Prof. Diego Manetti
Storia
IL NAZISMO
Il Biennio Rosso
Tra la fine del 1918 e il 1920 il movimento operaio visse una stagione di profonda avanzata
politica e di rivoluzionarie rivendicazioni animate dall’esempio di quanto accaduto in Russia dal
1917. Quello che va sotto il nome di biennio rosso fu un breve ma intenso periodo segnato da lotte
operaie che percorsero l’Europa, in taluni casi finendo per esser facilmente controllati dalle classi
dirigenti (come in Francia e Inghilterra), in altri casi divenendo invece veri e propri tentativi
rivoluzionari (come in Austria e in Germania).
Ovunque questi tentativi finirono però per essere stroncati, trovandosi in Europa una borghesia
molto più forte e organizzata di quella che in Russia aveva affrontato il partito bolscevico. L’azione
operaia si scisse così in quanti si riconoscevano nell’esempio comunista - aderendo alle linee
programmatiche della Internazionale Comunista o Comintern, nata nel 1919, terza associazione
successiva alla Prima (1864-1875) e alla Seconda (1889-1914) – e quanti invece preferivano la via
riformista predicata dai partiti socialisti.
La Repubblica di Weimar
E’ in questo contesto che si compiono i cambiamenti istituzionali che interessarono la Germania
dopo la pace di Versailles. Dopo l’armistizio, lo stato venne infatti a trovarsi in una situazione
tipicamente rivoluzionaria. Disgregatosi l’esercito, il governo legale era esercitato dal Consiglio
dei commissari del popolo, composto esclusivamente da socialisti. Nelle città i veri padroni
erano però i Consigli degli operai e dei Soldati (nati sull’esempio dei Soviet bolscevichi) che
aspiravano a una rivoluzione radicale, opponendosi alla linea moderata dei socialisti (PSD).
Questi ultimi contavano però sull’appoggio dell’esercito, cui avevano garantito che dalla
Costituente sarebbe sorto uno stato che avrebbe mantenuto la tradizionale struttura gerarchica delle
forze armate.
La frangia più rivoluzionaria del movimento operaio era incarnata dalla Lega di Spartaco (nucleo
originario del Partito Comunista tedesco) i cui dirigenti nel gennaio 1919 incitarono i lavoratori a
rovesciare il governo. La risposta operaia non arrivò; giunse invece la replica del governo
socialista che represse il movimento spartachista (grazie all’appoggio dei “corpi franchi”
composti da soldati smobilitati e organizzati dal Commissario alla Difesa, Gustav Noske)
uccidendone i leader Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.
Represso il movimento operaio, si andò al voto per l’Assemblea Costituente. Assenti i comunisti
per boicottaggio delle elezioni, il PSD, prima forza politica del Paese, dovette allearsi con il Centro
Cattolico per avere la maggioranza assoluta. Dal governo di coalizione a direzione
socialdemocratica emerse una nuova Costituzione, detta di Weimar (dal nome della città dove si
riunì l’Assemblea costituente che la elaborò; Weimar fu scelta per ragioni di discontinuità con la
Berlino imperiale). Quella varata all’inizio del 1919 era una costituzione democratica che
prevedeva il mantenimento della struttura federale dello Stato, il suffragio universale maschile e
femminile e l’elezione diretta del Presidente della Repubblica da parte del popolo.
Nella primavera del 1919 il moto rivoluzionario si riaccese, fondando una Repubblica dei
Consigli parallela, retta dai comunisti. Anche questa esperienza rivoluzionaria ebbe però vita
breve, presto stroncata dall’esercito governativo.
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Parallelamente, cresceva la minaccia da destra, incarnata da quei Corpi Franchi che tendevano a
dimenticare la promessa di lealtà alle istituzioni repubblicane per diffondere invece la leggenda
della pugnalata alla schiena, secondo la quale l’esercito tedesco avrebbe perso la guerra perché
tradito da una parte del Paese. Si gettava così discredito sul PSD, costretto a lasciare la direzione
del governo nel 1920 al Centro Cattolico.
La crisi del 1923
La frammentazione politica rappresentava una debolezza nella neonata Repubblica di Weimar. Il
partito più forte era il PSD (elettorato operaio), seconda forza era il Centro Cattolico (classi medie
e destra moderata). Nessuno dei due partiti poteva da solo conquistare la maggioranza assoluta.
Nel 1921 una commissione interalleata stabilì che la Germania avrebbe dovuto pagare 132 miliardi
di marchi-oro come spese di riparazione per la Grande Guerra in 42 rate annuali. In pratica, per
quasi mezzo secolo il Paese avrebbe rinunciato a circa il 25% del PIL.
