Origini della crisi religiosa del Cinquecento (UD1) La crisi religiosa del Cinquecento ha profonde radici umanistiche. Accanto alla decadenza delle strutture, del pensiero e della vita religiosa, il Quattrocento rivela nuovi impulsi ed esperienze significative, che assai spesso si risolvono in un insistito e potente richiamarsi alla Bibbia e alla Chiesa apostolica. Tale atteggiamento è evidente specialmente in Jan Huss, il riformatore boemo arso vivo a Costanza il 6 luglio 1415. La sua dottrina, in parte influenzata dalle posizioni teologiche di John Wycliffe, evidenzia una critica virulenta contro il Papa e la gerarchia ecclesiastica, le impunità dei preti, l’odioso mercimonio delle indulgenze, come si può leggere nella Spiegazione della fede dei dieci comandamenti, del Padre Nostro, redatta nel 1412. Ma è soprattutto nella Lettera ai Cechi fedeli, stesa poco prima della morte, che Huss esplode in un accorato appello contro la Chiesa dogmatica e verticistica, a favore di una riscoperta umanistica della Bibbia e della fede in Dio. Il tragico rogo di Huss ebbe a Costanza uno spettatore d’eccezione quale Poggio Bracciolini, l’inesauribile scopritore di codici che si sforzava di vivere lucrezianamente, armonizzando gli insegnamenti degli antichi in autentiche forme di vita. Poggio restò ancor più impressionato dal supplizio di Girolamo da Praga, recatosi al Concilio per difendere le posizioni sue e di Jan Huss, di cui era allievo; tuttavia Girolamo fu subito arrestato e dopo qualche giorno trucidato con la stessa brutale condanna dei maestro. Nel resoconto del raffinato umanista, Girolamo è presentato come un martire della libertà religiosa: un novello Socrate ingiustamente condannato (lettera a Leonardo Bruni, Costanza 29 maggio [1416]). Nel contesto di una generalizzata aspirazione alla riscoperta delle fonti della fede, assume peculiare importanza l’esperienza dei “Fratelli della vita comune”, cui si lega il movimento di risonanza europea della Devotio moderna. I Fratelli, sorti nelle Fiandre nei secolo XIV dall’esempio di Gert Groote, si organizzarono in gruppi di laici non vincolati da voti che praticavano la vita comune, proponendosi la ricerca di una spiritualità discreta, aliena da un’ascesi eccessivamente aspra, secondo la semplicità di mezzi e costumi della Chiesa primitiva. Dalle Consuetudines redatte dai Fratelli della vita comune, databili al 1430 ca., si ricava che essi si mantenevano con i proventi della copiatura di libri, coltivando con rigore la <<quiete spirituale>>. Ai Fratelli si deve anche la fondazione di scuole ispirate ai canoni della pedagogia umanistica e frequentate da personalità insigni come Niccolò Cusano, Erasmo e lo stesso Lutero. Fu anche dall’esperienza peculiarissima dei Fratelli della vita comune che trasse stimoli il movimento della Devotio moderna, la cui mistica consiste in particolare nell’ Imitatio Christi. Risulta metodologicamente proficuo studiarne la diffusione attraverso la risonanza di libri ispirati alla mistica della Devotio. Tra questi, il più celebre è senza dubbio l’Imitatio Christi, un libretto di meditazione composto con ogni probabilità dal canonico agostiniano Tommaso da Kempis nei primi decenni del XV secolo. La sua influenza fù impressionante, se si considera che incise anche sulla formazione giovanile di Lutero. Da questa spiritualità i comuni credenti si sentivano incoraggiati ad una autoriforma personale,intesa specialmente come imitazione dei Cristo crocifisso. Caratteristica comune delle esperienze e dei movimenti riconducibili alla Devotio moderna1 sembra essere la ricerca della salvezza personale attraverso riforma di se stessi piuttosto che delle istituzioni ecclesiastiche. Di orientamento diverso, perché di più ampio respiro, risulta invece il Libellus ad Leonem X redatto dai camaldolesi Querini e Giustiniani e offerto nel 1515 al neoeletto pontefice. Il memoriale si proponeva di riformare non solo i credenti, ma in particolare le istituzioni ecclesiastiche. Lo stesso Erasmo da Rotterdam era stato allievo a Deventer dei Fratelli della vita