SCHEDAC - Facoltà di Scienze Politiche

SCHEDA C. : Appunti su K. Marx
Per comprendere la concezione materialistica della storia di Marx ( materialismo storico )
bisogna partire dal presupposto che, nell’ottica marxista, il fondamento dell’esistenza di qualunque
società è la riproduzione delle condizioni materiali di vita degli individui. Il modo in cui le società
provvedono al soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni materiali in ultima analisi
determinerebbe le forme di potere, le norme sociali e la cultura di una società.
Secondo Marx in ogni società è presente un modo, dominante sugli altri, attraverso il quale gli
individui riescono a riprodurre le loro condizioni materiali di vita ( modo di produzione ). Per
modo di produzione si intende la combinazione storicamente determinata di forze produttive e di
rapporti sociali di produzione. Le forze produttive comprendono i mezzi di produzione, le forme
di divisione del lavoro e le competenze tecniche, mentre i rapporti sociali di produzione sono
essenzialmente le forme di proprietà e i rapporti sociali tra le classi che derivano e dipendono dalle
caratteristiche delle forze produttive.
Da questo punto di vista si può parlare per Marx di una struttura economica, che coincide
sostanzialmente col concetto di modo di produzione, che tende a determinare specifiche istituzioni
politiche, giuridiche e culturali: forme di potere, norme sociali, cultura ( ciò che Marx chiama
sovrastruttura ).
La ragione del mutamento sociale è quindi da ricercare in primo luogo nelle forze produttive: i
cambiamenti che si producono in questo campo rendono obsoleti i vecchi rapporti sociali di
produzione, che tendono a destabilizzarsi favorendo lo scontro tra classi portatrici di interessi
antagonisti. A questo punto il vecchio modo di produzione comincia ad entrare in una fase di
declino per lasciare il posto al successivo modo di produzione, il quale produrrà un rapido
cambiamento nella sfera politico-culturale della società, cioè nella sovrastruttura.
Marx rintraccia nella storia l’esistenza di quattro modi di produzione diversi ( il comunismo
primitivo, il modo di produzione antico o schiavistico, il modo di produzione feudale, e il modo di
produzione capitalistico), ognuno dei quali è nato dalle contraddizioni interne che hanno
determinato la fine del precedente. Secondo Marx dalle contraddizioni del capitalismo dovrebbe
nascere un nuovo e, ultimo, modo di produzione: il comunismo. Nel modo di produzione
capitalistico infatti lo scontro tra una sempre più ristretta classe di borghesi, proprietari dei mezzi di
produzione, e la maggioranza di proletari che vende forza lavoro – la loro unica ricchezza - ai
primi, dovrebbe condurre alla costituzione di una società senza classi e senza sfruttamento,
caratterizzata appunto dal modo di produzione comunista.
Secondo Marx lo scontro fra borghesi e proletari è lo scontro politico finale, la spallata ad un
sistema ormai moribondo ( simile a quello della borghesia rivoluzionaria contro i resti del potere
feudale). Secondo l'autore il capitalismo finisce a causa del capitalismo; le medesime leggi di
funzionamento che hanno portato al suo trionfo sono quelle che porteranno alla sua fine. Quel che
fa marciare il capitalismo è il mercato, vale a dire la concorrenza: per sua natura la concorrenza
porta al progressivo vantaggio di coloro che nel mercato si rivelano più forti: i capitalisti maggiori
mangiano quelli minori, "spossessando" dei mezzi di produzione quote crescenti di ex- imprenditori
( nel III libro del Capitale Marx dice quasi tutto sulle Corporations transnazionali) fino a che i
mezzi di produzione rimangono in pochissime mani. Queste poche mani non hanno più interesse a
farsi la concorrenza e, dunque, smettono di innovare, impedendo così che si dispieghino in tutta la
loro potenza i mezzi di produzione ( scienza e tecnica) che il capitalismo aveva messo in moto. La
proprietà privata dei mezzi di produzione ( in poche mani che smettono di competere nel mercato) è
la ragione principale dell'incepparsi del capitalismo. Eliminata questa le forze produttive
ricominceranno a svilupparsi.
Ma il capitalismo si inceppa anche perché i crescenti beni che esso produce non trova mercati
poiché, nella visione di Marx, i salari sono progressivamente decrescenti ( la forza lavoro è pagata a
prezzo di mercato, al valore della semplice riproduzione del produttore) e i beni rimangono
invenduti ( le crisi di sovrapproduzione). Marx non aveva messo nel conto che, forse proprio perché
è esistito il marxismo, ci sarebbe stato l'intervento dello Stato per sostenere il mercato (Keynes,
ecc). In ogni caso la teoria del valore - lavoro di Marx non ha trovato conferme empiriche. I salari
sono cresciuti nel corso dello sviluppo del capitalismo non solo per le lotte sindacali ma perché
senza i salari e gli stipendi non ci sarebbe stato mercato per i beni di consumo di massa.
