Storia delle relazioni internazionali 1941-1970

Storia delle relazioni internazionali (1941-1970)
L'attacco tedesco all'Urss
Dall'inizio della seconda guerra mondiale al giugno del 1941 si era avuta una serie di vittorie da parte
dell'Asse che aveva completamente sovvertito l'Asseto europeo deciso a Parigi nel 1919 a favore del
nuovo ordine mondiale prospettato da Hitler e dai suoi alleati. Il 22 giugno 1941 la Germania attaccò
l'Urss aprendo così quello scenario di guerra su due fronti che era stato temuto fin dall'unificazione del
paese nel 1870. Da parte sua Stalin riteneva che la razionalità di Hitler gli impedisse una simile decisione,
ma anche quando inizierà a prendere consapevolezza dei propositi tedeschi continuerà a inviare le
forniture previste dall'accordo tedesco-sovietico: il tentativo di evitare l'offensiva nazista non ebbe però
successo. Per quanto riguarda invece il Giappone, Tokyo e Mosca avevano raggiunto un accordo di
neutralità il 13 aprile 1941, poi riconfermato in agosto, così sfumavano i piani di Hitler dato che l'alleato
orientale aveva preferito dirigere le sue spinte espansionistiche verso il sud-est asiatico. Dal giorno
successivo all'attacco Stalin si defilò completamente per una decina di giorni, un atteggiamento che ha
trovato diverse spiegazioni, due in particolare:
 il leader sovietico entra profondamente in crisi, travolto dagli avvenimenti;
 preferisce mantenersi in disparte al fine di far ricadere su altri la responsabilità per le prime inevitabili
sconfitte.
Quando ricomparve si appellò con forza al patriottismo russo incitando i suoi connazionali ad una strenua
difesa del proprio territorio.
L'offensiva tedesca procedeva su tre direttrici: una settentrionale verso Leningrado, una centrale verso
Mosca e una meridionale verso l'Ucraina, Stalingrado e il Caucaso. Al di là dei clamorosi successi iniziali
le truppe tedesche non arrivarono mai a Mosca: le distanze enormi e il clima rigido furono i principali
ostacoli all'avanzata nazista.
I rapporti tra anglo-americani e sovietici
La comprensione dei rapporti tra gli Alleati è chiara solamente partendo dagli obiettivi che essi si
pongono durante la guerra, solo così infatti è possibile comprendere come al di là della necessità di
sconfiggere la Germania il rapporto tra le tre potenze fosse viziato da divergenze su questioni di fondo e
di lungo periodo. Per la Gran Bretagna l'obiettivo della guerra era ristabilire quell'ordine sul continente
europeo che la Germania aveva stravolto: i britannici erano disposti a qualche compromesso ma non a
tollerare un'Europa egemonizzata dalla Germania nazista, si trattava quindi di un intento con profonde
radici storiche e strettamente legato alla dimensione imperiale della potenza britannica. Diverso era
l'approccio statunitense e quindi diversi erano gli obiettivi della guerra che potevano essere ricondotti,
all'interno del "grand design" roosveltiano, a principi quali la libertà dei commerci e l'economia di
mercato, lo sviluppo economico e sociale, il diritto di autogoverno per tutti i popoli: principi generali che
comunque nascevano dalle esigenze statunitensi e dalla consapevolezza che l'età dell'imperialismo era
finita. Particolarmente concreti e riconducibili ad una politica di potenza erano invece gli obiettivi
sovietici, Stalin mirava infatti a ristabilire il controllo su quei territori acquisiti in seguito al Patto
Ribbentrop-Molotov che per l'Urss costituivano una sorta di cordone sanitario all'inverso (non in funzione
dell'isolamento dell'Urss ma della sua protezione), a ciò si aggiungevano poi le tradizionali direttrici
dell'espansionismo zarista.
Dal punto di vista britannico Churchill fu pronto a dichiarare il proprio sostegno all'Urss in quanto
anch'essa in lotta contro il nazifascismo e già in luglio si ebbe un accordo che prevedeva l'aiuto reciproco
e l'impegno a non avviare negoziati separati. Emergevano però anche le prime difficoltà nella
cooperazione tra le due potenze:
 fino al 1942 ci sarà il reciproco sospetto che una delle parti cercasse una pace separata con la
Germania;
 Stalin chiese fin da subito l'apertura di un secondo fronte: questa sarà una richiesta costante e gli
alleati occidentali posporranno tale azione fino al giugno 1944; in effetti prima gli anglo-americani
non sarebbero stati in grado di organizzare l'operazione;

Churchill non era certo che l'Urss fosse in grado di resistere a lungo e quindi si interrogava sull'utilità
di inviare aiuti.
Dal punto di vista statunitense si ebbe un progressivo coinvolgimento nelle vicende belliche, soprattutto
dopo le elezioni del novembre 1940 rispetto alle quali la politica estera di Roosevelt era fortemente
condizionata. Il presidente che definì il suo paese come “arsenale delle democrazie”, doveva trovare le
modalità con cui sostenere la Gran Bretagna senza ricadere nella spirale dei debiti interalleati. Nel marzo
del 1941 entrava in vigore la legge “affitti e prestiti” in base alla quale il presidente poteva vendere,
affittare o prestare materiale bellico e altre forniture ai paesi la cui tutela egli giudicava vitale per gli
interessi americani, si veniva quindi in appoggio alla Gran Bretagna; in settembre il sostegno americano
si era accentuato prevedendo anche il pattugliamento navale dei trasporti, fino poi a prevedere la vera e
propria scorta. Il presidente statunitense non voleva commettere gli stessi errori commessi con la prima
guerra mondiale, per altro aveva abbastanza chiaro che gli Usa erano divenuti una potenza di primo piano
e che c'era la necessità di realizzare un assetto internazionale di stampo liberal-democratico, cioè quello
che sarebbe divenuto noto come il "grand design". Un'esigenza quindi che si staccava sia da quelle
britanniche che da quelle sovietiche. Nell'agosto del 1941 l'incontro tra Roosevelt e Churchill nelle acque
di Terranova portò alla Carta Atlantica in cui si annunciavano alcuni principi fondamentali che Usa e
Gran Bretagna avrebbero perseguito:
 non avrebbero cercato ingrandimenti territoriali, eventuali mutamenti territoriali dovevano rispettare
la volontà delle popolazioni coinvolte;
 dovevano essere riconosciuti i diritti sovrani e i diritti di autogoverno a coloro che ne erano stati
privati con la forza;
 libertà di accesso su basi egualitarie alle materie prime, libertà nel commercio, miglioramento delle
condizioni di lavoro;
 nascita di un mondo libero e pacifico, abbandono della forza come mezzo per risolvere le controversie
internazionali.
La distanza rispetto ai principi guida e alle aspirazioni sovietiche è palese. Alla fine di settembre
Harriman si recò a Mosca al fine di discutere le modalità degli aiuti statunitensi all'Urss. Non si ebbe
un'immediata estensione della legge “affitti e prestiti” ai sovietici ma vi fu comunque un accordo (1
ottobre) che permise l'invio di forniture, un mese dopo la legge venne applicata anche con l'Urss. Fin da
subito i sovietici non persero occasione di recriminare su ritardi e insufficienza delle forniture, mentre gli
Usa spesso si lamentarono per come le autorità sovietiche tenessero la loro stessa popolazione all'oscuro
delle cose e gli Alleati all'oscuro della situazione interna. L'invio di aiuti all'Urss aveva dovuto superare
diversi ostacoli: dal punto di vista interno vi erano considerevoli forze isolazioniste o intensamente antisovietiche mentre dal punto di vista degli sviluppi internazionali sostenere l'Urss significava sostenere
obiettivi in netto contrasto con quelli statunitensi e britannici. Un ultimo problema riguardava le modalità
con cui far pervenire gli aiuti in Urss, data la presenza della marina tedesca due erano le possibilità:
 facendo rotta verso il porto di Arcangelo;
 attraverso il Golfo Persico e l'Iran: il paese mediorientale era infatti stato occupato dalle forze
britanniche e sovietiche nell'agosto del 1941 e nel gennaio del 1942 con la dichiarazione tripartita
queste affermavano che l'occupazione era strumentale allo sforzo bellico e sarebbe finita con la fine
della guerra.
Quando il 15 dicembre del 1941 Eden giunse a Mosca al fine di definire più chiaramente la cooperazione
con i sovietici, Stalin si dimostrò poco propenso ad accettare i contenuti della Carta Atlantica
presentandogli per contro un elenco di precise richieste:
 una Germania sconfitta e in condizione di non nuocere in futuro;
 una Francia che non fosse la potenza dominante sul continente;
 un'Europa divisa in aree d'influenza: l'Urss avrebbe riottenuto i territori che le erano stati concessi dal
Patto Ribbentrop-Molotov, la Gran Bretagna sarebbe stata libera di ottenere basi militari nell'Europa
occidentale.
Richieste a cui Eden non poteva rispondere positivamente. Solo il 26 maggio 1942 si giunse ad
un'alleanza anglo-sovietica (la cui durata prevista era di vent'anni) che impegnava i due paesi a
combattere fino alla sconfitta della Germania e a non cercare una pace separata, a non interferire negli
affari interni di stati terzi e a non prender parte a coalizioni contro l'altra potenza. Un ulteriore elemento
che comportò serie difficoltà fu quello dei rapporti tra l'Urss e il governo polacco in esilio a Londra che
avevano visioni completamente opposte di come dovesse essere lo stato polacco dopo la fine della guerra.
Per il governo polacco la Polonia doveva essere ricostituita tale e quale era nel 1939, i sovietici invece
sostenevano la creazione di una Polonia etnica, espressione con cui si designava non tanto una riduzione
del territorio polacco, quanto un suo spostamento a ovest in modo tale da far si che questa indebolisse la
Germania e rimanesse stabilmente nell'orbita di Mosca. La questione particolarmente complessa venne
inizialmente affrontata con vaghi tentativi britannici che non costituivano certo una soluzione e poi con
dichiarazioni in cui sostanzialmente si sosteneva che la Gran Bretagna avrebbe garantito l'indipendenza
polacca e non le frontiere prebelliche, nel corso del 1942 si ebbe un netto peggioramento dei rapporti tra
governo polacco e sovietici, con questi ultimi che iniziarono ad appoggiare l'unione dei patrioti polacchi
in opposizione al governo in esilio. Nella primavera del 1943 venne alla luce l'eccidio di Katyn ed
emersero le responsabilità sovietiche, si giunse così alla rottura dei rapporti tra il governo in esilio e i
sovietici che da parte loro continuavano a sostenere l'unione dei patrioti polacchi. Infine anche tra gli
anglo-americani si ebbero spesso opinioni e punti di vista differenti sulle modalità con cui condurre la
guerra (vedi più avanti).
L'Evoluzione delle vicende belliche
Il 7 dicembre 1941 le forze giapponesi attaccarono la base statunitense di Pearl Harbor, gli Usa entrarono
quindi in guerra contro Giappone, l'11 dicembre Germania e Italia dichiararono guerra agli Usa. Per i
primi mesi si assiste ad una decisa avanzata giapponese in tutto il sud-est asiatico, tale espansione iniziò a
rallentare nel mese di maggio del 1942 e in autunno iniziava la ripresa statunitense. In Etiopia le truppe
italiane erano state costrette alla resa dai britannici nel maggio del 1941, tuttavia nel continente africano il
teatro più importante rimaneva quello dell'Africa settentrionale ove si ebbero una serie di offensive e
controffensive da entrambe le parti; infine risultò decisiva la vittoria alleata nella battaglia di el-Alamein
(fine ottobre del 1942) che costrinse le truppe dell'Asse a ritirarsi fino in Tunisia, mentre gli Alleati erano
sbarcati anche in Marocco e Algeria. Immediatamente dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor tra il
dicembre 1941 e il gennaio 1942 si ebbe la Conferenza Arcadia a Washington tra Roosevelt e Churchill al
fine di stabilire le priorità da seguire nella guerra: venne deciso di dare priorità alla guerra in Europa. Uno
dei risultati della conferenza fu la dichiarazione delle Nazioni Unite un insieme di principi che ricalcava
quelli della Carta atlantica ma che rimaneva piuttosto vago sui temi cruciali e non scioglieva i nodi delle
relazioni tra gli Alleati tanto che la dichiarazione venne sottoscritta anche dall'Urss (oltre che dalla Cina e
da vari altri stati). Si ebbe poi il confronto tra l'idea britannica di attuare una strategia periferica che
colpisse l'Asse in ogni punto possibile e quella statunitense che prevedeva di colpire subito la Germania.
Inizialmente prese piede l'approccio periferico e solo nel 1944 si avrà l'operazione di intervento diretto
più volte posticipata. Il tema del secondo fronte e le relative richieste sovietiche rimasero un aspetto
cruciale delle trattative nonché il motivo che spinse Molotov a Londra e Washington nel maggio del
1942, occasione in cui venne conclusa l'alleanza anglo-sovietica e Roosevelt accennò all'apertura di un
secondo fronte ma l'iniziativa venne poi rinviata in quanto inattuabile. Tra la fine del 1942 e l'inizio del
1943 si verificarono una serie di eventi che diedero una svolta cruciale al corso della guerra:
 la battaglia di el-Alamein e lo sbarco in Africa permisero di estromettere le forze dell'Asse dalla
regione (nel maggio 1943 italiani e tedeschi si arrendono);
 il 2 febbraio del 1943 le forze tedesche a Stalingrado si arrendono.
Nel gennaio del 1943 a Casablanca Roosevelt e Churchill decisero che l'operazione Overlord avrebbe
dovuto essere posticipata e che l'unica modalità di resa per gli avversari sarebbe stata la resa
incondizionata. Tale posizione venne sostenuta in particolar modo dal presidente americano come modo
per rassicurare i sovietici che nonostante il ritardo nell'apertura del secondo fronte gli anglo-americani
non avrebbero cercato una pace separata. La cosa poi si rivelerà particolarmente complicata al momento
di gestire gli accordi di pace. Nel mese di febbraio Churchill cercò di fare pressioni sulla Turchia affinché
assumesse posizioni più favorevoli agli Alleati, negli intenti del primo ministro britannico è rintracciabile
la preoccupazione per il fatto che tutta l'Europa sud-orientale venisse liberata dalle forze sovietiche. In
maggio Stalin sciolse il Comintern, se da un lato non ne aveva più bisogno, dall'altro questo fu un segnale
di disponibilità a Usa e Gran Bretagna.
La resa dell'Italia
L'Italia che era sempre stata la più debole all'interno dell'Asse e la più esposta dal punto di vista
geografico fu la prima a pagare le conseguenze della guerra. Nel paese si andava sviluppando una
corrente favorevole ad una pace separata che diveniva più consistente con l'emergere dei fallimenti della
politica fascista. In giugno le forze alleate sbarcarono a Pantelleria e Lampedusa e il mese successivo
ebbe inizio lo sbarco in Sicilia. Il 24 luglio 1943 il gran consiglio del fascismo sfiduciava Mussolini che
venne poi arrestato il giorno successivo. Vittorio Emanuele III affidò a Badoglio il compito di un governo
militare che si trovò a gestire una difficile situazione: trattare segretamente con gli Alleati da un lato e
dall'altro rassicurare i tedeschi che già intuivano gli sviluppi della situazione italiana. La questione della
resa dell'Italia si dimostrerà particolarmente complessa anche a causa del principio della resa
incondizionata, inoltre i britannici erano particolarmente interessati alla questione per la posizione
dell'Italia nel Mediterraneo, cosa che invece non aveva ancora una cruciale importanza per gli Usa. Ad
ogni modo l'armistizio e la cobelligeranza con l'Italia saranno trattate senza coinvolgere l'Urss. In realtà
poi ciò avvenne in due momenti distinti: il “breve armistizio” fu firmato il 3 settembre del 1943 (e reso
pubblico l'8 settembre), seguito poi dal “lungo armistizio” del 29 settembre che poneva l'Italia sotto
controllo degli Alleati, nel frattempo le forze tedesche avevano preso il controllo di gran parte della
penisola e Mussolini in Italia settentrionale aveva creato la Repubblica sociale italiana. L'esclusione dei
sovietici dalle trattative con l'Italia divenne poi noto come il “precedente italiano” che consentì ai
sovietici di procedere in modo altrettanto unilaterale con i paesi dell'Europa orientale liberati dall'armata
rossa; per quanto riguarda l'Italia i sovietici riusciranno poi a rientrare nella questione con la svolta di
Salerno. Infine ciò sollevava anche una serie di questioni relative alla resa della Germania.
La fase finale della guerra e la preparazione del dopoguerra
Nell'ottobre del 1943 Stalin, Roosevelt e Churchill si incontrarono a Mosca: il momento non era dei
migliori visto che l'Urss era stata esclusa dalla gestione dell'armistizio con l'Italia mentre incominciavano
a venire al pettine i nodi dei rapporti interalleati. Il "grand design" era in netto contrasto con le aspirazioni
sovietiche e britanniche, più vicine ad una tradizione politica di potenza e a loro volta differenti l'una
dall'altra. D'altra parte non va dimenticato il clima di ottimismo derivato dall'andamento delle operazioni
militari. Il presidente statunitense propose la creazione di una nuova organizzazione che si facesse carico
di mantenere la pace e che funzionasse in virtù della cooperazione tra le quattro potenze (Usa, Gran
Bretagna, Urss e Cina) e sulla base di due principi:
 l'uguaglianza tra tutte le nazioni;
 il ruolo delle quattro potenze come poliziotti in grado di salvaguardare la pace.
Tale idea portò alla Dichiarazione delle quattro potenze e fu poi sviluppata ulteriormente alla successiva
conferenza di Teheran. L’intento del presidente statunitense era tra l’altro anche quello di rassicurare i
sovietici. Gli altri temi trattati riguardarono l'atteggiamento da tenere con gli altri paesi sconfitti e/o
liberati e a tal proposito vennero create delle commissioni alleate di controllo, furono valutati i casi di
Polonia, Jugoslavia e Austria. A Mosca iniziarono a delinearsi le sfere d'influenza che via via diverranno
più concrete (è emblematico il caso dell'Italia). Infine dal punto di vista militare continuavano le pressioni
sovietiche per l'apertura del secondo fronte. Nel mese di novembre Roosevelt promosse un incontro al
Cairo a cui avrebbe dovuto partecipare il leader cinese nazionalista Chang Kai-shek ma a cui non
parteciparono poi i sovietici. In quell'occasione il presidente statunitense cercò di meglio coordinare lo
sforzo bellico del suo paese con quello della Cina e in particolare del Kuomintang che continuava ad
avanzare richieste ma che dirigeva i suoi sforzi non solo verso il Giappone, ma in larga misura contro i
comunisti cinesi. D'altra parte Roosevelt cercò di dare garanzie ai cinesi riguardo alle pressioni sovietiche
sulla Mongolia dovendo quindi mediare al fine di non scontentare nessuno degli alleati, e affermando
infine che tale territorio avrebbe potuto rappresentare il prezzo da pagare a fronte dell'intervento sovietico
contro il Giappone. Negli ultimi giorni di novembre iniziò il vertice di Teheran tra Roosevelt, Churchill e
Stalin, un incontro in cui vennero affrontati problemi cruciali e di vasta portata. Tra i temi politici
affrontati i principali furono:
 l'idea dei quattro poliziotti e di un'organizzazione delle Nazioni Unite di Roosevelt venne
approfondita e definita con maggiore precisione;
 l'indipendenza della Polonia sarebbe stata garantita ma non i suoi confini prebellici: ormai era
accettata l'idea di una Polonia etnica; vennero ripresi i rapporti tra sovietici e governo polacco, ma
solo fino a che i sovietici daranno vita a un organismo polacco sotto il loro controllo;
 Germania: Roosevelt pensava ad uno smembramento in cinque zone indipendenti con alcuni territori
sotto controllo internazionale (secondo quanto definito dal piano Morgenthau);
 per gli stretti turchi Roosevelt propone una piena liberalizzazione;
 per i paesi baltici si prospettava l'annessione da parte dell'Urss, il ritorno ai confini del 1940 per la
Finlandia che avrebbe anche pagato riparazioni ai sovietici, sostegni alla ripresa economica dell'Iran.