comune, mutuando da essi una spiritualità accentrata sulla figura di Cristo. Ad Oxford, in compagnia di Thomas More, aveva conosciuto John Colet, responsabile della diffusione in Inghilterra del neoplatonismo fiorentino e dell’interesse per le lettere di san Paolo. Il Colet, nel suo commento all’epistola paolina ai Romani, datato 1498, insiste sui temi della grazia di Dio quale garanzia di salvezza: secondo Paolo l’uomo può esser giustificato di fronte a Dio non attraverso le opere, ma attraverso la fede (Rom. 3, 21-23, 26-2 8). I1 teologo inglese si sforzerà di diffondere una religione fondata su quest’intuizione, che sarà poi anche del Contarini, di Erasmo, di Jacopo Sadoleto e, con accenti diversi, di Lutero, dando avvio a quello che gli studiosi hanno denominato umanesimo cristiano. Sotto il peso del loro influsso e dell’educazione ricevuta dai Fratelli di Deventer, Erasmo perseguì ostinatamente la ricerca della philosophia Christi, ossia di una fede liberata dallo inutili sovrastrutture dogmatiche e limitata a pochi ma necessari fondamentalia fidei mostrandosi sensibile alle tematiche della pace religiosa, della concordia umana e della tolleranza, al pari del suo amico Thomas More. Nella lettera a Giovanni Botzheim dei 30 gennaio 1523, Erasmo, ripercorrendo i punti salienti della sua opera, si lascia andare ad un’amara confessione: “Ho scritto Lamento della pace sette anni fa subito dopo essere stato chiamato a corte. Ci si andava adoperando con grande zelo per riunire a Cambrai una conferenza dei più [ potenti sovrani dei mondo... per far si che la pace li stringesse insieme con vincoli, come si suol dire adamantini… Così, per incarico del gran Cancelliere Jean Le Sauvage, scrissi il Lamento della pace. Oggi le cose sono arrivate a tal punto, che per la Pace occorre scrivere l’epitaffio, visto che non c’è ombra di speranza che possa risuscitare”. Preparata, dunque, nel 1516 in vista dell’accordo dì Cambrai, ma pubblicata solo nel 1517, la Querela pacis esalta quei valori quali la concordia umana e l’unanimità che per Erasmo costituiscono il nucleo vitale della sua philosophia Christi. Tuttavia il trattato di Cambrai, risultato di fatto senza effetti, sanciva con l’aggiunta di articoli segreti, la spartizione dell’Italia e dava inizio, contro le speranze erasmiane di pace, alla serie di conflitti fra Carlo V e Francesco I. Il fallimento sul piano politico del utopia erasmiana e l’esplodere della crisi religiosa, sembrano testimoniare una battaglia perduta; di Erasmo, restò tuttavia il suo sogno di pace, confermato anche dallo straordinario successo della Querela pacis in termini di stampe e traduzioni2. 1 Alla Devotio possono essere collegati molteplici esperienze e movimenti. Non è da sottovalutare come siano numerosi gli ordini religiosi o le confraternite che per tutto il corso del Quattrocento si diedero a riformare i loro statuti. Fra i primi occorre ricordare i Benedettini considerati un ordine ozioso, che si adeguano al nuovo clima religioso attraverso la riforma del 1408, intrapresa nella congregazione di Santa Giustina da Ludovico Barbo. Verso la fine del secolo sorgono i primi Oratori del Divino Amore, su iniziativa di gruppi di laici, per lo più di estrazione aristocratica, che sperimentano la pratica comunitaria della preghiera, dei sacramenti e della lettura della Bibbia. Un centro assai attivo nella riforma della vita religiosa è Venezia, grazie soprattutto ad alcuni giovani della nobiltà locale come Vincenzo Querini, Paolo Giustiniani e Gasparo Contarini, in seguito prelato insigne e attivo sul fronte della disputa tra Roma e Lutero. ll Contarini prese le distanze dalla svolta operata da Vincenzo Querini e Paolo Giustiniani, i quali abbandonarono il mondo per farsi eremiti camaldolesi. Il giovane veneziano, il sabato santo del 1511, risolse i suoi dubbi interiori e le preoccupazioni spirituali in forza dell’intuizione che alla salvezza dell’uomo non è necessario rifugiarsi nella vita monastica; è invece sufficiente la grazia redentrice di Cristo, (lettera a Paolo Giustiniani, Venezia 24 aprile 1511). L’ interesse di tutta la vicenda risiede specialmente nella profonda analogia con la Tumerlebnis, ossia l’esperienza della torre, vissuta anni dopo da Lutero. 