La teoria marxista del mutamento sociale è stata fortemente criticata per il suo carattere
deterministico e unilaterale. In primo luogo sembra difficile credere che ogni tipo di mutamento
sociale prodottosi nella storia possa essere spiegato facendo ricorso all’analisi dei cambiamenti
intervenuti nella struttura economica. In particolare poi appare discutibile l’idea che i valori, le
norme sociali e giuridiche, il potere politico e la cultura di una società siano una sorta di riflesso,
quasi di prodotto, dell’operare della struttura economica. Come altri studiosi hanno messo in
evidenza, per esempio M. Weber, la sfera dei valori e della politica, lungi dall’essere
unilateralmente determinata dall’economia, può influenzare fortemente la direzione del mutamento
sociale.
Comunque, in sociologia, l'insegnamento di Marx di guardare agli interessi materiali in campo
durante le dispute ideologiche o quelle politiche rimane sempre un buon insegnamento.
SCHEDA B: Weber: L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (Titolo originale: Die
Protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, 1905-1920)
Osservazioni empiriche contenute all'inizio dell'Etica:
Nelle regioni europee ( e negli Stati Uniti) in cui la popolazione professa una religione nata
dalla Riforma, in particolare confessioni di matrice calvinista, la proprietà capitalistica,
l'impresa, gli operai specializzati e i tecnici sono più numerosi che nelle aree a maggioranza
cattolica.
Anzi Weber scrive di un " carattere prevalentemente protestante della proprietà
capitalistica" ( tr. it. ed. 1991, p.59)
SPIRITO DEL CAPITALISMO
L'interrogativo di Weber è il seguente: che cosa vi è in queste religioni che può considerarsi
affine allo "spirito del capitalismo"? E in primo luogo che cosa è "lo spirito del capitalismo"?
E' un ethos ( ETICA) che pone come sommo bene il guadagnare denaro, sempre più denaro,
evitando rigorosamente ogni piacere spontaneo.
La natura etica di questa accumulazione incessante di denaro è il fatto che l'uomo "onesto",
"degno" sia moralmente tenuto ad aumentare il proprio capitale ( col presupposto che
l'interesse a tale aumento sia fine a se stesso).
PERCHE' VENNE DATO VALORE ALL'ACCUMULAZIONE?
L'interrogativo di M. Weber è il seguente: come è potuto accadere che significativi gruppi
umani si lasciassero trascinare dal valore dell'accumulazione per l'accumulazione e da uno
stile di vita che preclude ogni autocompiacimento, ogni debolezza ma anzi pone in risalto il
valore della rinuncia ai godimenti terreni, condanna il lusso, le comodità, l'ozio? Come ha
potuto nascere questo sistema normativo che infine si può chiamare "spirito del capitalismo"?
E questa "nascita" è avvenuta in un mondo in cui ideali prevalenti erano quelli aristocratici della raffinatezza, del disprezzo del lavoro, del valore dell'eroismo in guerra, del lusso e dello
spreco.
LA RELIGIOSITA'
All’epoca del primo capitalismo una delle passioni più sentite da strati abbastanza vasti di
popolazione era quello della salvezza ultraterrena. Nelle varie denominazioni protestanti, nate
dalla Riforma, che rifiutavano l’intermediazione della Chiesa cattolica come dispensatrice dei
beni di salvezza, la soluzione circa la salvezza della propria anima veniva ricercata in vari
modi. Le sette protestanti influenzate dalle dottrine di Calvino davano una risposta
particolare a questo problema.
TEOLOGIA CALVINISTA DELLA PREDESTINAZIONE
Premessa l'assoluta maestà di Dio e la sua assoluta lontananza dagli esseri umani, indegni
per via del loro peccato di avvicinarsi in alcun modo alla Divinità o, meno che mai, di capirne
i Disegni, gli esseri umani nulla potevano fare per cercare la propria salvezza.
Solo Dio, ab aeterno, aveva potuto decidere la salvezza di alcuni e solo in virtù della Sua
misericordia (dottrina della predestinazione). La
maestà infinita di Dio, la sua immensa
lontananza dal mondo dei peccatori aveva come conseguenza il fatto che la Divinità era
nascosta e i suoi decreti erano imperscrutabili.
ETICA CALVINISTA
La dottrina della predestinazione avrebbe potuto provocare uno stato di incertezza
angosciosa: non c'era solo l'assoluta ignoranza circa il futuro della propria anima ma anche
l'impossibilità di fare alcunché per la propria salvezza: non opere di bene, non indulgenze,
non preghiere.
La soluzione a questa angoscia fu trovata in una coppia di concetti dell'etica calvinista:
l'ascetismo mondano e il concetto di Beruf ( vocazione).
ASCETISMO MONDANO
Ascetismo: una concezione in base alla quale il fedele si impegna in uno sforzo intenso,
continuativo, al fine di facilitare il compimento dei disegni divini, cercando di diventare uno
strumento attivo, coscienzioso, consapevole di quel disegno. Un aspetto particolare di questo
ascetismo, espresso dall'aggettivo mondano è che esso deve essere praticato nella realtà
terrena, nel mondo comune di tutti, ed è in generale il programma assegnato da Dio ad ogni
essere umano. L'asceta mondano calvinista pone le sue energie al servizio del disegno divino
mediante la pratica assidua di una VOCAZIONE terrena, entro la società di cui fa parte con
tutti gli altri individui.
