L’uomo come protesta contro
simili sgradevoli circostanze confermerebbe unicamente la sua innata volontà di
vivere.
In seguito al dispiacere che gli causò questo episodio Schopenhauer rivolse
l'interesse verso la
filosofia orientale. Apparentemente si consacro ai
contemplazioni, in realtà fu un uomo che non resistette mai alle opportunità che
gli vennero offerti dalla vita. Nonostante questo continuò a postulare la superiorità
del saggio che al pari dei frati eremiti doveva praticare l'ascesi in luoghi desolati.
64 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994, p. 67.
62
Secondo lui un mistico collocato al di fuori del gioco, si poteva concentrare
sull'attività artistica, meravigliandosi disinteressatamente del mondo come un
bambino. Schoppenhauer disse che i bambini fanno i maggiori progressi nei loro
primi anni di vita; sono geniali per natura. In Oriente i Yogi seguono la via della
meditazione per ottenere gli stessi risultati, sopprimendo la corrente degli
avvenimenti, il loro karma. L'artista o il santo fa lo stesso. Il disinteressato genio
che è il testimone e relatore dello spettacolo della vita, è obiettivo. Non ha degli
interessi personali nel raccontare. Osserva spontaneamente. L'intelligenza di un
uomo mediocre come una lampada tascabile illumina solo ciò che cerca. Il sole
illumina l'intero globo. L'arte geniale è obiettiva per Schopenhauer. Gli artisti di
Schopenhauer sono sempre inadatti, incompleti, malati, omosessuali ecc. Il genio
è estraneo. È anche contraddittorio. Chopin essendo stato malato era molto più
sensibile alla salute di un ufficiale di cavalleria, aggiunge Gombrowicz.
L'equilibrio che mancava a Beethoven nel privato dove si dimostrò affetto da
isterismo venne animato e applicato nella sua arte senza pari.
Piero Sanavio paragonò Gombrowicz ad un genio dell'antico mito Filottete, un
talento che pagò la sua straordinarietà con una certa inadattabilità. Qui riecheggia
anche Schopenhauer. Filottete conseguì da Eracle il suo arco meraviglioso.
Partendo per un viaggio verso Troia venne abbandonato dai propri compagni,
perché dopo essere stato ferito da un serpente emanò un fetore insopportabile. I
suoi compari si dovettero però rendere conto che Filottete fu indispensabile per il
trionfo dei Greci su Troia, e così tornarono a prenderlo. Successivamente guarì
con il soccorso di Asclepio. “È questa agonia che fa dell'artista un essere
essenzialmente diverso, lo rende irriducibile agli schemi burocraticamente
produttivi di una società organizzata, lo trasforma in essere “inutile” e pericoloso
e per questo in nemico dello stato”.65 Sanavio rimase perplesso di fronte al quasi
totale disimpegno di Gombrowicz nel tentativo di coinvolgersi negli affari della
politica. Le sue tesi provocatorie composte da un aristocratico disincantato,
risvegliavano in lui il disgusto. Il suo atteggiamento altezzoso fu per lui offensivo.
Sanavio sostenne che la ricerca di Gombrowicz di liberare l'individuo inconsueto
dall’angoscia lo avrebbe condotto a deteriorare tutto quello che era strutturato,
65 Piero Sanavio, Gombrowicz, il rito e la forma, Marsilio Editori, Padova, 1974, p. 73.
63
preordinato, fisso e prestabilito. “Che Gombrowicz avesse capito e difendesse
tutto questo, alla lunga mi sembra assai più importante delle sue limitazioni
politiche. Faceva di lui forse la forma più nobile, senz'altro la più pericolosa (per
lui), di rivoluzionario e ribelle. Anche se quest'ultima parte del discorso egli certo
l'avrebbe rifiutata”.66
Schopenhauer fu estremamente eccentrico. Quando all'università di Berlino
presentò l'orario delle sue lezioni queste coincidevano con premeditazione con
quelle di Hegel, il risultato fu che la sua aula rimase sempre vuota. Però nella
affermazione di Hegel che il genio è incomprensibile e non serve a nessuno
accordava con lui. “E cosi Schopenhauer e io ci consoliamo abbastanza bene!”67,
concluse Gombrowicz.
Gombrowicz secondo il quale l'arte prevale sulla filosofia, apprezza tanto la
teoria dell’arte elaborata da Schopenhauer. Secondo lui la carenza nella critica
dell’arte in Francia è dovuta ad un misconoscimento delle verità elementari
provenienti dagli studi di Schopenhauer. Per lui anche l'arte mostra la volontà di
vivere, il gioco delle forze della natura. La volontà di vivere si esprime
eccellentemente in un'opera d'arte monumentale. Un muro non incanta a
differenza di una cattedrale, perché in quest'ultima sono raccolti ed evidenziati i
dati che rispecchiano le basilari nozioni che riguardano la lotta degli opposti,
come la pesantezza e la resistenza. Le colonne resistono e i capitelli pesano. Una
colonna contorna non è efficace e quindi attraente a causa della sua poca
resistenza. Similmente una colonna rotonda si adatta in misura maggiore di una
quadrata. Tutti questi concetti sono il frutto della contemplazione che si oppone
alla vita pratica. Anche nella scultura Schopenhauer rintraccia le caratteristiche
che rendono un'opera più apprezzabile d'un altra. Un corpo umano è bello quando
si adatta ai suoi fini. Le gambe lunghe servono bene a camminare. Nella scultura
Greca è il superamento degli istinti sessuali che la distingue. L'equilibrio. Non
sono eccitanti le loro raffigurazioni. Il distacco è salutare. La pittura cerca il
carattere, l'espressione e la passione. Una persona anziana dipinta da Rembrandt è
bella. In esse distingue le sue proprietà che forniscono al quadro intero una
66 Piero Sanavio, Gombrowicz, il rito e la forma, Marsilio Editori, Padova, 1974, p. 74.
67 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994, p. 75.
64
direzione. Nella letteratura l'artista possiede l’intuizione diretta della volontà della
vita, non si cura dei concetti logici, dei ragionamenti corretti. La letteratura
discorsiva, dottrinale è perciò senza valore, un fatto condiviso molto da
Gombrowicz. I concetti astratti non aiutano a fare dell'arte. La morale dovrebbe
essere discussa durante i convegni adatti a questo scopo, come Gombrowicz
ribadiva quando trattava i scritti di Sartre. Nell'arte l'uomo scopre l'universale – la
volontà della vita. Per mezzo di una mediazione sui personaggi nei drammi di
Molière, li vediamo disegnati con le loro qualità fisiche, colore dei capelli ecc.,
dalle quali leggiamo constatazioni generali sulla condizione umana. Per esempio
l'avarizia che si può individuare in tutti.
A parte questo, la metafisica di Schopenhauer non vale più nulla, riassume
Gombrowicz. Il Noumeno non si spiega come l'intenzione e la volontà di vivere.
La divisione che introduce Schopenhauer tra gli uomini migliori e peggiori è
infantile. La rinuncia è poco pratica. Non si può adattare la filosofia di
Schopenhauer agli scopi della politica, anche se in opposizione al suo solito
disprezzo di essa Gomprowicz nutriva per l’arte del governo una prerogativa, e gli
trovò più attuati nei sistemi di Hegel e Marx.
Di Schopenchauer come filosofo non è rimasto tanto da proferire, riassume
Gombrowicz. E osserva che il suo errore fu il fatto che non eresse nessun sistema
coerente e solido. Però è anche vero che i sistemi non durano molto, ribadisce. La
loro funzione è di organizzare il mondo in una visione che è in ogni caso diversa
per ciascuno autore. Schopenhauer è importante dal punto di vista storico, come lo
sono Hegel o Kant. “Nessun sistema filosofico dura molto tempo. Ma la filosofia
ha per me il valore di organizzare il mondo in una visione. C'è per esempio
l'universo kantiano o hegeliano”68. La constatazione della similitudine tra
l'individualismo di Gombrowicz è l'alienazione di Schopenhauer non cambia però,
68 Ivi. p. 65.
65
2 Nietzsche, l'individualismo di Apollo e la
tirannide della collettività dionisiaca
“...bontà, umanità, compassione, rispetto dell'uomo, moderazione, modestia,
decenza, ragionevolezza, giudizio, e in tutto quello che si scrive non si sente che
benevolenza. Quante virtù! Non saremmo tanto virtuosi se ci reggessimo meglio
sulle gambe. Non credo alla virtù di chi ha fallito, alla virtù prodotta dalla miseria,
e tutta questa moralità mi ricorda le parole di Nietzsche: “La mitigazione dei
nostri costumi è una conseguenza del nostro indebolimento”69 In questo passaggio
Gombrowicz si riferisce all'atteggiamento messianico degli emigranti polacchi,
che nel loro castigo, causatogli dalla guerra, si propongono di diventare la
coscienza del mondo.
Nella visione di Gombrowicz Nietzsche può essere inteso come l'antitesi di
Schopenhauer, perché emergendo dagli stessi presupposti del disincantamento per
la banale trivialità e violenza della vita, capovolge il suo pessimismo facendolo il
contrario. Le risorse dello scontento sono simili, la tirannide del consenso dei
deboli in Nietzsche, o della loro istintività spensierata in Schopenhauer, contro i
quali si oppone il genio solitario. Schopenhauer però porta un antidoto alle
avversità nell'apologia della coscienza della problematica e nella contemplazione.
Nietzsche nell'accordo con la forza e nella festa. Nietzsche insieme con
Schopenhauer avevano nel repertorio filosofico di Gombrowicz una posizione
privilegiata. Gombrowicz durante una conversazione con Pietro Sanavio confessa
che Nietzsche non li piaceva affatto, ma Francesco Cataluccio70 scrive che fu il
suo filosofo preferito. Salve la parte che riguardava la concezione del super uomo
e la sua metafisica, le simpatie anarchiche di Nietzsche vengono sostenuti
volentieri da Gombrowicz. Da Nietzche Gombrowicz prese, come da
Schopenhauer in anzi tutto lo stile. In nessun dei due casi non si può parlare di
uno stretto effetto derivante dalle rotte indicate da Cartesio e dai suoi seguaci.
69 Ivi. p. 8.
70
Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994
66
Entrambi sono abbastanza indipendenti. “Hegel, Schopenhauer, Nietzsche, a cui
inevitabilmente si pensa nel corso della lettura, non erano certo meno drammatici
ma, a quel tempo, il pensiero tragico dell'umanità conteneva ancora il piacere
della scoperta: un piacere che in Schopenhauer era evidente e in Nietzsche
tangibile e infantile.”71 Schopenhauer e Nietzsche non si possono porre però in
questo riguardo sullo stesso piano: “Schopenhauer vantava uno stile impeccabile
ma Nietzsche, Wagner, i romantici tedeschi, il satanismo francese e scandinavo
avevano rasentato più volte l'enfasi a buon mercato.”72
La volontà di potenza di Nietzsche si fonda sull'osservazione delle regole
dell'evoluzione e nell'acconsentire all'esigenza di trovarsi all'altezza delle richieste
che esse ci impongono. Nietzsche vede che il contadino deve eliminare dalla sua
gregge gli individui deboli. E' scandalizzato al cospetto della brutalità applicata
dall’uomo nei confronti degli animali. Allo stesso tempo sa che i deboli, quando si
uniscono, sono la minaccia per gli eccezionali. Nietzsche fu un filologo classico,
un conoscitore del mondo classico e nemico del cristianesimo, perché vide in esso
il trionfo della morale dei deboli imposta ai forti. Fu un provocatore e causò
molto scandalo, il primo estremistico senza pari. A differenza di Schopenhauer
Nietzsche promuove la vita. Secondo l’avviso di Gombrowicz, partendo dai tempi
di Kant gli studiosi plasmano un notevole progresso in questa materia.
Già nella sua prima opera Nietzsche contrappone la figura del Dio del vino,
della orgia, dell'arte e dell’estasi, al contemplativo, ascetico, moderato Apollo.
Nella tragedia Apollo è rappresentato dal dialogo, mentre Dionisio dal coro.
Dionisio raffigura la potenza della specie e del gruppo e si oppone al debole
Apollo alienato nella sua individualità. L'opposizione si manifesta nella vita.
Secondo Nietzsche malgrado la debolezza l'uomo dovrebbe fingere la potenza.
Adorare la vita tragicamente, nonostante le leggi crudeli della natura. La società,
stupida e contenta, schiaccia il genio. Quello diventa così un attore che inganna
con entusiasmo premeditato il volgo che lo sopprime.
Joanna Święszkowska73 vide gli stretti collegamenti tra ambedue autori e
71 Ivi. p. 59.
72 Ivi. p. 218.
73 Joanna Święszkowska, Gry językowe Witolda Gombrowicza, Wydawnictwo Uniwersytetu
Warmińsko-mazurskiego, Olsztyn 2009
67
legittimò un saggio che esaminava le loro parentele. Święszkowska nell'offerta di
una sua ermeneutica del messaggio di Nietzsche, divise in complessiva il
discorso letterario in due poetiche contraddittorie. Da un lato abbiamo la logica di
Apollo, che detta una stretta, rigorosa imposizione delle forme riguardo al genere
rappresentato. Mentre dall'altra parte troviamo lo sfrenato universo dell'ebbro Dio
del vino e del suo erotismo disinvolto. Secondo le parole di Święszkowska
Gombrowicz appartiene alla seconda scuola. Il che non troverebbe il consenso di
Gombrowicz che redige le seguenti osservazioni. “Nietzsche e la sua
affermazione di vita? Ma Nietzsche non aveva una più vaga idea di queste
faccende: difficile immaginare qualcosa di più libresco, anzi di più ridicolo e di
cattivo gusto del suo superuomo e della sua giovane bestia umana. Non la
completezza ma l'insufficienza, l'inferiorità e l'immaturità sono le proprietà di chi
è ancora giovane e quindi vivo.”74. Mi sembra difficile accettare che un paragone
con un Dio qualsiasi sia qui ammissibile. Metafore enfatiche non appartenevano
al repertorio preferito da Gombrowicz. Secondo Święszkowska il Bacco di
Nietzsche è sfrenato e oggettivo. Assomiglierebbe perciò ai giochi linguistici di
Wittgenstein, nella loro, da Święszkowska proposta, lettura antropologica. In essa
l'uomo e il suo linguaggio dipendono dal coinvolgimento nelle particolari
circostanze che lo definiscono al momento. Per Święszkowska il punto di
riscontro tra Nietzsche e Gombrowicz si troverebbe nella sfera d'erotismo, che
individuava come presupponetemene prevalente sulle altre. Solo che per
Gombrowicz la sessualità dei vecchi e ridicoli satiri è senza dubbio ripugnante,
come lo si avvista nel fulcro del culto di Bacco, dove in una danza orgiastica si
dibattono senza scelta e pregiudizio le creature ibride.
Gombrowicz nel suo Corso di filosofia dichiara che la gioia e l'ottimismo di
Nietzsche li sembrano superficiali. Il pessimismo di Schopenhauer è per lui
debole. Anche se senza rischio respingerebbe le strane astrazioni collegati da
Święszkowska a Apollo, il suo ascetismo e la modestia non li appaiono del tutto
strambe. “Soprattutto vorrei che quell'altro uomo non mi mordesse, non mi
sputasse addosso e non mi tormentasse. E' qui che trovo un punto d'incontro con il
cattolicesimo: condivido il suo acuto senso dell'inferno contenuto nella natura
74 Ivi. p. 202.
68
umana e la sua paura dello spirito di cambiamento dell'uomo. Guardando il
cattolico vedo che, sotto certi aspetti, sono diventato più prudente. Quello che,
nell'orgogliosa epoca di Nietzsche, passava per un tradimento della vita
dionisiaca, e cioè la cauta politica del cattolicesimo nei confronto delle forze
naturali, mi è diventato più vicino da quando la volontà di vivere, portata al
parossismo, ha cominciato a divorare se stesso.”75
Questa sfiducia di Gombrowicz è condivisa da Jung, che avverte, che
nell'aspirazione agli atti eroici, corre il pericolo di schizofrenia. Gli Dei sono
immortali, perché si pongono fuori del tempo. L'uomo che li imita, rischia la
perdita dell'integralità della sua individualità, perché se sapesse tutto, non
saprebbe in effetti nulla. Gombrowicz scrive: “La Chiesa, contrapponendo la
temporalità all'eternità e la terra al cielo, cerca di assicurare all'uomo quel distacco
dalla sua natura che anch'io trovo indispensabile.”76
Nonostante la cauta parsimonia che Gombrowicz rivela nei suoi scritti non gli si
potrebbe attribuire il carattere di un oscurantista. Nietzsche rifiuta in Aristotele,
Platone e Socrate, il loro equilibrio. Le sue simpatie sono radicate nell'arte di
Euripide e Aristofane. In una sua valutazione perspicace Nietzsche mette alla
prova tutte le idee morali e filosofiche dell'uomo. “Per qui ci accorgiamo di
trovarci per la ennesima volta – scrive Gombrowicz – davanti a una delle tante
grandi mistificazioni sul tipo di quelle che Nietzsche, Marx e Freud hanno
smascherato, rivelando come, dietro alla facciata della nostra morale cristiana,
borghese e sublimata, agissero in realtà forze anonime e brutali, di natura
completamente diversa.”77
Nietzsche abolisce la frontiera tra la mente e la materia, riducendo il pensiero
alla vita. Il pensiero non si realizza al di fuori della vita, è sommerso, integrato
nell'esistenza, di questo è convinto anche Gombrowicz. Che vede che Nietzsche
prende molto da Schopenhauer, modificandolo. La vita è una cosa completamente
sbagliata, ma noi siamo condannati a viverla, quello fu chiaro per entrambi, solo
che Nietzsche la combatte. È un filosofo militare, dice Gombrowicz. Invece di
liberarsi dagli istinti li imbarca nel giogo delle sue aspirazioni alla grandiosità.
75 Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 41-43.
76 Ivi. p. 43.
77 Ivi. p. 275.
69
L'uomo di Nietzsche si trova ad un passo dalla strada che lo porta alla perfezione.
L’uomo è un ponte da superare. Non è un fine per se. Siamo un mezzo per
raggiungere delle sfere celesti. L'amore per il superuomo deve precedere quello
per gli uomini normali e banali. Questo Gombrowicz lo rifiutò ovviamente.
Quello che lo accomuna a lui, è una dose del suo snobismo. Entrambi hanno il
complesso della genealogia. Gombrowicz disegna il suo albero genealogico.
Nietzsche si vanta: “Sono nobil uomo polacco pur sang”78
La metafisica di Nietzsche invece non trova il consenso di Gombrowicz.“Nella
conferenza su Zarathustra, Heidegger commenta quello che Nietzsche chiamava il
suo pensiero “più abissale”, ossia l'idea dell'eterno ritorno che “libera dallo spirito
di vendetta”, supera il tempo che passa, il tempo che viene, e imprime al divenire
il carattere dell'essere. Imprimer au devenir le caractere de l'etre... telle est la plus
haute volonte de puissance.
Figurarsi se mi lascio menare per il naso da quelli la. Conosco fin troppo bene
questo infantilismo che si balocca con l'Infinito, conosco tutta la superficialità e
l'irresponsabilità necessarie per addentrarsi con orgoglio sul terreno di questi
concetti in-concepibili e di questi in-sostenibili rigori. La conosco, questa
genialità! E Heidegger che, sospeso sull'abisso, sforna conferenze su Nietzsche...
Che clown! Da tempo mi sono imposto di disprezzare l'abisso e di non
costringermi mai a mandare giù concetti troppo indigesti. Mi fa ridere, a me, la
metafisica...
...che (nota bene) mi divora vivo.”79 Nell'idea nietzschiana dell'eterno ritorno
scorgiamo da una parte la nozione dell'infinito, dall'altra della causalità. Una
causa prima, un motore primo aristotelico, si irradia e muove cause che
rappresentano i motori secondari. Le cause vengono seguite dagli effetti, e a loro
volta questi sono le cause nuove, fino ad arrivare all'attimo presente. Questo è lo
spunto a riprendere tutto sempre da capo, perché in infinito niente non possa
fermarsi mai.
È l'idea ormai superata, spiega pazientemente Gombrowicz. La causalità si
limita al mondo fenomenologico. La sua nozione proviene dai livelli della scienza
78 Ecce Homo, 1888.
79 Diario II, p. 47.
70
e dei calcoli statistici, che assicurano la validità delle leggi scientifiche e la loro
tranquilla ripetizione. In realtà la nostra percezione che giura la validità dei
risultati degli esperimenti e dei dati ottenuti è limitata. Niente assicura l'apparire
nel futuro dei paragonabili effetti. La cosa in se, Dio e l'eternità non esistono per
gli stessi motivi, il sistema metafisico della vita che prende le mosse dalla scienza
e dalla causalità è condannato alla scomparsa. L'assenza di Dio esclude qualsiasi
legge.
Per Nietzsche infatti Dio è morto: “È una filosofia anticristiana e atea, non è
tanto facile essere atei”80. L'umanità è arrivata alla maturità aver assimilato
l'anacronismo quale la divinità. L'individuo rimane solo nel cosmo immenso. Lo
circonda unicamente la vita. Gombrowicz condivide questo concetto, al patto che
esso sia attenuato e senza eccessi. La legge di Nietzsche è la vita.
Il Corso di filosofia di Witold Gombrowicz e uno dei suoi pochi scritti che non
venne da lui riveduto e autorizzato. Il solito metodo di scrivere di Gombrowicz
consisteva nella graduale rielaborazione dei contenuti dei sogni, o nel comporre
delle associazioni sorprendenti dai motivi che li venivano in mente quando si
abbandonò a fantasticare. Fu lontano dalla tecnica, onde l'improvvisazione una
volta registrata, permane in una prima ed ultima compiuta redazione. Solo
modificando e trasformando la fabula, Gombrowicz imparava qualcosa dal se. Lo
scrittore riparava la prima versione, che poi era sottoposta alla rilettura e a
modificazioni, affinché non appariva un effetto che coinvolgeva il surrealismo e
la logica del ragionamento. Il metodo assomigliava a quello di Ernest
Hemingway, che dalle cinque frasi stilati eliminava quattro, per raggiungere una
brevità attraverso la compressione del reale concreto.