2 L’ideale erasmiano di pace religiosa e di ritorno alle fonti della fede era condiviso da Thomas More, grande amico dell’umanista fiammingo, il cui interesse per la cultura italiana, in particolare neoplatonica, é testimoniato dalla Vita di Giovanni Pico della Mirandola, redatta in inglese. Al pari di Erasmo, il More era contrario alle dispute religiose e fautore dell’autonomia della ragione che non si lascia assorbire dall’autorità della fede, di una morale cristiana coincidente con quella naturale, di una società fondata su principi egualitari, sul pacifismo e su una sostanziale tolleranza. Tale impostazione di vedute assunse forme definite nella sua Utopia, pubblicata nel dicembre 1516 a Lovanio, in cui l’umanista inglese delineava un modello ideale di Stato perfetto collocato su un’isola posta nel futuro storico. La società degli utopiani vive libera e secondo natura, all’insegna del pacifismo, rispettando ogni forma di culto religioso. Riforma Protestante (UD2) Nella riflessione degli umanisti dei liberi pensatori la fiducia nella feconda dialettica delle idee conduce naturaliter alla pratica della tolleranza, la quale nell’età moderna, sarà una conquista dell’ Europa riformata e soltanto in seguito sì diffonderà altrove. Del resto, i cattolici tolleranti finiranno con l’essere sottoposti essi stessi alla censura ecclesiastica o saranno costrctti a rifugiarsi, come il More, nell’utopia o nelle narrazioni romanzesche. A giudizio dello storico Delio Cantimori, i momenti di più profonda religiosità si sono avuti con i mistici e gli anticlericali cattolici come John Fisher e Thomas More - fatti trucidare da Enrico VIII -, Erasmo e Michelangelo. Con la spaccatura del cristianesìmo occidentale, provocata dalla rivoluzione luterana, I’ indice dei libri proibiti e la vocazione censoria della Curia pontificia diffusero clima di oscurantismo clericale e di generale intolleranza nei confronti del libero pensiero, le cui conseguenze immediate furono la fine ufficiale dell’anticlericalismo cattolico ed un progressivo impoverimento culturale. La riflessione filologica sui concetti di religio, veritas e doctrina rivela che in età moderna gli ideali umanistici di tolleranza e di concordia umana furono aspramente osteggiati dalle culture dogmatiche di Riforma e Controriforma. Da Lorenzo Valla a Montaigne, gli umanisti esprimono un concetto di religio che coincide con la ricerca della verità, non con il suo possesso; l’esperienza religiosa è vissuta nella dimensione etica: è un itinerario compiuto dall’individuo-soggetto che intende la veritas come ricerca del trascendente, non come definizione esclusiva e dogmatica. Nel contesto delle Chiese istituzionalizzate, il concetto umanistico di veritas viene rigettato per far posto a quello dogmatico di doctrina in seguito, i teologi identificheranno la veritas con l’ortodossia. Riforma e Controriforma diffondono un concetto di religio inteso come verità dogmaticamente definita; di conseguenza l’eretico è colui che, per dirla coi Cantimori, risulta ribelle a qualsiasi forma di comunità ecclesiastica rigidamente organizzata, esprimendo il dissenso religioso in sede dogmatica. Nella biografia di Lutero, ordinato sacerdote nei 1507 dopo essere entrato contro il volere paterno nel convento agostiniano di Erfurt, ha un’importanza peculiare il corso sulla lettera di san Paolo ai Romani, tenuto nel 1515 nell’università di Wittenberg. È in questo contesto che sì colloca la cosiddetta esperienza della torre, nella quale Lutero, da tempo concentrato sulla Bibbia a meditare sulla salvezza umana, comprende come Dio, non l’uomo, possa colmare la distanza che li separa. Dell’intuizione luterana vi è traccia nei Discorsi a tavola, ove Lutero si rallegra del fatto che Dio, «per mezzo della sua pura grazia e misericordia», arrivi a giustificare l’uomo. Ma ciò che rende la vicenda di Lutero un unicum irripetibile non è tanto la riscoperta