IL BERUF
Il Beruf ( vocazione ) era, nella concezione cattolica, solo la chiamata di Dio alla vita
ascetica dei monasteri. Lutero prima e poi Calvino trasferiscono il concetto di vocazione alla
vita nel mondo, fuori dagli ordini religiosi consacrati. Era dovere di ogni uomo seguire la sua
vocazione mondana, la sua professione, con le medesime caratteristiche di ascetismo che
caratterizzavano la vita dei monaci.
( Weber dice che i primi professionisti moderni sono stati i monaci benedettini, con la loro
giornata scandita in orari precisi fra preghiera e lavoro). Qualunque fosse questa posizione
lavorativa, anche quella così disprezzata dai cattolici e dagli aristocratici, quale l'attività
imprenditoriale, essa era gradita a Dio se svolta con rigore e con metodo.
CONSEGUENZE SPIRITUALI DEL CORRETTO SVOLGIMENTO DELLA
VOCAZIONE
Dovere di ogni fedele era quello di svolgere la propria vocazione nel mondo per la gloria di
Dio. Ma forse se nella vocazione mondana si raggiungevano risultati positivi, ad esempio il
successo negli affari o la ricchezza, ciò poteva essere interpretato come un segno del favore di
Dio, un indizio di salvezza, l'appartenenza alla schiera degli eletti da Dio. La certezza non
poteva mai raggiungersi, ma questi segni del favore di Dio potevano placare l'angoscia.
E
c’era il lavoro - duro, metodico, senza fine, che occupava tutto il tempo - che impediva di
abbandonarsi a pensieri oziosi, al dubbio, al peccaminoso dubbio circa la misericordia di Dio.
GLI IMPRENDITORI CALVINISTI
I primi imprenditori del capitalismo europeo ( e americano), ripete Weber, furono fedeli
calvinisti e puritani che agivano nel mondo esclusivamente per la gloria di Dio. Il loro
incessante lavoro, il loro rigore etico, lo stile di vita non potevano non portare
all'accumulazione e al reinvestimento dei profitti. Ma essi non avevano ALCUNA
CONSAPEVOLEZZA di essere portatori di una civiltà nuova né che i loro atteggiamenti nei
confronti del denaro e del lavoro sarebbero stati gli orientamenti di valore più adatti alla
società capitalista che andava nascendo e che essi contribuivano a costruire. Quel che
facevano era dettato solo da una preoccupazione spirituale per essi fondamentale.
LE CONSEGUENZE NON PREVISTE DELL'AZIONE DEI GRUPPI UMANI
Fu una conseguenza non prevista della storia che da uno slancio tutto spirituale nascesse
un atteggiamento che poco ha avuto di spirituale in seguito. Ma in seguito, una volta che il
capitalismo raggiunse il suo sviluppo e perfezionò il suo modo di funzionare, esso non ebbe
più bisogno di questi slanci religiosi. Il capitalismo fu in grado di prodursi da sé quegli
uomini che avevano le caratteristiche adatte al sistema.
RIGHE CONCLUSIVE DEL LIBRO DI WEBER
" Il puritano volle essere un professionista, noi lo dobbiamo essere. Infatti quando l'ascesi
passò dalle celle conventuali alla vita professionale e cominciò a dominare sull'eticità
mondana, contribuì, per parte sua, a edificare quel possente cosmo dell'ordine dell'economia
moderna - legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica - che oggi
determina, con una forza coattiva invincibile, lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati
entro questo grande ingranaggio e forse continuerà a farlo finché non sia stato bruciato
l'ultimo quintale di carbon fossile…. Solo come "un leggero mantello che si potrebbe sempre
deporre", la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli eletti… Ma il
destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio…. da cui
lo spirito è fuggito. In ogni caso il capitalismo vittorioso non ha più bisogno di questo
sostegno, da quando poggia su una base meccanica… e la ricerca del profitto si è spogliata del
suo senso etico-religioso, e oggi tende ad associarsi con passioni puramente agonali,
competitive… Nessuno sa ancora chi in futuro abiterà in quella gabbia, e se alla fine di tale
sviluppo immane ci saranno profezie nuovissime …o se invece avrà luogo una sorta di
pietrificazione meccanizzata, adorna di una specie di importanza spasmodicamente
autoattribuitesi. Poiché, invero, per gli "ultimi uomini" dello svolgimento di questa civiltà
potrebbero diventare vere le parole: "Specialisti senza spirito, edonisti senza cuore; delle
nullità che si immaginano di essere ascesi a un grado di umanità mai prima raggiunto" (
Etica, tr. it. cit. pp. 239-241)
SCHEDA C. IL POTERE NEI GRUPPI
Definizioni:
Il potere è un fenomeno sociale generale. Esso può distinguersi secondo M. Weber in:
POTENZA: la possibilità di condizionare il comportamento altrui anche senza azioni dirette
di comando.