Al contrario di tutto questo il Corso, l'ultima opera di Gombrowicz, ci trasmette
l'impressione della disinvoltura. L'aspetto della leggerezza, che spesso coincide
con l'incurabilità della precisione nei formulati pensieri, costituisce il controsenso
al contenuto del rigoroso ragionamento filosofico. Nei romanzi Gombrowicz
congiungeva differenti e non accostanti stili letterari, con l'intenzione di
80 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994, p. 137.
71
annichilire in questa maniera le pretensioni di esse all'eccezionalità d'un unica
maniera d'impostare la realtà. Il libro giallo collegato con il racconto filosofico fu
una nuova qualità, significante in se stessa.
Nel suo Corso Gombrowicz voleva attestare, attraverso la profondità, e al
cospetto della filosofia classica, e l’ abitudine di presentarla come se fosse
qualcosa che ci è rivenuto durante una passeggiata nel parco, che non bisogna
glorificare nulla. La temperatura dell'uomo è media. L'effetto dell'annullamento
della gravita del messaggio scientifico, scaturisce dalla “casualità” della forma del
comunicato. Non era possibile parlare della filosofia di Gombrowicz seguendo
questa tregua. Bisognava sistematizzare i suoi presentimenti. Eppure in una parte
del comunicato, questo stile d'espressione venne da lui assimilato.
Ricordo che Gombrowicz recitava le sue lezioni di filosofia alla moglie Rita e
all'amico Dominique de Roux. Rita Gombrowicz venne così ingaggiata della
mansione di decretare sull'ultima forma del testo del suo marito, ed intraprese il
lavoro editoriale. Gombrowicz insegnava senza aiutarsi con degli appunti,
allignava a questa sua condotta un sentimento di fresca spontaneità. A volta le sue
frasi rimangono incompiute o appaio incomprensibili.
Lo strutturalismo fu disegnato nel suo corso come punto conclusivo. Ma lo
scrittore concluse invece con Nietzsche. Sullo strutturalismo Gombrowicz scrisse
un altro breve testo intitolato “Sono stato il primo strutturalista”81. In esso
Gombrowicz enumera una lunga lista dei predecessori strutturalisti, che si vantò
di conoscere. Il suo schieramento con le correnti del pensiero che andavano di
moda nei suoi tempi, incedeva con la sua apprensione di perdere l'originalità. Egli
distingueva come strutturalista la sua concezione dell'uomo che crea un altro
uomo, e tra i quali cresce un universo. E questi protagonisti vengono elevati
dall'insieme grazie all'ottenuto modello. Lo strutturalismo classico studia le
implicazioni sociali di simili relazioni. In Gombrowicz le funzioni sociali sono
impliciti e nascono da tensioni che si instaurano nella famiglia. Per Gombrowicz
la famiglia è l’artificio del trauma che accompagna l’uomo per tutta la vita. Gli
eroi dei poemi romantici tornano in patria e nelle rovine dei palazzi famigliari,
nelle altane e nei sentieri dei parchi accostanti, nostalgicamente evocano l'infanzia
81 Witold Gombrowicz, Gombrowicz filozof, Znak, Kraków 1991.
72
perduta. Già nelle prime pagine del primo romanzo di Gombrowicz intitolato
“Ferdydurke”82, il protagonista della storia incassa un ceffone dal fantasma del
suo giovane alter ego che gli appare. E quando insinua alla sua famiglia, essa si
dimostra sempre come patologica, come sanquinei che con la loro stereotipica
formalità non possono che provocare avversione nel personaggio principale come
nel lettore. Gombrowicz mina in vari scritti la famiglia, evidenziando
l'inautenticità degli automatismi, e assassina i suoi membri. Jerzy Jarzębski
osserva, che questa sua movenza comporta conseguentemente una avviamento
della struttura della famiglia verso una più ampia prospettiva dello stato e della
storia. Lo confermano le opere drammatiche come Ivona principessa di
Burgunda83 o Il matrimonio84.
Le strutture di Gombrowicz sono di natura esistenziale, riguardano coscienza
della vita che perviene salendo, partendo dal primo gradino di una scala infinita,
un giorno a cospetto dell’ampio orizzonte della complessità dei rapporti umani.
Qui l'ispirazione a Heidegger, se non si tratta di una semplice coincidenza,
considerando il medesimo periodo di venuta al mondo delle opere principali di
ambedue scrittori, è visibile. C' è anche del presentimento per l’esistenza di una
natura frattale del Cosmo. I disegni della geometria frattale che Mandelbrodt
individuava nell’aspetto delle coste o nell'immagine dei carciofi, mediante
Gombrowicz sembrano mostrarsi nella dimensione sociale. Se riusciamo a
distinguere nella famiglia moderna dei cittadini, nella casa dei proprietari terrieri,
o nella scuola, questa neurotica danza dei costumi artificiali essa ci traspare
ovunque.
L'orizzonte è l’ ubicazione dell'ego trascendentale, che svincolato dal
usuale dopo sforzi sovrumani, contempla da lì l'intera sua impresa. Questa messa
in scena risveglia l'incertezza del senso d'essere del narratore. Si mescolano qui le
nozioni della fenomenologia husserliana, e del suo ego trascendentale, inerente
all'alienazione dell'esistenzialismo, con l'universalità dello strutturalismo.
L'esistenzialismo germoglia sulla superficie dell'angoscioso isolamento
dell'individuo geniale (Nietzsche, Schopenhauer). In Schopenhauer la volontà di
vivere si realizza nell'ordine noumenico, che entra nel tempo e nello spazio. La
82 Witold Gombrowicz, Ferdydurke, Feltrinelli, Milano 2004
83 Witold Gombrowicz, Ivona principessa di Burgunda, Feltrinelli, Milano 2004
84 Witold Gombrowicz, Il matrimonio, Feltrinelli, Milano 2004
73
volontà dell'individuo così in Gombrowicz che in Schopenhauer, scrive Jerzy
Jarzębski, esiste in funzione al suo allontanamento dalla struttura, dal processo
della creazione delle forme che sopravvengono tra gli uomini.
Nell'architettura del nulla l’essenza dell'individuo sosta sospeso nel niente,
come lo vediamo nel protagonista del Matrimonio Henryk che si proclama Re. Il
vuoto esistenziale è tracciato da Gombrowicz da una metafora di un sogno nel
quale troviamo Henryk durante l'evento di un dramma. Henryk prova un
sentimento di strapotere, scrive Jerzy Jarzębski, perché quest’impulso gli è
convenuto dalla filosofia esistenziale. Per Cartesio la realtà non differisce dal
sogno, lo stesso vale per Husserl. Nell'esistenzialismo l'uomo è posto di fronte
alla libertà dei valori, perché è venuto a meno un punto di riferimento assoluto.
Come disse Wittgenstein: “Io sogno che dico io sogno”. Che considerò un
paradosso irrisolvibile. È difficile approssimarsi alla natura degli stati della
coscienza nei quali ci troviamo. Ci sono dei sogni nei quali ci si sveglia, per poi
svegliarci di nuovo negli effetti, sorpresi. Henryk perde il contatto con la così
detta realtà. Sente giustificata la sua onnipotenza come la difese il filosofo
esistenzialista perché il nulla secondo esso è la posizione della sua volontà.
L'uomo disgiunto da contesti emozionali, intenzionali, sentimentali raggiunge il
vuoto. Una volta trovatosi nel vuoto, esso diviene pura volontà vincolata da
niente.
In effetti, per riconquistare il senso della realtà, Henryk deve assassinare
qualcuno. Deve essere sacrificata una vittima per riconquistare i nessi con la
sorveglianza. Non fu per questo che Gombrowicz insisteva sull'importanza del
dolore? Solo il dolore lo potrebbe innalzare di nuovo sulla superficie della terra.
Solo il dolore può essere veramente presente. Henryk ritorna nell'intersoggettività.
Come il Zarathustra nietzschiano scende dalla cima della sua saggezza. Fu solo
socratico il sapere di non sapere nulla?
Non nel senso di conoscenza che gli uomini pensano di aver elaborato con una
qualche comprensione del mondo dove vivono, quando difatti sono degli
ignoranti, e sarebbe meglio se tornassero ai loro mestieri originari per realizzarli
bene, anziché continuare ad ingannarsi rispetto alle proprie condizioni
intellettuali, una condotta che renderebbe sempre più profondo l'abisso
74
dell’inettitudine. Jacques Derrida scrivendo di Platone sottolineò il fatto, che egli
scrisse dei dialoghi. Negli scritti di Platone, Socrate, è sospeso tra le esigenze del
discorso artistico, del dramma, e la rigorosa dissertazione in tono scientifico.
Derrida intitola il suo libro su questa questione “La hora”. “La hora” intende lo
spazio che non appartiene a nessuna dimensione. Socrate non è ne un artista, ne
uno scienziato. La gente di teatro conduceva una vita da nomadi, senza casa,
senza paese. L'uomo dotto, spesso politico, fu il cittadino che si identificava con
l'agorà. Platone configura nel genere letterario che propone l'ambiguità tra la
figura dell'oratore – sofista, e il trovatore errante. Socrate non è ne commerciante
ne colui che raffigura il commerciante. Socrate è nessuno e sa nulla. È
l'esistenzialista chi è la possibilità d'essere, invece d'essere.
Gombrowicz si sposto dall'apoteosi della vita al nichilismo. Dall'esistenzialismo
allo strutturalismo. Lo strutturalismo è l'antitesi dell'esistenzialismo, disse. La sua
immaturità è il rifiuto del pensiero programmatico e consapevole. Dichiarò di non
assumersi delle responsabilità. Da un sistema Gombrowicz passa all'altro come un
bambino che si annoia dei suoi giocatoli. Ma non li abbandona del tutto.
Gombrowicz non rifiuto la cultura. Per questo il marxismo doveva bilanciarsi con
la postura di un borghese. Per non perdersi. Secondo l’ autore lo facevano tutti,
ma nessuno lo ammetteva. Salvo Machiavelli. Gombrowicz si munì nella sua casa
al sud della Francia con i mobili antichi, che erano simili a quelli che possedeva la
sua famiglia in Polonia. I contrasti furono per lui una manifestazione della pietra
filosofica che animò la congiunzione degli opposti, un percorso che postulava
nell'arte.
Quale fu allora quello Gombrowicz? L'infantile, rivoluzionario, aristocratico, il
Clown? “Non adoravo la poesia, non fui abbastanza progressivo, non fui un tipico
intellettuale, ne nazionalista, ne
cattolico, ne comunista, ne di destra, non
rispettavo la scienza, ne dell'arte, ne Marx – chi fui allora? Fui più spesso la
negazione del mio spaventato interlocutore, chi solo dopo dei parecchi incontri si
rendeva conto che io sto discutendo per lo sport, per il divertimento, e anche per
la curiosità di
scoprire , cosi per la prevenzione, la verosimiglianza dell'altro
lato di ogni tesi... questa malvagità che mi era rimasta già dalla giovinezza, dalle
discussioni con la mia madre, essa infiltrava i miei dialoghi con un'aria di
75
qualcosa buffo e allo stesso tempo
ci impostava ai binari veramente
imprevedibili”85
IV
La filosofia nei romanzi
Con l'avvento dell'epoca di Cartesio nella filosofia occidentale possiamo notare
un notevole cambiamento, ovverosia da questo momento non ci è più consentito
di parlare di una realtà oggettiva. Perché dai suoi scritti impariamo che il mondo
che fino all’ora venne ritenuto stabile, universale è stato con lui sostituito con la
realtà dei fenomeni. Questo significa che quando vediamo un tavolo, non siamo in
grado di stabilire se questo oggetto non sia il frutto di un nostro sogno o di
un’allucinazione. L'assoluta soggettività della percezione è stata ripresa
successivamente dagli esistenzialisti e dalla loro filosofia della vita. Ma
attenzione! Gli esistenzialisti descrivevano il cosmo partendo da un punto di vista
soggettivo, cioè dell”io” che conosce. Se vogliamo sapere qualcosa su questo
“io”, lo dobbiamo aggrappare con il nostro apparato conoscitivo, in questo caso
pero esso diventerà per noi un oggetto. Come mai allora potremmo continuare di
parlare del soggetto, visto che evidentemente si è reso l'oggetto.
Per uscire dal secondario circolo dei visionari, gli esistenzialisti dovevano
utilizzare un linguaggio basato sulla tradizione scientifica. Questo descrive il
mondo in terza persona. Ma l'”io” è in prima. Ecco la tragedia. Il soggetto
conoscitivo doveva diventare l'oggetto dell'indagine. L'esistenzialista tentò di
descrivere il soggetto della percezione, ma scoperse che durante questo processo
quel soggetto cessava di essere tale, perché ad un tratto si tributò siffatto
85 Ivi. s. 89.
76
all'oggetto. Lo illustra, scrive il critico letterario Jerzy Jarzębski86, il paradosso del
bugiardo: “Dico, che le parole mentono.”
Il conflitto interno che contrassegna il caratteristico saggio esistenziale consiste
nel fatto che esso deve limitarsi ad un tipo di ragionamento assertivo. Esso
presuppone una logica binaria tra causa e effetto, e entro l’autore e il tema del suo
discorso. Non è possibile parlare e descrivere il soggetto, senza che esso cambi le
sue peculiarità nell'oggetto d’indagine. Come lo dettano peraltro le regole
circoscritte nella struttura del classico modello del romanzo. Gombrowicz la cui
forma d'espressione si forgia nel genere narrativo del romanzo, fu consapevole di
siffatte complicazioni, perciò non si schierò mai apertamente per nessuna scuola
tanto letteraria quanto filosofica, pur rimanendo innegabilmente un ottimo
conoscitore della storia della letteratura e della filosofia. Questo fatto è illustrato
esemplarmente nel suo libro, provocatoriamente intitolato “Il corso di filosofia in
sei ore e un quarto”87.
Gombrowicz, scrive Jerzy Jarzębski, adopera un metodo geniale per andare
oltre l'impasse. Come fu l’ uso degli autori dei racconti filosofici dell'illuminismo,
Gombrowicz coniuga la forma letteraria del romanzo con una modellare
dissertazione filosofica. C'è di più, scrive Jarzębski, Gombrowicz propone al
lettore un gioco. Introduce nel suo linguaggio il livello “meta” linguistico, che
consiste nella segmentazione del linguaggio. L'invenzione di Gombrowicz
sarebbe il soggetto che si trova in continua esitazione. È il soggetto che non
dubita cosa si nasconda dietro alle sue azioni, e chi le compia realmente. Perciò
esamina, subito dopo aver fatto un passo, il quesito del perché di tale azione;
cercando così di illuminare la realtà. Come un criminologo che dai pezzi di una
trama ne ricostruisce l’ integrità. In questa attività riflessiva, il soggetto si disloca,
con una dilatazione continua, dalla posizione della prima persona alla terza. A
questo punto viene compiuta la tentazione dell'uniformazione della dualità
paradossale della coppia soggetto/oggetto. Il soggetto di Gombrowicz oscilla, non
è mai fermo, è dinamico. Nel moto cognitivo è possibile solo approssimarsi ad un
86 Witold Gombrowicz, Gombrowicz filozof, Znak, Kraków 1991.
87 Witold Gombrowicz, Corso di filosofia in sei ore e un quarto, Edizioni Theoria, Roma –
Napoli 1994.
77
presentimento della natura del fenomeno che stiamo cercando. L'opposizione che
è stata individuata precedentemente dovrebbe rimanere irrisolvibile. Tale è la
natura della filosofia nel senso più originale, come conferitale dai maghi
rinascimentali. La filosofia è la pietra filosofica, la congiunzione dei contrari.
Come viene spesso sottolineato da Gombrowicz, e in anzitutto nella sua teoria
dell'arte.
Sviluppando questo tema, Jarzębski richiama la nostra attenzione sull'adoperato
da Gombrowicz metodo della narrazione. L'identificazione dell'autore con i
protagonisti dei suoi romanzi, viene seguita da un distacco istantaneo. Una frase
espressa da un suo protagonista trova una sua contro dicitura, che critica e prende
distanza dall’idea che la precede. Colui che non sa, ed è perplesso, è un filosofo.
Gombrowicz prende in giro la figura del filosofo. Ad un commento considerato
preponderante segue commento oppositore, la così condotta linea sembra infinita.
Sopra la coscienza si innalza una meta coscienza. Sopra il linguaggio un meta
linguaggio. In un dinamico gioco il soggetto si scambia continuamente con
l'oggetto. Quando commenta, osserva, è il soggetto che descrive. Nel secondo
passo descrive e oggettivizza il soggetto del cui punto di vista parlava un attimo
prima. Quello che conta nel particolare è la parafrasi dell'atteggiamento del
filosofo che sta filosofando. Comprendiamo che la sua più intima realtà è Il
dubbio. E' naturale. Il pensatore non si può arrestare, perché smetterebbe di essere
filosofo.
Nel
gioco
reciproco
è
coinvolto
anche
il
lettore.
Gombrowicz
programmaticamente desiderava evitare qualsiasi critica che lo potesse
classificare. L’autore sfugge da classificazioni, perché per esso la loro statica
stagnazione ritrae il peggio immaginabile. Ma se l'opera raffigura l'attività di
criticare, se il protagonista riflette su se stesso, allora dei eventuali interventi del
lettore sono già incorporati nello scenario datoli dall'autore. Il pericolo di essere
frainteso è neutralizzato dall'invito che lo procede ad interpretare, mettere in
dubbio e criticare i scritti di Gombrowicz. Così questa movenza dell'intelletto è
portata all’infinito.
L'analisi delle complicazioni connesse alla questione della narrazione nel
78
romanzo classico, continua Jerzy Jarzębski, avvicinano il lettore alla
comprensione delle innovazioni di Gombrowicz. Il letterato deve confrontarsi con
cinque principali limitazioni del lavoro, elencati da Jarzębski. 1. Per primo, la
difficoltà consiste nel fatto che le motivazioni dei protagonisti dei romanzi
vengono formulati tramite una moderata (per necessità) dimensione delle opere.
Gli scrittori di avanguardia si proponevano di aggiungere e amplificare didascalie
che miravano a spiegare le ispirazioni psicologiche dei personaggi. Pero le
motivazioni dovevano cambiare in seguito all’avvento di nuove condizioni e
questo avvenne con l'apparizione di nuove circostanze in cui vennero posti i
protagonisti. 2. Il secondo dilemma fu che lo scrittore, limitato al campo del suo
operato nell'ambiente della creazione artistica, in corrispondenza alla scarsità
dello spazio a disposizione non poteva pretendere di gareggiare con l'immensita
del Cosmo reale. Il proposito di riferire al lettore l'intera ricchezza della realtà fu
per questo motivo notevolmente minacciato. 3. L'autore fu imprigionato negli
stereotipi della figura dell'artista che persisteva nella coscienza del pubblico. 4.
Finalmente, il libro venne scritto per gli uomini, cominciò ad esistere nel
momento dell'avviamento della sua recezione. Una accoglienza che trasse origine
dall'età, dalla provenienza geografica del lettore e dal momento storico nel quale
il libro venne letto.
Dalla prima trappola dell'elenco di Jerzy Jarzbski Gombrowicz esce
introducendo i svariati livelli di comunicazione: i motivazioni, i pareri, i
convinzioni dei personaggi dipendono dei attuali situazioni nei quali si trovano.
Un uomo non sa mai una volta per bene cosa vorrebbe, o come dovrebbe agire,
perché esistono contemporaneamente d'intorno a lui tanti mondi, con altrettante
etiche degli uomini diversi. I motivazioni si spiegano allora in funzione delle
momentanee strutture, per le quali passa un protagonista.
Entra nel gioco lo stesso autore e i suoi eventuali ragioni. Costui è oppure
l'autore vero – Witold Gombrowicz che corrisponde al lettore che è un particolare
X o Y. Oppure l'autore - il soggetto del racconto che si comunica col lettore ideale
– destinatario dell'opera che rappresenta un determinato genere letterario. Come
sappiamo ogni libro è destinato ad un lettore diverso. Durante la lettura del
romanzo poliziesco, ogni lettore sostenta delle aspettative che si distinguono da
79
quelle che nascono dal poema epico. Quando il singolo sommerge nella lettura in
un romanzo amoroso, si immagina una fine delineata in una determinata maniera.
Di qui il dialogo con questo tipo di autore e il suo lettore ideale. Ambedue i livelli
s'incontrano in Gombrowicz. Il suo protagonista è Witold Gombrowicz – letterato,
chi sta operando dei vari generi letterari. La mescolanza che deriva di ciò,
permette di nuovo delle numerose interpretazioni.
L'uomo crea l'uomo, dice Gombrowicz, e il suo atteggiamento non è sottoposto
a rigidi costrizioni. Gli uomini si trasformano ogni volta che incentrano un uomo
diverso. I loro presupposti vengono modificati incessantemente tramite sempre
rinnovate costellazioni. Nel modello tracciato da Gombrowicz l'uomo non è in
possesso di un proprio punto di vista statico e immutabile. Ma lo adatta alle sue
circostanze. Il soffio della filosofia del movimento di Hegel ispirò questa
soluzione.