Di questa situazione approfittò la destra nazionalista – fra cui il partito Nazionalsocialista guidato
da Adolf Hitler – per accusare la classe dirigente repubblicana di aver accettato supinamente le
imposizioni dei vincitori.
Per pagare tali riparazioni il governo dovette aumentare la stampa della carta-moneta, finché il
valore del marco precipitò per un rapidissimo processo inflazionistico che avrebbe dovuto mostrare
alle potenze vincitrici l’impossibilità della Germania di sostenere le spese di riparazione.
Traendo spunto dalla mancata corresponsione di alcune riparazioni, nel gennaio 1923 Belgio e
Francia inviarono truppe nel bacino minerario della Ruhr, al zona più ricca e industrializzata della
Germania, con l’obiettivo di sottrarla al controllo tedesco, spegnendo definitivamente ogni velleità
della Repubblica di Weimar di sottrarsi al pagamento delle riparazioni fissate.
Il governo incoraggiò al resistenza passiva: imprenditori e operai della Ruhr abbandonarono le
fabbriche, bloccando al produzione, mentre gruppi clandestini organizzavano attentati contro i
franco-belgi che reagivano con arresti e fucilazioni.
La resistenza passiva della Ruhr causò il definitivo tracollo delle finanze tedesche: il valore del
marco precipitò (un dollaro giunse a valere 4.000 miliardi di marchi nel novembre 1923). La
polverizzazione della moneta rovinò moltissimi risparmiatori, mentre avvantaggiò quanti
esportavano e si facevano pagare in valuta straniera.
La stabilità e lo “spirito di Locarno”
Nel momento di maggior crisi venne varato un nuovo governo di coalizione PSD-CC presieduto
Gustav Stresemann, leader del Partito tedesco popolare che, convinto della necessità di una intesa
con le potenze vincitrice, pose fine alla resistenza passiva della Ruhr e riallacciò contatti con la
Francia.
A Monaco intanto, tra l’8 e il 9 novembre 1923, venne ordito un complotto contro il governo,
capeggiato da Hitler che, arrestato, fu condannato a 5 anni di carcere (poi condonati in buona
parte).
Verso al fine dell’anno fu avviata una rigorosa politica deflazionistica per riportare la stabilità
monetaria.
I governi di centro destra tennero il potere fino al 1928, quando il PSD riassunse la direzione del
Paese. Stresemann rimase ministro degli Esteri fino al 1929. Si operò per trovare un’intesa con la
Francia (ministro degli Esteri: Aristide Briand) per la sicurezza comune, giungendo agli accordi di
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Locarno (1925) che prevedevano il riconoscimento da parte di Francia e Belgio delle frontiere
tedesche definite a Versailles. La Germania accettava la perdita di Alsazia e Lorena e per la
prima volta dopo la Grande Guerra diventava soggetto attivo di un trattato internazionale.
La normalizzazione delle relazioni fu sancita l’anno successivo (1926) quando la Germania venne
ammessa alla Società delle Nazioni. Il clima di distensione internazionale era però destinato a
durare poco: la crisi del 1929 si avvicinava a grandi passi e già nel 1930 la Francia avrebbe eretto
la poderosa linea difensiva Maginot lungo il confine tedesco che mostrava come lo “spirito di
Locarno” si fosse già esaurito.
La crisi delle democrazie
Gli anni Trenta rappresentano uno dei momenti più difficili per le democrazie europee. La crisi del
1929 e il successo del nazismo diffusero l’idea che i sistemi democratici avessero i giorni contati.
I movimenti fascisti si diffusero largamente, accomunati dall’accentramento del potere nelle mani
di un capo, dall’inquadramento delle popolazioni in organizzazioni di massa, dal controllo su
informazione e cultura e dalla scelta di una “terza via” in economia tra capitalismo e socialismo
(consistente nella soppressione della libera dialettica sindacale e nel rafforzamento dell’intervento
statale in economia).
Dove le dittature fasciste pretesero non solo di controllare la società ma di trasformarla
dall’interno nel nome della ideologia del regime, là si ebbero veri e propri totalitarismi (dominio
“totale” sulla società, oltre il puro controllo politico). Se Nazismo e Comunismo stalinista furono
dei totalitarismi, per il Fascismo italiano si può dire che lo fu più nelle intenzioni, limitandosi a
essere una dittatura che non riuscì a trasformare né identificare a sé la popolazione.