della Bibbia e l’intuizione personale della salvezza, concessa all’uomo per grazia e misericordia divina, quanto piuttosto la capacità di cogliere che l’intuizione della giustizia di Dio non deve restare solo patrimonio personale, poiché è compito del vero credente farsi carico del peccato dei fratelli e spingerli a comprendere ha nuova verità. In questo contesto, l’arcivescovo di Magonza Alberto di Brandeburgo, col bandire rozzamente un’indulgenza al fine di far partecipare i tedeschi alla fabbrica della nuova San Pietro, offre a Lutero l’occasione di intervenire, considerato che i fondi raccolti dall’ arcivescovo sarebbero serviti a saldare un ingente debito contratto con i banchieri Fugger. Lutero decise di rendere pubbliche 95 tesi sull’argomento le quali, redatte dapprima in latino, furono successivamente tradotte in tedesco. La rapida diffusione delle tesi e il vespaio di polemiche che esse provocarono, costrinsero Lutero a confrontarsi in pubbliche dispute con agguerriti teologi. In particolare, la critica luterana si concentrava sul problema della salvezza eterna, che in molti cercavano di ottenere per mezzo delle opere, considerate invece dal teologo agostiniano colpevoli di allontanare l’uomo dalla croce e dai Vangelo. La situazione sembrò irrimediabilmente compromessa quando nel 1520 Lutero fu scomunicato dalla Curia romana con la bolla Exurge Domine. ll riformatore era convinto che l’istituzione del papato romano si identificasse con l’anticristo; che la Chiesa avesse conosciuto nei secoli progressivamente una declinatio doctrinae; che i soli sacramenti istituiti da Cristo fossero il battesimo e l’eucarestia; che il credente dovesse abbattere le tre muraglie storiche dei romanisti: sacerdozio ministeriale, cui andava sostituito quello universale dei credenti; interpretazione ecclesiastica della Sacra Scrittura; convocazione papale del concilio. I capisaldi della sua dottrina confluirono in un ciclo di opere scritte in rapida successione, fra le quali risultano fondamentali le seguenti, composte nel 1520: 1. La cattività babilonese della Chiesa 2. Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca; 3. La libertà dei cristiano. Dopo essere comparso alla Dieta imperiale dì Worms, nel 1521, Lutero trascorse un periodo piuttosto lungo nel castello della Wartburg, sotto la protezione del principe Federico di Sassonia, impegnato alacremente nella traduzione tedesca del Nuovo Testamento, cui farà seguito il resto della Bibbia. Il biennio 1524-25 fu caratterizzato da una serie di contrasti che scosse la vita del teologo, il quale si dedicava da un paio d’anni alla riforma della Chiesa di Wittenberg. In primo luogo, in questi anni avvenne la rottura definitiva con Erasmo sul tema del libero arbitrio. L’umanista fiammingo aveva infatti pubblicato, nel settembre 1524, il De libero arbitrio, in cui era lecito individuare più di un motivo di critica nei confronti di Lutero, sia nella valorizzazione dello sforzo morale dell’uomo, capace — come aveva osservato Pico della Mirandola — di merito come di demerito, che nel tentativo di conciliare grazia e libero arbitrio, poiché la salvezza sarebbe opera di entrambe e frutto significativo della collaborazione tra uomo e Dio. Nel dicembre 1525 Lutero replicò con il trattato De servo arbitrio, opera a tratti anche aspra, in cui viene definitivamente chiarito che l’uomo ha come compito la glorificazione religiosa di Dio; pertanto, non può essere arbitro, anche se in minima parte, della salvezza, poiché in tal caso sottrarrebbe a Dio la sua gloria. Negli stessi anni Lutero si trovò a dover contrastare la rivolta dei contadini guidati da Thomas Mùntzer, il quale intendeva trasferire la Riforma dal piano teologico a quello sociale. Tale proposito suggerì a Lutero di scegliere definitivamente i propri alleati nella nobiltà tedesca. Il 5 maggio 1525 il teologo di Erfurt pubblicò il violento opuscolo Contro le empie e scellerate bande dei contadini, in cui rigetta con decisione il programma di Thomas Muntzer e i suoi metodi rivoluzionari, facendo registrare un brusco mutamento