Benasayag, ci può dare una definizione di giovani d’oggi? «È un po’ complicato perché per quello che riguarda la definizione di giovani d’oggi, c’è un elemento che non è in rapporto alla definizione di giovane in sé, ma si riferisce all’ambito nel quale si è giovani. Quello che è importante vedere è in quale contesto culturale, sociale, storico si svolge la loro vita. Allora il fenomeno culturale, sociale e storico della gioventù d’oggi, è un contesto molto particolare che si oppone a tutto ciò di cui la gioventù è portatrice: la fede, la speranza nell’avvenire. Voglio dire che il nostro è un contesto che sistematicamente demolisce ogni possibilità di crescere, di svilupparsi, di maturare, in una sorta di fiducia, di ottimismo, necessario perché la giovinezza si possa svolgere. Quindi la gioventù di oggi è fortemente marcata da questa specie di minaccia che pesa sulla nostra cultura, e che afferma che il futuro è negativo. In questo contesto essere giovani significa essere lanciati verso l’avvenire. Ed è molto complicato essere lanciati verso un avvenire che tutto il mondo è d’accordo a dire che sarà molto negativo. Io penso che il tratto principale della gioventù di oggi è comunque questa contraddizione in pecto tra ciò che è oggettivamente l’essenza della gioventù da sempre, e la contraddizione tra l’essenza della giovane età e l’epoca attuale». Qual è allora la tendenza dei giovani verso la vita? E ancora: I termini speranza e futuro esistono per i giovani? «Sì. Non possiamo pensare alla gioventù senza pensare al doversi far carico dei rischi o alla trasgressione. Attenzione, parlo di trasgressione non di perversione. Oggi giustamente in un mondo che si sente così estremamente fragile, un mondo che ha paura, ciò che è proprio della gioventù, che fa dispiegare la sua potenza, è mettere alla prova i limiti, trasgredire un po’, cercare di capire se ci sono frontiere o no da superare. Ora, in un mondo che ha paura, in un mondo che si irrigidisce sempre di più, ciò che è proprio della natura e dell’essenza della gioventù è vietato. Perché ipso facto si dirà che qualcuno che si fa carico dei propri rischi fa qualcosa di grave, e qualcuno che trasgredisce è un terrorista, o è un perverso. Capite? Allora la parola chiave che userei volentieri è “esplorare il mondo” e ogni società ha bisogno dei giovani che lo esplorano sempre più lontano con il rischio di farsi male, di morire, di ferirsi. Non può esserci una società rigenerata se non attraverso i giovani che ne esplorano i limiti. Non ci sono società che possono dispiegarsi e svilupparsi con giovani tutti saggi e paurosi. Ogni società ha bisogno comunque di una parte di giovani che ne esplorino i limiti. La nostra società crede che non c’è più possibilità di dare ai giovani questo spazio di esplorazione». Crede che i giovani si nascondano dietro delle ideologie rigide che offrono soluzioni semplicistiche a problemi complessi come la coabitazione o la risoluzione dei conflitti utilizzando la sopraffazione e la violenza? «Penso, in rapporto a ciò, che sia vero che una piccola parte dei giovani davanti alla complessità della vita cerca rifugio in ideologie semplicistiche siano esse di destra o di sinistra. Mi sembra però che l’ideologia dominante oggigiorno sia un’ideologia senza parole, un’ideologia di un estremo conformismo, di consumismo e alienazione. Voglio dire che ciò che io vedo soprattutto nei giovani, e in modo massiccio, è, al contrario, una sorta di attitudine al disimpegno verso le sorti della società e del mondo, un trionfo di individualismo attraverso il quale io non si occupano che di sé. C’è una parte della gioventù che è tentata dall’integralismo, o da vari partiti politici un po’ estremisti, ma penso che sia veramente una piccola frangia e che la gran parte dei giovani si rifugi dietro altri tipi di alienazione che sono appunto l’individualismo estremo, e un atteggiamento molto conformista. Allora da questo punto di vista, è vero che ciò che è messo in causa sono i rapporti sociali. Ma essere giovani significa provare i rapporti per farli propri, e questo per qualsiasi giovane e in qualsiasi società o epoca. Ciò che importa per loro, contrariamente ai vecchi, è che si sentano legati alla natura, al mondo, alla gente. Ma oggi purtroppo i giovani si ritrovano all’interno di un processo di sfilacciamento sociale che li allontana dai legami,. Si sentono isolati. Trovo che sia soprattutto questa l’anima di fondo più importante». Ci lamentiamo che i giovani