L’avvento del Nazismo
Nel 1923 il fallito colpo di stato di Monaco aveva portato in carcere Adolf Hitler, semisconosciuto
capo di un piccolo partito: Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (NSDAP). Hitler, di
origine austriaca, pittore mancato, solo 10 anni dopo avrebbe guidato il governo tedesco come
leader del primo partito del Paese. I motivi di questa ascesa risiedono nella capacità che Hitler
ebbe di sfruttare a suo favore le tre crisi che colpirono al Germania: quella del 1919 (fine della
guerra), quella del 1923 (inflazione e svalutazione del marco), quella del 1929 (crollo di Wall
Street e crisi delle economie europee).
Fino al 1929 il partito Nazionalsocialista (o Nazista, come veniva indicato) era minoritario e
fondava la sua forza sulla violenza delle SA (Sturm Abteilungen, “reparti d’assalto”) comandate
da Ernst Röhm. Dopo il fallito colpo di stato di Monaco Hitler aveva cercato di dare al partito un
volto più rispettabile e legale (come aveva fatto Mussolini inquadrando le squadre fasciste nella
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale – MVSN - nel 1923).
In carcere Hitler aveva scritto il Mein Kampf (La mia battaglia), manifesto programmatico del
nazismo: un’utopia nazionalista e razzista, fondata sul mito della superiorità della razza
ariana, votata al dominio in Europa e chiamata a schiacciare gli ebrei, responsabili del dissesto
finanziario tedesco e della sconfitta nella Grande Guerra. L’obiettivo era recuperare i territori
perduti con la pace di Versailles (Alsazia, Lorena, le colonie) ed espandersi a est (secondo la teoria
dello spazio vitale) conducendo una crociata contro il comunismo. Tale programma trovò scarsi
consensi nella Germania di Stresemann (i nazisti ebbero circa il 3% dei voti alle elezioni del
1924 e del 1928).
Ma la crisi del 1929 cambiò decisamente scenario.
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Dopo la crisi del 1929, ridotti allo stremo per la terza volta in 10 anni (1919, 1923, 1929), i
tedeschi persero fiducia nelle istituzioni repubblicane: a destra (forza conservatrici, esercito,
burocrazia) aspiravano a soluzioni alternative; a sinistra la classe operaia si andava staccando dal
PSD per avvicinarsi ai comunisti. I nazisti fecero leva sulla paura della grande borghesia, sulla
frustrazione dei ceti medi, sulla rabbia dei disoccupati. Hitler offriva capri espiatori (gli Ebrei)
e l’opportunità di riconoscersi parte di una comunità di eletti (gli Ariani).
Nel settembre del 1930 i nazisti raccolsero dunque il 18% dei voti. PSD e Cattolici non avevano
più la maggioranza. La situazione economica intanto precipitava: al produzione industriale calò
del 50% e i disoccupati erano 6 milioni.
Nel 1932 Hitler decise di candidarsi addirittura alla presidenza della Repubblica. Per sbarrargli
la strada venne riproposta la candidatura dell’85enne maresciallo Hindenburg, capace di attirare i
consensi anche di parte della destra e di farsi riconfermare.
Le elezioni del 1932 riconfermarono però l’ascesa dei nazisti, divenuti il primo partito con circa il
35% dei voti. Anche Hindemburg e i conservatori capirono che senza i nazisti non si poteva
governare. A quel punto il cattolico conservatore Von Papen convinse Hindemburg a incaricare
Hitler di formare un nuovo governo (1933), nella speranza di ingabbiare Hitler nella normalità
della politica istituzionale (come invano aveva sperato di fare Giolitti col Fascismo nelle elezioni
del 1921).
Hitler al potere
Nominato Cancelliere (1933), capo di un governo in cui i nazisti avevano solo 3 ministri su 11,
Hitler consolidò il potere approfittando dell’incendio del Reichstag, il parlamento nazionale, una
settimana prima delle elezioni fissate a inizio marzo 1933. L’incendiario era un comunista
olandese semisquilibrato. Questo diede a Hitler il pretesto per una ingente operazione di polizia
contro i comunisti (il partito fu messo fuori legge) e per varare leggi speciali per la sicurezza
nazionale che limitavano la libertà di stampa e riunione.
Alle elezioni del 5 marzo 1933 i nazisti non ottennero la maggioranza assoluta ma solo il 44%.
Ma Hitler mirava ad abolire il parlamento che, approvando una legge suicida che al governo
affidava pieni poteri in quella situazione di crisi, di fatto si consegnò nelle mani del Cancelliere.