Gombrowicz cuoce in questo modo due piccioni nella stessa fava. Non è solo
entrano in causa delle motivazioni dei protagonisti del romanzo, ma anche la
cagione della persistente questione irrisolvibile come le modeste dimensioni di un
libro possano essere in grado di sopportare il carico della realtà. Jerzy Jarzębski
scrive: “In questa maniera Gombrowicz, invece di descrivere un certo mondo e
imporre al recettore l'inganno che questo esista in una qualche determinata,
“reale” maniera al di la dell'opera, mostra il processo di emanazione di un caos
composto da svariati elementi, concorrenti visioni della realtà, per presentare un
mondo in statu nascendi, coinvolgendo il recettore - assieme con le sue
convinzioni e impressioni personali – in un processo di creazione.”88
L'autore fa parte del dramma; Scappa dal mito del membro della boeme. In
ultima istanza il romanzo di Gombrowicz non è determinato da lui. La definizione
di una lettura di un'epoca non esclude la reinterpretazione posteriore di essa, è di
quest'eventualità è a corrente l'autore. Essendo una struttura, essa si adatta a
molteplici contenuti. Il racconto non è impermeabile, ma assomiglia a una spugna,
che pur restando spugna, assorbe o dell'acqua, o dell'aria. Il lettore attribuisce i
propri sensi che sono validi in ogni caso, perché effettivamente l'autore non ha
88 Ivi. p. 195
80
nulla da comunicare, salvo il suo dubbio alla maniera di Amleto, su che cosa sta
succedendo. Al modo di un simbolo, la chiarificazione è in gestione dagli
interpreti. Anzi Gombrowicz smaschera il convenzionale volere del lettore di
colmare un messaggio. Aggiungendo allo stile del romanzo cavalleresco o
poliziesco, dei rifermenti che suggeriscono connotazioni culturali dell'alto volo,
ottenne la confusione. Essa indica il fatto che il lettore non era propenso a
leggere, ma a scoprire nel libro il contenuto della sua mente, la realizzazione dei
suoi sogni, aspettative, ecc. Dalla disorientamento nasce la riflessione del lettore
di che cosa sia il romanzo classico, un'interpretazione convenzionale in quanto
tale. Il recipiente fu in preda al suo gusto; privato di esso si dischiude e diventa
nulla.
Secondo Jerzy Jarzębski Gombrowicz riuscì con il suo stile di muoversi in una
maniera rettilinea attraverso tutte le sopra enumerate svolte della scrittura. 1.
Trovò una multidimensionale interpretazione delle motivazioni dei protagonisti.
Le diverse costellazioni nei quali si creano gli scontri, fanno si che la caratteristica
finale del protagonista venga figurata da una somma dinamica di esse. 2. Il mondo
presentato nel suo divenire fu liberato da un'unica particolare concezione. Di che
nasce un’indeterminazione che implica che non esiste un esigenza sicura di
adeguarsi ad una realtà “vera”. Le realtà sono tante o
spariscono del tutto
neutralizzandosi. 3. L'autore reale – Gombrowicz (spaventato dalla etichetta di un
Artista) è coinvolto nel processo della creazione, nelle relazioni con la dinamica
realtà e con i protagonisti, ecc.
La tattica del dissolvimento del classico sistema della divisione della coscienza
che non permane più nella stretta scissione tra soggetto e oggetto, fra la prima, la
seconda e la terza persona nella narrazione, fa fronte all'esistenziale difficoltà
nella descrizione del soggetto, che con l'avviarsi della sua descrizione,
paradossalmente muta nel oggetto. La nebbia che si imposto al luogo delle
precedenti costruzioni, assomiglia all'oceano dell'incoscienza jungiana. È anche la
principale caratteristica dello strutturalismo con la sua scomparsa dell'io in favore
del quadro dell'insieme, e un tale strutturalista come sappiamo si riteneva
Gombrowicz. Che è venuto a capo al dilemma degli esistenzialisti, sostituendo la
loro tendenza all'immobile trattato, con la vivace interattività del gioco, come lo
81
chiamo Jerzy Jarzębski, coinvolgendo tutte le parti del gioco.
Forse all’approdo di questo effetto lo guidò la conoscenza della fenomenologia
di Husserl. Husserl mette il mondo tra parentesi. Grazie a questa scissione della
coscienza otteniamo un ego trascendentale, percepiamo il mondo separati da esso.
L'ego trascendentale e il mondo sono intesi dall'altro ego, al livello “meta”.
L'orizzonte cosi esposto viene studiato da un disinvolto, uomo concreto – Witold
Gombrowicz.
1. I racconti
L’ idea della realtà alla quale giunse Witold Gombrowicz attraverso gli anni, è
già presente nella sua prima produzione letteraria, che congiunge una raccolta di
racconti, intitolata, nella prima edizione, Ricordi del periodo della maturazione89.
Questo titolo originale è significativo perché aiuta nella comprensione
dell'interpretazione della realtà messa in scena dall'autore. Jerzy Jarzębski nella
sua analisi dell'opera osserva, che Gobrowicz utilizzò una metafore che illustra la
tipica condizione umana. Essa unifica tutte le storie raccolte nel libro.
Il protagonista del racconto L'Avventura, perseguito da un Africano folle e
strapotente, viene chiuso da questo in una sfera di vetro. Una sfera che a dispetto
del castigo che procura con la prigionia del protagonista della storia, simboleggia
nello stesso tempo una sua protezione dal mondo. L’individuo in essa custodito
proietta sulla superficie della sfera la sua visione del mondo, che ha appreso nel
corso dei suoi anni giovanili. Cosi facendo gli è dato di scorgere dal suo punto di
vista non quello che veramente si trova fuori, ma quello che attraverso il sistema
linguistico a lui famigliare su esso proietta. Se non dovesse perseguire questa
procedura rischierebbe di avvistare unicamente il caos.
Nel racconto intitolato Danzatore del mecenate Kraykowski90, l'avvocato
89
90
Witold Gombrowicz, Bacacay, Feltrinelli, 2004.
Ibidem.
82
Kraykowski, diventa vittima di un pedinamento insolito. La storia che
conosciamo adesso ha un esemplare carattere di una burlesca dove appare un
personaggio paragonabile ad alcuni attori stravaganti della commedia dell'arte. Il
nostro attore veste un cilindro, e guanti bianchi. Costui regna con la sua alterigia
su un onesto idiota, che è il protagonista principale. Secondo Jarzębski, il
conflitto, che scaturisce tra questi individui tanto distinti, illustra la sofferta
relazione di dipendenza di Gombrowicz dal suo padre, un genitore a cui
sottostava per la sua personalità sopraffacente. Individuiamo in questo quadro
anche degli accenni alla storiografia del ventesimo secolo poiché nel racconto
traspaiono ideologie fasciste che distinguiamo nella incondizionata devozione del
protagonista di fronte alla affermatissima personalità del rispettato e temuto
avvocato e si delineano alcune inclinazioni al totalitarismo, che differenziamo nel
modo in cui l’ammiratore si rapporta al tanto adorato Kraykowski che distingue
come uomo celestiale e incontestabile nella sua perfezione. Gombrowicz si
propone nel testo di smascherare la schematicità operata e concretizzata dalla
persona
dell'avvocato:
Un
intralcio
che
detona
quando
l’antagonista
dell’avvocato, amatore dell'operetta, cerca di ottenere rapidamente il biglietto al
teatro per vedere il suo spettacolo preferito, mettendosi in prima fila senza
aspettare il proprio turno. Kraykowski lo nota con sconcerto e interrompe una
cortese conversazione con delle signore per avvertire l’impaziente dei diritti di
precedenza dei primi arrivati mentre il suo portamento rammenta pure la priorità
che spetta alla sua classe, costringendolo a raggiungere la fine della coda. A
questo punto umiliato profondamente da un siffatto gesto autoritario e prepotente
il protagonista perde la ragione e adotta una perversa linea di difesa, e insorge
insolitamente esprimendo piena affezione, amore, piuttosto che pieno sconcerto,
odio verso il suo oppositore. “Nel primo intervallo scesi in platea, mi appoggiai
leggermente alla balustrada che circondava l'orchestra e attesi un po'. Poi,
improvvisamente, lo salutai. Non rispose. Un altro inchino ancora – al momento
opportuno – un altro saluto. Tornai in galleria; tremavo tutto, ero sfinito. (…)
L'indomani, prima di mattina, inviai all'avvocato Kraykowski un enorme mazzo
di rose.”91 Ed insegue dall’ora un quotidiano rituale di venerazione del mecenate
91 Ivi, p. 14.
83
perseguendolo ovunque, fino al momento in cui esso non tenta atterrito la fuga.
L’ossessione del dissennato, che sfocia quasi nel masochismo, persiste, scorgiamo
un uomo che vive per l’altro e pensa solo ad esso, la sua devozione e assoluta, e
quando lo reperisce in un parco in compagnia della amante si lancia di fronte al
rincorso per esprimere la sua piena esultanza, a cospetto della felicità del suo
“eroe”. Kraykowski
di fronte ad una tale movenza inconsueta, distante da
qualsiasi schema che custodisce nel suo registro mentale entra nel panico e
capitola alla situazione con la fuga.
Nel racconto Kraykowski92 tenta di equilibrarsi sul bordo della bizzarria. Avido
delle lusinghe provenienti dall'esterno dovrebbe essere compiaciuto, e anzi da
uomo di cultura e di società, dovrebbe essere debitore dei lusingatori scambiando
le benevolenze. Infatti la sua misura dei limiti comportamentali era stata oltre
modo trapassata, senza che l'avvocato subisse una qualsiasi violenza. Kraykowski
prova amarezza per la sua subordinazione allo stereotipo.
A livello testuale Gombrowicz adotta nella prima parte del racconto lo stile
della farsa, cioè il genere basso, popolare e nella seconda parte in poi sorgono
delle digressioni provenienti dall’applicazione del modello usato nella alta
letteratura. Il protagonista, scrive Jarzębski è un epilettico, e gli epilettici
venivano spesso introdotti nelle storie di Dostoevskij. Con questa operazione
stilistica la tranquillità, che caratterizzava lo stereotipico modo d'interpretare,
basato su riparate previsioni dello sviluppo dell'opera, viene a meno.
Lo smascheramento delle nascoste regole delle relazioni sociali porta alla
maturazione del protagonista e viene così seguita da una crescita del lettore, che
con questo cambiamento si sente per la prima volta liberato dalla presunzione
rispetto alla necessita dell'esistenza di strutture consacrate, tra i quali quelle
letterarie. Con questa rivoluzione il mito è stato dequalificato come usurpatore.
Questa, come altre storie, che si trovano nel libro intitolato Bacacay93, dal nome
della strada dove Gombrowicz abitava in Buenos Aires, ruotano intorno al tema
della maturazione.
Alcuni protagonisti dei racconti raccolti in quest’opera intraprendono lunghi
92 Ibidem.
93 Ibidem.
84
viaggi verso posti esotici. Paradossalmente l'apologia dello sforzo maschile
praticato nei terreni vergine dei deserti o dei boschi tropicali, è rappresentata da
una forma letteraria considerata secondaria, dal modello della letteratura per i
minorenni. Lo stile simile alla farsa del Danzatore del mecenate Kraykowski.
Gombrowicz era influenzato dalla letteratura nobile che lo precede, lo conferma la
sua attuazione di citazioni di Pascal e di riferimenti a altri grandi scrittori. La
minestra che prepara l’autore è perciò velenosa tanto per il lettore che si aspettava
una storia intrisa di banalità, quanto per quello che è dotato di gusti raffinati.
Gombrowicz plasma un nuovo lettore, uno non appesantito da bagagli culturali
che lo potrebbero limitare.
I viaggi in lontananza si compiono in realtà esclusivamente nella coscienza del
viaggiatore. Costui viene sempre accompagnato da una propria sfera di vetro, cioè
un equipaggiamento strutturato dalla sua cultura personale, da tutti i libri che ha
letto e dagli scenari nei quali è cresciuto.
Nella estensione degli otto racconti della raccolta, Gombrowicz muta via via il
carattere del protagonista. L'individuo si trasforma e non affronta più
ingenuamente il mondo stereotipico e malato. Pian piano anche il protagonista,
come l’autore, si rivela appesantito dalla forma. Scopre o sa che il suo caso a
questo punto è altrettanto patologico quanto quello del mondo esterno.
Nel racconto Sulla scala di servizio94, Il personaggio principale è un burocratico
borghese che nutre una passione particolare per le donne domestiche, senza
perdere però il gusto di partecipare al salotto della sua moglie. E un giorno
effettua un articolato intrigo nascondendo un gioiello della moglie per incolpare
poi la serva del misfatto. La vittima non tace, si ribella all'istante impulsivamente.
Con ambiguità esso adopera una tattica, spesso intrapresa da Gombrowicz, che fa
collimare i contrari, portandoli in questo modo all'esplosione. Tanti viaggiatori del
libro Bacacay si avvalgono del loro personale repertorio predisposto nel loro
mondo interno.
Il viaggiatore Pawel, nel racconto Verginità, conserva un concreto ricordo della
sua fidanzata nutrendo una grande ammirazione per la verginità di essa, anche
94 Ibidem.
85
dopo migliaia di chilometri di navigazione, mentre la sua fidanzata vergine è
mossa da perverse ossessioni erotiche. La percezione del mondo, secondo
Gombrowicz, è una questione personale. Di solito dipende dalle norme sociali nei
quali è sommerso l'interessato. In questa narrazione Pawel confida nel mistero
della verginità intanto che la sua amata creduta tanto candida si avvicina alle
tenebre.
Il protagonista del Crimine con premeditazione- una parodia della forma
letteraria dei gialli, ispirata al delirio del peccatore nel Delitto e castigo di
Dostojewski - è un giudice che si trova costretto di seguire le pretese del suo
mestiere, fiutando da per tutto delle congiure. Nella casa di un suo conosciuto
trovato morto in terra, il pretore maneggia la situazione in tal modo che appare
che il cadavere sia ancora circondato dall'assassino, anche se la morte era
avvenuta per cause naturali come sappiamo dalla narrazione.
I protagonisti dell'Avventura e degli Accadimenti a bordo della nave Banbury, in
viaggio verso terre lontane onde sperano di ritrovare la freschezza della loro
gioventù, scoprono le patologie della loro psiche. Dalla “Forma”, dalla sfera in
cui vivono e dalla cui profondità non si possono svincolare vedono specchiata la
loro intera esperienza, una realtà dalla quale non c'è rifugio. Il costume, la
convinzione, il linguaggio apprese da essi nel tempo risiedono improntate nella
loro ragione e li servono per l’organizzazione di ogni bizzarria. Le loro esperienze
raccolte fanno sì che il mondo li compare come normale domato e impassibile.
Gombrowicz chiarisce in questi racconti gli albori della schematicità delle
aspettative dei lettori e cerca di sconvolgerli. Lo tenta ricercando di sorprendere le
loro aspettative. Intraprende questa intenzione con l’attuazione di svariati
familiari stili letterari, che si conseguono provocando in lettore l'angoscia intorno
eccezionalità dei particolari gusti, facendoci vedere come la nostra psiche è
abituata a certi schemi. L’insolito atteggiamento di un protagonista (il danzatore
del mecenate Kraykowski), confluisce poi con una sintesi dell’auto elaborazione
dell'altro (Kraykowski). Il coinvolgimento dei contrari nelle storie smaschera e
distrugge in fine, con un’esplosione, il tanto ritenuto infrangibile mondo
escogitato dalla società (Sulle scale di cucina).
Gombrowicz una volta diramato tali strutture, le lascia al degrado dell'individuo,
86
lettore o protagonista che sia, e lo abbandona alla sua propria ricerca
dell'autenticità esistenziale. Il superamento, o l'irrevocabile fallimento nella
struttura, determina delle tappe nella creatività di Gombrowicz. L’autore sviluppa
un processo nuovo che non appartiene ne allo strutturalismo ne all'esistenzialismo
ma è situato in mezzo a queste due teorie, si tratta di un percorso che rifiuta
d'appartenere a qualsiasi trend e moda, scegliendo di rimanere immaturo, ma
parliamo di un'immaturità che viene avvertita coscientemente dal suo promotore,
per poter in tal modo poi deporre le prede, come lo fece Alice nel paese delle
meraviglie quando gettò in circolazione delle carte che esibivano come se li
appartenesse qualcosa di più.
2. Ferdydurke, gli itinerari per le strutture
Per approfondire la lettura del primo romanzo di Gombrowicz intitolato
Ferdydurke, è utile avere di fronte alcune nozioni connesse con la raccolta dei
racconti Bacacay. Gombrowicz non fu contento delle reazioni della critica che
seguirono al suo debutto letterario. Jerzy Jarzębski ci comunica pero che in realtà
le opinioni espresse nei suoi confronti erano in preponderanza favorevoli. Intanto,
sottolinea, quasi nessuno dei critici si era reso conto cosa davvero voleva dire
Gombrowicz. Il loro modo di pronunciarsi veniva percepito da Gombrowicz come
umiliante. Gli pareva di esser stato trattato come un principiante. Lo colpì la
superbia che contrassegnava le analisi dei docenti universitari e lo percosse la
procedura che seguirono nella valutazione. Non si staccava minimamente dai
modus istituzionali adottati consuetamente in simili occasioni.
Nel suo libro Ferdydurke lo scrittore ci fornì una risposta all'aggressione
avvertita. Gombrowicz iniziò la sua narrazione pubblicandola in forma di brevi
racconti nel periodico Il corriere della mattina come replica alle disapprovazioni
ricevute. Il tema chiave dell’opera rimane l'immaturità, dalla quale, secondo
l’autore, non si riesce a scappare. Per di più descrive proprio l’argomento che lo
tormentava da sempre, arricchito dallo scontento extra dovuto ad una per lui
87
sbagliata e tendenziosa interpretazione della propria opera.
Se nel racconto Crimine con la premeditazione che si trova in Bacacay
Gombrowicz si avvalse dell'esperienza come praticante legale, nel libro
Ferdydurke percorse l'intero spettro del proprio passato. Il protagonista Józio è un
trentenne che si sveglia un giorno con un forte senso di essere circondato dal
nulla. Assillato dall’impressione che non gli capiterà più nulla nella vita, vive un
momento tormentato da una grande angoscia, che era peculiare per
l'esistenzialismo. Originata dal incertezza del futuro disorientazione, fu una
sensazione che contrassegnava l'uomo degli inizi del ventesimo secolo.
Józio attraversa un momento di passaggio dalla giovinezza alla maturità. Un
mattino gli appare vis a vis come un incubo il suo alter ego come specchio della
sua gioventù. Józio schiaffeggia l'intruso. Posteriormente diventiamo testimoni di
una riflessione che seguirà all’azione onde l'attore medita sul perché del suo
gesto. Il personaggio principale cerca di spiegarsi l’avvenuto indagando sui
motivi che lo spingevano a rompere con il buio che lo avvolse. Si trova così
all’improvviso innanzi alla possibilità di avvicinarsi ai segreti della sua interiorità.
Cosi viene alla luce il tipico protagonista gombrowicziano, incerto in proposito al
suo status, incerto dei motivi che accompagnano il suo agire. Un protagonista che
si pone delle domande. L’austerità che accompagna questo suo ponderato
percorso è grottesca. Ferdydurke è una satira al racconto filosofico. La dissezione
di Józio, l’incertezza, che lo divora mentre cerca di individuare un responsabile
per tutto quello che gli succede, ha come scopo di ritrarre, ancora una volta, la
paradossalità della coscienza. La battaglia si scoppia tra il soggetto e l'oggetto.
L'io si getta tra queste due possibilità d'essere. Agisce, per poi incuriosirsi di cosa
aveva fatto. E' un esitazione tra il soggetto e l'oggetto, tra me quando non penso a
quello che sto facendo, e me che arriva ad una ricapitolazione delle azioni
compiute, considerandosi in quest'attività un oggetto. Gombrowicz equipaggiò
con una simile capacita i suoi vari personaggi, che commentandosi
reciprocamente, incrociandosi nelle storie,, invitano anche il loro lettore ad una
animata collaborazione.
Józio esige un'originalità esistenziale. Intende di scrivere un opera che sarebbe il
suo prodotto, che nascerebbe dalle sue proprie viscere, sviluppato in un modo
88
completamente
autentico.
L'autenticità,
ribadisco,
è
il
postulato
degli
esistenzialisti. Questo passo può essere letto come una satira di tale postulato.
Nella stessa mattina, quando vive il conflitto con il suo alter ego, e si propone
d'iniziare una carriera artistica, Józio riceve nella sua stanza visita da un suo
vecchio professore della scuola media Pimko. Da questo istante finisce il sogno
d'indipendenza del protagonista. L'autorevole professor Pimko tenta a costringere
Józio a convincersi della propria ignoranza.
Pimko porta l’impreparato Józio in una scuola media per dargli la possibilità di
recuperare in quella struttura tutto quello che secondo lui avrebbe potuto aver già
afferrato e imparato tempo addietro. Egli non si ribella, perché come sappiamo
l'immagine di noi che gli altri ci impongono, è più forte. Non importa se gli altri
siano stupidi o intelligenti. La potenza della deformazione che la loro immagine
su di noi ci tributa è devastante. Nella sede scolastica il nuovo alunno insolito
diventa vittima della tentazione del mondo “maturo” di imporli il regresso, di
declassarlo. Józio accetta l'immaturità come attributo a lui assegnato e si schiera
dalla sua parte. Forse era veramente affascinato del mondo nel quale come prima
impressione viene gettato involontariamente. Józio cercava durante la sua vita
matura invano nelle ideologie e nelle astrazioni la spontaneità, che lo
caratterizzava da giovane. Ricorda che questa vita era qualificata di una
autenticità, non falsificata dagli strati che gli vennero imposti in seguito
dall'istruzione. Nonostante i vantaggi che ricava dalla nuova formazione, Józio si
disincanta. I ragazzi dell’istituto si schierano in due partiti. Nei quali gli uni
adorano gli ideali e credono nell'ethos e gli altri si ribellano contro tutti gli
stereotipi. Pimko stimola in questo contesto consapevolmente una opposizione tra
questi due schieramenti, provocando delle situazioni, in cui gli studenti che già
sono rivoltisi aumentano la loro contestazione. Si rendono così facendo sempre
più ridicoli. Al cospetto dell'intrigo di Pimko, nello quale assicura la sua assoluta
credenza nell'innocenza dei ragazzi, costoro vanno su tutte le furie. Pimko trionfa.