sono apatici e conservatori chiusi dentro una dimensione e convinti che apparire è l’unica maniera di esistere. Qual è la responsabilità degli adulti? «Il problema è che dietro l’individualismo dei giovani, esiste anche un fatto storico maggiore, che è lo scacco dell’epoca delle grandi ideologie. Cioè i giovani si rendono conto che tutti i grandi movimenti ideologici hanno avuto un esito contrario a quello che pretendevano. Così c’è una grande diffidenza verso i discorsi, le parole. E non è sorprendente che dopo un secolo di epopee, di tragedie e di lotte, che ci sia una specie di movimento di reazione a tutto ciò. Voglio dire che tutti più o meno si nascondono dietro l’individualismo? Penso comunque che bisogna capire questo non in un modo che colpevolizza i giovani o i meno giovani, dicendo che gli individualisti non devono essere così. Credo al contrario che si debbano comprendere i fenomeni sociali in modo più freddo e strutturale, perché altrimenti criticheremo moralmente l’individualismo. E criticare moralmente l’individualismo, vuol dire assumere la posizione che in francese si chiama del “vecchio stupido” che passa il suo tempo a criticare, perché i giovani non sono come vorremmo che fossero. Quello che bisogna comprendere in modo non moralizzante e non colpevolizzante sono i movimenti di flusso e di riflusso nella società. Allora, l’individualismo attuale e il regno del denaro, corrispondono a cose oggettive e strutturali di riflusso e quindi bisogna comprendere questo per reagire, per evitare che questo movimento non distrugga la vita. Ma bisogna comprenderle senza colpevolizzare le persone». La parola problema è spesso legata alla parola giovani. Si parla di loro solo se sono protagonisti di avvenimenti gravi, quando rappresentano un problema o ancora quando hanno dei problemi. Gli adulti incaricati dell’educazione dei giovani, quindi i genitori, gli insegnanti, denunciano una mancanza di comunicazione. Cosa c’è che non funziona nel rapporto intergenrazionale? «È appena uscito per Feltrinelli un libro che ho scritto in collaborazione con Angelique Del Rey, “L’elogio del conflitto”. È certamente vero che vivendo in una società che ha paura, paura dell’avvenire, dell’altro, che ha paura di tutto, questa, è una società che non tollera il conflitto e che tende ad avere una visione solo negativa del conflitto. Ora, da un punto di vista eracliteo (Eraclito dell’Origine ndr) il conflitto è la vita. La nostra società tende invece a vedere il conflitto solo come uno scontro violento, negativo. Di conseguenza si cerca di debellare, reprimere, respingere il conflitto. Ma, debellando il conflitto si creano degli scontri. Che sia nella famiglia o nella società se noi vogliamo ricreare dei rapporti, dei legami, bisogna sviluppare la capacità di tollerare il conflitto, di non trasformare il conflitto in scontro. Perché il conflitto non è semplicemente essere contro, il conflitto è la molteplicità dell’essere. Il conflitto è interno a noi stessi, è nel rapporto con l’altro, è in rapporto alla vita. La nostra società non tollerando il conflitto si condanna a uno scontro permanente. Io penso che effettivamente per aiutare le famiglie, le persone in generale, per comprendere anche la situazione geopolitica che si sta modificando, sia necessario, prendere in seria considerazione il tema del conflitto. Per far questo bisogna considerare l’esistenza dentro e fuori di noi della “molteplicità”. Solo sviluppando questa molteplicità forse si troveranno delle soluzioni per le varie situazioni. Quando si assimila, come avete detto giustamente voi la parola problema alla parola giovani, quello che si fa non è altro che impedire che questo conflitto che nasce dalla molteplicità dell’essere umano divenga positivo e portatore di vita. Perchè un problema è sempre qualcosa di negativo?» Miguel Benasayag filosofo e psicoanalista vive da molti anni a Parigi, dove si occupa di problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. E’ autore di molte opere, alcune delle quali sono state tradotte in italiano. Il mito dell’individuo (MC 2002) Contropotere (scritto con Diego Sztulwark, Eleuthera 2002) ,Resistere è creare (scritto con Florence Aubenas, ediz. MC 2004) Per una nuova radicalità (scritto con Dardo Scavino, il Saggiatore 2004) Malgrado tutto (Filema 2005) L’epoca delle passioni tristi (Feltrinelli 2004) Contro il niente. L’ABC dell’impegno (Feltrinelli 2005) Elogio del conflitto (Feltrinelli 2008) Dal sito www.VolontariOggi.info