Gli unici a votare contro furono i membri del PSD che venne sciolta nel giugno 1933, mentre
furono soppressi tutti i sindacati di ispirazione socialdemocratica.
Intanto si sciolse anche il Centro Cattolico.
A luglio il Partito Nazista era proclamato unico partito legale in Germania. Alle elezioni di
novembre la lista unica plebiscitaria raccoglieva il 92% dei voti.
Due ostacoli ancora restavano per i pieni poteri: le SA di Röhm – autonome e di matrice
rivoluzionaria – e la vecchia destra (Hindemburg e l’esercito). Hitler era pronto: aveva già fondato
il corpo di milizia personale delle SS (Schutz Staffeln, “squadre di difesa”).
Propose alla vecchia destra di risolvere il problema delle SA – eliminandone il capo, i dirigenti e
moltissimi esponenti nella sanguinosa “notte dei lunghi coltelli” nel luglio 1934 – ottenendo in
cambio la promessa delle forze armate che non si sarebbero opposte alla sua candidatura alla
Presidenza come successore di Hindemburg.
Lo stesso Hindemburg morì proprio nell’agosto del 1934 e Hitler divenne Capo dello Stato
oltre che Cancelliere.
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Il Terzo Reich
Finiva così la Repubblica di Weimar (1919-1933) e nasceva il Terzo Reich (il terzo Impero dopo
il Sacro Romano Impero e l’Impero del 1871), ispirato al principio del capo (Führerprinzip)
secondo il quale il capo (Füher, Duce, Capo-Guida) è la fonte suprema di ogni diritto, incarnazione
di una missione, capace di un rapporto diretto con le masse tramite il partito unico, il Fronte del
lavoro (sindacato nazista), la Hitlerjugend (gioventù hitleriana, simile ai Balilla fascisti). L’obiettivo
era formare una comunità di popolo ariana da cui fossero espulsi tutti i diversi, in primis gli Ebrei.
Gli Ebrei in Germania erano una minoranza (0,5 su 60 mln) concentrati nelle grandi città, liberi
professionisti o esponenti della finanza. Le leggi di Norimberga del 1935 ufficialmente diedero il
via alla aperta discriminazione (perdita cittadinanza e pari diritti, divieto di matrimonio con non
Ebrei). 200.000 Ebrei lasciarono la Germania tra il 1933 e il 1939.
La persecuzione assunse toni violenti nella Kristallnacht (notte dei cristalli) che vide tra l’8 e il 9
novembre 1938 infrante oltre 7.000 vetrine di negozi di Ebrei in Germania, decine di Ebrei uccisi
e migliaia arrestati. Fino a quando a guerra già iniziata Hitler concepì il piano della “soluzione
finale” per deportare e sterminare poi tutti gli Ebrei (piano che porterà allo sterminio di 6 degli 11
mln di Ebrei al mondo).
Il piano di difesa della purezza della razza portò anche a sopprimere i malati di mente o quanti
avevano malattie ereditarie.
Repressione e consenso sotto il Nazismo
L’opposizione comunista era ridotta a pochi nuclei isolati, il PSD contava sulla voce di pochi
esuli, i cattolici si allineavano con quanto deciso dal Concordato stabilito tra Terzo Reich e Chiesa
di Roma nel 1933 per tutelare la libertà di culto e l’autonomia della Chiesa in Germania (benché poi
lo stesso Pio XI con l’enciclica Mit brennender Sorge, “Con ardente preoccupazione”, nel 1937
denuncerà proprio le violazioni del Concordato e l’ateismo e il razzismo del regime Nazista).
Paradossalmente, l’opposizione più pericolosa venne a Hitler da gruppi conservatori e militari
che ordirono il fallito attentato del 1944).
Alla debolezza dell’opposizione faceva riscontro la forza della polizia segreta (Gestapo) e delle
SS, nonché la pratica di inviare gli oppositori nei Lager o campi di concentramento.
Il consenso giunse a HItler dai successi in politica estera che rinsaldarono l’orgoglio patriottico
dei tedeschi, desiderosi di rivincita dopo le umiliazioni di Versailles.
Consenso venne poi dalla ripresa economica, avviata già nel 1933 dopo che il pagamento delle
riparazioni di guerra era stato sospeso per tre anni da una conferenza internazionale nel 1932 (e
di fatto non sarebbe più ripreso).