Dal punto di vista militare l'apertura del secondo fronte rimaneva la principale rivendicazione sovietica.
L'incontro quindi appare di cruciale importanza in quanto emergono alcune delle linee generali di quello
che sarà l'ordine postbellico. I primi di dicembre Roosevelt e Churchill incontrarono i governanti turchi al
Cairo e tentarono di spingerli ad entrare in guerra senza però ottenere tale risultato.
Nei primi mesi del 1944 lo sviluppo della situazione italiana rappresentava ancora uno dei temi principali
soprattutto con la dichiarazione sovietica del mese di marzo in cui si annunciava la ripresa dei rapporti
con l'Italia, con il ritorno di Togliatti in Italia e con la svolta di Salerno. In altre parole i sovietici esclusi
dall'Italia da parte degli anglo-americani, ora aggiravano questi ultimi avviando un'azione politica
autonoma: la cosa lasciò il segno nelle relazioni tra gli Alleati. Il “precedente italiano” poi permise ai
sovietici di fare altrettanto in Europa orientale: nel dicembre 1943 i sovietici avevano stipulato un patto di
amicizia e mutua assistenza postbellica con il governo cecoslovacco in esilio e poi nel maggio del 1944 a
ciò venne aggiunto un accordo militare relativo alla liberazione del territorio cecoslovacco da parte delle
truppe sovietiche. Poi in concomitanza con lo sbarco in Normandia i sovietici avevano scatenato una
poderosa offensiva entrando in territorio polacco, tuttavia quando il 1 agosto Varsavia insorse contro
l'occupazione nazista i sovietici, nonostante i tentativi anglo-americani in tal senso, non fornirono
supporto agli insorti attendendo la fine della rivolta a poche decine di chilometri dalla città. Ovviamente
Stalin non voleva appoggiare quella che era un'azione legata al governo in esilio e rafforzare elementi che
avrebbero potuto essere ostili alla stessa Urss. Un altro solco si apriva tra gli Alleati, Churchill cercò di
organizzare un altro vertice ma Roosevelt non fu d'accordo. In Romania nell'agosto del 1944 Antonescu
fu deposto e arrestato, si procedette poi a trattare e a firmare un armistizio con Mosca (settembre 1944)
che permise ai sovietici di occupare tutto il territorio rumeno stabilendovi un forte controllo. Fu poi la
volta della Bulgaria, invasa dai sovietici nel settembre del 1944 mentre in ottobre i britannici sbarcarono
in Grecia. Sempre nel mese di ottobre Churchill fu a Mosca ove ebbe luogo il noto accordo delle
percentuali: a Londra si era ormai consapevoli di come i Balcani sarebbero stati liberati dalle forze
sovietiche e si riteneva necessario un accordo con Stalin che permettesse un chiarimento dei rispettivi
interessi, delle diverse posizioni e del ruolo che ciascuna delle due potenze avrebbe avuto, e non tanto una
rigida divisione in sfere d'influenza. In particolare i britannici erano interessati soprattutto alla Grecia ma
anche alla Jugoslavia e all'Ungheria. Tuttavia questo metodo non ebbe successo.
Di fronte agli sviluppi degli eventi bellici che comportavano la sempre maggiore sicurezza della vittoria
sul nazismo e considerando le divergenze tra le potenze alleate si rese necessario un ulteriore incontro tra
i tre leaders: nel febbraio del 1945 Roosevelt, Churchill e Stalin si incontrarono a Yalta in Crimea. Al di
là di ciò che si ritiene tradizionalmente, quest'occasione non rappresentò uno spartiacque cruciale ne il
momento della divisione del mondo in sfere d'influenza: molto infatti era già stato deciso a Teheran. La
questione principale fu quella relativa al futuro della Germania: si abbandonò l'idea di smembramento a
favore di quella di zone di occupazione con la Gran Bretagna che insisteva al fine di garantire anche alla
Francia una tale zona, per Londra una Francia forte era ovviamente un importante fattore di
bilanciamento alla potenza sovietica che rappresentava una minaccia agli equilibri europei tanto cruciali
per i britannici. Si sarebbero quindi create tre zone di occupazione, con una eventuale quarta ricavata da
quella britannica e da quella statunitense qualora la Francia avesse accettato di prendere parte
all'occupazione. Il futuro delle zone, così come la questione della sopravvivenza della Germania come
stato venivano lasciate in gran parte irrisolte. Un ulteriore tema relativo al futuro della Germania fu poi
quello delle riparazioni: Roosevelt affermò di non pretenderne, Churchill dichiarò che la Germania non
sarebbe stata in grado di pagare: era chiara l'attenzione a non commettere errori già fatti; diversa era
invece la posizione sovietica che contava sul contributo tedesco per risollevare la propria economia. Si
decise quindi che la Germania avrebbe pagato ma senza definirne le modalità. Il destino della Polonia, già
deciso a Teheran, venne ribadito. Stalin sapeva che l'Urss sarebbe uscita indebolita dalla guerra e avrebbe
avuto bisogno di garantirsi una certa sicurezza: la Polonia rappresentava uno stato cuscinetto perfetto per
tale scopo, gli alleati non poterono che accettare ma ormai erano evidenti la diffidenza e i segnali che
annunciavano lo sfaldarsi dell'alleanza. La questione del governo polacco, ovvero il tentativo di conciliare
le esigenze di sicurezza sovietiche con la democrazia, venne risolta con un accordo che prevedeva la
formazione di un governo provvisorio di unità nazionale, composto da elementi del cosiddetto “governo
di Lublino” e allargato a elementi in esilio in Gran Bretagna, che avrebbe dovuto organizzare libere
elezioni. Con la dichiarazione sull'Europa liberata le tre potenze si impegnavano poi ad assistere, secondo
i principi della Carta atlantica, la rinascita dei paesi europei alleati dell'Asse o che erano stati occupati
dalle forze nazifasciste. Vennero poi affrontate alcune questioni relative all'appartenenza e ai metodi
decisionali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e si definì, con un accordo a parte, l'entrata in guerra
dell'Urss contro il Giappone e quello che i sovietici avrebbero ottenuto. Il 12 aprile morì Roosevelt, gli
successe il vice-presidente Truman, meno esperto di politica internazionale e probabilmente più deciso
nei confronti dei sovietici sebbene determinato a continuare sulla linea del predecessore. Il 8 maggio 1945
la Germania firmava la resa con gli alleati occidentali, il giorno successivo con l'Urss. Alla conferenza di
Potsdam (luglio-agosto 1945) si incontrarono Stalin, Truman e Churchill, poi sostituito da Atlee: il fatto
che la guerra in Europa fosse finita rendeva più deboli i tentativi di compromesso e più evidenti le
divergenze. Venne affrontato il problema della Germania riconfermando la divisione in quattro zone
d'occupazione: formalmente tali zone avrebbero dovuto essere costituite in funzione di motivi militari e
strategici, mentre dal punto di vista amministrativo ed economico il paese avrebbe dovuto essere
considerato un tutt'uno sotto il controllo interalleato. Ciò in realtà porterà ad un risultato ben diverso con
ciascuna zona amministrata secondo le priorità della potenza di riferimento. Il dibattito toccò poi il tema
delle riparazioni con un nuovo approccio da parte anglo-americana mirante soprattutto a tenere in
considerazione le capacità della Germania di pagare e quindi la necessità di non prostrare completamente
il paese sconfitto, l'Urss invece era decisa ad ottenere riparazioni dalla Germania sconfitta (fondamentali
al fine di risollevare l'economia sovietica). Non si decise quindi alcuna cifra totale ma si affidò tale
compito ad un'apposita commissione, nel frattempo ogni potenza avrebbe potuto iniziare a riscuotere le
riparazioni prelevando beni o prendendo possesso di impianti industriali, all'Urss venne riconosciuto il
diritto di appropriarsi del 15% (e un eventuale ulteriore 10% a determinate condizioni) degli impianti in
eccesso nelle zone d'occupazione occidentali (essendo queste più industrializzate rispetto a quella
sovietica). Altro tema fu quello dell'arma atomica di cui Truman comunicò il possesso a Stalin e
Churchill. Venne infine inviato un ultimatum al Giappone (da Usa, Gran Bretagna e Cina, dato che l'Urss
non era in guerra nel Pacifico) che ebbe come risposta il silenzio del governo di Tokyo. Il 6 agosto la
prima bomba atomica venne sganciata su Hiroshima, il 9 la seconda bomba veniva sganciata su Nagasaki.
L'8 agosto l'ambasciatore russo aveva informato i giapponesi che dal giorno successivo l'Urss sarebbe
entrata in guerra. Il 10 agosto venne resa nota la decisione giapponese di arrendersi, il 2 settembre venne
firmato l'armistizio. La guerra era finita.
I rapporti tra i vincitori e le prime crisi: verso la guerra fredda
Nell'ultima fase della guerra erano andate via via emergendo le divergenze tra le grandi potenze, tanto più
evidenti quanto più si avvicinava la sconfitta della minaccia nazista. All'obiettivo sovietico di riottenere il
controllo di ciò che era stato acquisito con il Patto Ribbentrop-Molotov e di garantirsi condizioni di
sicurezza si aggiungeva anche il tentativo di superare questioni russe secolari e già tipiche della politica
estera zarista (ad es. gli stretti e l'accesso al Mediterraneo, l'Asia centrale...). In altre parole Stalin era
consapevole della debolezza sovietica e riteneva quindi necessario garantire una sufficiente sicurezza al
paese, d'altra parte era certo che le caratteristiche stesse del capitalismo avrebbero comportato una
conflittualità interna all'occidente e contro l'Urss. Ciò contrastava nettamente con gli equilibri europei (e
Mediterranei) funzionali agli interessi dell'impero britannico e con le idee di un nuovo ordine
internazionale ispirato a principi liberal-democratici portate avanti dagli Usa. Emersero così una serie di
questioni particolarmente problematiche. Tra Usa e Gran Bretagna si andava poi sviluppando quella
special relationship che avrebbe caratterizzato i decenni successivi, ma va anche tenuto presente che la
seconda iniziava a dare segni di cedimento.
Turchia, Iran e Grecia
Turchia, Iran e Grecia furono teatro dei primi episodi di tensione tra le potenze vincitrici. La Turchia
aveva aperto gli stretti alle navi alleate solo nel gennaio 1945, dichiarando guerra alla Germania solo il 23
febbraio, da parte sovietica era iniziata una decisa offensiva diplomatica verso il governo di Ankara. In
primo luogo venne denunciato il trattato di amicizia e non aggressione (21 marzo 1945), vennero poi
avanzate diverse richieste: rettifiche territoriali a favore di Urss e Bulgaria, la modifica della convenzione
di Montreaux e la concessioni di basi militari in prossimità degli stretti e infine vennero lanciati alcuni
segnali particolarmente preoccupanti per il governo turco. Oltre a cercare di garantirsi dei vantaggi per
quanto concerne gli stretti, l'Urss aveva poi richiesto l'amministrazione fiduciaria della Libia o per lo
meno della Tripolitania. Si poneva quindi di nuovo un problema già visto: le esigenze di sicurezza e gli
interessi russi entravano in conflitto con le esigenze di sicurezza e gli interessi dell'impero britannico. Con
ciò si preannunciava la necessità per gli Usa di rimanere militarmente presenti in Europa ben più a lungo
del previsto, e in particolare nel caso in esame di schierare le proprie forze navali nel Mediterraneo. Un
ulteriore zona di crisi fu quella iraniana. L'Iran era stato occupato da forze anglo-sovietiche nel 1941 e la
dichiarazione tripartita del gennaio 1942 aveva visto le forze occupanti garantire il ritiro entro sei mesi
dalla fine della guerra. Nel corso del 1945 nella zona di occupazione sovietica si erano avute una serie di
manifestazioni anti-governative guidate dal partito comunista azero (Tudeh) che nel mese di dicembre
aveva proclamato una repubblica autonoma fortemente caratterizzata da un'impronta rivoluzionaria, il
movimento si estese poi alle province curde dell'Iran. Le forze sovietiche non si ritirarono dal paese come
previsto fornendo un certo sostegno alla rivolta azera. Il ricorso all'Onu del governo di Teheran non ebbe
risultati positivi, ma aumentavano le pressioni anglo-americane su Mosca e in particolare l'azione
alimentata dai britannici (scioperi, incidenti, proteste) contro il partito comunista azero. Infine il 9 maggio
le forze sovietiche si ritirarono ottenendo in cambio la creazione di una compagnia petrolifera iranosovietica, tale accordo non venne però ratificato dal governo iraniano che invece intervenne militarmente
contro le forze azere nel nord del paese. La special relationship anglo-americana ne usciva rafforzata: era
evidente l'importanza delle competenze britanniche nel gestire determinate questioni. D'altra parte le
difficoltà britanniche dopo lo sforzo bellico iniziavano ad essere evidenti soprattutto per quanto
concerneva l'occupazione della Germania. Un ulteriore fattore di crisi era rappresentato dalla situazione
interna della Grecia: dopo che il paese era stato liberato dai britannici si era sviluppata un'accesa guerra
civile che contrapponeva le forze comuniste al governo di Atene e i britannici non erano in grado di
mantenere stabile la situazione.
Il futuro della Germania
Le modalità con cui le quattro potenze occupanti avrebbero dovuto governare insieme la Germania furono
uno degli elementi che pesarono sui loro rapporti. L'idea di amministrare il paese sconfitto come un
tutt'uno si scontrò presto con i diversi approcci delle potenze occupanti, ciascuna impegnata soprattutto a
perseguire i propri interessi. Il fatto che anche la Francia partecipasse all'occupazione comportò alcune
divergenze anche nel campo occidentale soprattutto in merito alle preoccupazioni francesi su un'eventuale
ritorno della Germania come potenza europea. D'altra parte i sovietici in linea con i loro obiettivi di
sicurezza e con la necessità di riavviare la propria economia avevano avviato una politica piuttosto decisa
che oltre a prelevare apparati industriali (anche dalle zone di occupazione occidentali) depredava parte
delle risorse della produzione corrente tedesca. Le zone d'occupazione americana e britannica erano
invece quelle che presentavano maggiori analogie. Dal punto di vista di Washington infatti una ripresa
per lo meno parziale della Germania aveva un'importanza cruciale in quanto:
 l'occupazione, se non accompagnata da un atteggiamento predatorio, comportava elevati costi
economici e politici (per altro la stessa Gran Bretagna ne risente gravemente dal punto di vista
economico);
 secondo l'analisi di Kennan il comunismo sovietico si sarebbe insinuato laddove si presentavano
situazioni di forte instabilità sociale e quindi una Germania economicamente prostrata, ma non solo la
Germania, rappresentava un pericolo in tal senso;
 una ripresa tedesca averebbe contribuito ad una ripresa europea in linea con quelle che erano le
esigenze e gli interessi statunitensi.
Per questo tra la fine del 1946 e l'inizio del 1947 si procedette all'unificazione delle zone d'occupazione
americana e britannica in una bizona con l'intento di permettere una ripresa economica e una migliore
amministrazione: in altre parole un vero e proprio ribaltamento del piano Morgenthau che invece ne
prevedeva lo smembramento. Il nodo tedesco rimaneva quindi al centro delle diffidenze e delle
incomprensioni dei rapporti tra i vincitori della guerra, consapevoli che tale aspetto sarebbe stato
determinante nella definizione dell'assetto europeo del secondo dopoguerra.
L'Europa orientale
Era principalmente in Europa orientale che Stalin cercava garanzie sulla sicurezza sovietica: in questa
regione, liberata interamente dall'armata rossa, le pressioni sovietiche fecero si che si affermassero regimi
comunisti. Il destino della Polonia era già segnato dalla metà del 1943 e fu chiaramente sancito dalle
elezioni del gennaio 1947 in cui i comunisti ottennero il 90% dei seggi; se in questo caso le tensioni tra
anglo-americani e sovietici furono limitate, diverso fu il caso di Romania e Bulgaria. In particolare furono
forti le richieste statunitensi per una maggiore partecipazione nella riorganizzazione di tali paesi ma su di
esse gravava il precedente italiano. In entrambi i paesi i comunisti assunsero un ruolo via via più
importante fino ad ottenere il controllo dei rispettivi governi. In Albania e in Jugoslavia le forze
comuniste che si erano affermate nella resistenza non ebbero difficoltà a confermarsi alla guida del paese
e a estromettere eventuali avversari politici. Infine in Ungheria e Cecoslovacchia la situazione sembrava
essere più equilibrata e solo più tardi le forze filo-sovietiche prenderanno il sopravvento.
Altri motivi di tensione
La durevole collaborazione tra le potenze vincitrici che nei piani iniziali avrebbe dovuto permettere la
gestione del dopoguerra incontrò una serie di difficoltà non indifferenti. L'Onu appena entrato in azione si
trovò immediatamente a dover gestire una situazione particolarmente complessa in seguito al ricorso
iraniano per la presenza di truppe sovietiche nel paese e al ricorso sovietico in merito al permanere di
truppe britanniche in Grecia. Sebbene ciò non significasse la paralisi completa dell'organizzazione, in
essa emergevano chiaramente le crescenti tensioni tra anglo-americani e sovietici. Sul piano economico il
tema di un prestito statunitense all'Urss era stato più volte discusso durante la guerra, tuttavia con
l'emergere di diffidenze e contrasti quest'ipotesi andava sfumando, fino a venire poi esclusa in quanto
sarebbe risultata contraddittoria. Ulteriore elemento di tensione fu poi il tema della gestione delle armi
atomiche, che vide naufragare il tentativo di creare un'autorità che garantisse uno uso esclusivamente
pacifico di tale energia.
I Trattati di pace con le potenze dell'Asse
Il problema dei trattati di pace con Italia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Finlandia venne affrontato in
una serie di conferenze del consiglio dei ministri degli esteri. La prima si tenne a Londra nel settembre
del 1945. Le difficoltà erano evidenti: l'Italia era un paese di media grandezza che nell'ultima fase della
guerra si era schierato con gli Alleati, gli altri erano paesi liberati dall'armata rossa. Fin da subito angloamericani e sovietici si scontrarono sulla questione della situazione interna della Romania, che i secondi
si rifiutarono di considerare. Emergevano quindi fin dall'inizio serie difficoltà nella cooperazione tra i
vincitori. La seconda conferenza si tenne a Mosca nel dicembre del 1945: Byrnes era convinto di poter
ristabilire una linea di intesa con i sovietici e in effetti venne raggiunto un compromesso, tuttavia quando
stava avvenendo in Europa orientale contribuì notevolmente a spingere l'opinione pubblica statunitense su
posizioni più rigide. Infine i lavori proseguirono a Parigi nell'aprile del 1946 e a New York tra il
novembre e il dicembre dello stesso anno. I trattati vennero firmati a Parigi il 10 febbraio 1947 in una
situazione in cui ormai appariva chiaro il contrasto tra anglo-americani e sovietici.