POTERE: la possibilità di trovare obbedienza ad un comando che abbia un determinato
contenuto
AUTORITA’ O POTERE LEGITTIMO: il diritto legittimo di dare ordini e il dovere di
ubbidire
In tutte le sfere della vita sociale vi sono fenomeni di potenza, potere, autorità.
RISPETTO AI MEZZI IMPIEGATI SI DISTINGUONO TRE TIPI DI POTERE:
IL POTERE ECONOMICO: chi ha mezzi economici può indurre chi non li possiede a seguire
una certa condotta
IL POTERE IDEOLOGICO: chi ha idee e mezzi per diffonderle può influenzare la condotta
degli altri.
POTERE POLITICO: chi ha il controllo dei mezzi della coercizione fisica può costringere gli
altri a eseguire i propri ordini.
SCHEDA D: INTERESSI E AUTORITA' IN MAX WEBER
Gli individui tendono ad aggregarsi fra loro in organizzazioni e gruppi sulla base di interessi
materiali e ideali, cioè sulla base di orientamenti di condotta influenzati prevalentemente da
considerazioni di utilità economica e da considerazioni di affinità sociale. Esempi del primo tipo
sono le compagnie commerciali o le moderne società per azioni; nel caso della stratificazione
sociale il caso tipico è quello delle classi sociali che, nella definizione weberiana, sono gruppi che
si formano fra individui che condividono la stessa situazione di mercato e quindi hanno probabilità
relativamente simili di poter sfruttare i propri beni e servizi a fini economici. Esempi dei gruppi del
secondo tipo sono la famiglia, il vicinato , le comunità religiose e, sempre a livello di
stratificazione, i ceti cioè gruppi formati sulla base del comune possesso o della comune concezione
del prestigio e dell'onore sociale. Naturalmente la distinzione tra questi due orientamenti di condotta
è analitica: non solo Weber riconosce che nella realtà essi si accavallano ma anzi uno dei temi del
suo lavoro empirico consiste appunto nel vedere questo costante intreccio.
Nel perseguire i propri interessi individui e gruppi non sono orientati solo da considerazioni di
utilità o affinità ma anche dalla rappresentazione della sussistenza di un ordine legittimo, cioè
da considerazioni relative all'esistenza di un'autorità politica. In questo Weber si richiama alla
celebre distinzione fra stato e società civile. Ma nel riallacciarsi ad essa ha anche cura di
distinguersi da quella tradizione intellettuale che l'aveva elaborata nella prima metà del XIX secolo.
La scoperta del concetto di società civile era stata una scoperta polemica nel senso che aveva
comportato la convinzione - comune al liberalismo, al marxismo e ai teorici conservatori della
restaurazione - che la SFERA DEL POLITICO FOSSE INTERAMENTE DETERMINATA
DALLA SFERA SOCIALE. Weber non accetta questa conclusione riduttiva. Per lui società civile
e stato - cioè comportamenti orientati sulla base di costellazioni di interessi e comportamenti
orientati dalla concezione dell'esistenza di un ordine legittimo - si intersecano e si condizionano
a vicenda ma sono qualitativamente diversi e necessitano di distinti livelli di analisi.
Weber dunque individua tre dimensioni di aggregazione alle quali corrispondono analiticamente
tre settori istituzionali: l'economia - gli interessi materiali - la cultura - gli interessi ideali - la
politica - gli interessi relativi alla lotta per il dominio.
Su questa teoria della formazione di gruppo egli fonda la sua teoria della stratificazione sociale:
in ognuno dei tre settori coloro che condividono interessi e posizioni comuni tendono ad associarsi
fra loro e ad escludere gli altri. Da ciò deriva la lotta delle classi nel settore economico, quella dei
ceti nella sfera culturale, quella fra gruppi di potere ( i partiti nello stato moderno) nel campo della
politica.
Fra ordine economico, ordine culturale e ordine politico sussistono sia legami sia relativa
autonomia. Al esempio, la gerarchia culturale può essere importante in sé perché influenzando la
concezione del mondo degli individui è la più diretta determinante della loro esperienza della realtà
sociale, ma anche perché questi meccanismi simbolici possono costituire la base della
stratificazione economica e politica. Per esempio nelle prime colonie americane solo i membri delle
sette protestanti potevano partecipare alla gestione politica della comunità; allo stesso tempo la
chiusura settaria nei confronti dei non qualificati religiosamente offriva ai membri opportunità
economiche facilmente monopolizzabili. Tuttavia per Weber la direzione dell'influenza causale non
è mai determinata una volta per sempre perché la stratificazione economica tende a sua volta a
consolidarsi in una stratificazione culturale.