La rivoluzione viene ridicolizzata. Józio è disperato per la cecità e l'inerzia che lo
circonda e in cui è immerso. I professori e gli studenti esistono grazie ad una
reciproca determinazione. L'uomo crea l’altro uomo. Il posto e le circostanze
forgiano gli uomini che si trovano in essi. I ragazzi desiderano riconoscimento.
89
Ciò nondimeno si trovano assoggettati in funzione dell'imperativo della
conservazione dell'istituzione. La scuola si presenta come una fondazione
assurda. Nell'universo esistenziale è importante il particolare, non l’universale. I
valori sono relativi all’individuo e in gestione dell'individuo. Qui non conta il
concetto del cavallo che assimila le proprietà di tutti i possibili cavalli nell'unico
genere. L’importante è il cavallo specifico, nato quel dato giorno, che pascola su
questo prato particolare. Gli studenti sono costretti ad recepire delle informazioni,
che sono il frutto del capriccio dei loro docenti. La scelta di tali informazioni
dipende dal caso, dalla tradizione e dall'abitudine. E' una scelta che viene tutelata
col terrore dello stato del quale macchinario la scuola fa parte. Lo scrittore
Gombrowicz nella sua opera Ferdydurke è caratterizzabile come anarchico.
Nella narrazione al professore Pimko non sfugge il doppio aspetto di Józio.
Esaminiamolo strumentalmente. Il suo atteggiamento verso Józio è ambiguo:
Oscilla tra una confidenzialità incondizionata e una sottolineata superiorità. Il
professore lo porta nella dimora di una famiglia moderna, dove lo vorrebbe
sistemare. Qui incontriamo la seconda struttura vissuta e attraversata da Józio,
come i circoli dell'Inferno dantesco. La relazione tra Józio e Pimko, la possiamo
decifrare, come hanno già fatto parecchi critici, come un capovolgimento
dell'affetto che Dante nutriva a Virgilio. Gli ospiti moderni non nutrono pregiudizi
consueti in apparenza, e vivono coinvolti in attività con cui sperano poter
migliorare il mondo. Gombrowicz si riferisce in questo passaggio evidentemente
ad una critica letteraria socialmente non indifferente come per esempio il
movimento positivista di quel tempo. L’abitazione della famiglia moderna
Młodziakowie diventa il nuovo alloggio di Józio. Nel percorso del suo soggiorno
Józio smaschera la modernità, individuandola come una posa. Lui stesso viene
valutato dalla famiglia dal primo incontro come un ragazzo manierato, di vecchio
stile. Questa caratteristica viene impostata dalla madre che promuove
ininterrottamente la leggera sportiva disinvoltura della sua figlia Zuta, la proprietà
sottolineata al danno dell'inerzia di Józio. Józio si scaraventa fra il fascino della
freschezza di Zuta, e l'assurdità della situazione in cui si trova. Una volta
attribuitagli da essa rigidità nei modi lo elimina dal come un potenziale amante. In
seguito al suo amore rifiutato, Józio confronta crudelmente la famiglia con la sua
90
manifesta inautenticità. E lo realizza organizzando un incontro tra esponenti di
contrastanti persuasioni. Rincorrendo il suo Piano spedisce per posta due lettere
d’amore di cui una destinata a Pimko e l'altra al Kopyrda, un tipo sportivo, il
prediletto di Zuta, in cui invita i due uomini ad un incontro di tenerezza nella
camera di letto della ragazza. Nelle lettere finge che il mandatario sia Zuta. Le
vittime abboccano apparendo all'incontro fittizio entrando dalla finestra. Al
momento di tale accadimento Józio chiama i genitori della ragazza. La presenza
di uno dei due amanti
sia ai genitori perfino gradita. Il padre e la madre
avrebbero cosi l’opportunità di confermare la loro cosi tanto sbandierata
modernità. Perciò potrebbero sopportare addirittura il vecchio Pimko. I due pero
sono troppo. In effetti entrambi genitrici sono drasticamente inadeguati rispetto
alla loro convinta moderna flessibilità. Nella loro reazione insorgono persone
antiquati. La situazione arrangiata dal protagonista porta al crollo dello schema
dei moderni. Il padre della famiglia, che fin ora declamava il suo svincolamento
da ogni probabile pregiudizio reagisce allo scenario che gli si rappresenta davanti
scandalizzato, abbandonando così facendo il ruolo che recitava. A questo punto
non si differenzia più come un uomo rivoluzionario perché l'evento ridesta in lui
il tradizionalista. Quando vede quello che avviene nella camera della sua figlia è
pronto di chiamare la polizia, grida allo scandalo e esige da Kopyrda dei
chiarimenti. E non risparmia Pimko con la sua presupposta ascetica astrazione. Il
vecchio è ridicolo nella sua affascinazione per la giovinezza. La sua istruzione
non è capace di difenderlo dall'incanto di Zuta, dalla magia che emana dalla sua
leggerezza, verginità, spontaneità. La perversione e il fascino per l'immaturità
sono proprie alla vecchiaia, dice Gombrowicz. A questo punto Józio abbandona
semplicemente il centro della battaglia che si allestisce davanti a lui e dove tutti si
pongono in ostilità contro tutti. Non gli resta che uscire di casa. Le relazioni
interdipendenti che di solito tenevano congelati i personaggi di una determinata
posizione vivono adesso infiammati dalla verità. Se Józio fosse scappato prima,
non avrebbe vinto. Si considera trionfatore perché vede conseguito il suo
proposito di decostruzione del tanto odiato, ordine sociale.
Józio scopre nelle lettere dirette a Zuta e situate sulla scrivania di essa, che in
cotali zampilla un ampio ventaglio di suoi adoratori come professori, avvocati,
91
banchieri, industriali. Tutti pezzi grossi che dietro ad una elevata retorica
nascondono fantasie lussuriosi e erotici. I loro dotti appannaggi non sono che la
fasciata per tutti i loro complessi tenuti sospesi sottoterra. Il narratore prende qui
il posto di un psicoanalitico. In questo modo Gombrowicz si confeziona sempre
nuovi nemici. Tutti quelli che hanno letto correttamente il messaggio pervenutoli
tra le righe. Dopo il suo Ferdydurke nessuna frazione sociale o politica si fidò più
del giovane autore.
Per Gombrowicz l'arte è la congiunzione degli opposti. La vecchiaia di Pimko, e
la giovinezza di Zuta possono sussistere solo complimentandosi, pur restando
nemici. Il senso dell'uno gli è attribuito dall'altro. Nel mondo delle metamorfosi
tutto si sostituisce reciprocamente. Nella filosofia di Seneca i quattro elementi
sono dei lati diversi della stessa materia prima. La vecchiaia e la gioventù quando
vengono mescolate non ci minacciano più. La bellezza della ragazza e l'istruzione
di Pimko non ci opprimono quando vengono collegati insieme. Dal punto di vista
filosofico è proprio il Lapis Philosophorum, che ci permette di cambiare il
piombo in oro, e che fa rinascere Faust un'altra volta, e che fa si che in una
misteriosa comunione l'Universo si presenta nel suo aspetto d’omogeneità dei
componenti. Una paragonabile operazione viene intrapresa da Gombrowicz
quando compone una narrazione. Secondo lui le scene dei romanzi dovrebbero
conseguirsi alternando l'atmosfera. In questa maniera otteniamo un effetto
drammatico e interessante per i lettori.
L'ultima difficoltà incontrata da Józio sulla strada della ricerca dell'originalità e
dell’indipendenza appare nella sua propria famiglia. Conosciamo in essi un
nucleo familiare che vive seguendo fedelmente i codici tradizionali dei tempi e
che riproduce la e si alimenta dalla feudale fonte dello sfruttamento delle classi
“inferiori”. L’interprete della storia li raggiunge quando distanziandosi dalla
scuola e dirigendosi verso la campagna con un suo amico Miętus, un tipo
“brutale” e ossessionato dal presupposto di fraternizzare con un ragazzo
contadino, incontrano insieme per la strada la macchina della zia di Jòzio. La sua
zia invita i ragazzi sulla sua proprietà terriera e li scorta verso il suo podere, un
relitto dell'ordine sociale in fase di tramonto. In questa localizzazione
sopraggiunge la menzionata tendenza di Miętus, costruita su una lesione
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provocata dalle subordinazioni sociali fra la sfera dei padroni e dei servi. Una
trauma la quale lui patì nell'ambito famigliare, e che conflui con la voglia di fare
amicizia con un fanciullo di umili origini. Una ossessione che pervadeva lo stesso
Gombrowicz. Nella figura di Miętus, Gombrowicz forgia il suo alter ego,
ritraendo i suoi stessi pareri. Miętus ha un carattere compiuto. Mentre Józio sta
oscillando tra le varie zone antagonistiche, rifiutando di determinarsi, nella sua
machiavellica, filosofica sospensione. Questo li acconsente, e in conseguenza a
noi, l'introspezione oggettiva in esse. Jozio simpatizza con il suo amico, ma sa
che la rivoluzione si arresterà ad un tratto per riaccomodarsi nuovamente in una
organizzazione sociale decretata. La vita improvvisata e spontanea, si legalizza e
gerarchizza. Miętus per regolare i conti e rompere con le antiquate gerarchie
impostategli dai suoi antenati, offre la propria guancia al povero servo per essere
schiaffeggiato da esso. Miętus agisce in tal modo convinto che con questo gesto
potessero essere corretti tutti i secoli di umiliazione, un oltraggio recato alla
servitù della quale si sentì responsabile. La sua persuasione era che in un tal
simbolico gesto di sfogo avesse provocato nel oppresso il perdono dei suoi antichi
antagonisti e che avessero potuto diventare dei veri compagni.
La casa della famiglia di Józio riproduce il folclore del trascorso e si contrasta
tanto alla modernità della pensione in città. I zii e il cugino sentono indebolite le
loro posizioni a causa dell'agitazione di Miętus. Sul livello esistenziale temono
che i loro privilegi non si fondano veramente su dei veri principi definiti.
Sospettano
all’improvviso
che
la
loro
forma
consacrata
sia
sospesa
nell'astrazione. Quando lo riconoscono si spaventarono. Trascinano per questo
motivo il contadino in una intriga. Lo accusano di furto. Lo puniscono,
organizzando una festa notturna improvvisa e violenta, e adoperandolo ai servizi.
A questo punto i contadini insorgono. Sentirono una vocazione al capovolgimento
dell'ordine sociale. Tutto culminò in una esplosione.
Gombrowicz scrisse questa scena negli anni trenta. La rivoluzione stava per
scoppiare in Polonia e dopo il 1945 possiamo dire che lo scrittore avvertiva gli
avvenimenti che susseguirono. Ovviamente non si può pretendere di dare al suo
manifesto la stessa forza di persuasione che si estraevano dai scritti di Marx.
Piuttosto una forza simile a quella che ci possono trasmettere i dipinti delle
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caverne paleolitiche. Che raffigurano cacciatori di animali con il proposito di
incantare e ipnotizzare i loro spiriti, per poi cacciarli. Come loro anche
Gombrowicz non fu distante dai cenni del pensiero magico.
Il ruolo provocatorio di Miętus ci dice qualcosa sulla vicenda. La rivoluzione
non può essere mai spirata dal basso. Secoli di stagnazione hanno
sufficientemente impregnato la struttura della soggezione per pervenire a qualsiasi
ribellione del proletariato. È la classe superiore (Miętus – Gombrowicz) che non
riuscì a sopportare il peso della sua artificialità. Ed era essa che preparò gli operai
all'insubordinazione. Nella storia lo confermarono i casi di Marx e Lenin. Sono
stati gli intellettuali. La rivoluzione, lo spontaneo movimento delle masse, fu così
reso grottesco perché venne portato avanti animato dalla manipolazione. Fu una
congiura pianificata dagli intellettuali e dalla storia. Gombrowicz sostiene nel
Corso di filosofia che il sogno del ritorno alla natura è irrealizzabile.
Nel epilogo della storia Józio scappa, come era la sua consuetudine. La fuga è
caratteristica per Gombrowicz che decise di non tornare in Europa quando
scoppiò la seconda guerra mondiale.
Józio scappa seguendo le regole della fuga già nota dalla letteratura epica e da
essa consacrata. Nella sua evasione porta con se una ragazza rapinata dalla casa
dei parenti. La figlia degli zii. Una ragazza debole, degenerata per i vizi degli
antenati. Una donna che raffigura il prototipo della sociale inadattabilità ci appare
come un inutile prodotto della classe, che estrapolata dal suo ambiente e gettata in
condizioni naturali, non sarebbe mai in grado di sopravvivere. Lei vive
inconsapevole della bestialità del mondo. La sua innocenza è dovuta al fatto che
le è stata preclusa fino all’ora la spietata verità. Lo avvistiamo quando durante una
conversazione a tavola enumera una lunga lista delle sue malattie. Non è una
signorina bella ma si convince di esserlo perché è stata scelta da Józio. Esiste con
piena fiducia nel mondo e nutrendo una somma gradevolezza per il suo eroe, e
pensa tutto straripante di ideali. Józio è un po' come lei. Abituato ai piaceri e
facilita. Nella sua nuova comoda dimora di Varsavia ogni giorno di mattina è
servito d'un caffè caldo e dei panini. Durante la fuga, dopo una corsa lunga, li
rafforza il latte delle mucche incontrate sui prati che incrociano lungo il sentiero.
Lei lo bacia. Cosicché anche lui si sente costretto di baciare lei mentre il sole
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sorge romanticamente. Un sole sentimentale, affaticante che li seppellisce
ulteriormente in una tomba d'insieme. Per dove scappare per evitare la cugina
onirica, si chiede Jozio - Gombrowicz? Come uscire dalla favola del ruscello
mormorante che ci circonda? Dal mondo di lei? Quale sarà l'antidoto per evitare
gli alberi nostalgici e poetici che appartengono a Zosia? Il canto dei uccelli suoi
insopportabile? La cugina è l'ultima stazione grottesca in cui approda il
protagonista in Ferdydurke. Józio scappava, prima di incontrala dalle costrizioni
impostateli dagli altri, dalla famiglia che lo voleva vedere inserito nella società, e
dalla scuola che lo voleva convertire in un ufficiale della dottrina della cultura,
come fugge dalla ragazza moderna e dalla rivoluzione dell'amico idealista. Ci
voleva qualcosa per neutralizzare l'onnipotente indebolimento che lo aureolava
ovunque.
Gli uomini impongono agli altri uomini gli immagini che abbiano di loro.
Gombrowicz chiama la Faccia una concezione che l'altro ha di noi e su di noi
impone. Del nostro viso cosi fornito non riusciamo a fare a meno. Dobbiamo
vedere noi stessi attraverso questa deformazione. Gombrowicz si chiede se esiste
qualche cosa oltre a quelle figurazioni. Da una Faccia, risponde l’autore, ci si può
sfuggire solo in un'altra Faccia.
Sul livello narrativo Gombrowicz utilizza scherzosamente la descrizioni della
natura. Nei romanzi degli inizi del novecento la rappresentazione della natura
veniva adeguata all'atmosfera che l'autore desiderava creare. Gombrowicz
descrive l'albero, l'uccello, il cielo senza porsi dei obiettivi. L'estraneità della
natura in Gombrowicz, che non serve ai scopi di far rincrescere dei emozioni,
sottolinea l'alienazione dell'umo in confronti con la natura, e la faticante
dipendenza di esso dal suo proprio genere. L'uomo è rinchiuso in una struttura
innalzata dall'umanità.
Le motivazioni degli atteggiamenti dei protagonisti sono relazionati ad un
ampio ventaglio di correlazioni ai quali partecipano. Le interpretazioni cambiano,
la realtà non è stabile perché è come un gioco interattivo tra vari protagonisti che
provano dei sentimenti che non sono saldati una volta per sempre. Poiché le
circostanze mutano, rispetto ad ogni scossa naturale o emotiva, che può avvenire
ad un essere, esiste la possibilità di una spiegazione che può contraddire la
95
precedente. Spesso lo svolgimento degli accadimenti introduce dei nuovi
componenti, che trasformano i motivi psicologici delle azioni compiute.
Non solo i personaggi devono corrispondersi, per lo più, argomenta Jerzy
Jarzębski, nel libro qui trattato il narratore, cioè Józio, non esiste senza il
destinatario del suo monologo. Le assurdità che sta razionalizzando abbisognano
di essere oggettivizzati
nella mente di un altra persona. Quell'altro è o
direttamente il lettore, o in prima istanza il partner del protagonista, il suo collega
di scuola, e attraverso lui noi stessi. Józio viaggiando per le diverse strutture
sociali entra in rapporto con molteplici personaggi che lo spingono a mostrare
sempre nuovi aspetti della sua interiorità. Gombrowicz dice che l'uomo non è mai
come è, ma come esiste in un rapporto. Il professor Pimko fuori dalla scuola è
soltanto un bizzarro e stravagante vecchiotto.
Il perpetum mobile infuocato nel frattempo, va avanti senza delle
complicazioni. Per Gombrowicz siamo continuamente determinati dal cosmo che
ci tiene al suo interno. Le strutture degli ambienti che ci circondano, operano con
linguaggi appropriati. Continuamente stiamo mantenendo un dialogo interno, che
con la ripetizione delle stesse costruzioni logiche, accosta i polimorfi elementi
dell'universo in una maniera prestabilita, una volta per sempre imparata e sigillata.
Lo studente opera applicando un linguaggio adeguato, brutale oppure gentile che
sia, ma un lessico che si allontana mai dallo spettro delle preposizioni.
Il gioco, come lo chiamerebbe Jerzy Jarzębski, tra i personaggi nel loro
coinvolgersi reciprocamente, è seguito dal palcoscenico della narrazione in cui
sboccia il gioco tra il lettore e l'autore. Come già dicevo varie volte, Gombrowicz
unisce nelle sue storie gusti narrativi popolari con gusti raffinati. Józio commenta
e riflette sulle sue azioni bensì non è mai sicuro della qualità delle sue
interpretazioni, il che lo porta a esitare. Confessa che la vicenda alla quale era
arrivato a partecipare, gli procura un’eccitazione comparabile con un il fremito
che vive un criminale, nei racconti di Sherloock Holmes. Come Holmes, lui
attribuisce ai accadimenti delle vacillanti spiegazioni. Esse sono interceduti poi da
una profonda riflessione filosofica perorata dalla gravita di un ragionamento entro
l’analisi e la sintesi. Di una tale fusione non è soddisfatto ne l'amatore delle
sensazioni, ne il degustatore delle astrazioni. In un simile contesto la coscienza
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del lettore è sconvolta. In questo scompiglio si svela la formale dipendenza
dell'uomo. Il rimedio è la consapevolezza del complesso, accompagnata dal
vantaggio di creare la propria forma.
Il folclore del carnevale, scrive Jarzębski, ha la funzione della rigenerazione
dell’unione della popolazione. A carnevale il re è uguale al servo, la principessa
alla contadina. Ma dopo pochi giorni la solennità finisce e niente è stato cambiato.
Paradossalmente è stato in tale celebrazione solo sottolineato la scala gerarchica
della società. Nei scritti di Gombrowicz non si mostra la comparsa di questo
giorno di festa, perché ha espulso questa commemorazione del tutto dalle sue
vicende. Qui distinguiamo così un pensatore che descrive i suoi scenari con una
costante equilibrazione entro i suoi distintivi autorevoli e umoristici; questo suo
metodo lo rende un autore ininterpretabile. Gombrowicz scrive sia per una cuoca,
che per un ammiratore dell'intelletto. Ambedue si incontrano nelle pagine del suo
libro. Sono uno e nessuno.
La molteplicità dei generi prosastici, fa si che in ultima istanza il lettore non è in
grado di esperire una desiderata da ogni pubblico stabilita. La comunione degli
pareri, punti di vista, credenze e simpatie in un unico stile non c'è. Gombrowicz è
serio e comico contemporaneamente. Jerzy Jarzębski parla anche di due ordini di
organizzare nella consistenza del romanzo. Gli avvenimenti, la loro corrente
possono essere svolti da un filo logico razionale, quando il loro inventore insegue
la tipica maniera compositiva del romanzo razionale novecentesco. Un
procedimento che è accompagnato dalla convinzione del suo fautore che il mondo
è sottoposto alle regole irriducibili della ragione, onde un evento è la causa per un
altro. Il secondo ordine individuato da Jarzębski è quello metaforico. L'autore che
fraternizza con esso spera che le digressioni che propone verranno decifrati dal
lettore e che così i simboli da lui evocati siano recuperabili dal repertorio culturale
proprio anche all’incuriosito. Gombrowicz si avvale di entrambi i sistemi. Il
letterato auspica di dare impulsi nuovi ai suoi lettori con la sua attuazione di una
unione tra le innanzi ritenuti inavvicinabili normative, e desidera così facendo di
svegliare i consumatori dell'opera dal loro sonno continuo e dalla passività in cui
si sono esiliati. L'autore di Ferdydurke evidenza la superficialità delle forme
sociali sul livello dell'azione. Il suo intento è l’abolizione della incombente
97
dipendenza degli stili letterari nella loro redazione, da una regolarità unilaterale.