La situazione britannica
All'indomani della seconda guerra mondiale la Gran Bretagna appariva come un paese economicamente
prostrato dagli eventi bellici. La situazione spinse a negoziare un prestito statunitense che venne poi
concesso nel maggio del 1946 ma che non si dimostrò sufficiente a risollevare il paese. Già nel corso
della guerra poi gli accordi di Bretton Woods erano stati un momento cruciale nel mutamento dei rapporti
e dei ruoli tra Usa e Gran Bretagna, dopo la fine delle ostilità il ruolo della sterlina cominciava
palesemente a venire meno e manifestava segni di debolezza anche il sistema delle preferenze imperiali.
L'occupazione della Germania poi comportava alti costi economici e la situazione della Grecia si rivelava
particolarmente complessa. Il 21 febbraio 1947 la Gran Bretagna annunciava la sospensione della
convertibilità della sterlina e comunicava agli Usa l'impossibilità di continuare a sostenere le forze anticomuniste in Grecia. Di fronte a quello che si andava configurando, in più parti del mondo come un
confronto tra l'occidente e l'Urss diveniva evidente che la Gran Bretagna iniziava a dare segni di
cedimento economico, rendendo necessario un più incisivo impegno statunitense.
La svolta della politica estera statunitense
Il pragmatismo che aveva condotto durante la guerra a sorvolare sui nodi dei rapporti tra anglo-americani
e sovietici in funzione della vittoria sulle forze dell'asse veniva meno con il raggiungimento di tali
obiettivi e si palesavano tutti i motivi di contrasto tra le grandi potenze: in Europa rimaneva irrisolto il
nodo della Germania, e nei territori liberati dall'armata rossa si andava stringendo il controllo sovietico
(nel marzo del 1946 Churchill parlava di una “cortina di ferro” calata a dividere il continente), vi erano
state inoltre la crisi in Iran, l'instabilità in Grecia, le pressioni sovietiche sulla Turchia, la questione
dell'arma atomica, e la neonata organizzazione delle Nazioni Unite più che risolvere tali controversie
aveva avuto il ruolo di cassa di risonanza. Infine l'impero britannico si dimostrava chiaramente in crisi. È
in questo contesto, rispetto al quale gli Usa sono particolarmente delusi e preoccupati che si assiste alla
svolta della loro politica estera. Il 22 febbraio 1946 giunse a Washington il cosiddetto “long telegram”
con cui George Kennan, ambasciatore statunitense a Mosca forniva la sua visione della politica sovietica
e dell'atteggiamento che gli Usa avrebbero dovuto seguire nei confronti dell'ex alleato. Tra le
considerazioni esposte nel documento, le principali riguardano:
 la convinzione dei leaders sovietici che le caratteristiche stesse del capitalismo avrebbero portato ad
una forte conflittualità;
 il fatto che la politica estera sovietica non fosse condotta con un approccio realista verso la realtà
esterna ma in funzione delle necessità interne, dal tradizionale senso di insicurezza russo e di
presupposti ideologici;
 l'impossibilità di avviare delle politiche negoziali dato che l'Urss guardava all'occidente come a un
nemico da sconfiggere;
 la partecipazione dell'Urss alle organizzazioni internazionali sarebbe stata tesa a raggiungere il
massimo vantaggio per i sovietici;
 i sovietici avrebbero cercato di infiltrarsi in tutti quei contesti nei quali ciò era reso possibile
dall'instabilità sociale (e quindi anche in un'Europa che stentava a risollevarsi);
Ne conseguiva per gli Usa la necessità di contrapporsi all'Urss, promuovere la formazione di un blocco
occidentale in grado di contrapporsi ai sovietici ma senza cercare lo scontro. Anzi era necessaria una
politica di paziente attesa e di deciso contenimento (containment) dato che secondo Kennan il sistema
sovietico era destinato a crollare nel giro di una decina d'anni. Tale dettagliata analisi divenne la base
(ovviamente non la sola) della rielaborazione della politica estera statunitense. Tale rielaborazione prese
nei primi mesi del 1947 le forme della dottrina Truman: annunciata il 12 marzo del 1947 dal presidente
degli Usa davanti al congresso, questa dottrina nasceva dalle preoccupante situazione in Grecia, dalla crisi
britannica e dalle pressioni dell'Urss sulla Turchia ma è chiara la sua portata globale nel tentativo di
contenere il comunismo sovietico. In tale occasione Truman chiedeva l'autorizzazione ad una spesa di
400 milioni di dollari per fornire aiuto alla Turchia e alla Grecia, in quanto la politica degli Usa doveva
essere quella di difendere gli stati democratici e i popoli liberi dalle minacce autoritarie. Ciò significava
l'assunzione di impegni a livello globale al fine di tutelare interessi ritenuti di vitale importanza per gli
Usa: il concetto di sicurezza che con la dottrina Monroe (1823) riguardava essenzialmente l'emisfero
occidentale veniva esteso all'Europa e al Mediterraneo. Il 22 maggio il congresso approvò la legge che
dava a Truman tali prerogative. La situazione europea nei primi mesi del 1947 destava forti timori negli
Usa: il fatto che l'Europa (e in modo particolare la Germania) non riuscisse a riprendersi e a risollevare la
propria economia rappresentava una minaccia preoccupante, in quanto proprio come delineato da Kennan
il comunismo si sarebbe più facilmente affermato laddove veniva meno la stabilità sociale. In un contesto
in cui la cooperazione con i sovietici si era esaurita lasciando posto ad una crescente conflittualità,
risollevare l'economia europea e inserirla in un contesto internazionale basato sui valori e sugli obiettivi
statunitensi (economia di mercato, libertà dei commerci, liberal-democrazia...) significava contenere
l'espansione del comunismo e rispondere ai bisogni e alle priorità statunitensi. Da questa necessità si
sviluppò il piano Marshall. Il 5 giugno 1947 Marshall, segretario di stato dal mese di gennaio, pronunciò
un discorso all'università di Harvard contenente le linee generali dell'azione statunitense al fine di
risollevare l'economia europea. Fin dalla fine della guerra erano iniziati gli aiuti americani, ma ora si
poneva la necessità di un'azione più organica e coerente che avrebbe impegnato più a lungo e più
incisivamente gli Usa sul continente europeo. Tale impegno non significava solamente addossarsi i costi
della ricostruzione, ma fungere da volano che rimettesse in moto il sistema economico. Due aspetti
apparvero evidenti:
 la sua genericità;
 l'appello a un'azione comune europea;
Ciò era il risultato della scelta di avviare il piano di aiuti non come un'azione unilaterale statunitense ma
come risultato di una cooperazione con gli europei, del tentativo di dare una spinta verso un'Europa che si
muovesse nel senso dell'integrazione. Sebbene aperta a tutti i paesi europei, la proposta statunitense
poneva delle condizioni e proprio in merito ad essa si avrà una spaccatura tra i paesi dell'Europa
occidentale e i paesi sempre più sottoposti all'influenza sovietica. La proposta statunitense fu
immediatamente accolta da Gran Bretagna e Francia e tra la fine di giugno e i primi di luglio i due
ministri degli esteri incontrarono il collega russo a Parigi, che aveva acconsentito a discutere sul tema. I
sovietici però si dimostrarono fin dall'inizio favorevoli ad un sistema di aiuti distinto per ogni paese
piuttosto che a un progetto comune europeo, accusando i promotori del piano di voler portare sotto il loro
controllo una serie di paesi europei e isolare l'Urss. Molotov quindi lasciò Parigi e lo stesso fecero molti
altri delegati dell'Europa orientale, l'ultimo di questi ad abbandonare l'idea di beneficiare degli aiuti
americani fu quello cecoslovacco. A partire dal 12 luglio a Parigi vennero discussi principi, metodi e
richieste in una serie di conferenze che durarono fino al mese di settembre. La somma globale stimata per
raggiungere gli obiettivi prefissati era di 19,3 miliardi di dollari, più di quanto gli Usa si aspettassero ma
anche meno di quanto avevano chiesto gli europei. Tra il febbraio e l'aprile 1948 vennero creati
l'Economic Cooperation Administration e l'European Recovery Program: il primo avrebbe amministrato
negli Usa il programma di aiuti, il secondo avrebbe coordinato in Europa gli stanziamenti annuali.
Nell'aprile del 1948 venne fondata l'Organizzazione europea per la cooperazione economica (Oece). In
generale il piano Marshall raggiunse i suoi obiettivi, dato che già nel corso del 1948 la ripresa economica
era ben avviata in molti paesi dell'Europa occidentale, e gli Usa erano riusciti a raggiungere il loro scopo.
Il colpo di stato in Cecoslovacchia.
Nel corso del 1948 emersero molti dei nodi che si erano andati creando nel periodo precedente. In Europa
orientale si andava stringendo la morsa sovietica, in modo particolare sulla Cecoslovacchia che ancora
manteneva un certo pluralismo: nel mese di febbraio una serie di agitazioni permise alle forze comuniste
di imporsi alla guida del paese. Il colpo di stato a Praga lanciò un messaggio forte all'occidente: appariva
infatti chiaramente quanto stava avvenendo in Europa orientale. Ciò forniva ottime motivazioni a favore
della dottrina Truman, della necessità di contenere l'Urss con cui non si poteva negoziare. In secondo
luogo si velocizzavano i processi già iniziati nel 1947 (ad es. il piano Marshall e la ricostruzione della
Germania). Infine crebbe decisamente il numero di coloro i quali percepivano una minaccia sovietica in
Europa ed erano disposti ad accettare la ricostruzione della Germania (una Germania debole avrebbe
favorito l'Urss, una Germania ristrutturata avrebbe comportato vantaggi economici, politici e militari per
l'occidente). Questi sviluppi ebbero quindi ripercussioni anche nei rapporti tra i paesi dell'Europa
occidentale e tra questi e gli Usa: rappresentarono un'ulteriore spinta a processi già in atto (come la
creazione del Patto di Bruxelles) e soprattutto ebbero un forte impatto sull'opinione pubblica occidentale.
Il Patto di Bruxelles e il Trattato del nord Atlantico
Di fronte alla necessità di affrontare le problematiche del dopoguerra, Francia e Gran Bretagna cercarono
con il Trattato di Dunkerque (marzo 1947) di ottenere ciascuna le garanzie che riteneva indispensabili, ma
fin dal gennaio del 1948 si iniziò a parlare di un'iniziativa di più vasta portata a cui potesse seguire poi la
risposta statunitense. Il 17 marzo 1948 venne firmata a Bruxelles un'alleanza tra Gran Bretagna, Francia,
Belgio, Olanda e Lussemburgo. Si trattava di un'alleanza cinquantennale con cui i cinque paesi si
impegnavano a sostenersi nel caso di una ripresa aggressiva da parte della Germania, ma era chiaro il
riferimento alla minaccia sovietica. Il Patto di Bruxelles rappresentava chiaramente un'iniziativa europea
in attesa di un più incisivo impegno da parte degli Usa, nonché il primo passo verso la Nato; ma era anche
un implicito riconoscimento del fatto che l'Onu non poteva garantire la pace e la sicurezza, pur basandosi
sulla carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (l'art. 4 del patto prevede il caso dell'aggressione ad
un membro dell'alleanza rifacendosi all'art. 51 della carta Onu). Il presidente Truman manifestò la
disponibilità ad appoggiare il Patto di Bruxelles, ma non ancora ad impegnarsi direttamente in ambito
militare: ovviamente ciò rappresentava una svolta enorme per gli Usa, sia per la loro tradizionale politica
estera che per le intenzioni con cui Roosevelt era entrato in guerra. D'altra parte ormai era maturata l'idea
che la sicurezza europea fosse necessaria per la sicurezza statunitense e il comunismo era ormai percepito
come la principale minaccia. A tal proposito nel giugno del 1948 la cosiddetta risoluzione Vandenberg
rappresentava una svolta cruciale della politica estera statunitense: con essa infatti si annunciava
l'intenzione degli Usa ad associarsi a patti od organizzazioni regionali fondamentali per la difesa e la
sicurezza del paese. Una risoluzione bipartisan con cui si estendeva il concetto di sicurezza statunitense
all'Europa, permettendo così a Truman di impegnarsi al fianco dei paesi europei. Tra gli oppositori a
questa linea vi fu Kennan, convinto che fosse preferibile concentrarsi maggiormente sul piano Marshall e
sul sostegno economico alla ripresa dell'Europa in quanto ciò sarebbe stato sufficiente a contenere il
comunismo e l'Urss sarebbe poi crollata nel giro di qualche anno. La risoluzione Vandenberg permise al
presidente di avviare una serie di colloqui esplorativi con gli europei a partire dal mese di luglio fino al
marzo del 1949, nel mese di novembre poi Truman vinse le elezioni e con la maggioranza democratica al
congresso la sua politica estera ne usciva significativamente rafforzata. I negoziati relativi ad un'alleanza
del nord Atlantico tra Usa e paesi dell'Europa occidentale incontrarono diversi nodi:
 il futuro della Germania;
 il casus foederis;
 l'estensione geografica dell'alleanza: l'accettazione della Spagna era impedita dai governi laburisti e
socialdemocratici, Grecia e Turchia erano troppo al di fuori dell'area atlantica, Svezia e Svizzera
rimanevano fedeli alla loro tradizione di neutralità, l'Italia presentava vantaggi e svantaggi...
Ad ogni modo superate le varie difficoltà il 4 aprile 1949 venne firmato il Trattato dell'Atlantico del nord
da: Usa, Gran Bretagna, Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Portogallo, Italia, Norvegia, Islanda e
Danimarca. Si trattava di un'alleanza ventennale in cui il casus foederis era enunciato dall'art. 5 e
prevedeva che un attacco ad uno dei contraenti sarebbe stato considerato un attacco a tutta l'alleanza e
quindi ciascun membro avrebbe potuto esercitare il diritto di legittima difesa individuale e collettiva come
previsto dall'art. 51 della carta dell'Onu. Si trattava poi di dare all'alleanza un organizzazione e una
struttura adeguata: tale processo porterà alla creazione dell'Organizzazione del Trattato del nord atlantico
(Nato). Alla conferenza di Ottawa nel settembre del 1951 la Nato aveva ormai assunto i suoi caratteri
fondamentali. Vi entrarono poi a far parte anche Turchia e Grecia nel febbraio del 1952 e la Germania
federale nel maggio del 1955.
Il blocco di Berlino e la nascita della Repubblica federale tedesca
La Germania continuava ad essere al centro delle difficili relazioni tra Usa e Urss: anche se le quattro
potenze occupanti continuavano a parlare della ricostruzione di una Germania unita era ormai chiaro che
gli eventi stavano procedendo in tutt'altra direzione. Nel giugno del 1947 si giunse alla completa ed
effettiva unificazione delle zone d'occupazione britannica e statunitense e vennero creati organi dotati di
una certa autonomia che presero parte alla conferenza di Parigi sul piano Marshall. I tentativi di
cooperazione tra le quattro potenze, dopo la conferenza di Mosca (primavera del 1947), erano ripresi con
la conferenza di Londra (novembre-dicembre 1947) in cui però emersero le forti contrapposizioni
esistenti. Gli occidentali, superate le diffidenze francesi, erano ormai decisi a creare una trizona anglofranco-americana: nei primi mesi del 1948 vennero compiuti i primi passi in tal senso con la creazione di
un governo provvisorio nella bizona e con la definizione delle modalità di partecipazione al piano
Marshall. Nel mese di giugno si concluse la conferenza a cui avevano partecipato Usa, Gran Bretagna,
Francia e i paesi del Benelux con la dichiarazione che:

era necessario che le zone occidentali della Germania partecipassero al piano Marshall in
considerazione del fatto che la ripresa tedesca avrebbe favorito la ripresa di tutta l'Europa;
 era auspicabile che il popolo tedesco giungesse presto all'autogoverno;
 sarebbe stata istituita un'autorità internazionale per la gestione della Rhur.
A ciò si aggiunse la decisione degli occidentali di attuare una riforma monetaria, ritenuta indispensabile
alla ripresa economica della Germania, che prevedeva l'introduzione di una nuova moneta: agli occhi dei
sovietici era chiaramente il tentativo di ricostituire uno stato tedesco nelle zone d'occupazione occidentali
e si poneva quindi la necessità di una reazione decisa. L'occasione fu rappresentata dalla particolare
condizione della città di Berlino, anch'essa divisa in quattro zone e di difficile gestione. Negli ultimi
giorni di giugno del 1948 i sovietici chiusero i collegamenti tra Berlino e le zone occidentali della
Germania chiedendo alla controparte di bloccare l'iniziativa volta a costituire uno stato tedesco nelle loro
zone d'occupazione. Il blocco di Berlino fu un momento di forte tensione e un banco di prova della
presenza statunitense in Europa: abbandonare Berlino ovest alla sua sorte sarebbe stata una dura sconfitta
politica per gli Usa e quini si avviò un imponente ponte aereo in grado di rifornire la città delle risorse
necessarie. Nei primi mesi del 1949 la situazione si sbloccò quando Stalin propose che la creazione di una
Germania federale fosse trattata ad una riunione del consiglio dei ministri degli esteri: il 12 maggio il
blocco di Berlino terminò. Gli Usa avevano erano usciti vincitori dal confronto grazie alla loro superiorità
tecnica e di risorse, i sovietici non erano riusciti ad ostacolare la politica occidentale e infine avevano
dovuto cedere. Subito dopo la fine del blocco gli alleati occidentali accettavano la legge costituzionale
della Germania federale, il consiglio dei ministri degli esteri tenutosi tra maggio e giugno non portò ad
alcun risultato e nel mese di settembre si riuniva il parlamento federale tedesco, nominava Adenauer
primo ministro e il nuovo governo otteneva il riconoscimento di Usa, Gran Bretagna e Francia: nasceva
così la Repubblica federale tedesca e scompariva quasi completamente l'illusione di una Germania unita e
di una cooperazione in tal senso tra Usa e Urss.
L'espulsione della Jugoslavia dal Cominform
Nel settembre del 1947 l'Urss aveva creato il Cominform, un'organizzazione che per molti versi si
configurava come uno strumento di controllo dell'ortodossia dei partiti comunisti europei. Con il 1948 si
giunse poi ad un controllo quasi completo del controllo sui basi dell'Europa orientale, anche se la
Jugoslavia costituiva un caso a parte: le forze partigiane si erano infatti liberate dall'occupazione
nazifascista in modo sostanzialmente autonomo e ciò conferiva a Tito una certa libertà di manovra
rispetto a Mosca e una solida leadership. Inizialmente la Jugoslavia si pose sotto la protezione sovietica,
accettando le indicazioni di Stalin relative alla questione di Trieste, tuttavia fin da subito emergevano
alcuni elementi di divergenza e di sospetto data l'intraprendenza del leader jugoslavo nell'area balcanica
(patto con l'Albania, intento di creare una cooperazione tra i paesi dell'area...); l'Urss non potendo più
tollerare tale eccessiva autonomia cercò di rovesciarlo. Il 28 giugno 1948 il Cominform condannò ed
espulse il partito comunista jugoslavo avviando una serie di purghe reciproche e una importante frattura
interna al campo comunista. In occidente si era ovviamente pronti ad accogliere una Jugoslavia che era
entrata in contrasto con l'Urss e ciò influì anche sulla posizione dell'Italia: le richieste di quest'ultima
infatti perdevano peso e la dichiarazione tripartita sul territorio libero di Trieste va vista più in funzione di
un rafforzamento di De Gasperi che non come accoglimento delle rivendicazioni italiane.