La stessa relazione di autonomia relativa che collega l'ordine economico e quello culturale
sussiste nelle connessioni che intercorrono tra questi due settori e quello della politica. L'ambito
della politica può essere caratterizzata come quella dimensione analitica dell'azione che concerne il
controllo dell'apparato di coercizione della società: lo Stato è infatti definito da Weber come il
"monopolio della violenza legittima". Gli attori sociali in questa sfera sono i gruppi che si
formano sulla base di interessi politici; questi interessi possono coincidere con gli interessi materiali
e ideali che si formano nella società civile ma ciò non avviene necessariamente. La politica ha una
logica sua propria non riconducibile teoricamente a quella economica e culturale: perciò la
stratificazione esistente nella sfera dello Stato riflette in parte quella delle classi e dei ceti ma è
anche determinata dalle particolari relazioni esistenti fra le diverse istituzioni del sistema politico.
La necessità di impiegare un distinto livello di analisi per lo studio della politica viene
sottolineato da Weber mediante l'uso di una terminologia specifica. Il concetto centrale è quello di
DOMINIO O AUTORITA' (HERRSCHAFT): con questo termine Weber desidera distinguere il
potere coercitivo tipicamente politico da quello che deriva da altre fonti, in particolare da quello
basato su costellazioni di interessi economici ( oppure il potere che può esistere nei salotti, nella
comunità scientifica, nei rapporti erotici, nello sport ecc); le relazioni sociali che derivano dalle
costellazioni di interessi economici influenzano l'agire formalmente libero di individui e gruppi e
sono QUALITATIVAMENTE DIVERSE da quelle che si costituiscono in virtù dell'autorità e
fondate sul dovere di obbedienza preteso a prescindere da ogni interesse. Per Weber questo
potere era identico al potere autoritario di comando.
Per autorità deve quindi intendersi il fenomeno per cui una volontà manifestata ( comando) del
detentore o dei detentori dell'autorità vuole influire sull'agire di altre persone ( del dominato o dei
dominati) e influisce effettivamente in modo tale che il loro agire procede, in un grado socialmente
rilevante, come se i dominati avessero assunto, per loro stesso volere, il contenuto del comando per
massima del loro agire ( obbedienza).
Secondo W. perché vi sia autorità è necessario che vi sia:
1) un individuo o un gruppo di individui che comandano;
2) un individuo o un gruppo che è comandato;
3) che gli individui o il gruppo che comandano esprimano il loro volere con comandi
4) la prova che coloro che comandano hanno influenza perché empiricamente si rileva
l'obbedienza dei comandati;
5) la prova indiretta di questa influenza in termini dell'accettazione soggettiva con il quale il
comandato obbedisce al comando.
IL DOMINIO O AUTORITA'
IMPLICA UN RAPPORTO RECIPROCO FRA COLORO CHE
COMANDANO E COLORO CHE SONO COMANDATI NEL QUALE LA REALE FREQUENZA
DELL'OBBEDIENZA E' SOLO UN ASPETTO DEL FATTO CHE IL POTERE DI COMANDO ESISTA.
E' EGUALMENTE IMPORTANTE IL SIGNIFICATO CHE COLORO CHE COMANDANO E COLORO
CHE SONO COMANDATI ATTRIBUISCONO AL RAPPORTO DI AUTORITA'. OLTRE AL FATTO DI
EMANARE
ORDINI
COLORO
CHE
COMANDANO
RIVENDICANO
UN'AUTORITA'
LEGITTIMA A FARLO E QUINDI SI ASPETTANO CHE I LORO ORDINI SIANO OBBEDITI;
ALLO STESSO MODO L'OBBEDIENZA DI COLORO CHE SONO COMANDATI E' GUIDATA
IN QUALCHE MISURA DALL'IDEA CHE COLORO CHE COMANDANO E I LORO ORDINI
COSTITUISCANO UN ORDIMENTO LEGITTIMO DI AUTORITA'.
L'autorità richiede un apparato amministrativo per far eseguire gli ordini e di converso ogni
amministrazione richiede un autorità perché il potere di comando sull'apparato deve essere
attribuito al un individuo o ad un gruppo di individui. Queste condizioni dell'autorità e
dell'amministrazione sono minime quando l'organizzazione é su base locale e ha piccole
dimensioni. Quando le dimensioni del gruppo aumentano oltre un certo limite, o i membri non sono
più uguali, le funzioni amministrative diventano troppo difficili per essere eseguite da qualsiasi
persona designata per rotazione o per designazione: perciò l'autorità e l'amministrazione tendono a
trasformarsi in strutture più durevoli. Il risultato è la superiorità tecnica dei funzionari che hanno
ricevuto un addestramento e che per questa superiorità essi tendono a occupare le cariche in modo
continuativo.
Per Weber sono importanti sia l'organizzazione che rende effettivo un certo sistema sia le
credenze che lo sostengono. Secondo Weber le credenze nella legittimità di un sistema di dominio
non sono mere questioni filosofiche o sovrastrutturali. Esse possono contribuire alla stabilità di un
rapporto di autorità e indicare differenze assai reali tra sistemi di dominio.