L'automaticità nel concatenamento di associazioni connessi seguendo un tempo
lineare, è tipica per lo stile realistico. Nello stile romantico e simbolistico invece
l'autore sceglie arbitrariamente dei fenomeni spesso a buonsenso dissimili e li
accompagna con dei altri a seconda del suo capriccio poetico. Il tempo per esso
può essere percepito e rappresentato come surreale, infinito, come un tempo
appartenente al sogno. Lo stile di Gombrowicz in Ferdydurke raccoglie forme
diverse, come è accaduto nel caso dei racconti.
La presenza di Pimko nel testo comunica, per Gombrowicz, oltre ad una
estensione universale e filosofica, anche una dimensione particolare e privata. Il
docente Pimko raffigura per Gombrowicz il critico letterario, uno di quelli che lo
tormentavano. Nel suo libro delinea lo scontro tra lui è il mondo dal quale si vuole
vendicare. Pimko rappresenta qui l’emblema del tradizionale approccio alla
letteratura, dove perdurava la certezza che nella stesura di una opera si dovesse
ossequiare le reminiscenze dei grandiosi e tanto consacrati capolavori. A quel
riguardo alla sfera universale si congiunge il dramma personale di Witold
Gombrowicz, un uomo concreto. Io sono il mio più grande problema, diceva
Gombrowicz. Anche nelle figure dei vari parenti come le zie, ricordate e
enumerate da Józio, possiamo identificare corrispondenze con i critici letterari.
Figure a cui, a causa di un delimitato orizzonte intellettuale, non è permesso di
uscire` della ristrettezza mentale, e che sono oppresse da una totale inerzia
cerebrale. Si parla di persone che smaniano accanitamente d'analizzare ogni
materiale con l'uso degli convenzionali schemi che funzionano nel loro repertorio.
L'opera deve assomigliare a un qualche corrente artistico, oppure spiegarsi a
seconda delle nuove tendenze scientifiche.
L'ultima questione rilevane trattata in Ferdydurke è relativa al tempo. La
sensazione di dilatazione del tempo che si percepisce leggendo il racconto è,
nell'interpretazione che mi propongo di svolgere, collegabile con la questione
della congiunzione degli opposti.
Ci è noto che la pietra filosofica oltre a
produrre dell'oro dal piombo ringiovanisce. Ed ecco, appunto nella scuola media
della vicenda nessuno si accorge della vera età di Józio. Il lapis di Gombrowicz
consiste nella coscienza, che la nostra determinazione dalle strutture è cosi
98
profonda, che spesso percepiamo degli altri non come sono nella loro intima auto
convinzione, ma a seconda del occupato posto nel sistema. Pimko deve essere
vecchio, perché è l'insegnante, lo studente Józio non può avere trenta anni.
L'enigma di Józio è che esso è contemporaneamente un uomo giovane e maturo,
un quindicenne e un trentenne. Nel romanzo Józio viaggia attraverso un tempo
reale lineare. Gli eventi vengono causati in concatenazione. In questo tempo è
collocato, ha pero anche il suo tempo, che è il tempo della sua vita chiusa tra la
coscienza immatura e quella aumentata, tra il presente e il passato. Józio reagisce
alterando queste due posizioni. Ogni tanto gli risulta più comodo essere uno
studente, però poi si rende conto dei vantaggi che può trarre dalla sua esperienza.
Józio condanno l'istituzione che è costretto a frequentare, ma comprende nello
stesso tempo che pure il collettivo degli studenti non da migliori risultati. Anche
la giovinezza segue un portamento formale. Zuta conosce il codice sociale che
prescrive l’ideale portamento del tipo sportivo o ribelle, e si impegna
ostinatamente a rimaner devota al suo ruolo prescelto. Józio è allo stesso tempo
tutti quanti incontra al suo cammino. Si è espulso dalla Forma, perciò esce anche
dal tempo. Il tempo diventa la relazione dei nostri immagini della giovinezza e
della vecchiaia in corrispondenza ai funzioni che svolgono in società.
La decostruzione sviluppata da Gombrowicz ha lo scopo di identificare le
regolarità nelle stesure consuete per potersi opporre ad essi prospettandosi poi
l'obiettivo di eliminarli. Gombrowicz aspira a cogliere nei suoi scritti una pura
esistenza, con una essenza incontaminata da qualsiasi codice sociale. L’autore si
auspica che essa venga liberata da ogni vincolo e da ogni duplice oppressione, si
tratti della perfezione come dell'immaturità.
3. Pornografia, la coscienza come una dinamica
improvvisazione
Il sentimento del vuoto esistenziale causato dalla mancanza dei valori ritorna nel
99
romanzo scritto da Gombrowicz nel 1958 e intitolato Pornografia95. Diversamente
dal libro Ferdydurke, Pornografia presenta un approccio meno moderato
all'immaturità. I protagonisti di questa storia appariscono maturi e assimilati nella
comunità degli adulti. Il punto cruciale dell’avvio della narrazione è la posizione
stabile dei suoi personaggi principali. Da essa, il protagonista Witold e il suo
amico Fryderyk, possono intraprendere delle escursioni esplorative alla ricerca
dello sconosciuto. Trovandosi in possesso di una allargata coscienza, sono ora in
grado di controllare e registrare meglio la loro realtà. La loro danza si realizza tra
la sfera del conservatorismo e dell'infantilità. Dal avvento del loro intervento nella
realtà, la sicurezza e la stabilita di essa cede il posto all'inquietudine e alla
incertezza. Witold e Fryderyk intraprendono un atteggiamento, che ricalca una
mescolanza tra l'indagine scientifica e detectivistica.
Portano il proposito di
spiegare la realtà, dalla quale non si apprende se sia frutto di una proiezione della
loro perversa interiorità, cioè una pura creazione, oppure una conseguenza
dell'adesione al corrente del mondo oggettivo.
A questo punto si arriva però successivamente. Nei primi tre capitoli l'autore
presenta una realtà caratteristica al romanzo classico, onde il mondo è “normale”.
Ci troviamo nella Polonia durante la seconda guerra mondiale immaginata da
Gombrowicz che dal trentanove visse in Argentina. Alcuni scrittori polacchi che
avevano vissuto la guerra nella Polonia occupata, erano impressionati
dall'adeguatezza della descrizione dell'atmosfera del conflitto, e della memoria di
Gombrowcz confermata dalla cura dei dettagli. Dagli altri il libro era stato
interpretato come provocatorio, o addirittura una bestemmia. Gombrowicz, che
nel Ferdydurke faceva i conti con l’istituzione dell'educazione, con la famiglia e i
trend nella società, mette in Pornografia a fuoco il patriottismo e il militarismo.
La forza della Forma rimane opprimente. I comportamenti dei personaggi sono
conformati alle situazioni ai quali compartecipano. Un ragazzo giovane, Karol,
figlio dell'amministratore della proprietà terriera, è per il padrone, un nobile
polacco, il servitore. Per un ufficiale dell'armata polacca che si nasconde nella
casa è invece un giovane soldato. Il ragazzo e il comandante, un vecchio e un
giovane si incontrano per complimentarsi. Uno vede nell’altro o la forza e
95 Witold Gombrowicz, Pornografia, Feltrinelli, Milano 2004
100
l'esperienza, o la spontaneità e l'energia fresca. Di nuovo la coppia è pero ridicola.
I partigiani polacchi con la devozione al culto del mito del guerriero, appariscono
come stupidi sciovinisti maschili.
La vita di palazzo in campagna era, nonostante il clima del pericolo,
relativamente tranquilla. L'alienazione di questi rappresentanti dell'élite della
società polacca è addirittura forse un po' troppo evidente. Jerzy Jarzębski osserva
che tutte le vicende delle storie di Gombrowicz si svolgono negli ambienti chiusi.
Come nel racconto dell'uomo bloccato in una sfera di vetro, Gombrowicz
sottolinea qui la condizione della coscienza umana che si auto proietta nello
spazio limitato dalle propri convinzioni. Questo status è la risorsa della infinita
noia del protagonista Witold, è la noia esistenziale del cosmo dove tutto si ripete
senza la speranze della sorpresa. L'odio per rigide stagnazione è per Witold la
causa della deliberazione e decisione di intervenire nell'azione, ma appena la
compie inizia ad esitare. Da filosofo cartesiano non seppe se i fenomeni che
avvenivano intorno a lui sarebbero i prodotti della sua immaginazione o se erano
veri, nemmeno dello status delle proprie azioni era sicuro. Per questo
Gombrowicz gli accosta l'alter ego, Fryderyk. La loro reciproca comunicazione, la
confermazione della verosimiglianza che verificano nell'altro, fa si che il mondo
esista. Il Witold che si rispecchia in Fryderyk non è più un matto che invece
dell'esteriorità vede dei contenuti della propria mente. Insieme con Fryderyk è
dotato della forza. Il mondo, dice Gombrowicz, nasce dai due. I due sono la
potenza. La sfera di vetro non è più un simbolo dell'autismo ma diventa
un'allucinazione collettiva.
La coscienza si è raddoppiata. Gombrowicz equipaggia gradualmente i
protagonisti del romanzo con la coscienza. La moglie del proprietario terriero è la
madre, allora la sua funzione, scrive Jarzębski è la maternità. A lei non interessa
nient'altro, esiste impermeabilmente. Tutto quello che intraprende è determinato
dal ruolo che svolge. Wacław, il fidanzato della sua figlia Henia, un uomo educato
e convenzionale, vive un po' meglio aggiornato degli avvenimenti del romanzo.
La sua coscienza viene però condizionata da un'intriga di Witold e Fryderyk un
complotto che fa si che inizia a avere dei dubbi sulla autenticità dei sentimenti
della sua futura sposa minorenne, perché lo bramano Witold e Fryderyk. A loro
101
avviso da demiurgi avanguardisti e outsider con dei nuovi valori, il rapporto tra
l'invecchiato Wacław e la giovane ragazza rappresenta un’ estetica deviazione.
La destabilizzazione della Forma comincia dalla discordia apparsa tra
l'inferiorità dei giovani e la supremazia dei maturi. Questa volta, contrariamente a
Ferdydurke, Witold si lascia coinvolgere nel moto di una ribellione, schierandosi
apertamente da parte della giovinezza. Solo che esse occupa una posizione
privata, limitata. La culminazione della condensazione della muffa della
convenzionalità del castellaccio in seno ai boschi accade durante una messa in
chiesa di domenica, quando tutto sprofonda in un disastro irrecuperabile. Un
giorno, col isolamento di questo edifico, da secoli consacrato al rituale della
confermazione dell'intoccabilità della forme, la tensione dei secreti nodi del
cosmo prospera alle estremità della resistenza. Come ogni volta i contadini e i
signori vengono a celebrare il vuoto della messa. Quando per una qualche
coincidenza, forse la presenza di ospiti, qualcosa non procede. Un prete che si
sposta qua e la tra delle pitture sacre. Ma perché lo fa? Ma cosa insinua? Quel
giorno i contadini non temono più. Si sente l'impotenza dei signori, ormai da
tempo degradati dai Tedeschi nel loro status dei unici padroni feudali. La
cerimonia sembra uno strano spettacolo dello quale il senso è partito per una
passeggiata, dalla quale non tornerà mai più. La realtà che appariva come un
sistematico quadro bucolico ad un tratto perde il suo assoluto punto di
riferimento. Per gli esistenzialisti il mondo è sospeso nel vuoto. L'infinito che si
scorge nei sistemi solari senza inizio o fine era il postulato di Giordano Bruno. In
Pornografia il centro del mondo non è formato nemmeno dai soli, ma
dall'individuo. A questo punto l'ammissione d'un qualche Dio creatore è
impossibile. L'individuo si crea i propri valori come crea se stesso dall'inizio alla
fine. Nel cuore del sereno paesaggio del villaggio, cosi caratteristico per numerosi
racconti del romanzo classico, appare all’improvviso un mostro dell'inesistenza.
La terra torna così a essere quello che era, un punto nel cosmo, dove
esclusivamente l'uomo è responsabile del suo futuro. Un uomo che adesso è
addirittura capace di crearsi il proprio passato, inventandolo. “Quale vittoria su
questa messa! Che orgoglio! Se tutta questa liquidazione fosse un qualche mio
irriducibile desiderio: solo alla fine, io solo, nessuno e nulla oltre me, solo in un
102
abisso assoluto... Allora son arrivato alla mia definitività, ho raggiunto delle
oscurità! Amaro fine, sapore amaro, una meta amara! Però fu profondo, a fermare
il fiato, segnalato dalla maturità dello spirito irrefutabile, dello spirito in se
concluso. Però fu anche orribile, e privo di qualsiasi sostegno, io mi sentivo nelle
mie mani come nelle mani di un mostro, essendo in grado di fare con me tutto,
tutto, tutto!96
Proprio da qui prende inizio il gioco di Witold e Fryderyk con la forma, e con la
realtà. Witold, nel vuoto insopportabile che incontra nella chiesa, sposta e
concentra la sua attenzione sulla pelle del collo di un ragazzo, che risplende
accanto a lui con tutta la fragilità della giovinezza. Focalizza su esso tutta la sua
attenzione affascinata e ammalata. Si rifugge nella nudità di quel corpo con
un'intensità proporzionata alla disperazione per l’abisso poco prima sperimentato.
Qui l'immaturità appare per la prima volta un Tempio dello spregiudicato
Gombrowicz. La concentrazione di Witold sulla nuca di ragazzo non è generata
da un puro istinto sessuale. Witold combina il collo del giovane, che si mostra
essere Karol con il suo equivalente in collo di una ragazza, la menzionata
fidanzata di Wacław, Henia. Qui si rivela il gioco pornografico di Witold e
Fryderyk, dei due maschi di media età, che per manipolando il mondo, uniscono
le sue essenze per distillare il Opus Magnum. Fryderyk condivide delle
“perversioni” con Witold. La perversione diventa un loro canone. Al posto di due
pazzi conosciamo adesso in loro due eccentrici. Il lettore non ha l’impressione di
assistere ad una patologia, perché Witold razionalizza sul proprio atteggiamento
chiarendo a chi lo segue la sua prospettiva, per lo più trovando in Fryderyk un
sostenitore.
In un’altra scena Fryderyk osserva di nascosto Karol durante il suo lavoro
contadino, mentre Witold osserva Fryderyk. Dunque non è più l’unica spia della
bellezza proibita. La partecipazione di Fryderyk li permette di confidare il suo
buonsenso. L'alter ego impersonato dall'amico gli permette di conoscere delle
verità su di se. Fryderyk guarda Karol, e subito dopo, cerca di nascondere davanti
a se stesso di averlo fatto. Fryderyk è il protagonista di un'azione, che subito
dopo averla svolta, la nega. Witold mentre studia il suo amico apprende più del
96 Witold Gombrowicz, Pornografia, Wydawnictwo Literackie, Kraków 1969, s. 22
103
suo essere di quanto non può sapere Fryderyk di se. Jerzy Jarzębski dice, che
l'introduzione dell'alter ego di Witold nella persona di Fryderyk, era necessario
per evidenziarli certi atti che era solito di compiere anche lui, e che non
rispecchiati nel amico li rimarrebbero oscuri.
Fryderyk è un uomo che oscilla tra un mondo fino a questo momento
considerato oggettivo è una realtà in processo, in atto di composizione. Non si
muove ancora sicuro sul terreno che si propone di fondare. Di conseguenza, nota
Jarzębski, riferendosi a questa scena, Witold esce apertamente dal suo
nascondiglio e Fryderyk così smascherato si rende cosciente di se. Questo non
vieta, che la conversazione che scoppia in seguito tra loro due si svolga in un
modo perfettamente convenzionale. La chiacchiera gira intorno ai temi neutri, e
nessuna parola espressa non tradisce la congiura che progettano continuamente. I
due si intendono mentre intraprendono la decostruzione dell'ordine della
campagna e dei suoi abitanti senza scambiarsi delle parole.
Per creare una coppia del nuovo valore estetico, che raffigurerebbe il loro ideale
di bellezza, Witold e Fryderyk devono portare a Henio la fanciulla. Per
intrappolarla viene pregata da Fryderyk di riparare i pantaloni rotti di Karol, per
proteggerle dal fango, un'azione apparentemente neutra dove l'amica fa un favore
all’amico. Due ragazzi della stessa età, accomunati da tante esperienze condivise
con il passare degli anni. Il sottofondo che si riscontra in questa situazione è
invece di natura erotica duplice, scrive Jarzębski, giacché Henia non solo è attratta
da Karol, ma mostra di essere d'accordo nell’accontentare l’intento di Fryderyk
che prova un quasi perverso compiacimento nel seguire il gesto innocente della
fanciulla. Non si sa pero fin in fondo quale dovrebbe essere la vera interpretazione
di questa situazione e cosa ne pensava Henia.
In seguito, approfittando dell'opportuna costellazione dei pianeti, Fryderyk
coinvolge i giovani in un'innocente spettacolo teatrale sull'isola. Un evento a cui
invita anche di nascosto Wacław, il promesso sposo della ragazza, facendogli
credere che essa lo tradisca. La coscienza di Wacław è limitata ad assistere a
quello che gli mostrano. Lo interpreta alla scia degli supposizioni che gli vennero
confidate. Wacław non sospetta nulla della congiura, anche Henia e Karol ne sono
incoscienti. A loro però non interessa il doppio fondo, perché non ci pensano
104
essendo distratti dalla soro reciproca attrazione. Si divertirono del loro
ombreggiato erotismo che viene messo in scena nel dramma a cui assistono.
Fryderyk ne trae un doppio vantaggio, la gioia crudele che ricava nell'ingannare
Wacław e la Forma opprimente della quale esso è lo specchio, accompagnata dal
fascino della freschezza della coppia.
Nel frattempo Gombrowicz tratta anche la questione del patriottismo, quando un
eroe, un vecchio partigiano Siemion si spaventa della guerra e abbandona il corpo
militare. Per questa condotta viene condannano dai maschi assemblati nel
castellaccio, dello quale è uno dei abitanti. All'esibire l'esecuzione viene scelto
Karol. In insaputa dei residenti della casa pero, Wacław percosso e oltremodo
sconcertato dal comportamento della sua donna, assassina Siemion per purificare
con questo orgoglioso e coraggioso atto l'onore macchiato dal tradimento di
Henia. Nel sommerso nel buio palazzo, dove soggiornano tutti i protagonisti, nella
stanza del condannato culmina la dramma della Pornografia. Wacław elimina
Siemion, e Karol chi è venuto con lo stesso proposito, nelle tenebre dove tutto
rimane indistinguibile, assassina Wacław. Il suo alibi è la confusione causata dalle
circostanze, la sbaglio era pensabile assumendo l'indistinguibilita delle forme
prive della luce. Witold e Fryderyk che sanno di tutto, i due sacerdoti del teatro
dell'orrore, aspettano di fronte alle porta della camera affinché non esce il loro
preferito. Non manca Henia che dalle mani insanguinate trae una disumana
soddisfazione di una bambina che nella sua irresponsabilità è permessa di
divertirsi senza scrupoli. Nel silenzioso patto elaborato dai registi e attori del
nuovo dramma, Witold, Fryderyk, Henia e Karol, dall'accordo tra loro, nasce una
Nuova Forma, che discredita il diritto all'immutabilità della precedente, qualsiasi
essa sia, perché quello che li addolorava di più era la noia.
Gombrowicz per la seconda volta conferma sua la passione per il simbolo della
pietra filosofica nella quale secondo Carl Gustav Jung si riduce l'intera filosofia.
Vale a dire in questo caso che proprio nella congiunzione degli opposti, degli
immaturi e maturi si realizza la pienezza della coscienza. Una coscienza che
viaggia nella struttura della vita, illuminando nel proprio diversi aspetti per, come
nella chiesa di Hegel, raggiungere la totalità. L'effetto finale non è ne male ne
buono. È soltanto estetico. Gombrowicz non finisce qui.
105
La narrazione che allude alla bucolica tranquillità del romanzo classico, viene
sostituita dalla forma narrativa inventata da Gombrowicz; una forma fluida e
dinamica. Anche questa deve essere infine rifiutata, dal momento in cui diventa
riconoscibile nella sua avanguardia. Per compensare questo effetto, dove si
potrebbe scoprire taluni sensi come la collaborazione dei giovani e vecchi, e il
compromesso, Gombrowicz aggiunge un'extra cadavere. La somma deve essere
pari.
In una caverna un giovane contadino aspetta la suo sentenza, accusato del furto
di un pezzo di pane, e l’incriminazione per un casuale assassinio di una pia
signora cattolica anziana, la madre di Wacław, che con il suo proprio petto e un
coltello da cucina proteggeva il prezioso magazzino. Qui al livello testuale, l'epos
eroico si trasforma in una burlesca, perché gli eroi invece di combattere gli
occupanti vivono un altro problema. Sono guerrieri che invece di preparare dei
piani per schiacciare i Tedeschi, per un bel pezzo di tempo deliberano cosa fare
con un animatore della vergognosa fine della nobile matrona. Il patriottismo qui
illustrato non è che l'adombramento dello sfruttamento dei poveri, un amore di
patria che alle gerarchie sociali serve per sostenere la schiavitù. Gombrowicz
evita una conclusione melodrammatica con il happy end.
Il contadino sfortunato che legato con una corda siede in cantina del
castellaccio, dalle cui frontiere non esce, come in un buon romanzo gotico, quasi
nessun evento del libro, è ora il problema di tutti. Fryderyk nutre un disgusto
speciale. Il fanciullo è lo stridore per il suo senso della simmetria. Morti Wacław
più Siemion fanno la somma pari. Alla anziana matrona manca un supplemento.
Fryderyk scende nella cantina e uccide lo scomodo elemento con l'ascia.
Possiamo leggere questo atto come la satira dell'opera d'arte con il suo postulato
principale della Bellezza.