Lavori pubblici (autostrade), riarmo e calo della disoccupazione (piena occupazione raggiunta nel
1939) fecero il resto, inaugurando una politica di intervento statale in economia che poteva
ricordare quanto fatto dal New Deal di Roosevelt negli Usa, benché il sostegno statale non avesse
mire di natura sociale ma l’obiettivo di preparare il Paese alla guerra.
Altra fonte di consenso venne dalla capacità del regime di offrire miti collettivi al popolo come
l’utopia della società patriarcale di contadini-guerrieri, idea reazionaria (in aperto contrasto con
l’industrializzazione che lo stesso regime favoriva in vista della guerra) fondata sui miti della terra
e del sangue. Per diffondere tale antimoderna utopia il regime si servì di mezzi moderni, istituendo
un vero e proprio Ministero della Propaganda gestito da Joseph Göbbels che attraverso il
controllo della stampa, i discorsi alle masse di Hitler, adunanze pubbliche immense, manifestazioni
sportive tentava di edificare una religione laica nella quale i tedeschi potessero riconoscersi.
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La preparazione alla guerra
Sicuro della propria forza, nel 1933 Hitler decise di ritirarsi dalla Società delle Nazioni, ponendo
fine allo “spirito di Locarno” e alla volontà di riavvicinarsi alle democrazie occidentali.
Nel 1934 gruppi nazisti ispirati da Berlino uccisero il cancelliere austriaco Dollfuss (che pure era
a capo di un regime di ispirazione fascista): Hitler voleva preparare le condizioni per
l’annessione. Ma Mussolini portò quattro divisioni dell’esercito al confine con l’Austria, volendo
scongiurare il rischio di una annessione che avrebbe rafforzato pericolosamente l’antico nemico a
lungo occupante parte del territorio italiano. Volendo evitare il conflitto, Hitler decise di
rinunciare al suo intento.
Nel 1935 Hitler reintrodusse la coscrizione obbligatoria. Nell’aprile del 1935 a Stresa si
incontrarono FR, GB e ITA per condannare tale riarmo tedesco. Ma fu un’azione formale: non
si pensò di intervenire in concreto, ad esempio ripristinando come sarebbe stato giusto il pagamento
delle riparazioni di guerra sospese nel 1932, scelta che avrebbe tolto alla Germania ogni speranza di
ricostruzione della potenza militare che già nella Grande Guerra aveva tentato la conquista
dell’Europa.
Nello stesso 1935 l’Italia ruppe con le democrazie occidentali in occasione della Campagna
d’Etiopia (condannata dalla Società delle Nazioni) e si avvicinò alla Germania:
- dapprima l’esperienza comune a GER e ITA della guerra civile in Spagna in appoggio a
Francisco Franco (dall’estate 1936),
- poi il patto di amicizia “Asse Roma-Berlino” (ottobre 1936),
- poi l’adesione dell’ITA al patto Anticomintern (1937) siglato da GER e JAP (nel 1936).
Nel marzo 1938, essendo ormai mutati i rapporti di forza tra ITA e GER, Hitler poté procedere con
l’annessione (Anschluss) dell’Austria, ratificata da un plebiscito il mese successivo.
Nel settembre 1938 Hitler espresse la chiara intenzione di annettersi la regione montuosa dei
Sudeti, in Cecoslovacchia, dove risiedevano 3 mln di Tedeschi.
La conferenza di Monaco nello stesso mese vide GB (capo del governo era Chamberlein, fautore
della politica dell’appeasement, ovvero della “pacificazione” a tutti i costi: accontentare Hitler fin
dove fosse possibile pur di evitare la guerra, mentre Churchill sosteneva la necessità di un confronto
bellico immediato per fermare Hitler), FR (con Daladier, primo ministro di una nazione ancora
scioccata dalla Grande Guerra e desiderosa di evitare un secondo conflitto) e ITA concordi
nell’accettare le richieste di Hitler.
L’URSS non venne nemmeno consultata, per cui decise di allentare i rapporti con l’occidente. Né
fu chiesto un parere alla Cecoslovacchia, infranti i confini della quale si violavano chiaramente le
condizioni di pace del 1919 (donde era sorta la Cecoslovacchia stessa come stato indipendente).
Mentre si credeva di aver salvaguardato la pace, l’ennesima concessione a Hitler aveva di fatto
aperto la strada alla guerra.
Il passo successivo sarebbe stata l’alleanza militare tra GER e ITA (“patto d’acciaio”, maggio
1939) e l’invasione tedesca della Polonia (1 settembre 1939) che avrebbe ufficialmente aperto il
Secondo Conflitto Mondiale.