"COME TUTTI COLORO CHE HANNO UN VANTAGGIO SUGLI ALTRI , GLI UOMINI CHE
DETENFONO IL POTERE VOGLIONO CONSIDERARE LA LORO POSIZIONE "LEGITTIMA" E I LORO
VANTAGGI "MERITATI" E INTERPRETARE LA SUBORDINAZIONE DEGLI ALTRI COME UN
GIUSTO DESTINO CHE RICADE SULLE LORO SPALLE. QUINDI COLORO CHE COMANDANO
SVILUPPANO UN QUALCHE MITO DELLA LORO SUPERIORITA' NATURALE CHE, IN CONDIZIONI
DI STABILITA' E' GENERALMENTE ACCETTATO DALLA GENTE , MA CHE PUO' DIVENIRE
L'OGGETTO DI UN ODIO APPASSIONATO QUANDO UNA QUALCHE CRISI METTE IN QUESTIONE
L'ORDINE STABILITO".
M. Weber considerò solo tre principi di legittimità - ognuno dei quali connesso ad un
corrispondente tipo di apparato - che sono stati usati per giustificare il potere di comandare: (
FONTI DELLA LEGITTIMITA’ DEL POTERE DI COMANDO)
IL CARISMA: la credenza nel carattere straordinario di un capo ( AUTORITA'
CARISMATICA)
LA TRADIZIONE: la credenza nel carattere sacro di tradizioni immemorabili (
AUTORITA' TRADIZIONALE)
LA LEGGE: le credenza nella validità di norme statuite ( AUTORITA'LEGALE RAZIONALE)
Ovviamente, trattandosi di una tipologia, è possibile - anzi probabile - che nelle espressioni concrete
del potere si ritrovino elementi che fanno capo all'una o all'altra fonte di legittimità.
Il quadro weberiano del dominio può essere riassunto, in linea di principio, nel seguente schema:
tipo di legittimità
organizzazione politica
tipo di amministrazione status dei
soggetti
Carismatica
Comunità carismatica
Extra- quotidiana
Seguaci, discepoli
Tradizionale
Stato tradizionale
Amministrazione
Sudditi
patrimoniale ( cariche
assegnate come
beneficio)
Legale - razionale
Stato moderno di diritto Burocrazia
Cittadini
SCHEDA E: LO STATO MODERNO DI DIRITTO E LA CITTADINANZA
Già sotto l'assolutismo regio il diritto si evolve verso UNA CRESCENTE AFFERMAZIONE
DELL'UGUAGLIANZA GIURIDICA FORMALE.
Si affermano i DIRITTI DI CITTADINANZA INDIVIDUALI in quanto, in primo luogo, è
agli individui, come componenti del popolo, che fa capo la SOVRANITA' dello Stato.
La sovranità dello Stato derivante dal popolo è proclamata da una COSTITUZIONE o da uno
STATUTO (concesso dal sovrano) che vincola popolo e sovrano a diritti e doveri specifici.
Nasce il CITTADINO ( al posto del suddito) sottoposto ai comandi della legge e non di una
persona.
SVILUPPI DEL CONCETTO DI CITTADINANZA
CITTADINANZA CLASSICA.
L'IDEA DELLA CITTADINANZA - VALE A DIRE CHE LE PERSONE POSSANO
ESSERE TITOLARI DI DIRITTI - E' ANTICA.
L’antichità – LA POLIS GRECA – ha conosciuto il concetto di diritto di cittadinanza
individuale, sia pure limitato ad una parte ristretta della popolazione: i cittadini erano i
maschi capofamiglia proprietari terrieri, aristocratici e in possesso delle armi, gli unici che
avessero diritto a fare politica: partecipare alle decisioni politiche era il più prezioso fra i
diritti di cittadinanza
Ad Atene nel III secolo a. C. vi erano circa 250.000 abitanti: fra questi gli SCHIAVI erano circa
100.000 ; i METECI: ( artigiani, mercanti, stranieri, senza diritti di cittadinanza) erano circa
120.000; i MASCHI ADULTI, CITTADINI erano circa 30.000. Per la VALIDITA' DELLE
ASSEMBLEE il quorum era di circa 6.000 cittadini ( ignoto il numero delle donne, ovviamente
senza cittadinanza).
CITTADINANZA "CORPORATA"
Nello STATO DI CETO si ha in riconoscimento da parte del re e dei principi del diritto di
autogoverno dei diversi corpi ( ceti) : l’assemblea dei nobili ma anche le comunità cittadine, le
associazioni di mestiere di commercianti e artigiani, le corporazioni ecclesiastiche e quelle dei
giuristi, le università ecc. reclamavano il diritto all’autogoverno. Nelle assemblee degli stati
generali si reclamano questi diritti.
E si tratta di DIRITTI, VALE A DIRE DI PRIVILEGI CHE OGNI CORPO OTTIENE DAL
RE, PER LA PROPRIA PARTE E NON DI DIRITTO.
LA CITTADINANZA MODERNA.
L’orizzonte dei diritti di cittadinanza, si afferma con l’affermazione di un diritto
tendenzialmente uguale per tutti. Ma si deve aspettare l'era delle rivoluzioni perché la
cittadinanza trovi il suo pieno riconoscimento politico.