Lo scrittore polacco Jarosław Iwaszkiewicz97 scrisse a Gombrowicz, negli anni
sessanta per esprimergli i suoi dubbi rispetto all'efficacia compositiva
dell'eliminazione dell'ultima vittima. Ma l’autore della lettera era un deputato al
parlamento della Polonia comunista, un uomo prudente e sensibile. Bisogna dire
97 Gombrowicz walka o sławę, Korespondencja Witolda Gombrowicza z Józefem Witlinem,
Jarosławem Iwaszkiewiczem, Arturem Sandauerem, Wydawnictwo Literackie Kraków, 1996,
p. 160.
106
poi, che in effetti l'assassino è Fryderyk. Witold e l'autore tengono le mani pulite,
sottolinea Jerzy Jarzębski. In questo modo Gombrowicz mette tra parentesi il suo
carnevale. Gombrowicz confessò che le sue opere miravano a desacralizzare
l'istituzione dell'Arte poiché essa spesso mira ciecamente al proposito di vedere e
insinuare ovunque la simmetria che come anche nel caso della matematica, è
stupida e immorale.
Nella conclusione shakespeariana di Amleto scompaiono collettivamente gli
attori. La conclusione di Gombrowicz è interminabile, scrive Jerzy Jarzębski,
essendo l’invenzione e la conferma di una nuova religione, di un nuovo rito dei
costumi e delle regole. Il mondo deve restare raggiungibile nel suo aspetto
immaturo, come il mare junghiano dell’incoscienza. Si deve fare a meno di
divenire Hegeliano, e astenersi dalla dialettica marcia dalla tesi, attraverso
l'antitesi, alla conclusione. L'orizzonte delle possibilità di primo Wittgenstein del
Trattato logico filosofico pare statico. L'insieme delle logiche direzioni,
dell'integralità dei casi, dell’evolversi del fato sono in perenne moto nei scritti di
Gombrowicz. La logica classica viene alterata da lui in un brodo che contiene
delle metafore e allusioni. Se dal lettore viene raggiunto un attimo di
comprensione,
la
filigrana
giostra
nella
quale
viaggia
viene
subito
scrupolosamente smontata dall'autore. La coscienza esiste nel movimento. E' un
dato di fatto indescrivibile in un testo sottoposto alle regole stilistiche dell'unico
genere letterario come uno di quei classici, che seguono le tesi monocromatiche.
4. Cosmo, la ricerca del senso
“...perché tutto è sempre possibile e nei miliardi delle cause eventuali c'è
107
sempre da scoprire la giustificazione per ogni situazione.”98
Nello scritto giovanile di Gombrowicz, Un delitto premeditato, il giudice penale
arriva nella casa di campagna di un suo amico morto. Assistiamo alla possibilità
dello svolgimento di due forme del comportamento in riguardo alla circostanze.
Mentre la famiglia del esanime cerca di sottolineare la tristezza causata dal lutto,
il giudice penale inchiodata alla sua funzione non riesce a fermare le sue indagini
rispetto alla scena del da lui presunto crimine. Il giudice penale viene soffocato
dalla forma impostagli dai membri della famiglia. La sua reazione istintiva viene
dettata dalla sua esigenza di autodifesa. Gli uomini descritti da Gombrowicz
esistono solo in funzione dei ruoli che svolgono nella società. Un giudice, privato
dal proprio ufficio non esiste.
Gombrowicz era un appassionato lettore di Dostoevskij. Il fascino per lo
scrittore russo si imprime nel suo lavoro. Ricordiamo la famosa scena
dell'investigazione di Rascolnicov il protagonista dell’opera Delitto e castigo.
Vediamo che l'ispettore che indaga sull’omicidio di una signora anziana contro il
principale sospetto Rascolnicov non è in possesso di sufficienti prove per poterlo
condannare. Confessa pure la propria impotenza rispetto a Rascolnicov. Secondo
Gombrowicz Rascolnicov era d'accordo con la risoluzione d'assumersi la
responsabilità per il suo crimine commesso, perché codesta era l’esigenza che gli
imponeva la forma interumana. Confessa il delitto compiuto e si da alla penitenza.
In fondo crede di aver oltraggiato del tutto la legge perché la sua unica legge era il
nichilismo.
Il racconto Un delitto premeditato inizia come un libro giallo. Di conseguenza
diventiamo testimoni di una somigliante situazione a quella appena esaminata di
Dostoevskij. La differenza consiste nel fatto che questa volta non viene commesso
nessun crimine. Il giudice deve improvvisare delle premesse che suggeriscano
l’avvento di un crimine post factum. La forma che assume nel contesto gli
appartiene ovunque perché la società se lo aspetta. Difende allora il suo stato di
rappresentante dell'ordine istituzionalizzato. Cosi nella scena finale il figlio che è
il principale sospetto, quando entra nella camera del padre mancato, che si trova
disposto sul letto, soffoca il corpo morto lasciando le sue impronte digitali sul
98 Witold Gombrowicz, Kosmos, Wydawnictwo Literackie, Kraków 1969, s. 136
108
collo. Con questa azione commette simbolicamente l’atto dell’omicidio per
fornire in tal modo al giudice delle prove per il suo delitto. Durante questa
commedia il giudice aspetta nell'armadio. E' consapevole e imbarazzato
dell'inadeguatezza della sua provocazione. E' motivato dall’infrenabile ossessione
d'indagare anche se non si tratta di un crimine ma di una morte naturale. Perciò la
“Forma” del giudice si smaschera di fronte a se stessa. Il giudice non nasconde
difronte a se stesso l'aspetto ridicolo del proprio mestiere. Quello che lo turba
profondamente
è
il
fatto
che
si
sente
costretto
a
confermare
instancabilmente,ancora e ancora, l’insostituibilità del suo contributo nel sistema.
Anche se la realtà nega affatto la sua inevitabilità escludendolo dal gioco visto che
il morto è salpato per una morte naturale, lui va contro la realtà. Gombrowicz
vuole dire in questo modo, che la realtà oggettiva non c'è, e che la “Forma”, e la
verità si creano tra gli uomini. Il senso che danno alle cose proviene dal consenso.
È l'effetto che si compie nei nostri occhi. Non esiste un mondo oggettivo. Esiste
un patto silenzioso tra i protagonisti del “dramma”. Rascolnicov, come il figlio
della Crimine indossa i panni del colpevole. Gombrowicz accanto al romanzo
poliziesco, che sembra sia il suo prediletto, posa la famosa opera classica di
Dostoevskij.
L'investigazione come l’operazione di legare degli elementi dispersi e oscuri
della realtà in una qualche composizione significane, è il tema dell'ultimo
romanzo di Gombrowicz, intitolato Cosmo99. In Cosmo come altrove, osserva
Jerzy Jarzębski si incontrano due livelli di scrittura, quello testuale, e quello della
realtà fattuale. Gombrowicz prende dal romanzo poliziesco il suo stratagemma
della applicazione di una molteplicità di interpretazioni. In questo caso però essi
non culminano in un'esplicazione che chiarisce tutto. In Cosmo, scrive Jarzębski,
non c'è nessuna conclusione. Witold, il protagonista, segue delle tracce, raccoglie
delle attendibilità, ma non sa mai a quale lato della propria frontiera si trova, se da
parte delle sue fantasie o dell'esteriorità “oggettiva”. Esistono molteplici approcci
alla coniugazione dei fatti che persistono contemporaneamente. Qui valgono tutte
le spiegazioni, perché non esiste un centro dell'Universo stabilito e con esso una
morale, una scala di valori, ecc. fissate.
99
Witold Gomb
109
Normalmente la narrazione fornisce un senso, collegando tra se i componenti
dei fatti, delle evidenze ecc. Di solito, il narratore, il soggetto della fabula, ha
preordinato nella propria testa i frammenti dell'immensa realtà caotica
dell'universo, raccolti in una misura sufficientemente vasta per poter
raggruppargli in un qualche filo logico razionale. Così facendo attribuisce il senso
all'opera. Alcuni scrittori realistici, scrive Jarzębski, aggiungono pezzi
insignificanti dal punto di vista dello svolgimento dell'azione, per rendere il libro
più adeguato al mondo concreto, più verosimile nella sua imprevedibilità.
In Cosmo diventiamo testimoni del processo della creazione del senso.
Gombrowicz mette il preparato del meccanismo dell'emergere del significato
sotto il microscopio. Il suo cosmo preliminare non ha, come nel caso del romanzo
classico del senso. Gombrowicz rivolge la sua attenzione su questa mancanza. I
sensi si creano all'improvviso, ma i protagonisti non lo sanno, pensano che la
realtà li abbia qualcosa da dire, che sia statica, premeditata. Una linea al soffitto
sembra indichi l'oriente, quindi i protagonisti, i due studenti che arrivano in
montagna per le vacanze, passeggiano con gli occhi per l’inesplorato quartiere
della loro stanza, perseguendo gli indirizzi ipostatizzateli.
Questa avventura inizia un po' prima, subito dopo l'arrivo in città. Quando
scoprono, in un bosco che attraversano alla ricerca dell'albergo, un uccello
impiccato. Un avvenimento che distrugge il loro buonsenso. Si chiedono del
significato del mondo cosi deformato. Dietro sta il soggetto della costruzione
della fabula. Gombrowicz l’autore preparava questo esperimento, per smascherare
il meccanismo della ragione, che si cura solo del suo aspetto geometrico e
razionale. In realtà i sensi sembrano compressi nei linguaggi, e non in una qualche
sede di una divinità che guiderebbe il mondo. Di qui emerge la possibilità della
libertà. Qui si apre lo spazio al concetto della volontà.
Purtroppo i ragazzi dal bosco sono giunti in una casa. Invade la notte. Credono
che sono capaci di sostituire la variabile sconosciuta del uccello, con un dato
fornito dalle crepe del soffitto, si alzano dai letti, e proseguono dietro dei indici
scavati verso un giardino. L'immensità delle nuove eventuali direzioni che
scaturiscono nel loro immaginario dalle foglie, dai pezzi della terra, dai sassi che
scorgono nella loro mente, viene avvertita da essi cosi grande che perdono
110
l'orientazione. Ma non cessano di spiegarsi, cercarsi, confrontarsi. Dai geroglifici
del mondo nascono degli universi verbali, i quali spingono a loro volta ad una
ricerca delle certezze materiali che li confermino. In effetti il mondo-indovinello
invia al testo-indovinello e vice versa, osserva Jerzy Jarzębski. Il Cosmo è la
ricerca del senso che non ha la chance di raggiungere un esito positivo perché il
senso è sempre e ovunque ed è dinamico. Appare e sparisce con delle nuovi
configurazioni.
La frontiera tra il mondo delle cose e i ragazzi si sta dissolvendo. “Non solo
ogni sua azione, ma ogni suo pensiero – appena articolato – si sposta subito “al di
fuori”, sul mondo delle cose, e può essere guardato dalla distanza come
complemento della costellazione “dei fatti oggettivi”; il soggetto si trasforma
continuamente nell'oggetto e come essere ormai “alieno” - inizia a minacciare il
protagonista. Quest'ultimo vive allora tra le seguenti ipotesi estreme: o “tutto il
mondo è me”, vuol dire io ho “inventato” tutto, l'ho convocato all'esistenza con
l'atto della mia mente, oppure – io non ci sono, c'è solo lo spazio che ribolle degli
oggetti, nello quale funziona una qualche incomprensibile “fisica”.”100
Il critico letterario citato da Jerzy Jarzębski, Antoni Librera tenta di evitare
queste complicazioni proponendo di comprendere le pulsazioni della coscienza
seguendo il modello hegeliano. Witold del racconto è l'attore della coscienza
totale che si realizza fornendoli degli indizi che con difficoltà assorbe
dall'universo circostante. In effetti la coscienza hegeliana, quando si compie una
volta per bene, in una completata auto attribuzione del senso, consuma il soggetto.
Costui, si dissipa nell’assoluto, attraversando prima un processo storico graduale.
Per Jerzy Jarzębski siffatta è spiegazione troppo unilaterale.
Illustrativa del complesso è una scena del Cosmo. Witold passeggia. A un tratto
si sofferma sul prato tra i boschi e le montagne. Tra l'erba e gli insetti indifferenti
e tranquilli. Una fermata cagionata dall'istantanea incertezza che lo invade. Vede
l'incrocio. Almeno li sembrò di vederlo. Si distendono davanti ai suoi piedi tre
itinerari diversi. La via tra le due pietre, tra una pietra e un pezzo d'una radice
d’albero, tra la pietra e una macchia sulla terra. Prima pensa di passare tra le due
pietre. Ma perché qui? Allora tra una pietra e una radice. “Ma perché questa via e
100
Jerzy Jarzębski, Gra w Gombrowicz, PIW, Warszawa 1982, s. 463
111
non quell'altra” si chiede'. La vicenda è oggettivamente insignificante. Qualsiasi
via sarebbe altrettanto buona. Ma allora cosa lo ferma. In questo suo soffermarsi
cresce l'assurdo della fermata stessa. Non può ne andare, ne rimanere sul posto.
Decide di prendere la terza via, tra la pietra e una macchia di terra che si distingue
con il suo colore diverso dal resto del suolo. Ma non si muove. Sarebbe ancor
peggio. Resinare delle due prime opzioni confermerebbe lo spavento in rapporto
con esse. Witold sperimenta la costrizione di compiere una scelta, perché magari
pensa che dietro alla realtà dei simboli, dimora la sede dello spirito, che lo guida
verso una felice conclusione. Quale può essere questo premio? E' il senso segreto
del mondo. Un enigma che si rivelerà unicamente a Witold. E' come leggere
durante la guerra punica nel volo degli uccelli un messaggio che dia la decisione
su quale giorno sia migliore per la battaglia. In Cosmo il “nonsenso”
dell'esoterismo raggiunge e aggrappa la ragione. La ragione non ha del senso più
di un nonsenso, come il colore bianco non è più razionale del verde, o il bosco del
mare. In fine Witold si sveglia. Prosegue il cammino senza nemmeno sapere quale
strada sceglie. Pensando su altri affari. Ma l'angoscia del dramma vissuto poco
prima permane.
Witold è l'esempio dell'uomo sartriano. È solo, responsabile, e la sua scelta non
dipende da nulla. Ma nella libertà non importa quale via si scelga altrimenti non
sarebbe la libertà. L'indipendenza può essere il sentimento che ci accompagna
quando scegliamo quello che vogliamo, perché lo vogliamo e solo per questo.
Witold si trova in mezzo tra la sua soggettiva noncuranza, che è la posizione
della volontà, e il far parte del mondo oggettivo, dove tutto ha delle proprie cause
e effetti.
Jerzy Jarzębski suppone in proposito, che la libera responsabile scelta sartriana
è nessuna scelta. Una scelta deve essere sempre del meglio, e cioè di un valore,
ma l'esistenzialismo si è sbarazzato dei valori, allora non li è rimasto nulla da
scegliere, e nemmeno della scelta.
Li dove non esiste la scelta, manca il pensiero, la deliberazione, la filosofia nel
senso classico della parola. Le divagazioni di Sartre non hanno nessun senso.
Witold è attratto da una parte dal soggettivismo e dall’altra parte
dall'oggettivismo. È in viaggio tra la costruzione del mondo e la sua
112
interpretazione. Ma l'interpretazione, cioè la composizione degli oggetti ed eventi
in una fabula che avrebbe un senso, è la soggettiva costruzione. Qui si chiude il
circolo vizioso.
Jerzy Jarzębski costata che il problema di Witold è di natura erotico filosofica.
La volontà della totale comprensione del mondo, è uguale alla fame del suo
possesso. Il sogno è stigmatizzato dal complesso dell'auto-erotica autosufficienza
del soggetto. In Cosmo il caso è estremizzato nell'esempio della persona del padre
della famiglia degli ospiti dei ragazzi. Costui assomiglia ad un pensatore. Risolve
indovinelli scientifici. Ma sotto la tavola, durante i pasti, produce di nascosto
palle di pane che gli danno un'immensa soddisfazione. Si realizza. È padrone del
proprio destino. La satira sull'esistenzialismo che qui viene sviluppata è
clamorosa.
E appunto, nella mancanza del senso reale Witold, disperato, si incoraggia di
procurare dei sensi propri. Li dove non c'è della bellezza della simmetria della
scienza, la impone autoritariamente. Per completare il logaritmo dell'uccello
impiccato su un pezzo di ramo, Witold di nascosto impicca il gatto della figlia dei
proprietari dell'albergo Lena. Allora dal soggetto che era Witold, si spezza una
quantità di coscienza che impicco il gatto, e diventa indipendente. In effetti
qualche tempo dopo Witold dimentica di essere l'assassino dell'animale domestico
della ragazza, e inizia la ricerca dell’omicida. Solo, nella mancanza dell'ordine
superiore, Witold diventando il regista ed imponendolo, può salvare la
consequenzialità causale della ragione. Infine si impiccia il marito di Lena,
concludendo la composizione fatta dalla serie dei cadaveri. Qui Witold adempie,
come osserva Jerzy Jarzębski, mettendo il dito nella bocca del dello disgraziato un
atto sessuale metaforico, impossessandosi del capriccioso Cosmo.
L'indicazione all'interpretazione del Cosmo fornisce anche la ambigua relazione
tra Witold e Lena, che passa da una comunicazione segreta con le mani disposte
sulla tavola durante il pranzo, all'uccisione del gatto. Gombrowicz confessa di non
essere mai arrivato ad innamorarsi, non riuscendo a trovare la forma giusta per
l'amore. Ogni attività umana
è secondo Gombrowicz stigmatizzata dalla
schematicità. I sentimenti sono riconoscibili attraverso dei psicologici nodi tra le
persone, distinguibili per esempio nel teatro, raffigurate nelle dramme di
113
Shakespeare. L'amore è stereotipo. Gombrowicz per innamorarsi dovrebbe
contribuire con dei cenni propri, altrimenti non sopporterebbe del buffo ripetersi.
Witold è ambiguo e incerto e
nella sua demonica immaginazione Lena
addirittura avrebbe potuto essere la regista della serie di omicidi e dei segni che
invano stavano decifrando i ragazzi. Pensa che Lena avrebbe potuto essere una
famme fatale, dedicata a lui. Per non lasciare pero che lei si impossessasse del suo
cuore, rinuncia all’intento di implicarsi sentimentalmente con essa, paragonando
uno strano e oscuro segno che avvista sulla faccia della serva Katasia, con la
faccia di Lena. L'atteggiamento rimuove l'incanto. Witold si rivela essere un
amatore quanto della decadenza come della verginità. Si impossessa di Lena e
della realtà in tanti modi diversi. L'erotica anima gli atti del filosofo, chi con il
senso invade la realtà vergine, suggerisce Jerzy Jarzębski. A differenza
dell'autoerotismo esistenziale, Witold ama tuttavia in modo sperimentale e
discorsivo, riassume.
Di notte Witold osserva il cielo stellato. Gli sforzi che adoperarono i maghi
Egizi e i poeti Greci per equipaggiare le costellazioni del cielo con dei miti,
assomigliano agli sforzi che Witold compie per regolare il suo caos.101 La ragione
non differisce dalla conoscenza esoterica. La tentazione di attribuire un senso al
mondo fallisce in Cosmo. Se in Pornografia, come scrive Jarzębski, per un attimo
si stabilisce una Forma nuova, nel Un delitto con premeditazione il giudice riesce
ad imporre alla famiglia sfortunata la sua visione, in Cosmo Gombrowicz
conclude la fabula e la composizione intera dell’opera con una pioggia che fa
cessare le pratiche magico scientifiche. Il senso del Cosmo è gnoseologenico. Ci
chiediamo e otteniamo dimostrazione di che cosa sia il senso, la ragione.
Assistiamo alla ricerca e all’analisi in crudo. In Cosmo si avverte inoltre la crisi
della Forma della post modernità, dove mediante un'abbondanza delle forme
svanisce qualsiasi distinzione.
5. La conclusione
101
In Egitto la stessa divinità era responsabile per la cura dei poeti e dei maghi.
114
Per avvicinarci alla problematica dell'uomo moderno, con i suoi complessi e
incertezze viene illustrativa secondo me, nelle opere di Gombrowicz, la dialettica
coppia dei due principali correnti di pensiero contemporaneo, lo strutturalismo e
l'esistenzialismo. Paradossalmente lo strutturalismo in Heidegger precede la
filosofia esistenziale. Secondo l'ordine cronologico dell'apparizione, quell'ultima
avrebbe dovuto essere nominata come la prima. Heidegger astrae l'individuo
esistenzialista dalla banalità strutturata dalla società. Secondo me il procedimento
di Gombrowicz è lo stesso. Parlando ora dello strutturalismo intenderò allora la
versione elaborata da Witold Gombrowicz. Secondo lui gli uomini non sono come
si ritengono nella loro profonda e isolata intimità, ma come li vedono - formano
gli altri. La prova di questo fatto è che con ogni singola persona ci comportiamo
in una maniera differente. Il nostro agire è sottoposto all'effetto che desideriamo
ottenere, dalle paure che nutriamo, dalla necessità che alimentiamo nel installarci,
collocarci, insediarci nella struttura sociale, che discerniamo come il garante della
nostra sopravvivenza.
Dall'altro lato abbiamo l'esistenzialismo che è una assoluta liberazione dell'io
dalle costrizioni impostategli dall’esterno.
L'esistenzialismo nasce dalla ribellione del pastore protestante Kierkegaard
contro ogni tipo di categorizzazione accresciuta dalla società, che lo ha portato
alle estremità della pazienza con la sua ossessiva concettualizzazione del mondo.