La situazione in Asia
Fino al 1948 le attenzioni di Usa e Urss si concentrano soprattutto sull'Europa, e al centro di essa sulla
Germania. D'altra parte se in Europa gli Usa avevano registrato una serie di successi, ciò non avvenne in
Asia. Nelle trattative relative all'ingresso in guerra dell'Urss contro il Giappone, Stalin riuscì a riottenere
le posizioni che la Russia aveva avuto fino al 1905 (l'internazionalizzazione del porto di Dairen, l'affitto
della base di Port Arthur e la gestione insieme alla Cina della ferrovia mancese). Per quanto riguarda il
Giappone i sovietici cercarono di ottenere qualcosa di analogo alla Germania con la divisione del paese in
zone d'occupazione ma Truman si dimostrò irremovibile: il paese venne occupato dalle sole forze
americane con l'obiettivo di avviare un processo di democratizzazione e occidentalizzazione (in cambio
Stalin ottenne l'arcipelago delle Kurili e la parte meridionale dell'isola di Sakhalin).
In Cina continuava dopo la fine della guerra con il Giappone il confronto tra comunisti e nazionalisti: nel
dicembre del 1945 Marshall cercò di mediare tra le due posizioni al fine di evitare esiti drastici ma
l'intransigenza di Chang Kai-shek rese vano il tentativo. Ulteriori tentativi vennero poi avanzati nel luglio
del 1947 ma ormai era chiaro che i comunisti stavano avanzando. Un libro bianco di Marshall delineava
la sconfitta della politica statunitense in Cina (è significativo che ciò avvenisse prima della vittoria dei
comunisti): il sostegno degli Usa ai nazionalisti cinesi era infatti stato per molti versi improduttivo e
frustrante, mentre il movimento comunista era stato a lungo sottovalutato e poi preso in considerazione
solo nell'ultima fase della guerra (per altro neanche l'Urss aveva una chiara percezione della forza dei
comunisti cinesi). Il 1 ottobre 1949 venne proclamata la nascita della Repubblica popolare cinese, che
non venne riconosciuta dagli Usa i quali appoggiarono invece Chang Kai-shek rifugiatosi nell'isola di
Formosa (con le conseguenti ripercussioni all'interno dell'Onu). La vittoria dei comunisti in Cina ebbe un
forte impatto negli Usa e accrebbe l'importanza strategica di Corea e Giappone. Il nuovo governo cinese
aveva poi un rapporto ambiguo con l'Urss: ad ogni modo nonostante le diffidenze non poté che cercarne
la protezione e il 14 febbraio 1950 vennero firmati tre trattati sino-sovietici (un'alleanza difensiva,
l'annullamento del trattato ineguale del 1945 ma solo dopo il trattato di pace con il Giappone e un
prestito). Un'alleanza in cui non mancavano difficoltà e tensioni ma che si presentava all'esterno come un
compatto blocco comunista e quindi suscitava le preoccupazioni occidentali.
La guerra di Corea
Dalla fine del XIX era iniziata la colonizzazione giapponese della penisola coreana, che divenne ben
presto un protettorato del Giappone. La guerra russo-giapponese del 1904-1905 sancì il ruolo della
potenza giapponese nell'area del sud-est asiatico. Il futuro della Corea dopo la seconda guerra mondiale fu
oggetto delle conferenze interalleate, prima solo superficialmente al Cairo e a Teheran, poi con maggiore
chiarezza a Yalta ove venne decisa un'amministrazione fiduciaria a quattro, poi ridottasi solo a Usa e Urss
e l'occupazione del paese da parte delle due potenze con il 38° parallelo a delimitare le due aree (si
trattava di una linea scelta per motivi puramente militari). Sia i sovietici che gli statunitensi si
dimostrarono piuttosto impreparati (certamente era il Giappone ad attirare le attenzioni principali), anche
se i primi ottennero risultati più brillanti nella parte settentrionale del paese. Inizialmente venne valutata
l'ipotesi di procedere ad una riunificazione del paese ma la crescente incomunicabilità e l'assenza di
efficienti strutture di coordinamento tra le parti resero vano il tentativo e i colloqui iniziati nel marzo del
1946 si risolsero in un reciproco scambio di accuse. Nel settembre del 1947 gli Usa portarono la
questione all'Onu: l'Assemblea generale votò una risoluzione (quindi non vincolante) che chiedeva libere
elezioni su tutto il territorio sotto il controllo di osservatori internazionali, cosa che avvenne seppur con
molte difficoltà, tuttavia ormai era chiara la divisione delle due Coree. Nel maggio del 1948 venne
proclamata la nascita della Repubblica di Corea, nel mese di settembre quella della Repubblica
democratica di Corea; nonostante le continue frizioni tra i due paesi le forze statunitensi e sovietiche
avviarono un progressivo ritiro dall'area. L'idea statunitense secondo cui la Corea non aveva un ruolo
strategico cruciale in estremo oriente che aveva guidato fino a quel punto l'amministrazione Truman si
rivelò erronea dopo l'affermazione del comunismo in Cina (e in parte dopo la parziale perdita del
monopolio nucleare). La rielaborazione della politica estera statunitense alla luce della risoluzione Nsc 68
individuava un perimetro degli interessi americani che comprendeva le isole Aleutine, il Giappone e li
Filippine mentre la Corea era lasciata fuori: solo con lo sviluppo degli eventi a Washington si maturerà la
consapevolezza dell'importanza di tale area nel contenimento del comunismo. Nella Corea del nord,
guidata da Kim il Sung, maturava l'idea di un'azione militare che permettesse l'unificazione del paese e
che porterà nel giugno 1950 all'inizio delle guerra di Corea. Innanzitutto vanno individuati gli elementi
alle origini del conflitto:
 la superiorità organizzativa e militare della Corea del Nord;
 nell'estate del 1949 gli Usa persero il monopolio in campo nucleare (anche se i sovietici erano ancora
deboli nel settore dei vettori): ciò non segnò una drastica svolta ma concesse maggior libertà d'azione
all'Urss;
 gli Usa annunciarono pubblicamente il loro disinteresse per la Corea;
In secondo luogo va valutato il coinvolgimento sovietico e cinese nell'azione militare nordcoreana. È
probabile che Stalin non abbia attivamente incentivato l'azione e si sia dimostrato prudente (anche perché
il fatto che il delegato sovietico avesse abbandonato il Consiglio di Sicurezza non creava le condizioni
diplomatiche ideali), forse Mao si dimostrò più disponibile. Tuttavia ciò non significa che l'azione non
rispondesse in qualche modo all'utilità delle due potenze comuniste: se non altro poteva essere
un'importante prova delle capacità statunitensi di attuare il containment. Il 25 giugno 1950 iniziò
l'offensiva delle forze del nord che in poco tempo dilagarono in tutto il paese. Negli Usa ci si rendeva
conto che contrariamente a quanto creduto fino a quel momento la perdita della Corea avrebbe messo in
pericolo il perimetro degli interessi vitali americani, inoltre dopo la vittoria comunista in Cina non si
poteva accettare una Corea unificata e a regime comunista e in questa fase l'amministrazione Truman
disponeva di tutti gli strumenti necessari ad agire. In effetti la risposta statunitense si dimostrò molto
decisa ma altrettanto attenta a non espandere il conflitto: era di cruciale importanza che la guerra tra le
due coree non si trasformasse in una guerra estesa alla Cina popolare e alla Cina nazionalista con la
probabilità di uno scontro tra blocchi. Questa sarà la linea seguita con costanza dall'amministrazione
Truman che fin dall'inizio inviò la settima flotta a protezione di Formosa (ma anche come interposizione
tra questa e la Cina comunista). Gli Usa agirono poi nel Consiglio di Sicurezza giovandosi dell'assenza
sovietica: lo stesso 25 giugno venne votata una risoluzione che condannava l'aggressione nordcoreana e
chiedeva il ritiro delle sue forze, due giorni dopo venne autorizzata un'azione militare internazionale e
poco dopo ne venne affiato il comando a MacArthur, il quale aveva idee piuttosto nette e radicali in
merito e si trovava ad agire con una larga autonomia. Nel giro di qualche settimana la situazione si
rovesciò con le forze internazionali che giungevano nei pressi del 38° parallelo. Per il generale
MacArthur si apriva la possibilità di passare dal respingere l'aggressione comunista a riconquistare le
posizioni perse negli anni precedenti e quindi iniziava a delinearsi un contrasto con la più prudente
visione di Truman. Il 1 agosto i sovietici rientrarono nel Consiglio di Sicurezza e gli Usa riuscirono a far
approvare una risoluzione, la cosiddetta “Uniting for peace”, dall'Assemblea generale con cui la stessa
Assemblea si faceva carico di compiti spettanti al Consiglio qualora questo in condizioni di urgenza fosse
bloccato dal veto di una delle grandi potenze. Sul piano militare la situazione si faceva sempre più
problematica dato che in ottobre le forze sudcoreane e internazionali, nonostante i moniti cinesi,
attraversarono il 38° parallelo e i cinesi inviarono corpi di “volontari” a sostenere i nordcoreani. Le truppe
sotto il comando di MacArthur giunsero fin in prossimità del confine cinese, colpendo anche obiettivi
situati al di là di questo, poi iniziò la controffensiva comunista che respinse a sud del 38° parallelo le
forze nemiche. Nel frattempo però si consumava la rottura tra Truman e MacArthur con il primo sempre
attento a non estendere il conflitto ed il secondo disposto a ricorrere ad ogni mezzo per assestare un duro
colpo al comunismo in estremo oriente, rendendosi per altro protagonista di dichiarazioni pubbliche in
contrasto con la linea dell'amministrazione democratica, particolarmente minacciose verso la Cina e
critiche verso l'Onu: nel mese di aprile Truman rimosse MacArthur dal suo incarico, una scelta che pesò
non poco sulla popolarità del presidente ma in ultima analisi acuta e coraggiosa. Alla fine di giugno i
sovietici ripresero l'iniziativa diplomatica e il 10 luglio si avviarono negoziati che si protrassero a lungo.
Nell'autunno del 1952 Truman decise di non presentarsi come candidato alle elezioni presidenziali che
videro la vittoria di Eisenhower. Il 27 luglio 1953 si giunse ad un armistizio che rappresentava
sostanzialmente un compromesso provvisorio. Una conferenza indetta con l'obiettivo di trovare una
sistemazione definitiva al problema coreano si riunì a Ginevra nel 1954 e nel 1955 ma non portò ad alcun
risultato. In occidente emerse chiaramente come fosse necessario contrapporre alla minaccia di eventuali
aggressioni comuniste adeguati strumenti di difesa: sia in estremo oriente che in Europa, quanto avvenuto
in Corea presentava infatti significative analogie con la situazione in Germania.
La divisione della Germania e la cristallizzazione dei blocchi in Europa
La fine del blocco di Berlino aveva segnato una netta vittoria statunitense sul piano del confronto con
l'Urss con la contemporanea evoluzione della situazione verso la nascita della Repubblica federale
tedesca (in maggio era stata promulgata la costituzione e in settembre il nuovo governo otteneva il
riconoscimento degli alleati occidentali), nella parte orientale del paese si costituiva in ottobre la
Repubblica democratica tedesca. È necessario comunque tenere presente che ne da una parte ne dall'altra
le idee sul futuro della Germania erano perfettamente chiare. Negli Usa prevalse infine “l'idea della
calamita” secondo cui una Germania occidentale ricostruita secondo il modello capitalista avrebbe finito a
lungo andare per attirare a se anche la parte orientale (con l'idea di una possibile riunificazione che però
rimaneva sostanzialmente un miraggio). Da parte sovietica vi era la consapevolezza di avere tenuto una
condotta non eccellente in Germania dato che alla depredazione delle risorse si era aggiunto il pugno di
ferro in ambito politico, ad ogni modo Stalin era interessato ad evitare ad ogni costo un riarmo tedesco
sotto l'egida dell'occidente e quindi era profondamente preoccupato dal fatto che la costituzione di uno
stato sovrano in Germania andasse di pari passo con lo sviluppo di un'alleanza occidentale: è quindi
probabile che il leader sovietico potesse accettare anche una Germania riunificata purché neutrale. Per gli
Usa una Germania riarmata e integrata nel sistema europeo e occidentale era invece un vantaggio
irrinunciabile nella sfida con l'Urss, tuttavia lo stesso Truman si dimostrò cauto di fronte a tale possibilità
unitamente alla concessioni di basi militari da parte della Spagna: se i vantaggi militari erano chiari
andavano considerate anche le variabili politiche e comunque si doveva fare i conti con le preoccupazioni
francesi in merito. La guerra di Corea, e prima la perdita del monopolio nucleare, mutarono
significativamente la situazione: era necessario sistemare al più presto le cose in Europa. Inoltre
nell'aprile del 1950 era stata emanata la risoluzione Nsc 68, che diverrà uno dei documenti fondamentali
in questa fase della politica estera americana, in cui si sosteneva che era necessario incrementare
significativamente l'impegno statunitense, l'azione sovietica veniva descritta come fanatica e portatrice di
una minaccia mortale agli Usa. Sarebbe stato quindi necessario aumentare le capacità militari americane
e un impegno più incisivo in Europa e non solo. Diveniva indispensabile riarmare la Germania se si
voleva predisporre un sistema tale da permettere di affrontare su un piano di parità la minaccia comunista:
la difesa dell'Europa e della stessa Germania occidentale diveniva impensabile senza il contributo di
quest'ultima (ad esempio si sarebbe potuto allestire la linea difensiva lungo il fiume Elba piuttosto che sul
Reno o limitarsi all'ipotesi di mantenere soltanto delle teste di ponte in Europa), ma allo stesso tempo
bisognava evitare che una rinata potenza tedesca sfuggisse al controllo degli alleati e divenisse una nuova
minaccia o che creasse divergenze e diffidenze in Europa occidentale. Gli stessi europei chiedevano un
impegno statunitense più concreto e Washington poneva come condizione l'accettazione del riarmo
tedesco. L'azione statunitense mirava anche a riattivare il processo di integrazione europea in quanto
condizione necessaria a tutti gli altri obiettivi e in tale ambito venne accolta con favore la proposta che il
ministro degli esteri francese Schuman aveva avanzato nel maggio del 1950, cioè la creazione di un
organismo sovranazionale che gestisse le risorse carbosiderurgiche. Tale questione era al centro non solo
delle tensioni franco-tedesche di quel periodo ma di una ben più radicata conflittualità tra i due paesi e
quindi la costituzione di un'autorità come quella ipotizzata dai francesi avrebbe permesso di sanare le
controversie di tale tipo. Vi era poi anche il tentativo francese di bilanciare lo stretto legame tra Usa e
Gran Bretagna e la volontà di non correre il rischio di rimanere isolati. Nel mese di aprile del 1951 fu
approvato il testo istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (Ceca) che entrò in vigore
nel luglio del 1952. Si compiva così un importante passo nella direzione dell'integrazione europea e della
costruzione di uno stretto rapporto franco-tedesco. Tuttavia rimaneva aperto il problema del riarmo
tedesco. Venne così avanzata la proposta di creare una forza militare europea integrata in modo tale da
esercitare un certo controllo sulla Germania: tale progetto, noto come piano Pleven, trovò inizialmente un
certo consenso ma si trattava di un argomento particolarmente complesso e delicato. La Gran Bretagna
mostrava la sua diffidenza, la Germania manifestava un certo risentimento per la diffidenza di cui era
oggetto e la stessa Francia che aveva ancora ambizioni e interessi imperiali era caratterizzata da una certa
ostilità, trasversale a tutte le forze politiche, all'idea di integrare le proprie forze armate. Ad ogni modo i
negoziati per l'attuazione del piano Pleven ebbero inizio a Parigi nel febbraio del 1951 e incontrarono
subito diverse difficoltà, nel mese di aprile gli Usa nominarono Eisenhower comandante supremo alleato
in Europa e inviarono sul continente quattro divisioni al fine di incoraggiare gli europei. Si giunse a
predisporre il trattato di una Comunità europea di difesa (Ced) strutturata in modo analogo alla Ceca,
tuttavia emersero fin da subito le difficoltà nel procedere alla ratifica. Nel marzo del 1952 una nota
sovietica invitava ad una conferenza a quattro per organizzare libere elezioni in Germania, Stalin mirava
probabilmente ad accreditare la sua immagine e a favorire le divergenze nel campo avversario: dopo un
iniziale interessamento gli occidentali abbandonarono la proposta. Dopo l'elezione di Eisenhower alla
presidenza degli Usa e la nomina di John Foster Dulles a segretario di stato le pressioni statunitensi per
uno sviluppo della situazione europea si fecero più intense fino ad arrivare all'ipotesi di una “angosciosa
revisione” della politica statunitense in Europa. Con la morte di Stalin (marzo 1953) si formò in Urss una
direzione collegiale che evitò il vuoto di potere e che apparve agli occidentali più conciliante: in questo
contesto vi fu la proposta con cui Berija rilanciò l'idea di una Germania unita (ed eventualmente anche
capitalista) ma non riarmata sotto l'egida occidentale; una proposta che non ebbe seguito ma che indicava
come i propositi perseguiti dagli Usa fossero temuti dai sovietici. Intanto nell'assemblea nazionale
francese prendevano il sopravvento le forze ostili ad una integrazione delle forze armate (anche a causa
degli sviluppi in Indocina) e nell'agosto del 1954 il trattato istitutivo della Ced non venne ratificato.
Tuttavia nonostante il fallimento della Ced era chiaro che la Francia avrebbe accettato un riarmo della
Germania se accompagnato da adeguate rassicurazioni e senza un'integrazione delle proprie forze armate.
Fu la Gran Bretagna a farsi carico di soddisfare queste esigenze quando Eden, consapevole che la stabilità
del sistema occidentale dipendeva anche dall'assenso francese, presentò una sorta di nuova “entente
cordiale”: si trattava di dare garanzie alla Francia e di mantenere sul continente le truppe britanniche. Ciò
permise di convocare la conferenza di Londra (settembre 1954) che portò ad accettare la restituzione della
piena sovranità alla Germania e quindi la possibilità di entrare nel Patto atlantico. Si decise la creazione
dell'Unione europea occidentale (Ueo) i cui documenti istitutivi vennero ratificati entro i primi di maggio
del 1955. A fronte di ciò era possibile il riarmo e l'ingresso nella Nato della Repubblica federale di
Germania (9 maggio 1955). L'ultimo ostacolo significativo rimaneva la gestione della Saar: venne deciso
un referendum che nel mese di ottobre sancì la sovranità tedesca sulla regione.