La lunga rivoluzione inglese nel 1640 e poi l’affermazione del principio dell’autogoverno nel
1688.
La rivoluzione americana iniziata con le prime assemblee elettive in Virginia nel 1619 e
culminata con la dichiarazione di indipendenza (1783) e i BILLS OF RIGHTS ( 1776-1784),
delle varie ex-colonie, di stampo giusnaturalistico e illuminista.
La rivoluzione francese e la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" del 1789.
“Ogni cittadino nasce e rimane libero ed eguale nei diritti”
La cittadinanza si afferma come l'insieme di diritti e doveri che definiscono la condizione di
appartenenza ad uno stato.
Evoluzione dei diritti di cittadinanza secondo T.H. Marshall: tre fasi di sviluppo.
LA CITTADINANZA CIVILE: riguarda i diritti necessari alla libertà individuale: libertà
personali, di parola, di pensiero, di fede, di possedere cose in proprietà, di stipulare contratti
validi, il diritto di ottenere giustizia ( inizio: Inghilterra XVIII secolo).
LA CITTADINANZA POLITICA: ( Europa e Stati Uniti: XIX SECOLO): il diritto di
eleggere ed essere eletti ( voto attivo e passivo) e, dunque, di partecipare all'esercizio del
potere politico.
LA CITTADINANZA SOCIALE: (XX SECOLO): il diritto ad accedere a certi standard di
consumi, salute, istruzione, in modo, come affermava Marshall, da " vivere la vita di una
persona civile, secondo i canoni vigenti nella società"
VA PRECISATO CHE QUESTA EVOLUZIONE RIGUARDA LA PARTE MASCHILE DELLA
POPOLAZIONE. L'AFFERMAZIONE DEI DIRITTI DELLE DONNE HA UNA STRADA PIU' LUNGA E
PIU' TORTUOSA.
SCHEDA B: ragione e razionalismo
LA RAGIONE: la credenza che l'essere umano sia dotato delle facoltà necessarie
per arrivare da se stesso alla verità e di trovare in sé le ragioni e le motivazioni del
proprio agire e, di conseguenza, la concezione di essere umano "emancipato" dalle
definizioni della realtà confezionate da vari poteri politici e religiosi, o costruite dalla
tradizione.
Il RAZIONALISMO può essere:
A) DISINCANTAMENTO DEL MONDO ( M. Weber)
1. Distacco della religione dalla magia: la magia è un modo di pensare e di agire che
serve per controllare un mondo popolato da forze e da spiriti che sono
incomprensibili alla ragione umana. La magia serve per assicurare la bontà del
raccolto, la nascita di eredi maschi, il passaggio agli esami, la vittoria nei processi,
vale a dire il raggiungimento di ogni possibile fine materiale attraverso il controllo con riti e pratiche - di spiriti buoni o cattivi, forze sconosciute, dei capricciosi. Ed è
magico anche quel pensiero che ritiene che attraverso riti e pratiche particolari si
possa ottenere la salvezza della propria anima.
2. Le religioni contengono "quote" più o meno grandi di magia. Nel corso dello
sviluppo delle religioni monoteistiche - segnatamente la tradizione giudaico- cristiana
- il pensiero e le pratiche magiche vengono progressivamente emarginate e
condannate. Il SACRO che con la magia popolava il mondo e la vita quotidiana
viene trasferito in una dimensione "altra", TRASCENDENTE ( fino al Dio
"nascosto" dei Calvinisti)
3. La trascendenza di DIO ha svuotato il mondo del SACRO. Ciò ha consentito di
guardare al mondo e alla natura come realtà oggettiva, di osservare il mondo con
regole diverse da quelle magiche.
4. Queste regole sono quelle della scienza e della tecnica e, in generale, del pensiero
laico.
5. Nel mondo "disincantato" può esplicarsi la ragione umana.
Si può notare che questo processo intellettuale ha la sua controparte storica e
istituzionale nella separazione fra Stato e Chiesa.
M. Weber pensava che il modo di pensare e di agire prevalente nel mondo moderno
fosse appunto un modo razionale. Tendenzialmente è così ma la magia continua a
popolare anche il moderno mondo occidentale se è vero che si consultano gli
oroscopi, si spendono somme consistenti di denaro per farsi rassicurare da maghi su
salute, amori e denaro, si indossano amuleti, ecc. Anche le religioni vengono
usufruite in modo diverso dalle élite religiose e dal popolo: le élites religiose
praticano in genere forme di religiosità al cui centro vi è la trascendenza/ lontananza
dalla divinità mentre la religiosità popolare è più incline a forme magiche di
religione ( voti, ceri ai santi per impetrare grazie o per grazia ricevuta, pellegrinaggi
a luoghi sacri ecc). La Chiesa cattolica ha talvolta favorito e talvolta ostacolato le
forme magiche di religione. Il cristianesimo riformato è sempre stato ostile alle
forme di religiosità magica. Si può sinteticamente distinguere fra queste due forme di
religiosità con due semplici frasi, riferibili la prima ad una religiosità non magica e
la seconda alla religiosità popolare: "Sia fatta la volontà di Dio" o, viceversa: " San
Padre Pio, se mi fai guarire farò offerte alla tua chiesa per il resto della mia vita" (
commenti Oppo)
B. Il processo di razionalizzazione ( M. Weber)
Si intende come tendenza generale all'uso della conoscenza con lo scopo di
raggiungere un controllo crescente sul mondo circostante.