Kirkegaard disse che per lui non esiste un concetto universale del cavallo, cioè un
astratto animale a quattro zampe. Ci sono solo dei cavalli, veri reali, particolari,
con i quali ci si può fare conoscenza in precisi momenti del tempo come in
concrete situazioni della vita. Alla teoria elaborata da Kierkegaard mancò però la
realizzazione in un metodo, e cosi gli studi sull'esistenzialismo si fermarono fino
alla comparsa di Edmund Husserl. Egli sostenne che il mondo oggettivo,
concentrato intorno ad un comune punto di riferimento, come un dio o una
onnicomprensiva scienza, non esiste. L'unica realtà oggettiva della quale
possiamo essere sicuri è disegnata dai fenomeni. Parliamo di fenomeni soggettivi
frutti di personali visioni dell'individuo. Cotale punto di vista implica la totale
liberazione da un mondo predefinito. L'esistenzialista può scegliere i valori della
115
sua morale, che lo determinano in conseguenza.
La
scoperta
della
schematicità
del
formalismo
che
contrassegna
i
comportamenti umani, ci conduce in via diretta alla negazione della superficialità
che ne scaturisce. L'inautenticità dell’imitazione inerte dei modelli prestabiliti
viene sostituita con la responsabile auto creazione. Adesso la struttura mostra le
sue regolarità ma l’esistenzialista le rifiuta. Il nuovo uomo indipendente è un
artista.
Gombrowicz si collocò nel mezzo. Il suo dramma oscillò tra lo sforzo di
convalidazione delle nozioni della perfezione che vedeva rappresentate dalla
Forma, dalla sua regolarità e dall'ordine culturale che infligge, e tra il tentativo di
cogliere l'imprevedibilità della natura dell’uomo che viene rappresentata nella sua
disobbligata e irresponsabile immaturità.
Konstanty Jeleński scrive nel suo saggio su Gombrowicz, intitolato
Gombrowicz un eroico eroe102, che Gombrowicz con la sua opera notevole per la
sua stilistica magnificenza, promuove il diritto all'inesperienza. Francesco
Cataluccio103 dice che Gombrowicz ritiene ridicolo un vecchio affascinato della
giovinezza. Nonostante pero questa ed altre mature costatazioni, è follemente
innamorato dell'immaturità. L'immaturità di Gombrowicz è, fino a un certo punto,
equivalente ai postulati dell'esistenzialismo. Gombrowicz la decorò con il suo
stile, prevalentemente umoristico. L'esistenzialismo di Gombrowicz può essere
recepito come una anti filosofia, che contesta la tradizione scientifica partendo da
Aristotele per finire con Hegel. L'esistenzialismo nel senso stretto coincide con
questa caratteristica, affinché non devia il suo percorso in un sistema dell'alta
organizzazione ontologica che mentì i suoi presupposti. Vicino al postulato
d'autenticità trattata sia da Gombrowicz che da Heidegger o Sartre,
l'esistenzialismo mette in dubbio la supremazia della metafisica. La pretesa
autosufficienza di essa è inverificabile, il frate deve nutrirsi, e la razionalità come
abbiamo visto nei giudizi metafisici di Kant, infondata. Gli esistenzialisti
esaminano la vita nel suo avvenire. L'uomo non è mai lo stesso, muta in ogni
102
103
Witold Gombrowicz, Gombrowicz filozof, Znak, Kraków 1991.
Ivi. p. 15
116
secondo, e con una incessante improvvisazione trasforma il Cosmo e se stesso.
Nessuna teoria è capace di racchiuderlo o di mettergli un freno.
Quesiti due correnti, lo strutturalismo e l'esistenzialismo, caratterizzano la
narrazione di Witold Gombrowicz. Joanna Święszkowska104 però non è d'accordo
che Gombrowicz sia l'esistenzialista o lo strutturalista. Lei fornisce un'acuta
analisi della sua opera studiata dal punto di vista linguistico. Per Święszkowska
Gombrowicz è più vicino a Wittgenstein e ai suoi giochi linguistici. Che cosa
sarebbero i giochi wittgensteiniani? Semplificando la questione possiamo dire,
che in due giochi popolari noti a noi come la dama e i scacchi, possiamo utilizzare
le stesse figure, ma le regole sono differenti. Cosi gli stessi simboli della tastiera
della macchina da scrivere compongono un libro come le avventure di Alice nel
paese delle meraviglie, o un elaborato di Bertrandt Russel. I giochi linguistici
sono delle realtà descritte dalle stesse parole, composte dagli stessi elementi, ma
in un modo differente. Il Cosmo non è omogeneo, ma appunto straboccante delle
nicchie ambientali.
I giochi sono infiniti. Giocando siamo leciti a inventare un nuovo gioco con le
regole che non assomigliano a nessuno precedente. Per Święszkowska le forme e
le strutture dentro ai quali si muovono i protagonisti dei romanzi di Gombrowicz
sono appunto come i giochi di Wittgenstein. Una struttura assomiglia ad un altra
solo per il fatto che è la struttura. Poi le somiglianze cessano.
Prendiamo come esempio il triangolo di Sierpiński. Vediamo che dentro quel
triangolo principale si trova un altro triangolo capovolto. All'interno di questo c'è
il seguente, di nuovo capovolto, e nei tre spazi rimasti intorno troviamo i tre più
piccoli triangoli. Il triangolo di Sierpiński si può dividere infinitamente. La più
piccola parte assomiglia a quella maggiore. Questa è una struttura frattale. Per
esempio il disegno della costa ha ripetizioni che tornano, si moltiplicano,
diminuiscono o crescono a seconda della concentrazione e della direzione della
nostra attenzione. Gli alberi hanno dei rami grandi che contengono i piccoli, lo
stesso fenomeno si verifica nei più piccoli, e più piccoli ancora. Il caso più
104
Joanna Święszkowska, Gry językowe Witolda Gombrowicza, Wydawnictwo Uniwersytetu
Warmińsko Mazurskiego, Olsztyn 2008.
117
evidente è la famosa Romanesca Broccoli. Una torre del carciofo è costruita da
una spirale di torri sempre più piccoli, a loro volta composti all'infinito da simili
torri che sminuiscono infinitamente.
Święszkowska sostiene che sia la struttura dell'oggettività stabilita dalla scienza
classica, sia il soggettivismo che prende le mosse da Cartesio, peccano di
imperdonabile autoritarismo. Le opinioni si fondano soltanto sull'individuale
scelta del saggio, convinto della sua infallibilità e sostenuto dal suo pubblico e
dalla tradizione che porta sulle spalle. Spesso è una tradizione ribellata contro
un'altra più antica. Święszkowska spiega che i romanzi di Gombrowicz sono
filosofici, nel senso di una anti filosofia, che si oppone anche all'esistenzialismo,
che secondo lei abusa del concetto del soggetto individuale. Questo soggetto
giudica senza diritto nello stesso modo in cui lo fa l'oggettivismo classico. Cotale
è pero il Diario gombrowicziano. Il valore di Gombrowicz scopre Święszkowska
nel suo linguaggio grottesco. Gombrowicz sta filosofando rifiutando la filosofia.
È per lei il continuatore della linea filosofica iniziata con Nietzsche, che ha
introdotto secondo lei in essa il linguaggio della letteratura. A un certo punto non
era più possibile formulare delle verità con l'uso dei concetti dei concetti. I
pensatori si sono rivolti verso i simboli. Cosi scoppia il mondo di Jung o di
Gombrowicz, chi adoperando una grande erudizione filosofica lo compone in un
buffo spettacolo il cui messaggio è il distacco dal senso. Il suo meta senso non è
che la pura vita, modificata bizzarramente dall'artista che in questa maniera,
alterandola, intende liberarsi dall'assurda oppressione dei schemi. Gombrowicz
coltivò una foresta di giochi linguistici che non formano un sistema in senso
stretto razionale. Alcune situazioni dei romanzi di Gombrowicz esistono come
delle realtà separate. Sono ambienti autonomi. L'unico principio che li unifica è il
soggetto viaggiante. Esso si perde nell'abbondanza dei significati reciprocamente
escludentesi, come l'individuo moderno si perde in un mondo scientifico, dove la
teoria corpuscolare della luce esclude quella ondulatoria.
Święszkowska
accentua la connotazione antropologica degli spazi del
vagabondaggio dei protagonisti di Gombrowicz, e dei giochi linguistici di
Wittgenstein. Si distacca dalla sua presupposta eredità esistenzialistica.
118
Gombrowicz sarebbe per lei il discepolo di Nietzsche e della sua apoteosi del
corpo. Come dicevo, Nietzsche adopera, secondo Święszkowska, la distinzione
tra la dimensione apollinea, che si vanta della supremazia della logica, e quella
dionisiaca che è l'apoteosi del corpo nudo. Il corpo è anche il tema di
Gombrowicz, che nel suo ultimo dramma Operetta105 mostra una ragazza nuda
scappata dall'oppressione della forma incarnata dalla moda. Il vestito è qui una
maschera e il prolungamento dei falsi schemi e delle gerarchie della vita sociale.
Il gioco linguistico di Wittgenstein pretende appunto di divorziare con la
schematicità della logica, ancora innegabilmente presente in primo Wittgenstein
del Trattatus philosophicus. L'approccio antropologico di Wittgenstein, le
cerimonie dionisiache di Nietzsche secondo Święszkowska in Gombrowicz si
trovano nella forma nascosta. Cataluccio
menziona che l'erotismo di
Gombrowicz si manifesta nel contatto con il mondo delle cose. È indiretto. Sono
le parti del corpo nel Ferdydurke106 che attraggono i suoi personaggi in una
maniera indiretta, camuffata, e perciò perversa.
Gombrowicz, dice Cataluccio, era fissato sugli oggetti. Tra l'altro questo motivo
viene confermato dallo stesso Gombrowicz nella menzionata intervista svolta con
lui dal giornalista Piero Sanavio e intitolata Gombrowicz il rito e la forma.107
Gombrowicz confessa il suo imbarazzo in situazione in cui un oggetto permane
troppo a lungo nel suo campo visivo. Questo è connesso alla dialettica oggetto –
soggetto, che non lo lascia mai in pace. Nella coscienza esistenziale la differenza
tra l'oggetto e il soggetto scompare totalmente e rimane la pura nuda coscienza.
Gombrowicz dice che affinché un oggetto, ad esempio un portacenere viene preso
nelle mani con lo scopo di fumare, o guardato cosi per un secondo e poi lasciato
dallo sguardo che continua a vagheggiare, non succede nulla. Le complicazioni
nascono per Gombrowicz, quando si ferma sopra una cosa senza motivo e ne
rimane attaccato senza capire il perché. La fascinazione che scoppia potrebbe
avere delle desinenze erotiche o religiose. Secondo me è in anzi tutto la questione
del momento della trasformazione del soggetto nell'oggetto. Qui si perde
l'individualità. È la situazione del protagonista della Nausea di Sartre, la cui mano
105
106
107
Witold Gombrowicz, Operetka, Wydawnictwo Literackie, Kraków, 1969.
Witold Gombrowicz, Ferdydurke, Feltrinelli, Milano 2004.
Piero Sanavio, Gombrowicz, il rito e la forma, Marsilio Editori, Padova, 1974.
119
naufraga nella maniglia della porta. La coscienza penetra il mondo e lui non sa se
è ancora uomo e dove sono i suoi confini. I motivi erotici, della coscienza, e della
religione trovano il punto d'arrivo nell'Oceano d'incoscienza di Jung. Il Libido si
trasforma nell'energia, o canalizzata nel culto, o aggiogata nell'Arte. Non ha
ragione Święszkowska, il Bacco di Nietzsche è un vecchio satiro, Gombrowicz
ama la giovinezza. L'idea dei giochi linguistici di Gombrowicz è però
relativamente accettabile.
L'uomo di Gombrowicz, scrive Święszkowska è terrorizzato del linguaggio che
rispecchia gli schemi strutturali del suo mondo, oppressivo e incomprensibile.
L'uomo impone le proprie interpretazioni al mondo a seconda degli schemi che ha
appreso, e che porta in se fin dalla nascita. Cosi la realtà è sempre falsificata.
Święszkowska dice che noi organizziamo il caos del mondo con la forma mentis
razionale la quale proiettiamo alle cose percepite. Gombrowicz prende questi
modelli del linguaggio,
quello polimorfico, e intrappolante, come la materia
prima, e coniugando i suoi esemplificazioni declina la sottile parodia.
Accanto alla molteplicità e singolarità, all'autismo della vita in una sfera, e
all'accesso ad una gamma dei preposizioni dei giochi, si pone un altro binarismo
dialettico. L'individuo di Gombrowicz è inteso da lui come sospeso tra Dio e
l'immaturo. Da un lato c'è la Forma perfetta, la struttura, da un altro il soggetto
esistenziale, giovane e inesperto. Libero nella sua ignoranza. Questa volta
indifferentemente sotto l'aspetto della valorizzazione, lo possiamo chiamare,
questo convivio, il Fibis, il Coniunctio Oppositorum.
120
V
L'immaturità, la libera scelta dei valori e il
mistero
1. L'immaturità
Gombrowicz in Argentina fu lontano dall'esistenza comoda della quale
approfittava grazie alla posizione materiale della sua famiglia prima della guerra.
“ ...eccomi di colpo in Argentina, solo come un cane, tagliato fuori, perso,
rovinato, anonimo.”. Il disastro fu per Gombrowicz pero anche una nuova risorsa
dell'energia: “Sotto sotto, pero, qualcosa mi spingeva a salutare con profonda
emozione quel colpo che mi distruggeva e mi strappava al mio ordine
abituale.”108. Fu un suo vecchio sogno, che diventava la realtà. Fu la liberazione
da tutti quei orrori della Forma con i quali combatteva, la liberazione dagli incubi
della subalternazione alle esigenze dello stile. “Non so se riuscirò a spiegarmi
dicendo che fin dal primo istante mi innamorai di quella catastrofe che odiavo,
che rovinava anche me; e che la mia natura me la faceva salutare come l'occasione
di unirmi, nelle tenebre, all'inferiorità.109
In Argentina Gombrowicz visse la seconda gioventù. Fu consapevole della sua
progressiva decrepitezza: „Era stata la secchezza dell'aria? L'acqua calcarea?
Oppure era semplicemente arrivato il momento in cui la mia vera eta spuntava
fuori da sotto la menzogna del mio aspetto giovanile? Ridicolizzato e umiliato
dalla qualità di quella sofferenza, compresi, osservando la mia faccia, che quella
108
109
Ivi. p. 182.
Ivi, p. 183.
121
era la fine, il limite, il capolinea! Mi trovavo fra mostri, mostro io stesso.”110 E:
“Uscendo da La Falda c'era un punto della strada dove le lucci delle case e degli
alberghi finivano e cominciava l'oscurità di uno spazio nano e spezzato, quasi
storpio e deturpato. Era un confine al quale avevo dato il nome conradiano di
“linea d'ombra” e ogni volta che, di notte, lo attraversavo per recarmi a Valle
Hermoso, sapevo di entrare nella morte: oh, un morire impercettibile, lento e
delicato, ma pur sempre un morire... Sapevo di essere la vecchiaia avanzante, una
morte vivente che fingeva la vita, camminava, parlava, magari si divertiva e
perfino se la godeva, ma che comunque era viva solo come progressiva
realizzazione della morte.(...) Guardando le casette sparse nella valle dove in quel
momento ragazzi dormivano il loro banale sonno del giusto, pensavo che la mia
patria si era trasferita in casa loro. (…) Per me era quello l'unico luogo della vita
dove si produceva la fioritura, la mia fioritura, quel che di assolutamente magico
di cui ormai ero privo. Il resto non era che umiliazione e compensazione. Era
quello l'unico trionfo, l'unica gioia in un'umanità mostruosa, logora, stanca,
disperata e degradata.”111
Gombrowicz entra nel contatto con degli giovani intellettuali e artisti di Buenos
Aires. Trae da queste conoscenze il carico dell'energia, proponendo nello scambio
quello che chiamò la sua esistenza, questo che ha riuscito di fare di se, che è
diventato. “Per valutare appieno l'aspetto sporco e ripugnante di questa gioia basti
pensare che, nei confronti di Giule, io ero un po' come una donna attempata,
deliziata dal fatto di trovare un giovanotto in cui la fame prevalesse sul disgusto...
(…) Quindi se per lui ero attraente... lo ero e basta: lo ero perché avevo scritto
opere che l'avevano abbagliato e perché ogni espressione della mia faccia, ogni
mia battuta, scherzo e giochetto lo introducevano in una dimensione superiore
fino a quel momento mai vista ne sentita. (…) Sapevo benissimo che lui era
affascinato dalla mia “esistenza”, mentre io, in lui, ammiravo la vita in crudo. Io
adoravo la sua freschezza e naturalezza, mentre lui adorava quello che ero
diventato, quello che avevo fatto di me stesso; e più mi avvicinavo alla morte, più
lui mi adorava, poiché gli si svelava una parte sempre maggiore della mia
110
111
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, 194
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, 194
122
esistenza ormai quasi compiuta. Tra noi l'intesa era possibile a patto di scambiare
quell'ardente e impaziente brama di esistenza, tipica della gioventù, con la fame di
vita tipica dell'uomo che invecchia.”112 Nella congiunzione della sua crescente
decrepitezza con l'alba della giovinezza Gombrowicz vede la sua unica salvezza.
È il motivo di Faust e di Jung. Il ritorno diretto alla stregua di Proust Gombrowicz
considera impossibile da realizzare: “Questo vento pseudoautunnale afferra anche
me e mi porta via – sempre nel passato. Ha la virtù di farmi tornare in mente il
passato e talvolta mi ci abbandono per ore, seduto su una panchina. Trafitto dal
vento, cerco di raggiungere qualcosa di al di sopra delle mie forze e tuttavia
ardentemente desiderato – entrare in contatto con il Witold Gombrowicz del
tempo che fu. Ho sacrificato molto tempo alla ricostruzione del mio passato, ho
laboriosamente stabilito la cronologia e teso allo spasimo della memoria alla
ricerca di me stesso sulle orme di Proust. Niente da fare. Il passato è insondabile e
Proust mente: non c'è niente da fare...”113 Qualche contatto con il tempo perduto
Gombrowicz riesce pero di stabilire: “Ma il vento del sud, provocando non so
quali turbamenti nel mio organismo, crea in me quasi uno stato di desiderio
amoroso nel quale, cercando disperatamente la strada, le labbra contratte in una
smorfia, tento di evocare anche un solo attimo della mia esistenza passata. (...) io,
il Gombrowicz di oggi, invocavo il mio lontano protoplasta in tutta la sua
tremebonda e giovanile vulnerabilità. (…) Se dunque in casi del genere lui – io si
trovava impotente, non era per la situazione che lo sovrastasse. Al contrario.
Erano situazioni inconfutabili perché indegne di essere confutate, troppo stupide e
ridicole per prendere sul serio la sofferenza che causavano. Tu soffrivi e, nello
stesso tempo, ti vergognavi della tua sofferenza; tu, che già allora te la cavavi con
demoni di gran lunga più minacciosi, crollavi squalificato dal tuo stesso dolore.
Povero, povero ragazzo! Perché non ero al tuo fianco, perché non potevo entrare
in quel salotto e mettermi alle tue spalle affinché ti sentissi fortificato dal senso
della tua vita successiva? Ma io – che sono la tua realizzazione – ero – sono a
mille miglia anni di distanza da te e sedevo – siedo qui, sulla costa americana,
112
113
Ivi. p. 418
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 106.
123
cosi amaramente in ritardo...”114
Proust nutriva dei interessanti presentimenti di natura poetica nei confronti con
il tempo. I viaggi che compiva consistevano nella rievocazione dei momenti del
lontano passato attraverso dei associazioni sensuali. Il gusto di un dolce
conosciuto dalla giovinezza, rievocato dal mangiare lo stesso dolce quaranta anni
dopo, lo gettava nel sentimento del tempo non più lineare. Proust sapeva muoversi
nel tempo come se fosse lo spazio. Era il tempo del sogno, dove la catena delle
cause e degli effetti, invece di assomigliare a un filo logico, corrisponde a quello
noto dei romanzi surrealistici, dei quali realtà ha la valenza confermata
dall'universo simbolico psicologico di Jung, e dalla soggettività spazio temporale
di Kant. Gombrowicz fu troppo razionale per dilungarsi nei dibattiti sulla
relatività del tempo, nei suoi romanzi pero lasciava correre l'immaginazione.
Perciò quando ribadiva di non ammirare Proust e prediligere Dostoevskij, i suoi
libri perfettamente si conciliavano con la “scienza finzione” di quello primo.
2. Contro i poeti, l'immaturità geopolitica
“Una volta sono stato sottoposto alla pressione gridante, in questo caffè dove
arrivammo per discutere.
- Anche ai Polacchi ci piace la pittura! Pero la devono importare dall'estero.
Anche i pittori, perché della pittura propria non la avete. E non siete riusciti a
riconoscergli e rispettargli.
Ho risposto il seguente: - Noi abbiamo uno proverbio “non il naso per la
tabacchiera, ma la tabacchiera per il naso.” E allora non l'uomo per la pittura, ma
la pittura per l'uomo. La pittura si deve trattare dall'alto, e non di fronte ad un
quadro cadere in ginocchia!
Non sapevo quei tempi che sto pronunciando una delle più importante formule
114
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 106.
124
del tutto mio seguente sviluppo.”115
Soffermandosi sull'aspetto filosofico dell'opera di Gombrowicz bisogna non
dimenticare del suolo sul quale è cresciuta. Gombrowicz utilizzò non solo una
volta un metafore per localizzare la sua produzione sulla mappa dell'attività
culturale mondiale. Disse che la letteratura polacca, spagnola, canadese sta nel
confronto con la francese o inglese come un giovane a un vecchio. Francia
attraverso i secoli aveva portato la sua Forma, la Forma che è l'opera dell'uomo, al
livello dove non ha più bisogno di difendersi, non ha dei complessi. La Polonia
fu sempre la provincia. La relazione dei Polacchi con l'Europa occidentale
Gombrowicz descrive con la frasi: “Una certa timidezza, una certa mediazione,
cosi caratteristiche per tutte queste culture, che non si furono affermate nello
scontro diretto con la realtà e la vita, e che recepiscono il mondo attraverso
culture diverse, più mature”.