di opinioni in tema di tolleranza religiosa. Muntzer, che era in possesso di una cultura notevole, aveva letto e studiato Platone ed Erasmo, senza tuttavia derivare il suo radicalismo religioso dall’Utopia di More, dacché la sua teologia ha radici profonde nel misticismo tedesco. Egli predica il primato della rivelazione diretta e, con un linguaggio da profeta biblico, invita i suoi seguaci a realizzare in terra il Regno millenario di Cristo, opera di contadini, minatori e gente del popolo. La lotta tra Lutero e Muntzer si fece aspra allorquando quest’ultimo sostenne di voler realizzare il vero cristianesimo attraverso una rivoluzione violenta. La sua famosa Predica ai principì pronunciata il 13 luglio 1524, attribuiva al principe il compito di eliminare fisicamente gli empi, pena la perdita dell’uso della spada temporale e la sua consegna ai popolo. Tale atteggiamento contrastava fortemente con il programma di Lutero, tutto preso dal rapporto Dio-uomo e contrario allo spirito e alla prassi rivoluzionaria, poiché credeva fiduciosamente che le istituzioni si sarebbero automaticamente rinnovate su basi nuove. Il motivo per cui Lutero, nell’opuscolo del ‘25, esortava i principi tedeschi a reprimere brutalmente il movimento contadino e a ripristinare l’ordine, è la sua più completa sfiducia nell’attuazione violenta della Riforma. Il 15 maggio 1525 si ebbe il tragico epilogo della guerra dei contadini con il massacro di Frankenliausen, ove oltre seimila combattenti trovarono la morte sul campo. Thomas Muntzer, riconosciuto e catturato, fu decapitato 1127 maggio, dopo alcuni giorni di tortura. Nonostante il tragico epilogo della guerra dei contadini, la Riforma dilagava in tutta Europa, guadagnando consensi anche nei paesi cattolici, persino nella penisola italiana. Già Machiavelli aveva attribuito alla Chiesa la colpa storica di aver reso gli Italiani “senza religione e cattivi”. Guicciardini fu più deciso nell’osservare che “se non fossi stato indotto dal mio particulare ad impegnarmi per la grandezza dei pontefici, avrei amato Martin Lutero”. Certo è che nella penisola circolavano testi della Riforma grazie ai contrabbando studentesco o sotto la protezione di pseudonimi, specialmente a Venezia e a Trento. La recente invenzione della stampa costituiva indubbiamente uno straordinario mezzo di diffusione della Riforma, attraverso libelli, fogli volanti, incisioni sovente rozze ma psicologicamente efficaci, a vantaggio specialmente dei ceti umili. Anche artisti dello spessore di Lucas Cranach, per fare un nome insigne, collaborarono alla diffusione delle idee riformate. Nel 1530 alla Dieta di Augusta fu presentato 11 manifesto dei ritbrmati, la Confessìo Àugustana, il cui tono più conciliatore e moderato nei confronti dei cattolici si deve al redattore Filippo Melantone, collaboratore di Lutero di formazione umanistica. Della diffusione della Riforma in Svizzera si occupò Ulrich Zwingli, in contatto da giovane con Erasmo e successivamente ammiratore entusiasta di Lutero, alla cui Riforma aderì nel 1519. Tuttavia la concezione teologica di Zwingli andò divergendo dalle posizioni luterane: egli dava al battesimo e all’eucarestia un valore puramente simbolico, contro la convinzione di Lutero secondo cui l’eucarestia contenesse realmente il corpo di Cristo. Il contrasto fra le due posizioni non si sanò nemmeno ai colloqui di Marburgo del 1529, che videro Lutero e Melantone per la parte tedesca opporsi a Zwingli ed Ecolampadio per quella Svizzera. La predicazione zurighese di Zwingli fu indirizzata in particolare ai ceti produttivi e dirigenti della città. Ben presto il governo di Zurigo accolse le sue richieste, che spaziavano dall’uso del volgare nella liturgia, alla lettura pubblica e diretta della Bibbia, all’abolizione del celibato dei preti, alla proibizione del servizio militare mercenario. Ma a partire dall’autunno 1523, il gruppo di predicatori zurighesi guidato da Konrad Grebel, Felix Manz e Jorg Blaurock entrò in contrasto con Zwingli. Il gruppo dissidente, dopo aver espresso teorie radicali sulla messa e