La risposta sovietica non si fece attendere. Tra novembre e dicembre del 1954 i rappresentanti di Urss,
Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Repubblica democratica tedesca, Polonia, Romania e Ungheria
presero parte alla conferenza di Mosca e decisero che qualora fosse stato ratificato il trattato della Ueo si
sarebbero dovute adottare adeguate contromisure. Infatti immediatamente dopo la ratifica i rappresentanti
degli otto paesi dell'Europa orientale si riunirono nuovamente a Mosca ove il 14 maggio venne stipulato il
Patto di Varsavia. Si trattava di un trattato di durata ventennale che prevedeva nel caso uno dei contraenti
fosse stato attaccato l'intervento degli altri in suo aiuto: l'impegno era quindi automatico e non
condizionato come quello previsto dal Patto atlantico. Si manifestava così la divisione e la
cristallizzazione dell'Europa in due blocchi contrapposti, e dopo la fase di confronto che aveva
caratterizzato il decennio successivo alla seconda guerra mondiale si giungeva ad una stabilizzazione
degli equilibri.
La special relationship tra Usa e Gran Bretagna. Decolonizzazione e guerra fredda.
Tra Usa e Gran Bretagna si creò all'indomani della seconda guerra mondiale un rapporto speciale e
duraturo, una special relationship che però risentì di alcune contraddizioni di fondo. La Gran Bretagna
risentiva del suo retaggio imperiale, era ancora una potenza imperiale ma si avviava verso la fase di
decolonizzazione (nel 1947 perse l'India, che fino a pochi anni prima era considerata un territorio a cui
era impossibile rinunciare), d'altra parte non aveva più le risorse necessarie a controllare un impero
globale. Londra doveva quindi rivedere il proprio ruolo. Gli Usa avevano sempre fatto dell'anticolonialismo un punto fermo della loro politica, tuttavia in un contesto di guerra fredda l'abbandono del
colonialismo non si presentava semplice in quanto avrebbe potuto aprire degli spazi favorevoli
all'inserimento dell'Urss in varie regioni del mondo. Si trattava quindi anche per gli Usa di rivedere le
proprie posizioni: la decolonizzazione doveva conciliarsi con il contenimento del comunismo. Questa
particolare situazione si manifesterà in diverse occasioni quali la questione indocinese, la crisi iraniana e
la crisi di Suez.
La questione indocinese
Dopo la fine della seconda guerra mondiale la Francia si presentava ancora come un impero coloniale con
rilevanti possedimenti in Indocina e in nord Africa. In Indocina (Viet Nam, Laos e Cambogia) si era
sviluppato un forte movimento ostile ai francesi nel quale si fondevano nazionalismo e marxismo. Gli
Usa non potevano in questo caso essere completamente favorevoli alla decolonizzazione proprio per le
forme che questa assumeva in quanto ciò:
 avrebbe indebolito la Francia, con le relative conseguenze nella Nato;
 la presenza della Cina comunista era una minaccia per l'Indocina, la quale per altro costituiva un
importante mercato per le materie prime soprattutto per il Giappone.
Per Washington si poneva quindi un problema: sostenere i francesi avrebbe significato assumere le difese
di una potenza coloniale e quindi offrire un vantaggio all'Urss; si cercò quindi di risolvere la delicata
situazione offrendo aiuto militare ai francesi per combattere il Viet Minh e allo stesso tempo spingendoli
a promuovere l'indipendenza dell'Indocina, cosa che si cercò di perseguire mediante l'appoggio ad
elementi locali quali l'imperatore Bao Dai anche se ciò non riscosse i favori della popolazione. Le forze
comuniste si dimostrarono in vantaggio fin dall'inizio riuscendo a mettere in difficoltà i francesi. L'Urss si
mosse nella prima fase in modo abbastanza cauto appoggiando piuttosto tiepidamente Ho Chi Minh con
l'intenzione di non indebolire troppo il Partito comunista francese nel momento in cui si dibatteva il
destino della Ced e quindi il riarmo della Germania: si riteneva quindi prioritaria l'Europa. Ad ogni modo
si assiste ad una sorta di divisione dei compiti tra Urss e Cina, con la seconda che diveniva un punto di
riferimento per le ex colonie dell'Asia che si avviavano verso l'indipendenza. Si andavano quindi creando
legami sempre più stretti tra la Cina e il Viet Minh sostenuti dall'Urss, mentre dopo la fine della guerra di
Corea aumentava significativamente il flusso di aiuti provenienti sia dall'occidente che dalla Cina. Nel
maggio del 1954 con la caduta di Dien Bien Phu si ebbe la sconfitta delle truppe francesi in Indocina. Nel
mese di agosto iniziarono i negoziati a Ginevra: la Cina cercò di sfruttare l'occasione per far valere il
proprio peso e veder riconosciuto il proprio ruolo ma anche per cercare di evitare un intervento
statunitense: per questo si cercò di spingere Ho Chi Minh verso posizioni moderate. Si giunse a definire
il ritiro di tutte le truppe straniere dai paesi dell'Indocina (e quindi anche le forze di Ho Chi Minh
dovevano ritirarsi da Laos e Cambogia) e la divisione del Viet Nam lungo il 17° parallelo: la parte
settentrionale sarebbe stata sotto il controllo del Viet Minh, quella meridionale avrebbe visto un lento
passaggio di consegne tra Francia e Usa. È chiaro quindi come, per non creare spazi d'inserimento
all'Urss, gli Usa decidano di accordare un certo sostegno alla Francia e di allentare il loro deciso anticolonialismo.
La crisi iraniana
Il Medio oriente divenne dopo la seconda guerra mondiale un'area di crescente instabilità. Già si era
manifestata una prima crisi legata al ritiro delle forze occupanti dall'Iran, si aggiungevano poi in un clima
di contrapposizione tra Usa e Urss i problemi della decolonizzazione, la nascita di Israele, l'importanza
delle risorse energetiche della regione, l'emergere di regimi nazionalisti (come l'Egitto di Nasser). In Iran
le risorse petrolifere erano quasi interamente controllate dall'Anglo-Iraniam oil company che ne traeva la
maggior parte dei profitti lasciando ben poco al paese. In Iran si iniziava a comprendere l'importanza di
acquisire il controllo sulle proprie risorse: fu così che dopo l'assassinio del primo ministro Razmara, il suo
successore Mossadeq il 1 maggio 1951 ottenne l'approvazione dal parlamento iraniano della legge di
nazionalizzazione della Aioc. Per la Gran Bretagna ciò fu un duro colpo e si riteneva che la crisi dovesse
essere risolta quanto prima, eventualmente anche con un'azione militare. Diverso era invece
l'atteggiamento statunitense in quanto un'iniziativa militare britannica era ritenuta inaccettabile: se era
poco probabile una reazione sovietica era comunque prevedibile un avvicinamento dell'Iran all'Urss di
fronte all'atteggiamento colonialista britannico. D'altra parte negli Usa una dilagante isteria anticomunista portava a paventare conseguenze gravissime come un Iran in mano sovietica, un deficit nelle
forniture petrolifere occidentali, una Turchia vulnerabile e un Medio oriente aperto all'influenza
comunista. Gli Usa dovevano quindi cercare di mantenere l'Iran nella sfera d'influenza occidentale e allo
stesso tempo cercare di preservare un certo ruolo britannico nell'area, infine vi era la consapevolezza che
un indebolimento delle compagnie petrolifere britanniche avrebbe potuto avvantaggiare quelle
statunitensi. L'amministrazione Truman iniziò quindi a farsi carico della soluzione della crisi inviando
Harriman a Teheran, questi riuscì a ottenere qualche concessione da Mossadeq ma la sua iniziativa si
scontrò con l'intransigenza britannica. Successivamente fu Mossadeq a recarsi negli Usa: in
quest'occasione egli diede l'impressione di essere troppo rigido ma soprattutto cercò di ricattare gli Usa
accennando ad un possibile avvicinamento dell'Iran all'Urss e toccando così un tema rispetto al quale a
Washington erano già molto sensibili. Per altro il primo ministro iraniano rifiutò di rinnovare un accordo
difensivo con gli Usa, accrescendo le preoccupazioni di Washington. Nel gennaio del 1953 Eisenhower si
insediò alla casa bianca e si decise che era necessario risolvere assolutamente la crisi, che ormai si
trascinava da troppo tempo. Venne organizzato un colpo di stato (operazione Ajax) che nel mese di
agosto portò all'estromissione di Mossadeq e alla sua sostituzione con il generale Zahedi. Lo scià veniva
confermato al potere e diveniva da quel momento il punto di riferimento degli Usa nella regione. La
questione petrolifera si risolse con la creazione di un consorzio internazionale in cui il ruolo britannico
veniva ridimensionato a favore di quello di alcune compagnie statunitensi. Anche in questo caso gli Usa
si trovarono a gestire una situazione difficile in cui si intrecciavano il confronto con l'Urss e il problema
della decolonizzazione.
La difesa del Medio oriente
Per quanto concerne le relazione tra Usa e Gran Bretagna in Medio oriente, i pentagon talks del 1947
avevano stabilito che la seconda avrebbe mantenuto un ruolo di primo piano, chiaramente con il sostegno
statunitense, nell'area in questione. Un tale rapporto però avrebbe incontrato una serie di problematiche,
culminate con la crisi di Suez, tali da trasformarlo completamente. Con la presidenza Eisenhower il
Medio oriente assumeva una nuova importanza agli occhi dell'amministrazione statunitense come uno dei
teatri cruciali del confronto con l'Urss e come tassello fondamentale nel circondare l'Urss con una sorta di
nuovo cordone sanitario di portata globale, era poi un'area con importanti risorse e interessata dai
problemi della decolonizzazione. Il “new look” sostenuto da Dulles comportava la necessità di
organizzare un nuovo sistema difensivo caratterizzato da:
 alleanze difensive basate su forze convenzionali e il cui tratto fondamentale fosse il carattere “locale”
e “indigeno”;
 il sostegno “esterno” degli Usa a tali sistemi difensivi;
 la deterrenza nucleare statunitense;
Sarebbe così stato possibile affrontare la minaccia comunista senza che ciò comportasse una massiccia
presenza statunitense in tutti i teatri con i costi e le difficoltà che ne derivavano. Nella visione di
Washington poi il Medio oriente necessitava particolarmente di una tale struttura in considerazione del
venir meno del ruolo britannico e della maggiore intensità del confronto con i sovietici. Nel maggio del
1953 Dulles compì un viaggio nella regione avanzando l'idea del northern tier project, ovvero di
un'alleanza difensiva incentrata sul cosiddetto outer ring: ovvero su Turchia, Iran, Iraq e Pakistan. Fino a
quel momento si pensava ad un progetto difensivo più arretrato e interno che avrebbe dovuto avere il suo
perno nell'Egitto (era questo il progetto della Meaddle east defensive organization, Medo). Tuttavia
emersero diversi elementi che ostacolavano in modo rilevante tale progetto:
 la politica intrapresa dal nuovo regime egiziano, fortemente pan-arabista e anti-coloniale;
 l'ostilità tra Gran Bretagna ed Egitto in merito alla presenza militare britannica nel paese arabo;
 il conflitto arabo-israeliano, in cui l'Egitto rivestiva un ruolo cruciale.
Per gli Usa era dunque necessario scegliere un diverso punto di partenza che era rappresentato da quegli
stati che costituivano la northern tier e che avrebbero dovuto percepire più intensamente la minaccia
sovietica; ciò non significava tralasciare il ruolo dell'Egitto, che comunque rappresentava la principale
potenza araba, anzi si riteneva che il paese avrebbe potuto essere coinvolto nel progetto una volta superati
gli ostacoli di cui sopra. Dalla fine del 1953 gli Usa iniziarono a premere per un accordo tra Turchia e
Pakistan e si ebbero i primi evidenti contrasti tra la politica statunitense e quella britannica, dato che
questi ultimi iniziavano a percepire come stessero mutando i ruoli. Il 2 aprile 1954 i due stati firmarono
un accordo di cooperazione militare a cui seguì l'invio di aiuti statunitensi al Pakistan. Il passo successivo
era rappresentato dal coinvolgimento dell'Iraq, ma in tale contesto si faceva più intensa anche l'azione
britannica che in tale periodo mirava soprattutto a mantenere la propria posizione in Medio oriente e a
cercare di recuperare il terreno perduto. Emergevano così palesemente le divergenze tra una Gran
Bretagna che ancora si muoveva in un'ottica imperiale e gli Usa che invece davano priorità assoluta alla
guerra fredda. Nell'ottobre del 1954 l'accordo anglo-egiziano sulla base di Suez sembrò rappresentare un
modus vivendi tra i due paesi. Il 24 febbraio 1955 si giunse al Patto di Baghdad tra Turchia e Iraq e si
aggiungeva così un nuovo tassello al sistema difensivo regionale. Il 30 marzo la Gran Bretagna aderiva a
questo trattato cercando di spingere la Giordania a fare lo stesso, il 23 settembre entrava a farvi parte il
Pakistan e il 3 novembre l'Iran. Gli Usa manifestarono la loro contrarietà all'ingesso nel patto della Gran
Bretagna in quanto ciò era in netto contrasto con le loro priorità: in tal modo il sistema difensivo cessava
di essere visto come qualcosa di locale ed iniziava ad apparire come uno strumento dell'imperialismo
occidentale, ed era proprio ciò che gli Usa temevano e che cercavano di evitare fornendo alle alleanze
locali solo il loro appoggio esterno. Falliva così il proposito di coinvolgere l'Egitto di Nasser che anzi
dava inizio ad una durissima campagna di propaganda anti-occidentale. Il sistema globale statunitense era
poi completato in Asia orientale dall'Anzus cioè l'alleanza tra Usa, Australia e Nuova Zelanda del 1
settembre 1951) a cui si aggiungeva la South east Asia Treaty organization (Seato) dell'8 settembre 1954
a cui prendevano parte Usa, Gran Bretagna, Francia, Australia, Nuova Zelanda, Filippine, Thailandia e
Pakistan che rappresentava la risposta alla sconfitta francese in Indocina e che estendeva la propria
protezione ad un eventuale attacco comunista anche a Malesia, Borneo britannico, Laos, Cambogia e Viet
Nam del sud. Nato, Patto di Baghdad e Seato quindi costituivano il sistema difensivo statunitense su scala
globale: tre alleanze che partivano dall'Europa, passavano per il Medio oriente per finire in Asia orientale
e che avevano in Turchia e Pakistan i loro punti di collegamento.
L'Urss dopo la morte di Stalin
Dopo la morte di Stalin (marzo 1953) si apriva in Urss un periodo di direzione collegiale che vedeva
coinvolte diverse posizioni: quelle più conservatrici facenti capo a Molotov, quelle più aperte
riconducibili a Malenkov e infine coloro che si collocavano su posizioni intermedie come Chruscev. La
direzione collegiale e poi l'affermazione di Chruscev con il conseguente processo di destalinizzazione
portato avanti al XX congresso del Pcus ebbero una serie di ripercussioni anche sulla politica estera
sovietica:
 nei confronti degli altri paesi comunisti si abbandonò la posizione per cui il modello sovietico
rappresentava l'unica interpretazione possibile del marxismo aprendo di conseguenza nuove
possibilità nei rapporti con la Cina e permettendo il riavvicinamento con la Jugoslavia di Tito;
 nei confronti dei paesi del blocco occidentale se si credeva che il capitalismo sarebbe crollato per le
sue contraddizioni interne si riteneva comunque necessario cercare di penetrare laddove se ne
presentasse l'occasione;
In generale i mutamenti della politica estera sovietica furono colti da alcuni stati dell'Europa orientale
come segnali di apertura, sostanzialmente un equivoco, che porterà alle rivolte in Polonia e in Ungheria
nel corso del 1956. Per quanto riguarda la contrapposizione Usa-Urss nel mese di maggio si era giunti al
trattato di stato con l'Austria, il paese considerato non come parte del terzo reich ma come sua prima
vittima era stato occupato dai vincitori e a differenza di quanto avvenuto in Germania si era riusciti a
mantenere una qualche unità di governo; con il trattato l'Austria ritornava ad essere uno stato
indipendente e sovrano a condizione della sua neutralità, nel corso del 1954 vi era poi stato il
memorandum di Londra che aveva dato una sistemazione alla questione di Trieste. In Europa si profilava
quindi una progressiva stabilizzazione dei rapporti tra Usa e Urss.
Il 1956: la crisi di Suez e la rivolta ungherese
In Medio orienta la politica di Nasser, pan-arabista e anti-colonialista, che aveva mantenuto il paese al di
fuori del sistema difensivo regionale si andava delineando come una politica di neutralità che mirava a
muoversi tra i due blocchi traendone il massimo vantaggio. L'amministrazione Eisenhower, nonostante
una certa diffidenza verso il leader egiziano era impegnata a mantenere il paese nell'orbita occidentale; da
parte sua Nasser cercava aiuti militari che riteneva fondamentali al fine di ammodernare le proprie forze
armate: gli Usa però che cercavano di mantenere un certo equilibrio nei confronti del conflitto araboisraeliano non ritenevano possibile assecondare tali richieste. L'Egitto si mosse poi concludendo trattati
con Siria e Arabia Saudita che ponevano le forze armate dei tre paesi sotto un comando unificato e, dopo
un ulteriore rifiuto statunitense in merito a forniture militari, Nasser annunciò che aveva stipulato un
trattato con la Cecoslovacchia in base al quale avrebbe ottenuto armamenti in cambio di cotone. Questi
sviluppi insieme alla crescente ostilità di Nasser verso l'occidente e a quello che gli Usa percepivano
come un pericoloso avvicinamento all'Urss indussero il segretario di Stato Dulles a comunicare la
sospensione dei finanziamenti alla diga di Assuan (18 luglio 1956). Il 26 luglio 1956 Nasser annunciava
la nazionalizzazione della compagnia franco-britannica che gestiva il canale di Suez, i proventi derivati
dal canale sarebbero serviti a proseguire i lavori alla diga: iniziava così la crisi di Suez. Il danno arrecato
agli azionisti della compagnia (tenendo comunque conto che il provvedimento di nazionalizzazione
prevedeva un adeguato indennizzo) non rappresentava l'unico motivo che spinse Gran Bretagna, Francia e
Israele ad attaccare l'Egitto nel mese di ottobre. Per la Gran Bretagna il canale aveva un grande valore
strategico ma vi era anche l'intenzione di punire Nasser che da tempo rappresentava una seria difficoltà
per le politiche mediorientali di Londra. Per la Francia all'interesse per la via di comunicazione si
aggiungeva il fatto che Nasser sosteneva attivamente la crescente rivolta algerina. Per Israele la chiusura
del canale imposta dall'Egitto rappresentava un duro colpo e un'azione militare avrebbe permesso di
consolidare la propria sicurezza in un momento in cui il paese era consapevole della propria vulnerabilità
e del rischio di trovarsi isolato. Inoltre va considerato come la Francia non avesse molto da perdere nel
risolvere la questione con un'azione militare, mentre la Gran Bretagna doveva confrontarsi con la special
relationship che la legava agli Usa. A Washington infatti si riteneva che un'azione militare fosse da
evitare in quanto avrebbe potuto causare una reazione sovietica e avrebbe potuto comportare un
avvicinamento dell'Egitto e di altri paesi arabi all'Urss a seguito di quella che appariva sostanzialmente
come un'azione di stampo coloniale. Per questi motivi gli Usa cercheranno di trovare una soluzione alla
crisi avviando diverse iniziative (dalla conferenza di Londra all'azione dell'Onu) tutte però destinate a
fallire. Fu la Francia a cercare l'intesa con Israele ma presto ci si rese conto che era necessaria la
partecipazione britannica. A Sevres negli ultimi giorni dell'ottobre 1956 francesi, britannici e israeliani si
accordarono sulle modalità della loro azione: Israele avrebbe attaccato l'Egitto invadendo il Sinai e
muovendosi verso il canale, a quel punto Francia e Gran Bretagna sarebbero intervenute come garanti
della libertà di navigazione occupando le sponde della via d'acqua. Le operazione israeliane iniziarono il
29 ottobre, il giorno successivo gli anglo-francesi posero un ultimatum inaccettabile per l'Egitto e il 31
iniziarono a bombardare le postazioni militari per poi avviare le operazioni di sbarco. Subito i tentativi di
mediazione del Consiglio di Sicurezza furono bloccati dal veto di Parigi e Londra, gli Usa allora al fine di
battere sul tempo i sovietici che avrebbero potuto sfruttare a loro vantaggio la situazione ricorsero alla
risoluzione “Uniting for peace” e fecero approvare dall'Assemblea generale (con un'ampia maggioranza
ed il voto favorevole dei sovietici) una risoluzione che chiedeva l'immediato cessate il fuoco. Di fronte
all'inadempienza di britannici e francesi i sovietici giunsero a ipotizzare un loro intervento diretto (cosa
che ebbe un grande impatto sull'opinione pubblica occidentale) e data la palese ostilità statunitense
Londra e Parigi si trovarono costrette a sospendere le operazioni militari il 6 novembre. Le due potenze
coloniali uscivano duramente colpite dalla crisi, gli Usa non avevano potuto appoggiare quella che
appariva come un'azione coloniale e ora i rapporti tra Usa e Gran Bretagna vedevano quest'ultima
abbandonare il suo ruolo privilegiato in Medio oriente a favore dei primi. Israele ottenne risultati migliori
dato che dopo il ritiro delle sue truppe dal Sinai le zone di attrito con l'Egitto vennero presidiate dagli
uomini dell'United nations emergency force (Unef).