I Polacchi non fanno la sua poesia, cercano di non avere la poesia peggiore dei
Francesi o degli Inglesi, dice Gombrowicz. Ci si limita a continuare quello che era
stato dagli altri inventato. Popoli siffatti abbondano degli eccellenti attori o
cantanti, aggiunge. La paura di essere originali, di abbandonare i maestri, levita
sopra i paludi della pia imitazione.
Gombrowicz accusa gli scrittori polacchi del servilismo nei confronti con la
cultura europea. Secondo Gombrowicz la migliore conferma della sua
osservazione è la risposta all'attacco che intraprende, fornita dal poeta polacco
Tarnawski. “Particolarmente caratteristica per la nostra moderazione, è
l'intelligente osservazione di Tarnawski: “È davvero difficile presumere che i
grandi poeti di tutti i popoli e di tutti i tempi fossero degli snob e degli ignoranti
nel proprio mestiere – e che ci sia voluto proprio Gombrowicz per vederci
chiaro”116. Eco, in oppinione di Gombrowicz, la testimonianza della mancanza di
fiduccia nelle proprie forze. Se le stesse cose avrebbe detto Goethe, Tarnawski
sarebbe stato meravigliato. L'imitazione è tutto che si permettono gli autori simili
a lui. Rappresenta solo l'umile sottomissione.
Allora cosa si dovrebbe fare? Come difendere il genio? Secondo Gombrowicz
115
116
Witold Gombrowicz, Wspomnienia polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 62
Witold Gombrowicz, Contro i poeti, Theoria, Roma, 1995.
125
un rappresentante eccezionale di una paese secondaria come la Polonia, non
dovrebbe esporre mai i suoi vantaggi. I Polacchi dovrebbero prendere il vantaggio
della loro incompetenza collettiva, dice Gombrowicz. Francesi possono
permettersi la raffinatezza. Le sottigliezze di Jean Cocteau non lo affaticano. Un
autore provinciale invece, può anche essere straordinariamente eloquente. Se pero
rappresenta una paese giovane e selvaggia, rimane eccezionale curiosità, soffocata
dall'incredibilità della verosimiglianza del caso. La sua forza della persuasione
non allunga i raggi sufficientemente distesi per colpire un insieme altrettanto ben
costumato. “Perciò siamo più polacchi quando colpiamo da sotto la superiorità di
quella maturità, e chiediamo che le loro pretensiose cattedre scendano dal cielo
sulla terra”. Non siamo obbligati di capire le conquiste altrui e di elogiarle.
Gombrowicz dichiara assordale, la passiva frequentazione degli assili culturali
altrui. È necessario: “impedire la scatenata macchina della cultura di fabbricare
oggetti eccessivamente dissimili dall'uomo”
L'esempio dove “l'eccellenza” occidentale esplode, per essere il mezzo per se, è
secondo Gombrowicz la poesia. Nel saggio Contro i poeti scritto nello spagnolo
per la conferenza tenuta al centro culturale Fray Mocho di Buenos Aires il 28
agosto 1947, Gombrowicz esprime la sua opinione sulla poesia. Secondo lui la
poesia non è letta da nessuno. È un genere che esiste quasi unicamente per
soddisfare la superbia degli suoi autori. I poeti, hanno secondo Gombrowicz
deformato la funzione che potrebbe avere nella società la poesia. Essa si è
allontanata dai suoi origini, dalla vita, e non serve più a nulla. La poesia, al pari
della filosofia scolastica, è diventata una pura astrazione. Non si cura di
raffigurare la vita ma bada i dettagli dello stile, che esiste per se. È diventata auto
tematica, e i poeti si sono chiusi nei circoli della reciproca ammirazione. Si
spettano i premi, frequentano i concerti, approfittano degli inviti in una completa
demenza del pubblico che li aveva prodotto. L'autenticità, l'eccellenza, scaturisce
dal linguaggio diretto, fresco, non peso della tradizione, riassume Gombrowicz.
Delle sessanta mila metafore di Milton servono a niente, sovrastano le possibilità
di assimilazione, conclude.
126
127
3. Diario – Dante non grande poeta fu
Il Diario di Witold Gombrowicz è il grande commento critico della sua opera
letteraria e della cultura. Come suggeriva Jerzy Jarzębski, Gombrowicz si è
proposto di descrivere il quadro della coscienza totale, dove si costituiscono i
giochi tra i protagonisti, tra l'autore e i lettori del testo. La forma letteraria del
Diario era stata da Gombrowicz utilizzata, alla stregua della maggioranza degli
stili che adoperò nei suoi scritti. Le date, i giorni della settimana, Gombrowicz
aggiunge al testo compiuto, a seconda delle esigenze estetiche del gene letterario
del diario. Non è il diario in senso stretto. È piuttosto un comodo mezzo per
racchiudere gli riflessioni a proposito dell'universo. Gombrowicz è in questa
raccolta distaccato. Il suo ego, è l'ego trascendentale. In Diario Gombrowicz è
altrettanto lontano dall'Europa come dalla Polonia. Dice: “Resisti, ragazzo mio!
Non lasciarti domare e addomesticare dai tuoi! Il tuo posto non è tra loro, ma
fuori di loro.”117
Dopo un lungo periodo dell'ostilità Gombrowicz, sembra, fu finalmente
riconosciuto dai suoi compatrioti, emigranti polacchi in Argentina. Questo non
cambiò pero l'ostilità sua. Durante un incontro che Gombrowicz ebbe con gli
intellettualisti argentini in una casa degli amici Polacchi, scoppia un discorso
descritto da lui nel Diario, che illustra le sgradevoli caratteristiche del patriottismo
e dell'identificazione con la propria storia. Accade che i Polacchi si metterono a
parlare dei gloriosi compiti degli antenati della loro nazione. Gli Argentini, per
non apparire ingentilì fecero finta di seguire con curiosità i dissertazioni e
condividere i pareri. Gombrowicz entra nella conversazione, polemizzando.
Copernico fu Tedesco disse, Chopin Francese, e della battaglia di Vienna nessuno
non ha mai sentito parlare. Spiega: “Vale a dire che niente di ciò che è nostro può
davvero impressionarci; per cui se la nostra grandezza o il nostro passato ci
117
Witold Gombrowicz, Diario, Feltrinelli 2004, p. 173.
128
impressionavano, voleva dire che non ci erano ancora entrati nel sangue”. 118 “Che
cosa c'entrava una qualsiasi signora Kowalska con Chopin? Il fatto che Chopin
avesse composto delle ballate aumentava forse di un grammo il peso specifico del
signor Powalski?”119 “Che ne me importa Mickiewcz? Per me siete voi molto più
importanti di Mickiewicz. Se qualcuno dovesse esprimere un giudizio sulla
nazione Polacca, non lo farebbe certo in base a un Mickiewicz o a uno Chopin,
ma in base a ciò che accade e viene detto in questa sala. Anche se foste una
nazione culturalmente cosi povera da non poter vantare autori superiori a un
Tetmaier o a una Konopnicka ma se, in compenso, foste capaci di parlarne con la
disinvoltura di chi è spiritualmente libero, con la misura e la lucidità delle persone
mature, e se le vostre parole abbracciassero l'orizzonte del mondo intero e non
della vostra parrocchia... allora perfino Tetmaier diventerebbe un motivo di
vanto”.120
In questa affermazione riecheggia la convinzione degli esistenzialisti che il
valore della cosa dipende dal soggetto che la giudica, e mai da un qualche
principio universale, che come abbiamo potuto vedere, non esiste affatto.
Gombrowicz scrisse in Ferdydurke che un qualsiasi autore può per noi diventare il
genio, se noi si sforzassimo di renderlo tale. Dal punto di vista strutturale l'uomo
crea l'altro uomo. È il pubblico di Goethe, Byron, o Schiller, che li rende
eccezionali.
4. Gli indemoniati
“Qualcosa di anormale, visto che la mia mostruosità cresce, che i miei rapporti
con la natura sono cattivi, allentati, e che questo allentamento mi rende preda di
“tutto”. Non mi riferisco al diavolo, ma a una cosa “qualsiasi”. Non so come
spiegarmi. Per esempio, che il tavolo non sia più il tavolo e si trasformi in... ma
118
119
120
Witold Gombrowicz, Diario, Feltrinelli, 2004, p. 14.
Ivi, p. 13.
Ivi, p. 10.
129
non necessariamente in una cosa diabolica. Il diavolo non è che una delle
possibilità – oltre la natura c'è l'infinito...”121
Maria Janion in saggio sul romanzo gotico incorporato nel libro Gorączka
romantyczna122 congiunge l'immaturità di Gombrowicz con la sfera delle oscurità.
Secondo lei uno dei romanzi di Gombrowicz, Gli indemoniati123, che fu da lui
consapevolmente trascurato come un libro mai scritto, è il classico esempio di
romanzo gotico. I scrittori romantici, sopra tutto Inglesi e Tedeschi opponevano il
mistero al pensiero razionalista francese. Anche Gombrowicz secondo Janion
esprimeva spesso il su disgusto per questa esponente della cultura francese: “mais
il y a un aspect de la France qui ne me plait pas: celui de la precision, de l'esprit
cartesien, de l'esprit de Versailles, comme je dis moi: l'eprit intellectuel...”124 Per
Gombrowicz uno degli alleati nella sua guerra contro la scientificità cartesiana fu
Montaigne, scrive Janion.125
In conseguenza Maria Janion aggiunge il secondo aspetto per confermare la sua
tesi. Nei romanzi gotici come Gli elisiri diabolici di E. T. A. Hoffman, nel Wiliam
Wilson di E. A. Poe, o nel Dottore Jekyll and mr. Hyde di R. L. Stevenson126
come in Gombrowicz riscontriamo la figura dell'alter ego. Sono i amici di Witold
della Pornografia, Ferdydurke, e del Cosmo. Nel romanzo gotico, la coppia degli
amanti al primo sguardo sa che già da sempre furono sempre la stessa e unica
persona. Il doppiaggio del complesso sistema degli specchi, come quelli degli
orrori di Mario Bava, fa cresce la sensazione di essere perseguito e minacciato.
Sintomatica nella sua discesa agli abissi è per Gombrowicz la sua relazione con
la psicoanalisi e con Freud. Al contrario del famoso dottore viennese Gombrowicz
non vede nell'incoscienza il dominio dei demoni che bisogna necessariamente
chiudere una volta per bene nel manicomio. Freud legge i sogni, li collega, trae le
conseguenze nel senso delle diagnosi, e riassume che la dimensione da lui
esaminata sia patologia. Gombrowicz al contrario nelle oscurità e tenebre,
nell'inferiorità e giovinezza vede la normalità. Per lo più Gombrowicz sostenne
121
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 248.
122
Maria Janion, Gorączka romantyczna, Forma gotycka Gombrowicza, Państwowy Instytut
Wydawniczy, Warszawa 1975
123
Witold Gombrowicz, Opętani, Wydawnictwo literackie, Kraków 2000
124
Witold Gombrowicz, Dernier interviev, p. 367
125
Ivi. s. 183
126
Ivi. p. 178
130
che Freud non scopre nulla. Egli soltanto aveva l'onore di descrivere la situazione
dell'uomo moderno.
Dopo la prima guerra mondiale, nelle società europee le vecchie forme, statiche
e stagnanti iniziavano rapidamente di dissolversi. La divisione tra le classi sociali
veniva meno. Gombrowicz disse che all'improvviso appare visibile nella realtà e
nell'arte la figura del servo, fin ora trascurata e nascosta. La liberazione dei
costumi, la sfrenatezza nel modo di vestirsi, tutto indicava una linea di
demarcazione che ci separava dalla costanza del diciannovesimo secolo. Questo
nuovo regno fu una terra incognita, un'informità, lo spazio tra qualcosa che c'era
e quello che non è ancora avvenuto. Fu la crisi progressiva. La gente fu piena
delle
speranze
del
progresso
tecnico,
della
realizzazione
del
sogno
dell'uguaglianza. Allora la democratizzazione e la gravitazione verso il basso, in
direzione del buio e delle tenebre non fu la caratteristica specifica di Witold
Gombrowicz. Murnau ha messo in scena Faust e Nosferatu. Ai salotti si
organizzavano gli esperimenti spiritistici. Si dissolve il lato della cultura, che da
sempre dimorava nelle campagne, e che fu la credenza negli vampiri e dei
mannari.
Gli indemoniati, l'unico romanzo scritto per guadagnare i soldi e pubblicato
ogni settimana in un giornale, fu disegnato da Gombrowicz per soddisfare il
pubblico chiamato come quello “delle cuoche e cameriere”. Fu il suo esperimento
con la forma letteraria che ha lo scopo dell'accontentamento dei lettori, delle loro
aspettative, sogni e desideri. C'è qua la principessa e il ragazzo povero. C'è
dell'amore e del crimine.
Gombrowicz durante gli anni trenta scriveva degli articoli critici sui romanzi
popolari. Il fenomeno della popolarità di questo tipo di letteratura lo incuriosiva, e
già agli anni venti si è proposto con il amico Kępiński di scrivere una cosa del
genere, ma non riusci di compierla. Il proposito fu di attribuire il valore estetico
dell'arte elevata al kitch. Gombrowicz, scrive Maria Janion, assolutamente sul
serio trattò le richieste del pubblico dei, come li chiama Maria Janion “sognatori”.
Cotali lettori sognavano della misteriosità, dell'amore romantico ecc. Nel banale
tematica desiderata dai consumisti riposava la verità della loro costituzione
psichica. Il romanzo che Gombrowicz cosi gelosamente nascondeva e dello quale
131
non parlava mai, paradossalmente è il suo più maturo manifesto dell'immaturità.
La solita immaturità di Gombrowicz fu elaborata, premeditata, sperimentata dalla
sicura posizione del latifondista nobile polacco, che con diffidenza guarda i
compiti della cultura europea. Questa è il acritico sommergersi nel banale.
Secondo la professoressa Janion il romanzo sconosciuto di Gombrowicz è il
tipico esempio della letteratura gotica. Questo genere non poteva secondo lei
svilupparsi in Polonia a causa della sua particolare situazione geopolitica. Quando
Byron vedeva il demonio in uomo, quando congiungeva la bellezza con l'oscurità,
Sienkiewicz risparmiava la bellezza per la virtù, e le individuava con la Polonia
ingiustamente secondo lui oppressa dagli invasori e imprigionata. Il diavolo per i
Polacchi del diciannovesimo secolo furono i Russi, come gli Austriaci per Verdi.
La falsificazione dell'immagine dell'uomo che segue, fa si che in Polonia non fu
ammissibile la fabbricazione dei stili, che nel culto della malvagità, del
misticismo e dell'esoterica deponevano il loro credito.
Gombrowicz accusò Sienkiewicz e gli scrittori Polacchi del tempo di tono
martirologio, patetico, collettivo, pro pubblico bono. Secondo Maria Janion Gli
indemoniati è l'espressione del programma critico letterario di Gombrowicz, che
nel soddisfare i gusti popolari identificava il dovere dello scrittore moderno.
Maria Janion ha edito il suo saggio su Gombrowicz in Polonia degli anni settanta.
Fu il felice periodo del comunismo. Si sente dell'ottimismo positivistico e quasi
romantico. Fu il sogno adempito del poeta maggiore polacco del romanticismo
Mickiewicz chi voleva che la letteratura visitasse le case dei poveri contadini
allora analfabeti. Nei Ricordi dalla Polonia Gombrowicz scrive: “Come sappiamo,
la misura della cultura di una nazione non è la sua arte più alta, la creazione degli
esseri straordinari, ma esattamente la letteratura secondaria dove la buona
educazione, cosi dell'autore che del lettore, è più importante del talento.”127
Agli amici argentini che nutrono i complessi dell'Europa Gombrowicz consiglia
di: “Semplicemente, se non potete esplicare la vostra maturità alla misura di
Parigi, cercate di dimostrare che Parigi è immaturo come voi! (…) A Santiago si
sta parlando delle cose concrete, come la raccolta del grano, o dei costumi della
figlia del vicino, le cose per tutti ben conosciute, a Parigi si discute
127
Gombrowicz, Wspomnienia Polskie, Res Publica, Warszawa 1990, s. 87.
132
dell'esistenzialismo, della musica di Schonberg, o delle teorie fisiche, i quali
nessuno ha domato e che sovrastano delle possibilità dei buoni borghesi
francesi”128 È il parere di Socrate, chi passeggiando e indagando i cittadini
d'Atene si rende conto che nessuno, pur ritenendosi eloquente, non sa di cosa sta
parlando. Socrate riassume che la gente dovrebbe occuparsi dei suoi mestieri nei
quali può eccellere. Gli Argentini di Santiago quando non si sforzano di imitare
l'Europa hanno il vantaggio della freschezza, naturalezza e verginità. Niente
affatto in possesso dei Parigini. Parigi è la Chiesa, e “tutte le chiese sono vuote
all'interno”129
”Il volto di Gioconda, come bello!” - ho scritto. “Ma cosa ne segue per noi? E'
bella, ma rende orrifiche le facce degli suoi ammiratori. Nel quadro – la bellezza,
di fronte di esso – lo snobismo, la stupidaggine, lo sforzo vano di colmare qualche
cosa di questa bellezza, della quale ci si è informato, che esiste”130 Simile valore
ha per Gombrowicz anche la filosofia occidentale. Nel Diario disse che gli uomini
si muovono dentro l'immensa fabbrica di cultura. Qui si vede delle membrane
dell'esistenzialismo, li le turbine della dialettica. Sono le orrende, disumanizzate
mostra della tecnocrazia. Prive dell'incanto, dell'efficacia, e dell'importanza. “E
che effetto vi fa leggere il mio diario? Non vi sembra per caso di vede un
contadino di Sandomierz che sia entrato in una fabbrica piena di agitazione e di
fracasso e vi si aggiri come se si trovasse nel proprio giardino? Ecco il forno
incandescente dove si fabbricano gli esistenzialismi; qui Sartre plasma nel piombo
fuso la sua libertà – responsabilità. Li c'è il laboratorio di poesia dove, in un
turbino di ingranaggi e catene di montaggio, migliaia di operai sudati fradici
lavorano con coltello superelettromagnetico sempre più affilato un materiale
sempre più resistente; più in la ecco calderoni senza fondo dove ribollono le
ideologie, le visioni del mondo e le fedi. Qui c'è la caverna del cattolicesimo. Più
avanti la fonderia del marxismo, il martello pneumatico della psicoanalisi, i pozzi
artesiani di Hegel, le fresatrici fenomenologiche, le pile galvaniche e idrauliche
del surrealismo e del pragmatismo. La fabbrica, correndo correndo nel frastuono e
nel vortice della produzione, produce e produce strumenti sempre più perfetti che
128
129
130
Ivi. s. 57.
Ivi.
Ivi. s. 62.
133
servono a loro volta a perfezionare e accelerare la produzione, per cui tutto si fa
sempre più poderoso, violento e preciso. Ma io mi aggiro tra macchinari e
prodotti con aria pensosa e distratta, esattamente come se stessi nel mio frutteto di
campagna. Ogni tanto assaggio un prodotto o un altro (come una pera o una
susina) e dico: “Hm... hm... troppo duro per me”. Oppure “Troppo abbondante per
i miei gusti”. O magari: “Che vada al diavolo! Troppo rigido, troppo scomodo!”.
O ancora: “Eh! Questo non sarebbe male, se solo non fosse cosi infuocato!”. Gli
operai mi lanciano di traverso occhiate ostili. Guarda un po' tra i produttori è
improvvisamente apparso un consumatore!”131
Nonostante l'atteggiamento ribelle, secondo me la tesi che Gombrowicz sarebbe
veramente incline al consacrare il suo diritto all'individualità ed essere propenso
al consacrarsi ai gusti del corteo è inverosimile. Sfortunatamente è una vana
speranza cercare in Gombrowicz il portavoce delle masse. La sua inclinazione al
mistero e bizzarria rimane pero viva oltre al fascino della giovinezza: “Diluvio.
Me ne stavo al buio in mezzo ai lampi. “Fosco era il cielo... eppur riluceva di
lampi... come la città di Dite.” Un cielo in continua fosforescenza, mentre tra le
nuvole spuntavano strane luminescenze simili a fuochi fatui e i tuoni rotolavano
senza sosta l'uno dietro l'altro. Ah, ah, non mi sentivo affatto tranquillo. (…) Mi
sono alzato, ho fatto qualche passo per la stanza, e all'improvviso, chissà perché,
ho alzato un braccio (…) In quello stesso istante la tempesta è cessata. Pioggia,
vento, tuoni, lampi – tutto finito. Silenzio. E intorno a me si coagulava un'oscurità
malsana, serpeggiava qualcosa di malato e patologico. Ovviamente non ero
diventato pazzo al punto di credere che fosse stato il mio gesto a fermare il
temporale. Tuttavia, per pura curiosità, allungai di nuovo la mano nella stanza ora
completamente buia – e che accade? Vento, pioggia, tuoni, tutto ricomincio da
capo! Non stesi il braccio una terza volta.”132
131
132
Witold Gombrowicz, Diario 1953-58, Feltrinelli, Milano 2004, p. 128.
Gombrowicz, Diario (1953-58), Feltrinelli, Milano 2004, p. 250.
134
135
Ringraziamenti
Ringrazio
Jussara
Bandeira
Santos
per
l'attiva
partecipazione
nell'oggettivazione del messaggio, che principalmente lasciava tanto da desiderare
in anzi tutto in quanto riguarda la comunicabilità, e cioè la Forma. Anche tutti i
amici della biblioteca della Facoltà di Lettere e Filosofia, piazza Brunelleschi, ed
altri.
Bibliografia
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2004.
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136
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137
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