sull’eucarestia, giudicò necessario ribattezzare gli adulti, contestando la pratica del battesimo ai neonati e staccandosi dalla riforma zwingliana. I seguaci della comunità anabattista fondata dal Grebel, che fu la prima a seguire la pratica del ribattesimo, non ricoprivano cariche pubbliche e condannavano l’ingerenza nelle questioni mondane, attestandosi su di un pacifismo integrale che escludeva ogni forma di violenza; sul piano religioso avevano abolito tutti i sacramenti, non riconoscevano la consacrazione degli edifici di culto e si incontravano all’aperto o nelle case dei “fratelli svizzeri”, come dissero i battezzandi, osservando scrupolosamente il primato della Scrittura. Pur mantenendo contatti con esponenti della Riforma radicale, come ad esempio Mùntzer, gli anabattisti zurighesi prendevano le distanze dall’attuazione del cristianesimo con l’uso della forza e della sedizione violenta. Grebel e i suoi compagni erano fautori convinti di una Chiesa di martiri e di santi, animata dalla forza della fede, capace di accettare passivamente lo scherno e la persecuzione. Nell’inverno 1524-25 la situazione zurighese precipitò. Il 18 gennaio Zwingli ordinò il battesimo di tutti i neonati entro gli otto giorni dalla nascita; il 21 proibì le riunioni dei gruppi anabattisti, senza peraltro arginare la pratica del ribattesimo. La repressione fu allora durissima: il 25 gennaio Felix Manz fu sottoposto a pena di morte per affogamento, mentre coloro che accettavano di ritrattare subivano menomazioni terribili quali l’amputazione delle dita e la tortura del marchio rovente sul viso. Nonostante le persecuzioni subite, l’anabattismo uscì fuori dai confini della Svizzera e si diffuse con straordinaria rapidità in Germania, Boemia, Paesi Bassi e Italia. A Mùnster, in Westfalia, la comunità anabattista locale si costituì nel 1534 in popolo di santi, prendendo possesso della città e fondando il “regno di Sion”. Cattolici e luterani furono cacciati dalla città, il che sortì come conseguenza la rinunzia alla prafica della violenza, la comunione di beni e la poligamia spinta fino alla promiscuità sessuale. Mùnster fu posta sotto assedio da truppe miste cattoliche e riformate, che dopo qualche giorno ebbero ragione degli assediati. L’esperienza del regno di Sion si concluse in un massacro di proporzioni bibliche; il re Jan Bockelson e i suoi più stretti seguaci furono torturati col fuoco e poi massacrati. In Svizzera, dopo la morte di Zwingli, avvenuta il 31 ottobre 1531 a Kappel, in uno scontro armato con i cantoni cattolici, le sorti della Chiesa zurighese furono affidate al giovane Bullinger. In altre città svizzere come Basilea, Berna e la città imperiale di Strasburgo, la Riforma fu organizzata da Ecolampadio, Wolfgang Kopfel, detto Capitone, e Martin Butzer. Tuttavia il più potente centro svizzero di irradiazione della propaganda riformata divenne presto Ginevra, città in cui si distinse l’opera del riformatore Giovanni Calvino. Nel suo scritto più famoso, L‘Institutio christianae reIigionis, che ebbe una traduzione francese e numerosi ampliamenti voluti dall’autore, il riformatore piccardo espone il suo rigorismo teologico basato su una concezione assai negativa della natura umana, corrotta irrimediabilmente dal peccato originale e destinata alla dannazione. La salvezza può giungere solo attraverso il sacrificio di Cristo, ma gli eletti sono scelti tra i credenti secondo un disegno divino imperscrutabile. Secondo la concezione calvinista la riforma deve occuparsi dell’organizzazione sia politica che religiosa della comunità dei credenti. Dopo qualche contrasto con il governo di Ginevra, in seguito al quale fu costretto a trasferirsi a Strasburgo dal 1538 al 1541, Calvino fece ritorno in città e poté organizzare la vita della comunità secondo principi rigidissimi. L’organizzazione politico-religiosa era regolata da un colloqui di Marburgo del 1529, che videro Lutero e Melantone per la parte tedesca opporsi a Zwingli ed Ecolampadio per quella Svizzera. La predicazione zurighese di Zwingli fu indirizzata in particolare ai ceti produttivi