Gli altri eventi che caratterizzarono il 1956 furono i sommovimenti all'interno del blocco sovietico. In
Polonia la fine di giugno del 1956 vide la rivolta degli operai di Poznan repressa dalla polizia con alcune
decine di morti: la tensione crebbe in tutto il paese e la dirigenza sovietica dovette trovare il modo per
mantenere saldo il rapporto con i leaders polacchi, ed in particolare con Gomulka che in quel momento
era l'unico a godere della fiducia della popolazione. Ben più drammatici furono gli eventi dell'Ungheria
dove la destalinizzazione aveva acceso il dibattito degli intellettuali in merito ai rapporti con l'Urss e al
sistema politico fino a quel momento in vigore. La fine di ottobre fu caratterizzata da una crescente
agitazione di studenti e lavoratori che chiedevano aperture e riforme e che sfociarono anche in scontri
violenti. Venne creato un governo presieduto da Imre Nagy (fino a poco tempo prima espulso dal partito
comunista), mentre la situazione interna si faceva sempre più complessa. Il nuovo primo ministro
annunciò alcuni significativi progetti di riforma ma quando emerse l'idea di abbandonare il Patto di
Varsavia le forze sovietiche, che avevano iniziato a lasciare il paese, vi rientrarono assumendone il
controllo dopo violenti scontri. Sul piano internazionale la crisi ebbe un significato abbastanza chiaro: il
fatto che l'occidente abbia assistito impassibile (al di là delle proteste) e le modalità con cui si svolsero gli
eventi dimostrano che si trattò essenzialmente di una crisi interna al blocco sovietico. In altre parole il
continente europeo era nel 1956 saldamente e stabilmente diviso in due blocchi e in tale contesto la
guerra fredda poteva dirsi conclusa, continuava invece in altri teatri.
La dottrina Eisenhower
Dopo la crisi di Suez con il conseguente colpo alla presenza anglo-francese in Medio oriente e con il
fallimento dei progetti difensivi locali, gli Usa dovettero rivedere la propria politica verso questa regione
in modo da impedire che si creassero spazi per un possibile inserimento sovietico. La consistenza della
minaccia comunista in realtà appare relativa, la forza che stava mettendo sottosopra il Medio oriente era
piuttosto il nazionalismo pan-arabo. Ad ogni modo nel gennaio del 1957 il presidente statunitense
annunciò la dottrina Eisenhower (seguita poi dalla Meaddle esat resolutin) con cui gli Usa si
impegnavano a sostenere economicamente e militarmente i paesi dell'area la cui indipendenza fosse stata
minacciata. Lo stanziamento di 200 milioni di dollari e la possibilità che forze statunitensi intervenissero
direttamente nell'area indicavano la portata dell'impegno assunto da Washington. Un impegno che
portava a comprendere tutto il Medio oriente nell'area di sicurezza statunitense e che si pose come una
specificazione e un rafforzamento del containment. Già nel 1957 la dottrina Eisenhower ebbe la prima
applicazione, sebbene indiretta, con l'invio della VI flotta nel Mediterraneo orientale dopo la richiesta di
re Hussein, nel luglio 1958 truppe statunitensi sbarcarono in Libano su richiesta del presidente Chamoun
di fronte ad una situazione interna piuttosto instabile mentre truppe britanniche giungevano in Giordania.
Un problema cruciale per gli Usa rimaneva comunque quello del modo in cui la propria presenza fosse
percepita in Medio oriente.
La crisi di Berlino
In Europa, nonostante la cristallizzazione dei blocchi, la questione tedesca continuava a rivelarsi
particolarmente problematica. Per quanto riguarda il confronto tra le forze militari presenti sullo scenario
europeo si rilevava una schiacciante superiorità sovietica in campo convenzionale, bilanciata dall'arsenale
nucleare statunitense, tuttavia questa situazione veniva meno con lo sviluppo anche da parte sovietica di
armamenti nucleari e soprattutto in virtù dei grandi progressi russi nel campo dei vettori. La divisione
della Germania rappresentava senza dubbio un fattore di tensione. Negli Usa a chi sostanzialmente
accettava tale situazione si opponeva soprattutto Kennan il quale riteneva che essendo tale stato di cose di
per se innaturale e squilibrato si sarebbero potute originari nuove crisi tra Usa e Urss. I sovietici che già
avevano fatto tutto il possibile per impedire il riarmo della Germania federale sotto la guida occidentale
ma erano falliti nel loro intento, cercavano ora di impedire che a ciò si aggiungessero anche armi nucleari.
Per questo venne avanzata l'idea di un'area denuclearizzata nell'Europa centrale che però non ebbe
seguito. Nella Germania federale il governo presieduto da Adenauer aveva adottato una politica estera (la
dottrina Hallstein) che escludeva i rapporti con tutti gli stati che avessero riconosciuto la Germania
democratica: in tal modo anche se non si rinunciava ad una possibile futura unificazione si voleva
presentare la Germania occidentale come vera e unica Germania. Nella Germania democratica, il governo
presieduto da Ulbricht manteneva un ferreo controllo della situazione e si faceva garante del rigore del
regime contro eventuali distensioni o revisionismi. Anche a causa di ciò la seconda metà degli anni
Cinquanta vide poi ingenti flussi di cittadini della Germania democratica spostarsi verso occidente
attraverso Berlino (tra il 1945 e il 1961 circa un sesto della popolazione orientale si trasferì) e ciò
comportava un duro colpo per i sovietici e per il governo della Germania democratica, anche a livello di
prestigio. Nel 1957 il lancio dello Sputnik segnava la fine della superiorità statunitense nel campo dei
vettori: in termini quantitativi gli Usa continuavano a detenere il primato, ma per la prima volta il
territorio statunitense diveniva vulnerabile. La cosa ebbe chiaramente un forte impatto in occidente e a
Washington si iniziò a valutare la possibilità di dotare la Germania di armamenti nucleari o in alternativa
di nuclearizzare la Nato. Gli anni tra il 1958 e il 1962 saranno anni caratterizzati da una forte
competizione in ambito nucleare tra le due potenze. Vanno poi considerati i rapporti tra Urss e Cina,
come al solito piuttosto ambigui. Nell'ottobre del 1957 le due potenze comuniste avevano raggiunto un
accordo in base al quale i sovietici avrebbero fornito tecnologie nucleari ai cinesi, tuttavia i primi erano
piuttosto inclini a lasciare lettera morta tale accordo in quanto i cinesi si dimostravano particolarmente
decisi e audaci nei confronti dell'occidente e spesso critici verso Mosca (ad es. denunciando vivacemente
il revisionismo verso la Jugoslavia). Nell'estate del 1958 la tensione con Taiwan aveva raggiunto livelli
elevatissimi con il bombardamento delle isole di Matsu e Quenoy dove si stavano raccogliendo truppe
della Cina nazionalista. Poteva quindi essere pericoloso lasciare che la Cina si costruisse un arsenale
nucleare. Si creava così una situazione in cui Cina e Germania democratica si dimostravano
particolarmente intransigenti verso l'occidente, molto più di quanto lo fosse la stessa Urss; e più in
generale i rispettivi alleati spingevano Usa e Urss verso posizioni rigide e di confronto. In questo contesto
Ulbricht lanciò la proposta di ristabilire un rapporto tra le due Germanie, Adenauer rispose proponendo
libere elezioni nella Germania orientale e la neutralizzazione della stessa che sarebbe quindi diventata una
sorta di cuscinetto tra i due blocchi con un significativo arretramento sovietico in Europa. Nel novembre
del 1958 Chruscev rilanciò l'idea di un trattato di pace con la Germania ponendo un ultimatum di sei
mesi, scaduto il quale i sovietici avrebbero concluso il trattato con la Germania democratica e quindi
lasciato ad essa la gestione di Berlino: era chiaro, date le posizioni di Ulbricht, che ciò avrebbe con tutta
probabilità portato ad un nuovo blocco della città. I sovietici sapevano che Berlino era il punto debole
degli occidentali e quindi fare pressioni su Berlino significava mettere in difficoltà gli avversari. A
Washington nel frattempo ci si chiedeva se valesse la pena scatenare una guerra per Berlino, tuttavia
scaduto l'ultimatum i sovietici non agirono come avevano dichiarato ma si avviò una fase negoziale tra
Usa e Urss. È probabile che le intenzioni sovietiche fossero soprattutto quelle di rassicurare Ulbricht e
dissuadere Adenauer e gli occidentali dall'idea di dotare la Germania federale di un arsenale nucleare. Nel
frattempo usciva di scena Dulles, colpito da malattia e sostituito a Christian Herter. Chruscev riusciva ad
ottenere che il progetto di nuclearizzazione della Germania venisse lasciato cadere e che da quel momento
in poi il problema venisse sempre trattato in un'ottica multilaterale, ma non venne presa alcuna decisione
riguardo a Berlino, la cosa avrebbe potuto essere trattata nel vertice di Parigi, previsto per il maggio del
1960 ma intervennero nuovi fattori. Fra il 1955 e il 1956 gli Usa avevano realizzato un certo numero di
aerei U-2 in grado di sorvolare il territorio sovietico (senza essere intercettati) per raccogliere
informazioni. Probabilmente i sovietici ne erano al corrente ma non era loro intenzione rendere pubblico
questa loro debolezza quindi la cosa non sollevò problemi in un primo momento. Il 1 maggio 1960 uno di
questi aerei venne abbattuto, il 5 maggio i sovietici ne diedero notizia e di fronte alle smentite statunitensi
presentarono le foto del pilota e dei rottami. Chruscev dichiarò di considerare il volo come un atto di
guerra ma non annullò il vertice previsto. Quando il 14 maggio Eisenhower giunse a Parigi gli venne
consegnata da De Gaulle una nota di Chruscev nella quale si chiedeva al presidente di condannare
l'azione spionistica, rinunciare a compierne altre e punire i colpevoli. Eisenhower si veniva così a trovare
in una posizione estremamente difficile e non poté acconsentire alle richieste sovietiche. Sembrava
imminente il trattato di pace tra Germania democratica e Urss, tuttavia Chruscev propose di tenere il
vertice in condizioni più favorevoli. L'atteggiamento del leader sovietico probabilmente ha un duplice
valore: “teatrale” per gli oppositori interni e “continuista” per quanto riguarda le dinamiche del rapporto
con gli Usa. Chruscev infatti portava avanti una politica di competizione aspra con Washington, ma allo
stesso tempo cercava di trovare dei punti di convergenza in modo tale che la situazione non gli sfuggisse
di mano. Intanto nella Germania democratica la situazione si faceva sempre più complessa con il continuo
esodo della popolazione rafforzato anche dalle drastiche misure adottate dal governo di Ulbricht.
Chruscev riprese l'iniziativa rispetto al trattato di pace i primi di gennaio del 1961 probabilmente con
l'intenzione di sfruttare la transizione tra Eisenhower e Kennedy. Il nuovo presidente statunitense rispose
in febbraio (all'indomani del fallimento dello sbarco a Cuba di forze anti-castriste) proponendo un
incontro a Vienna nel mese di giugno che però non portò a nessun progresso: da parte statunitense si era
preso atto di come la rinuncia a Berlino sarebbe stata intesa come un segnale di debolezza sia dagli alleati
che dai sovietici; da parte sua Chruscev riproponeva l'ultimatum cercando di sfruttare le difficoltà in cui si
trovava Kennedy. Nel mese di luglio Kennedy annunciò che gli Usa stavano rafforzando la propria forza
convenzionale e militare in modo considerevole: avviava così un'offensiva di immagine che entro la fine
del 1962 avrebbe fatto uscire il paese dalla paura della superiorità missilistica sovietica. Il 3 agosto 1961
ad una riunione del Patto di Varsavia Ulbricht rinnovò le sue richieste per un immediato trattato di pace e
per il riconoscimento alla Germania democratica di uno status internazionale pienamente legittimo. È
interessante cogliere come il leader tedesco si muova in un modo che sembra indipendente da Mosca e
ben più deciso (ad es. decidendo di imporre controlli agli ufficiali occidentali a Berlino senza prima
consultare Mosca): a tal proposito va tenuto presente che Ulbricht riteneva che la presunta superiorità
missilistica sovietica consentisse spazi di manovra ben più ampi di quello che in realtà erano. Il dibattito
si orientò verso la ricerca di un compromesso e la proposta di costruire un muro che impedisse la
migrazione verso la Germania occidentale attraverso la città di Berlino può appunto essere vista come un
compromesso fra l'intransigenza di Ulbricht e la cautela di Chruscev. Il 13 agosto le autorità di Berlino est
iniziarono a costruire una serie di barriere che divennero presto il muro che avrebbe diviso la città nei
decenni successivi. Da parte statunitense la divisione della città appariva senza dubbio come una brutta
soluzione ma necessaria al fine di evitare esiti peggiori. Era la conferma che la situazione di Berlino non
poteva essere modificata, che la parte occidentale della città non poteva essere toccata senza correre rischi
troppo grandi e che la Germania orientale doveva chiudersi dentro il proprio confine come contromisura
per la sua instabilità.
In generale è possibile considerare come la politica di Chruscev risulti meno lineare, più altalenante
rispetto a quella di Stalin. Ciò può essere ricondotto a due fattori:
 la relativa superiorità nucleare sovietica, presunta o reale ma comunque momentanea;
 il fatto che la Cina comunista seguisse una linea molto più intransigente nel confronto con gli Usa e
sentisse la presunta superiorità nucleare sovietica come una garanzia.
L'America latina
L'America centrale e meridionale era sempre stata un'area prioritaria della politica estera statunitense,
compresa nella dottrina Monroe del 1823 con la quale gli Usa delimitavano all'emisfero occidentale l'area
dei loro principali interessi, area in cui avevano agito in modo piuttosto diretto. In un contesto di
contrapposizione e di contenimento dell'Urss diveniva cruciale garantire che anche quest'area fosse
protetta da eventuali infiltrazioni comuniste. Già nel 1948 la Conferenza interamericana di Bogotà aveva
dichiarato il comunismo come incompatibile con la libertà americana, ma quando Eisenhower arrivò alla
casa bianca cercò di avviare una politica più attiva inviando il fratello a compiere un viaggio esplorativo
in America latina: il risultato fu il maturare dell'idea per cui era necessario migliorare le relazioni con i
vari paesi e sollevarne le condizioni economiche (sempre sulla base dell'idea che condizioni economiche
di disagio favorissero l'affermarsi del comunismo) attraverso una politica di cooperazione economica. La
prime preoccupazione di Washington riguardarono il Guatemala, ove il presidente Arbenz aveva
intrapreso una politica di riforma agraria in contrasto con gli interessi di alcune multinazionali statunitensi
(prima tra tutte la United Fruit Company): inizialmente il dipartimento di stato non si allarmò
eccessivamente, si affermò poi l'idea che Arbenz fosse troppo vicino a posizioni comuniste e l'azione di
lobbyng della United Fruit ebbe qualche effetto. Tra la fine del 1953 e l'inizio del 1954 Eisenhower
ordinò alla Cia di iniziare a preparare i piani per far cadere il governo guatemalteco, il colonnello Armas
sarebbe stato il successore. In aprile l'operazione era predisposta, in maggio un carico di armi
cecoslovacche arrivò in Guatemala: Arbenz voleva cercare di armare una milizia popolare essendo
consapevole della dubbia fedeltà delle forze armate e di quanto si stava tramando ai suoi danni. Gli Usa
colsero l'occasione per avviare le operazioni e, con il sostegno del Nicaragua, il presidente guatemalteco
venne deposto e sostituito dal colonnello Armas.
La crisi di Cuba
A partire dal 1952 Cuba è governata dal regime autoritario di Fulgencio Batista nei confronti del quale
cresce sempre più il malcontento e l'opposizione. In particolare si svilupparono due filoni di oppositori:
uno di ispirazione democratico-nazionalista, l'altro di ispirazione rivoluzionaria che troveranno poi
l'unificazione nel castrismo. Fidel Castro già nel 1953 organizzò un tentativo insurrezionale che si
concluse con un fallimento e l'arresto seguito poi dall'amnistia e dalla fuga in Messico. Qui organizzò un
altro tentativo che si concretizzò con lo sbarco a Cuba nel novembre del 1956, anche in questo caso
l'azione fu un fallimento ma Castro e i suoi riuscirono a sottrarsi alla repressione di Batista rifugiandosi
sulla Sierra Maestra, ove riorganizzarono le forze e iniziarono la lotta contro la dittatura. Il 1 gennaio
1959 le forze di Castro entravano a l'Avana e Batista abbandonava l'isola. Il nuovo governo si impegnò
subito in una serie di campagne a favore dell'alfabetizzazione e dell'assistenza sanitaria, mentre
incominciò a trovare difficoltà e divisioni interne in merito ad alcune questioni economico-sociali e in
particolare alla riforma agraria. Gli Usa riconobbero subito il nuovo governo che godeva di simpatie
soprattutto negli ambienti liberal, anche se i servizi segreti iniziarono presto a mettere in guardia
l'amministrazione dalle presenze comuniste all'interno del gruppo di Castro provocando un atteggiamento
più cauto e rigido. Castro rispose con la nazionalizzazione (senza indennizzo o con indennizzo simbolico)
dei beni appartenenti a imprese statunitensi mentre si avviava un massiccio esodo dall'isola diretto verso
la Florida a cui presero parte le forze ostili al nuovo regime. Nel febbraio del 1960 Mikojan visitò Cuba e
firmò un accordo in base al quale l'Urss avrebbe comprato zucchero ad un prezzo di favore in cambio di
un prestito. Cuba stava divenendo un nuovo teatro della competizione tra Usa e Urss e la sua posizione
rendeva la cosa estremamente preoccupante agli occhi dell'amministrazione Eisenhower. Il presidente
intraprese un viaggio in America latina raccogliendo un certo consenso. Nel mese di giugno il
dipartimento di stato propose di attuare un embargo verso Cuba e il mese successivo la misura venne resa
operativa. Castro si appellò al Consiglio di Sicurezza contro quella che venne definita “aggressione
economica” ottenendo l'appoggio sovietico. Nella fase finale dell'amministrazione Eisenhower e nei primi
mesi della presidenza Kennedy i rapporti tra Usa e Cuba si deteriorarono ulteriormente: gli Usa cercarono
la solidarietà interamericana, Cuba riconobbe la Repubblica popolare cinese, i sovietici iniziarono ad
inviare aiuti ai cubani e nel gennaio del 1961 alla richiesta cubana di ridurre il personale nell'ambasciata
statunitense, Washington rispose con la rottura delle relazioni diplomatiche. Kennedy cercò di avviare
una vasta azione volta ad attuare un'intensa collaborazione economica con l'America latina e ad isolare
Cuba. Al tempo stesso il nuovo presidente approvò un piano predisposto dall'amministrazione precedente
che prevedeva lo sbarco di circa 1200 esuli cubani sull'isola con l'intento di rovesciare Castro.