e dirigenti della città. Ben presto il governo di Zurigo accolse le sue richieste, che spaziavano dall’uso del volgare nella liturgia, alla lettura pubblica e diretta della Bibbia, all’abolizione del celibato dei preti, alla proibizione del servizio militare mercenario. Ma a partire dall’autunno 1523, il gruppo di predicatori zurighesi guidato da Konrad Grebel, Felix Manz e Jorg Blaurock entrò in contrasto con Zwingli. Il gruppo dissidente, dopo aver espresso teorie radicali sulla messa e sull’eucarestia, giudicò necessario ribattezzare gli adulti, contestando la pratica del battesimo ai neonati e staccandosi dalla riforma zwingliana. I seguaci della comunità anabattista fondata dal Grebel, che fu la prima a seguire la pratica del ribattesimo, non ricoprivano cariche pubbliche e condannavano l’ingerenza nelle questioni mondane, attestandosi su di un pacifismo integrale che escludeva ogni forma di violenza; sul piano religioso avevano abolito tutti i sacramenti, non riconoscevano la consacrazione degli edifici di culto e si incontravano all’aperto o nelle case dei “fratelli svizzeri”, come dissero i battezzandi, osservando scrupolosamente il primato della Scrittura. Pur mantenendo contatti con esponenti della Riforma radicale, come ad esempio Mùntzer, gli anabattisti zurighesi prendevano le distanze dall’attuazione del cristianesimo con l’uso della forza e della sedizione violenta. Grebel e i suoi compagni erano fautori convinti di una Chiesa di martiri e di santi, animata dalla forza della fede, capace di accettare passivamente lo scherno e la persecuzione. Nell’inverno 1524-25 la situazione zurighese precipitò. Il 18 gennaio Zwingli ordinò il battesimo di tutti i neonati entro gli otto giorni dalla nascita; il 21 proibì le riunioni dei gruppi anabattisti, senza peraltro arginare la pratica del ribattesimo. La repressione fu allora durissima: il 25 gennaio Felix Manz fu sottoposto a pena di morte per affogamento, mentre coloro che accettavano di ritrattare subivano menomazioni terribili quali l’amputazione delle dita e la tortura del marchio rovente sul viso. concistoro costituito da anziani e dai ministri del culto. Questa rigida organizzazione ecclesiastica poteva condurre a gravi episodi di intolleranza, quali l’espulsione nel 1544 dell’umanista Sebastiano Castellione e la condanna al rogo del medico spagnolo Michele Serveto, colpevole dì aver diffuso concezioni antitrinitarie. Questo atteggiamento critico da parte di Serveto nei confronti del dogma della trinità era maturato dopo i venti anni nei due libri De trinitatis erroribus (1531) e Dialogi de trinitate (1532), i quali provocarono grandi accuse al medico spagnolo, che ebbe presto tra i suoi maggiori oppositori Giovanni Calvino. Nel 1553 la posizione di Serveto fu ancor più compromessa dalla pubblicazione di un suo volume, Christianismì restitutio, pubblicato anonimo a Vienne; ciò non impedì a Calvino di scorgere nell’antitrinitario spagnolo l’empio autore dell’opera. Dopo alterne vicende, Michele Serveto fu riconosciuto il 13 agosto nella Ginevra calvinista e prontamente arrestato. Accusato dal consiglio cittadino di empietà ed eresia e ottenuto per volere di Calvino il parere favorevole di altre chiese riformate svizzere, Serveto fu condannato a morte e arso vivo il 27 ottobre 1553 alle porte di Ginevra3. 3 Ad una iniziale reazione di approvazione, fecero seguito voci di dissenso, tra le quali spicca quella di David Joris, fautore della libertà religiosa, che aveva tentato senza successo di far recedere Calvino dal suo proposito punitivo. Sebbene il riformatore ginevrino non avesse dubbi alcuni sulla necessità di condannare a morte un eretico del calibro di Serveto, la cui predicazione antitrinitaria toccava un punto fondamentale della rivelazione evangelica, giudicò tuttavia opportuno prevenire il diffondersi di pericolose critiche al suo operato e nel febbraio del 1554 pubblicò una Defensìo orthodoxae fidei contro le conseguenze aberranti dell’eresia di Serveto, dando avvio ad un’accesa e articolata controversia sul tema de puniendis haereticis.