L'operazione si svolse in aprile ma si concluse con un fallimento: Kennedy cercò di negare il
coinvolgimento statunitense ma questo era palese e gli Usa subirono una dura perdita di prestigio. Il 1
maggio Castro dichiarò che Cuba era una repubblica socialista. Dal punto di vista diplomatico gli Usa
crearono l'Alianza para el progreso, una serie di aiuti destinati a tutti i paesi latino-americani tranne Cuba
con l'intento di evitare la diffusione del comunismo. Fin dall'inizio gli Usa iniziarono a ventilare l'ipotesi
che sul territorio cubano fossero schierate armi nucleari sovietiche: ciò significava creare una situazione
simmetrica rispetto a quella rappresentata dai missili americani schierati in Europa e in grado di colpire
l'Urss; in altre parole gli Usa sarebbero stati vulnerabili ai missili (anche solo a gittata intermedia)
schierati a Cuba. Inoltre gli statunitensi stavano predisponendo il ritiro dei missili Thor e Jupiter da Italia,
Turchia e Gran Bretagna a favore di un sistema di missili Polaris installati sui sottomarini, tuttavia ciò era
appena delineato e non era noto a Mosca. L'idea di installare missili a Cuba si sviluppò nell'aprile-maggio
del 1962 con l'intento di proteggere l'avamposto del comunismo rappresentato dal regime di Castro,
bilanciare la superiorità nucleare statunitense e far credere a Washington che l'offensiva diplomatica
lanciata contro Berlino stesse continuando in altre forme. Nel luglio 1962 Raul Castro, poi seguito da
Guevara, si recò a Mosca dove venne predisposto un trattato in base al quale si sarebbero inviati a Cuba
missili e personale militare. Le prime notizie di movimenti superiori al normale giunsero a Washington
nel mese di agosto ma solo i primi di ottobre si ebbe la certezza di quanto stava accadendo grazie ai rilievi
fotografici degli U-2. Il 16 ottobre venne creato un comitato per affrontare la crisi di cui facevano parte il
presidente Kennedy, Dean Rusk (segretario di stato), Robert McNamara (segretario della difesa), Robert
Kennedy (ministro della giustizia) e altri... Per gli Usa si poneva il problema non solo di un mutato
equilibrio in termini di forze non convenzionali, ma anche di credibilità della loro azione e di solidità
della Nato. Il 22 ottobre Kennedy dichiarò la creazione una linea di “quarantena” attorno a Cuba al fine di
impedire il passaggio a navi sovietiche che portassero armamenti, contemporaneamente Acheson veniva
inviato in Europa per informare gli alleati e per cercare solidarietà (non per consultarsi). I sovietici
reagirono con due ricorsi al Consiglio di Sicurezza che però non ebbero alcun esito e tra i consiglieri di
Chruscev non mancò chi consigliava un'azione di forza. In una situazione di crescente tensione era
necessario trovare una via d'uscita e una serie di reciproche concessioni. Il 26 ottobre Chruscev inviò una
lettera privata a Kennedy in cui dichiarava di poter garantire che le navi sovietiche dirette a Cuba non
trasportavano armamenti e di rimuovere i missili già installati qualora gli Usa garantissero di non cercare
di invadere l'isola. Immediatamente dopo il leader sovietico scrisse un'altra lettera (27 ottobre) nella quale
si chiedeva il ritiro dei missili statunitensi schierati in Turchia. Kennedy rispose pubblicamente alla prima
lettera accettando calorosamente la proposta sovietica e lasciando intendere che si sarebbe potuto trovare
un accordo anche su “altri armamenti”, infatti già il 27 ottobre stesso si discusse con l'ambasciatore
sovietico a Washington la possibilità di rimuovere i missili dalla Turchia. Si raggiungeva così una
scambio di concessioni pressoché uguali. Il 28 ottobre la fase più difficile della crisi poteva dirsi superata.
Gli eventi ebbero una certa influenza in Europa occidentale: la gestione esclusivamente bipolare della
crisi spinse Francia e Germania ad avviare un processo di rapido avvicinamento sancito dal trattato
franco-tedesco del 22 gennaio 1963. La rimozione dei missili dall'Europa e il progetto di un sistema
difensivo basato su sottomarini nucleari e missili Polaris cambiava i termini del confronto. Ovviamente
ciò comportava un “disimpegno” statunitense e la possibilità di reagire in modo più elastico ad un'azione
sovietica rispetto al sistema basato sui missili Jupiter e Thor e si cercava di far fronte alle ambizioni
nucleari degli alleati europei (ad es. la force de frappe francese). D'altra parte esposti per la prima volta al
rischio di un attacco nucleare massiccio gli Usa si apprestavano ad abbandonare la dottrina della massive
retaliation a favore di quella basata sulla risposta flessibile che venne elaborata da McNamara e che
prevedeva una reazione progressiva ad un attacco sovietico, partendo dalle armi convenzionali, per poi
passare a quelle nucleari tattiche e infine a quelle nucleari strategiche.
L'integrazione europea
Il fallimento della Ced aveva mostrato i limiti dell'integrazione europea, tuttavia gli stati dell'Europa
occidentale stavano vivendo un momento di grande crescita economica e la minaccia sovietica continuava
ad essere percepita. La necessità di rimuovere i limiti all'espansione economica legati alle singole
economie nazionali e l'esigenza di far fronte agli equilibri globali permisero il rilancio dell'integrazione
europea. Uno dei protagonisti fu Monnet che nei primi mesi del 1955 presentò i suoi piani per uno
sviluppo della Ceca in altri settori e per la creazione di un organismo che gestisse lo sfruttamento
dell'energia atomica per scopi pacifici. Le proposte furono poi rilanciate da Spaak (ministro degli esteri
belga) e Beyen (ministro degli esteri olandese). Nel giugno del 1955 la conferenza dei ministri degli esteri
della Ceca tenuta a Messina portò ad approvare una dichiarazione favorevole all'integrazione europea e
alla creazione di un mercato comune. In questa direzione continuarono poi i lavori della stessa conferenza
riunitasi a Venezia nel maggio 1956. La Gran Bretagna assisteva da fuori, intenta a gestire la sua
posizione tra la relazione con gli Usa, quella con l'Europa continentale e il sistema delle preferenze
imperiali. Il 25 marzo 1957 vennero firmati a Roma i trattati della Cee e dell'Euratom, entrambi ratificati
da tutti e sei gli stati coinvolti (Francia, Germania federale, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo) entro
l'anno ed entrati in vigore dal 1 maggio 1958. Il trattato della Cee prevedeva una progressiva creazione
del mercato comune partendo da una prima fase di 12 anni (estendibile a 15) e poi attraverso fasi
successive della durata di 4 anni. Il trattato dell'Euratom prevedeva la messa in comune delle risorse
scientifiche, tecniche e materiali per lo sfruttamento dell'energia atomica. Dal punto di vista statunitense
questo poteva essere un buon modo per mantenere un certo controllo sulla Germania e garantirsi il
controllo dell'uso militare dell'energia atomica. Fin dagli anni precedenti la Francia aveva avviato un
programma nucleare nazionale con la prospettiva di rendervi partecipi anche Germania e Italia, sarà con il
ritorno al potere di De Gaulle nel novembre del 1958 che tale programma acquisterà un carattere
sostanzialmente nazionale. Inoltre il leader francese iniziò a proporre un nuovo modello di integrazione
europea, criticando aspramente l'assenza di responsabilità dei burocrati e chiedendo un maggiore
controllo politico da parte dei singoli paesi membri della Cee. Avanzò poi la proposta di un direttorio
euro-atlantico composto da Usa, Gran Bretagna e Francia. Nel corso del 1962 gli eventi connessi alla crisi
di Cuba e all'enunciazione della dottrina della risposta flessibile aumentarono la legittimità delle pretese
francesi ad avere una propria forza nucleare. La Germania occidentale intanto non nascondeva le sue
preoccupazioni: il cambio di prospettiva strategica di Washington rischiava di trasformare il paese nel
principale campo di battaglia tra i due blocchi. L'atteggiamento reticente dei britannici verso
l'integrazione europea iniziò a mutare tra il 1960 e il 1961: il governo Macmillan riteneva utile avvicinarsi
alla Cee mantenendo però la special relationship con Washington e il sistema delle preferenze imperiali
ma la cosa non era assolutamente priva di difficoltà. La Gran Bretagna avrebbe potuto porsi come ponte
tra Usa ed Europa occidentale, Mcmillan comprese come il fattore nucleare avesse un'importanza
cruciale: Londra avrebbe dovuto ammorbidire le posizioni di Kennedy in merito al programma nucleare
francese e in cambio Parigi avrebbe dovuto accettare la Gran Bretagna nella Cee. In realtà il premier
britannico non riuscì a influenzare ne i francesi ne gli statunitensi. Nell'agosto del 1961 la Gran Bretagna
presentò la domanda per iniziare i negoziati per l'adesione alla Cee, chiedendo che si tenesse conto del
sistema delle preferenze imperiali. Va poi tenuta presente l'importanza della special relationship
soprattutto per quanto riguarda gli armamenti nucleari, campo in cui si era registrata una collaborazione
anglo-americana piuttosto intensa che aveva portato gli Usa a promettere la vendita di missili Skybolt ai
britannici. Tuttavia il progetto relativo a tale missili aveva incontrato una serie di fallimenti e McNamara
iniziò a pensare di annullare il programma. Nel dicembre del 1961 Kennedy e Mcmillan si incontrarono a
Nassau nelle Bahamas e il premier britannico si sentì dire che il programma Skybolt sarebbe rimasto
attivo solo a patto che la Gran Bretagna contribuisse a parte delle spese e che la produzione fosse
destinata alle sole esigenze britanniche. L'offerta di Kennedy risultava umiliante e quindi in alternativa
venne proposta la concessione di missili Polaris purché le unità britanniche dotate di tali armi fossero
inserite nel sistema difensivo della Nato e possibilmente nel progetto di una forza multilaterale
(multilateral force). Inoltre i due si accordarono per trovare una soluzione con la Francia sulla base
dell'iniziale proposta britannica. In Francia però si era giunti a pensare che l'adesione britannica alla Cee
presentasse più problemi che vantaggi: si trattava infatti di includere nella Comunità un paese troppo
legato agli Usa. Da questo punto di partenza è possibile comprendere le prese di posizione di De Gaulle:
il 14 gennaio del 1963 egli espose la sua contrarietà all'ingresso della Gran Bretagna nella Cee, il 22
gennaio venne firmato un trattato di collaborazione con la Germania federale. Tale trattato rappresentava
per De Gaulle il progetto di non lasciare la sicurezza europea nelle soli mani statunitensi e la
preoccupazione per il desiderio di trovare un accordo con i sovietici che egli ravvisava nella politica di
Washington; per Adenauer il trattato, lungi dal rappresentare una minaccia per l'amicizia con gli Usa, era
invece un modo per fare pressione sull'amministrazione statunitense perché non cedesse sulla questione
tedesca. In realtà quando il trattato venne sottoposto alla ratifica del parlamento tedesco venne approvato
un preambolo in cui si riconosceva la necessità di risolvere i problemi di difesa all'interno del quadro
atlantico. Il trattato veniva così privato di gran parte del suo significato e la Francia rimaneva piuttosto
isolata. Gli sforzi statunitensi per promuovere la forza multilaterale continuarono anche dopo la morte di
Kennedy (22 novembre 1963) ma non portarono a nessun risultato significativo e la nuova
amministrazione Johnson non riuscì a dedicare grande attenzione alla situazione europea a causa di
problemi interni e del sempre più massiccio intervento in Viet Nam. Nel 1965 il progetto di forza
multilaterale venne definitivamente abbandonato. I problemi europei rimanevano comunque irrisolti,
infatti nel marzo del 1966 la Francia annunciò il suo ritiro dal comando integrato della Nato (rimanendo
comunque legata politicamente all'alleanza). Era chiaro che i problemi posti dai francesi non potevano
essere semplicemente elusi.
La guerra del Viet Nam
Gli accordi di Ginevra del 1954 avevano diviso il Viet Nam in due parti ma nessuna delle due rispettò le
clausole degli accordi. Le libere elezioni previste non avvennero e sia al nord che al sud la
preoccupazione principale rimaneva quella di rafforzare il regime esistente. Il governo di Hanoi ricevette
aiuto sia dai sovietici che dai cinesi, nei primi anni Sessanta si avvicinò alla Cina ma poi assunse una
posizione equidistante e infine filo-sovietica. Il governo filo-americano di Saigon invece era guidato da
Ngo Dinh Diem, un cattolico del vecchio ceto dominante, scarsamente legittimato agli occhi della
popolazione e costretto ad affrontare le infiltrazioni comuniste provenienti dal nord. La situazione che si
andrà delineando appare diversa da quella coreana per diversi motivi: innanzitutto il regime sudcoreano
godeva di una certa legittimazione, in Corea vi erano effettivamente due paesi distinti mentre nel Viet
Nam anche a sud vi erano consistenti forze che agivano contro il regime di Diem; infine la crisi coreana
scoppiò in un momento in cui la contrapposizione tra Usa e Urss era ancora molto fluida. Per gli Usa gli
effetti di un'eventuale perdita del Viet Nam del sud sono esemplificati dalla cosiddetta teoria del domino:
se fosse caduta una tessera (uno stato) sarebbero via via caduti tutti gli altri aprendo la strada al
comunismo verso aree in cui gli interessi statunitensi erano di importanza vitale. Inizialmente il regime di
Diem parve essere un buon antidoto alla diffusione del comunismo, tuttavia presto emersero grossi limiti:
autoritarismo, inefficienza e corruzione ne divennero i tratti essenziali rendendo Diem una figura
imbarazzante per Washington. Dal 1957 poi erano riprese le infiltrazioni dei vietcong del Fronte
nazionale di liberazione, in cui i comunisti avevano un peso predominante (ma non esclusivo). Kennedy
ereditava quindi una situazione particolarmente complessa da gestire. Anche in Laos la situazione si stava
facendo complicata con le forze comuniste che avevano assunto l'iniziativa: nel marzo del 1961 Kennedy
dichiarò chiaramente che gli Usa non avrebbero tollerato l'affermarsi di un regime comunista. L'iniziativa
anglo-sovietica di una conferenza internazionale sul Laos portò a qualche risultato temporaneo ma nel
giugno del 1962 la guerra civile era ripresa e la situazione si intrecciava strettamente con quella del Viet
Nam dato che in Laos passava il cosiddetto “sentiero di Ho Chi Minh” che permetteva ai vietcong di agire
nel Viet Nam del sud. Nel maggio del 1961 il vicepresidente Johnson fu inviato in Viet Nam al fine di
studiare la situazione e maturò l'idea che fosse necessario incrementare gli sforzi statunitensi per
fronteggiare il comunismo avallando la teoria del domino. Due strade vennero intraprese: quella dell'invio
di consiglieri militari e quella dell'intervento nella politica agricola, in particolare con la creazione dei
cosiddetti “villaggi strategici”. Nel corso del 1962 la presenza militare statunitense in Viet Nam crebbe
fino ad arrivare a 10.000 consiglieri nel mese di ottobre, tuttavia verso la fine dell'anno emergeva con
sempre maggiore chiarezza l'incapacità e l'inaffidabilità di Diem, il cui apparato repressivo colpiva anche
i religiosi buddisti. A Washington si andava delineando l'idea per cui vista l'impossibilità di esercitare
un'influenza positiva su Diem non rimaneva altra alternativa che toglierlo di mezzo, ed è ciò che avvenne
che il colpo di stato attuato tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre del 1963. L'operazione si rivelò poi
particolarmente violenta e portò alla morte di Diem e di personalità a lui vicine mettendo gli Usa in una
posizione piuttosto difficile. Il potere fu assunto da una giunta militare guidata da Duong Van Minh con
Nguyen Ngoc Tho (già vice di Diem) come vicepresidente. Dopo la morte di Kennedy il nuovo
presidente Johnson si trovò a dover affrontare una situazione particolarmente deteriorata: i rapporti con la
Cambogia stavano peggiorando e i vietcong aveva ripreso un'intensa attività. Johnson non poté che
continuare la politica del suo predecessore inviano nuove forze in Viet Nam. La svolta maturò nell'estate
del 1964 quando si incontrarono a Honolulu il generale Westmoreland (a capo delle forze americane in
Viet Nam), Lodge (ambasciatore a Saigon), Taylor (che sarebbe succeduto poco dopo a Lodge),
McNamara e Rusk. Si valutò l'importanza di chiarire gli obiettivi al fine di contenere il malcontento di
un'opinione pubblica che non capiva perché si stesse combattendo e la necessità di uno sforzò
diplomatico per ampliare l'appoggio dei paesi vicini. Il 2-3 agosto si verificò l'incidente del Tonchino in
cui vengono coinvolte due unità navali statunitensi (secondo alcuni provocato deliberatamente per
agevolare il sostegno del senato al presidente). Il 5 agosto venne presentato al senato un progetto di
risoluzione in base al quale gli Usa erano pronti a fare tutto il necessario per garantire la sicurezza del
sud-est asiatico: venne approvato con un voto bipartisan a cui si opposero in pochissimi. Il 3 novembre
Johnson vinse le elezioni trovandosi così in una posizione di particolare forza. In Viet Nam però la
situazione peggiorava significativamente e i vietcong avevano assunto il controllo di gran parte del sud
(eccetto Saigon e le aree protette da basi statunitensi). Nel mese di dicembre del 1964 vennero approvati i
piani per bombardare il Viet Nam del nord al fine di colpire le basi della guerriglia comunista e di far
sentire al regime del nord il peso della guerra. Nel luglio 1965 vennero inviati in Viet Nam altri 75.000
uomini, alla fine del 1967 oltre 500.000 militari statunitensi erano impegnati nella guerra. In effetti il
massiccio impiego di forze permise di riconquistare alcune posizioni perdute e Nguyen Van Thieu e
Nguyen Cao Ky, i nuovi leader giunti al potere con un altro colpo di stato, sembravano voler
democratizzare il loro regime. Negli Usa però la situazione si faceva complessa: l'opinione pubblica si
trovava di fronte ad una guerra combattuta lontano e la cui atrocità era portata nelle case di tutti dai massmedia: risultava difficile comprenderne gli obiettivi e veniva meno quell'elemento di moralità che
solitamente contraddistingueva la politica estera degli Usa; d'altra parte anche alcuni esponenti
dell'amministrazione iniziavano a dubitare dell'impegno in Viet Nam, e lo stesso McNamara abbandonò
la carica di segretario della difesa per divenire presidente della Banca Mondiale. Il 31 gennaio 1968 (in
occasione della festa del Tet) le forze comuniste lanciarono una decisa offensiva, contenuta e respinta
dalle forze statunitensi e sud-vietnamite. Una chiara sconfitta militare per i vietcong, ma la situazione
interna degli Usa non permetteva di sfruttare la vittoria. Il 31 marzo 1968 Johnson affermò che il peso
della guerra era sempre maggiore e propose l'avvio di negoziati decretando la parziale sospensione dei
bombardamenti sul Viet Nam del nord; infine annunciò di non volersi ricandidare alle elezioni
presidenziali. A fine aprile Harriman venne scelto (senza consultare Saigon) come capo della delegazione
che avrebbe dovuto negoziare con i nord-vietnamiti a Parigi, questi ultimi però rifiutarono l'inizio dei
negoziati finché gli statunitensi non sospesero completamente i bombardamenti sul loro territorio, cosa
che avvenne nel mese di ottobre. I negoziati tuttavia continuarono lentamente e con molte difficoltà:
Washington chiedeva che Hanoi riducesse gli aiuti ai vietcong e l'ingresso nel negoziati dei rappresentanti
di Saigon e del Fronte nazionale di liberazione rese tutto ancor più complicato. La vittoria di Nixon
riportò al potere i repubblicani e la nuova amministrazione, la cui politica estera si basava sulla coppia
Nixon-Kissinger, cercò in primo luogo di “vietnamizzare” il conflitto.
Un dibattito particolarmente acceso riguarda le responsabilità dell'escalation militare statunitense in Viet
Nam. È possibile considerare come questa sia lenta e graduale, iniziando con l'azione di Eisenhower che
si sostituisce ai francesi quando questi escono di scena per poi proseguire con Kennedy che invia i primi
consiglieri militari e per finire che Johnson che nel suo mandato portò la presenza militare statunitense in
Viet Nam a diverse centinaia di migliaia di unità.
Il conflitto sino-sovietico
I primi anni del periodo post-staliniano videro buoni rapporti sino-sovietici, la Repubblica popolare
cinese intendeva svolgere il proprio ruolo in Asia ma sempre in accordo con l'Urss e nel rispetto della sua
egemonia nel campo socialista. Nel giro di pochi anni però la situazione mutò significativamente,
soprattutto dopo il XX congresso del Pcus. Infatti Pechino iniziò a criticare ferocemente il revisionismo
sovietico e il riavvicinamento alla Jugoslavia di Tito, comunque tra il 1956 e il 1957 la tensione fu latente
tanto che si giunse nell'ottobre del 1957 ad un trattato di cooperazione nucleare. La conflittualità emerse
ben presto sia in merito a tematiche ideologiche sia in merito alle rivendicazione cinesi contro i confini
“zaristi” sovietici, per quanto concerne il confronto bipolare invece la Cina accusava l'Urss di voler
arrivare a spartirsi il mondo con gli Usa anziché combatterli in nome del comunismo. La crisi di Berlino
mostrò come Cina e Urss ormai avessero posizioni differenti e Mosca decise di annullare la cooperazione
nucleare, intimorita da un'eventuale Cina dotata di armi atomiche. Nel 1961 si compì la svolta filo-cinese
dell'Albania come risposta al riavvicinamento tra Mosca e Belgrado, mentre la Romania cercava di
trovare spazi di autonomia in questo contesto di contrapposizione tra le due potenze comuniste. Nel 1962
iniziò il conflitto sino-indiano per questioni territoriali. Nell'agosto del 1963 la firma del trattato di
interdizione di esperimenti nucleari nell'atmosfera fu visto da Pechino come un tentativo di escludere la
Cina dalle decisioni mondiali, la pari ostilità francese al trattato portò Parigi a riconoscere la Cina
popolare. Il 1964 fu l'anno del cambio della guardia in Urss con Chruscev che cedeva il posto a Kosygin e
Breznev: la nuova dirigenza sovietica avviò una linea che sostituiva allo scontro frontale un'azione più
misurata, riuscendo così a recuperare posizioni nei confronti dei regimi comunisti in Corea e Viet Nam
prima sbilanciati su posizioni filo-cinesi. Infine va valutato come la crescente conflittualità tra Urss e
Cina rappresentasse un'occasione per gli Usa, che in effetti si avvantaggeranno di tale situazione durante
la presidenza Nixon soprattutto dopo gli scontri militari verificatisi tra le due potenze comuniste lungo il
fiume Ussuri nel corso del 1969.
La presidenza Nixon
Nel novembre del 1968 Nixon vinse le elezioni presidenziali avviando un'amministrazione piuttosto
controversa. In effetti Nixon si trovò a dover affrontare questioni particolarmente delicate. Anzitutto era
divenuto presidente con la promessa di porre fine alla guerra del Viet Nam, ma vi erano anche la
questione mediorientale, l'ascesa di Allende in Cile e il probabile coinvolgimento statunitense nel golpe di
Pinochet e infine la necessità di portare avanti il processo di distensione con l'Urss. La politica estera di
quest'amministrazione non può essere compresa senza considerare il legame e la cooperazione tra Nixon e
Kissinger, con quest'ultimo che per un certo periodo iniziale non sarà segretario di stato ma solo
“assistente speciale” del presidente, che porterà a una serie di risultati di grande importanza nei settori
sopracitati. L'aspetto negativo solitamente ricordato è quello relativo alla “mania” di segretezza che
raggiungerà, dopo la diffusione della relazione McNamara sul Viet Nam, livelli patologici e porterà a
controllare e spiare in modo illegale un numero enorme di collaboratori, politici, giornalisti... Lo scandalo
Watergate nel 1972 dovuto proprio a questa mania farà si che il presidente Nixon debba gestire gli ultimi
due anni della sua amministrazione (fino al 1974) con un congresso ostile e con il procedimento di
impeachment avviato.
La fine della crisi vietnamita
Johnson aveva avviato i negoziati di Parigi e iniziato la vietnamizzazione della guerra, tuttavia era solo
l'inizio e spettava all'amministrazione Nixon portare avanti tali azioni al fine di tirar fuori gli Usa da una
guerra che ormai era divenuta un peso insostenibile dal punto di vista umano, politico ed economico. Si
trattava sostanzialmente di disimpegnare le forze statunitensi senza rinunciare agli obiettivi politici,
concretamente ciò significava rendere autosufficienti le forze sud-vietnamite e allargare le basi di
consenso su cui poggiava il regime di Saigon. I negoziati però si rivelarono particolarmente difficili sia
per la convinzione delle forze comuniste di aver ormai vinto la guerra sia per i complessi rapporti tra Usa
e Viet Nam del sud. Nel frattempo gli scontri continuavano e le forze statunitensi colpirono ripetutamente
obiettivi in Laos e in Cambogia dove venne anche appoggiato un colpo di stato. Dopo le elezioni
presidenziali del novembre 1972 gli Usa ripresero la loro campagna aerea e Hanoi finì per accettare il
cessate il fuoco firmato il 27 gennaio 1973 a Parigi. Nel corso del 1973 poi il congresso degli Usa
approvò il war powers act in cui si limitavano i poteri del presidente nella gestione delle crisi: lo
schieramento di forze statunitensi avrebbe dovuto avere una durata massima di 60 giorni se non vi fosse
stato l'avvallo del senato. In realtà in Viet Nam gli scontri continuavano, le forze comuniste lanciarono
l'offensiva finale all'inizio del 1975 e nel mese di aprile entrarono a Saigon. La politica estera statunitense
si trovava sempre di più a muoversi lungo due binari: quello della sicurezza nazionale e quello degli
obiettivi ideali, binari che spesso divergono come nel caso del sostegno al regime di Pinochet in Cile.
La distensione
Il campo nucleare fu quello in cui la competizione tra Usa e Urss fu più evidente e quindi fu più evidente
anche l'avvio di un periodo di distensione che toccò la punta massima durante la presidenza Nixon. Già
nell'agosto del 1963 vi era stato il trattato che proibiva gli esperimenti nucleari nell'atmosfera (con la
contrarietà francese e cinese); nel gennaio 1967 un altro trattato riguardava l'uso di armi nucleari nello
spazio, sulla luna e su altri corpi celesti. Il risultato principale fu però la firma nel luglio del 1968 del
Trattato di non proliferazione degli armamenti nucleari, promosso dall'Onu e fatto proprio dalle due
potenze solo quando ne avevano percepito l'utilità. Nei mesi precedenti negli Usa si era iniziato a parlare
di “mutual assured destruction” e di come una competizione portata a livelli estremi non fosse sostenibile
e divenisse priva di senso, si doveva quindi procedere ad una regolamentazione; si inseriva poi nel
dibattito la questione dei Mirv (missili a testata multipla) e dei sistemi anti-missile; i sovietici guardavano
con preoccupazione al programma atomico cinese (nel 1964 vi era stato il primo esperimento). In questo
senso Mosca e Washington colsero l'utilità del trattato, si trattava infatti di un accordo con cui gli stati
nucleari si impegnavano a non trasferire armi atomiche a chi non ne possedeva e questi ultimi si
impegnavano a non possederne. Fu comunque con l'elezione di Nixon che fu possibile dare il via alla
distensione vera e propria: il periodo tra il 1969 e il 1974 infatti rappresenta una svolta nella storia delle
relazioni tra Usa e Urss. Un elemento cruciale di questa fase fu l'introduzione della Cina nel confronto tra
grandi potenze. Il riconoscimento della Cina e comunista e la sua ammissione al Consiglio di Sicurezza
nel momento in cui tra Pechino e Mosca le relazione era particolarmente difficili significava per gli Usa
ottenere una serie di vantaggi considerevoli: ad esempio il relativo isolamento di un Viet Nam sempre più
su posizioni filo-sovietiche o la possibilità di affacciarsi in alcune aree del terzo mondo senza essere
considerati imperialisti e nemici dello sviluppo per eccellenza. Già nel gennaio del 1967 Johnson aveva
lanciato la proposta per un negoziato sulla limitazione degli armamenti nucleari (Salt), la risposta
sovietica fu abbastanza generica, indice della volontà degli ambienti militari di non trattare con gli Usa
finché l'Urss fosse stata in una posizione di debolezza. Dopo la firma del trattato di non proliferazione ci
fu un'ondata di ottimismo e una maggiore disponibilità sovietica, tuttavia la crisi cecoslovacca bloccò
tutto. Solo nel novembre del 1969 ebbero inizio i negoziati a Helsinki che si protrassero, con qualche
difficoltà, fino alla firma del trattato il 26 maggio 1972. Il trattato fissava i limiti massimi entro i quali le
due potenze si sarebbero dovute mantenere e la possibilità per ciascuna di creare due sistemi anti-missili
balistici, uno a difesa della capitale e uno a difesa di un'altra area. Inoltre Nixon e Breznev firmarono una
serie di protocolli relativi ad altri temi: scambi commerciali, collaborazione nel campo della ricerca, delle
esplorazioni spaziali, della protezione dell'ambiente... Venne data poi una certa importanza alle
consultazioni tra Mosca e Washington al fine di evitare che si arrivasse ad una guerra a causa di un
conflitto tra attori minori. Nel giro di poco tempo i due leaders si incontrarono altre tre volte, durante
l'ultimo incontro a Vladivostok fu raggiunto un primo accordo sul testo del trattato Salt II che prevedeva
il principio di parità fissando a 2400 il numero massimo di ordigni (di cui al massimo 1320 dotati di
testate multiple). Tuttavia si accettò definitivamente tale accordo di principio solo nel 1979 quando ormai
era presidente Carter, i principi vennero ribaditi ma era chiaro che il clima di distensione si andava
esaurendo. Il trattato non venne ratificato dagli Usa e l'invasione sovietica dell'Afghanistan rappresentò
l'argomento ufficiale per concludere questa fase.
L'ostpolitik tedesca
Due linee politiche principali caratterizzarono la Germania federale degli anni Sessanta: quella portata
avanti da Adenauer che mirava ad una posizione di rilievo in Europa raggiungibile attraverso il rapporto
con la Francia e quella che voleva rafforzare la politica atlantista ma allo stesso tempo intendeva aprirsi
verso est. Nell'ottobre del 1963 Adenauer rassegnò le dimissioni lasciando posto ad un governo
fortemente atlantista che aprì missioni commerciali in alcuni paesi del Patto di Varsavia senza però
contrastare nettamente con la dottrina Hallestein. La vera svolta si ebbe dopo il 1966 con la creazione di
un governo di coalizione tra cristiano-democratici e socialdemocratici in cui Willy Brandt ricopriva la
carica di vice-cancelliere e di ministro degli esteri. Egli fu il promotore dell'ostpolitik nella convinzione
che fosse necessario stabilire contatti più stretti con l'Europa orientale, la Germania doveva rimanere
legata alle sue alleanze occidentali ma la naturale tendenza della Germania verso est e il suo essere in
prima linea nello scontro bipolare imponevano l'abbandono della dottrina Hallenstein e l'avvio di una
nuova politica. Allo stesso tempo non significava rassegnarsi alla divisione della Germania ma fare in
modo che tale situazione potesse essere vissuta nel modo migliore. Nel 1967 vi fu il riconoscimento della
Romania, nel 1968 quello della Jugoslavia. Nel settembre 1969 Brandt divenne cancelliere di un governo
composto da liberali e socialdemocratici e avviò iniziative volte a stabilire un clima di maggiore
cooperazione con l'Urss, a definire la questione del confine lungo la linea Oder-Neisse con la Polonia e a
trovare degli accordi con la Germania democratica. Entro il 1972 questi obiettivi furono raggiunti. Se
l'idea di una cristallizzazione permanente dell'Europa sarebbe stata smentita dai fatti due decenni dopo,
l'ostpolitik di Brandt ebbe senza dubbio il merito di replicare a livello locale quello che avveniva tra Usa e
Urss a livello globale e di esercitare una certa attrazione verso occidente che costrinse i regimi comunisti
dell'Europa orientale ad adottare qualche misura di adeguamento.
La situazione in Medio Oriente dopo la crisi di Suez
Dopo il 1956 la regione mediorientale fu teatro di una divisione tra paesi filo-nasseriani (o comunque
ispirati al modello egiziano) e paesi conservatori come l'Arabia Saudita: la guerra dello Yemen fu il
principale esempio di questa contrapposizione. Negli anni Sessanta si vide poi un maggior
coinvolgimento di Usa e Urss in Medio Oriente. Washington doveva conciliare la necessità di stabilire
rapporti costruttivi con il mondo arabo e la volontà di assicurare la sopravvivenza di Israele. A Mosca
invece si guardava al Medio Oriente come una regione di importanza strategica fondamentale in quanto
avrebbe permesso la presenza sovietica nel Mediterraneo (soprattutto dopo la svolta filo-cinese
dell'Albania), dal punto di vista ideologico i sovietici sapevano che non era possibile esportare nel mondo
arabo la loro rivoluzione e quindi cercavano di raggiungere i loro obiettivi strategici attraverso uno
scambio: sostegno milatre ed economico in cambio dell'uso dei porti (è significativo che ¾ degli aiuti
sovietici diretti fuori dall'Europa siano destinati al Medio Oriente). La questione arabo-israeliana
rimaneva aperta e i paesi arabi, guidati dall'Egitto di Nasser, cercavano una rivincita che cancellasse le
due precedenti umiliazioni. Nel 1958 si era costituita la Repubblica araba unita (che univa Egitto e Siria)
ma si sciolse nel 1961, a partire dal 1963 iniziarono i negoziati per un progetto analogo che comprendesse
anche l'Iraq ma non si giunse a nulla. Inoltre una serie di accordi militari avevano portato alla creazione di
un comando arabo unificato. Tra la fine del 1966 e i primi mesi del 1967 la tensione crebbe parecchio: i
miliziani dell'Olp intensificavano i loro attacchi contro Israele partendo dai paesi vicini mentre il confine
siro-israeliano vide diversi scontri e incidenti. Alcune voci circa un imminente attacco israeliano contro la
Siria fatte circolare artificiosamente dai sovietici indussero Nasser a schierare le proprie truppe nel Sinai,
a chiedere il ritiro dell'Unef e poi a chiudere gli stretti di Tiran alle navi israeliane (22 maggio 1967).
Israele cercò l'appoggio statunitense ma si sentì dire che gli israeliani non sarebbero stati soli se non
avessero fatto da soli: un invito alla moderazione. Il 5 giugno 1967 le forze israeliane attaccarono l'Egitto
e poi la Giordania e la Siria dando inizio alla guerra dei sei giorni. Entro il 10 giugno le forze israeliane
avevano conquistato la striscia di Gaza, la penisola del Sinai, Gerusalemme est, la Cisgiordania e le alture
del Golan assestando una dura sconfitta alla coalizione araba. La risoluzione n. 242 dell'Onu che invitava
al ritiro delle forze israeliane e alla ricerca di una pace basata su confini riconosciuti e sicuri non ebbe
conseguenze e lungo il canale di Suez la conflittualità rimase particolarmente elevata. Israele assumeva
per gli Usa un'importanza strategica irrinunciabile. Nel periodo successivo una delle crisi principali fu
quella giordana: in Giordania infatti una cospicua presenza palestinese aveva costituito un potere tale da
rivaleggiare, spesso sostenuto dalla Siria, con quello della monarchia hascemita. Per questo motivo dopo
una serie di disordini le forze giordane attuarono una dura repressione contro i palestinesi con migliaia di
vittime e il loro trasferimento verso altri paesi arabi, primo tra tutti il Libano ove la presenza dei
palestinesi si inserì in una situazione già particolarmente precaria. In Siria nel 1970 si ebbe il colpo di
stato che portò al potere Assad e in Egitto la morte di Nasser vide salire al potere Sadat. Questo,
desideroso di ottenere una rivincita su Israele, chiese un maggior sostegno all'Urss e dopo il rifiuto ordinò
ai consiglieri militari sovietici di lasciare l'Egitto. Mosca era quindi costretta a continuare a sostenere
l'Egitto se non voleva che Sadat optasse per un avvicinamento agli Usa. Il 6 ottobre 1973 approfittando
dalla festa ebraica di Yom Kippur iniziò l'offensiva egiziana e siriana che in un primo momento vide
Israele in difficoltà ma in pochi giorni le forze israeliane avevano ribaltato la situazione arrivando
addirittura a minacciare il Cairo. Il 22 ottobre il Consiglio di Sicurezza ordinò il cessate il fuoco che
venne accolto dalle parti solamente dopo le minacce sovietiche e le pressioni statunitensi. Nei mesi
successivi Kissinger avviò un'azione diplomatica che permise di allentare la tensione nel Sinai e di creare
le condizioni per il raggiungimento di una pace israelo-egiziana. Durante la guerra dello Yom Kippur il
petrolio divenne un'arma formidabile: l'Opec che per la sua composizione era particolarmente sensibile al
problema attuò un boicottaggio contro Israele e i paesi occidentali che lo sostenevano innescando un
aumento dei prezzi del petrolio con conseguenze sull'economia globale.