Vi è l’applicazione di modi di agire razionali ( modi di agire efficienti e efficaci per
realizzare i propri fini) ad ambiti sempre più vasti: sistemi di credenze, ordinamenti
giuridici e politici, la scienza. Questi modi di agire razionali si oppongono, in primo
luogo, al tradizionalismo, vale a dire a modi di pensare e di agire abituali, " si è
sempre fatto così", quasi automatici, non "pensati" criticamente dal soggetto. E si
oppongono, naturalmente, al pensiero magico.
Razionalità e riflessività: le potenzialità razionali dell'azione sono connesse ad una
concezione degli esseri umani come capaci di scindersi in un soggetto pensante e in
un oggetto pensato e, dunque, essere in grado di tenere sotto controllo le componenti
irrazionali della propria personalità.
Il processo di razionalizzazione può essere inteso anche come progressiva
"intellettualizzazione" dell'esistenza: il soggetto pensante, prima di dar corso alle sue
azioni, è in grado di immaginarle e di prevederne ( entro certi limiti) le conseguenze.
In una parola, l'essere umano è in grado di "ragionarci su". Questa attività
immaginativa e programmatoria rende "non immediata", "non naturale" l'azione degli
esseri umani ma, appunto, razionale. ( Weber immagina che nelle epoche prescientifiche e pre-capitalistiche le azioni umane fossero meno mediate dal
ragionamento, più "naturali" o più "irrazionali", più "immediate" Si può pensare che
questa concezione non sia proprio esatta)
SCHEDA G: ERVING GOFFMAN E LA VITA QUOTIDIANA ( "La vita quotidiana come
rappresentazione". Il Mulino, 1969; "Modelli di interazione", Il Mulino, 1971; "Espressione e
identità", Oscar Mondadori, 1980)
Oggetto dell'analisi: studio degli eventi che si verificano durante una compresenza e
in virtù di una compresenza. G. assume una prospettiva drammaturgica: gli eventi si
verificano in ribalte sociali e retroscena sociali. Gli attori sociali, nelle ribalte, usano
i loro ruoli come maschere di scena. Nei luoghi di retroscena ci si può rilassare,
spogliarsi degli abiti di scena, riposarsi. Guai a scambiare ribalta e retroscena: le
conseguenze per la relazione sociale potrebbero essere disastrose. Togliersi il cerume
dall’orecchio nel bagno di casa - un retroscena custodito – è diverso che farlo
durante il colloquio di lavoro o durante un esame.
La compresenza può semplicemente essere tale: in questo caso si interagisce con gli
altri solo in virtù della compresenza, con una comunicazione semplicemente fisica :
per G. si tratta di "Interazione non
focalizzata". Tipico comportamento
dell'interazione non focalizzata è la " Disattenzione civile" ( in un aeroporto, in
ascensore, nella fila alla posta, in autobus, in treno ). Gli altri ci sono ma ci si
comporta reciprocamente come se ognuno fosse solo, cercando di non disturbare, di
non dare nell’occhio, di non importunare ( Non so cosa avrebbe detto G. sull’uso del
cellulare in questi luoghi, quando tutti i compresenti vengono a sapere gli affari e le
faccende più intime del parlante. Forse avrebbe detto che la “disattenzione civile” in
questi casi diventerebbe più accentuata ma che il giudizio sul parlante non sarebbe
dei più lusinghieri)
L'interazione focalizzata è chiamata da G. "incontro".
a) Negli incontri gli individui giocano le loro parti ( i loro ruoli) facendo in modo di
presentare se stessi nella miglior luce possibile e credibile. Nelle parole di G. gli
attori sociali tentano costantemente di "salvarsi la faccia".
b) La rappresentazione, tuttavia, può essere più o meno convincente: gli attori
rischiano costantemente di essere traditi da emozioni comunicate dal corpo ( rossori,
sudori, odori, lapsus, amnesie ecc.)
c) La rappresentazione ( l'incontro) può andare avanti se l'attore trova la complicità
dei comprimari - degli altri attori - che mostrano di ignorare le sue défaillance
consentendogli di "salvare la faccia". Il gioco è un gioco di reciprocità poiché:
d) pur essendoci vincitori e vinti è essenziale, se non si vuole rischiare la relazione,
che tutti “salvino la faccia”.
Nell’incontro i rapporti fra gli attori e il pubblico possono anche essere diversi da
quelli che sembrano. Vi possono essere, cioè, “ruoli incongruenti”.
Vi può essere il delatore che finge presso gli attori di essere un membro della
compagnia e, in tale veste, avere la possibilità di accedere al retroscena. Dal
retroscena attinge particolari segreti o imbarazzanti che comunica al pubblico,
minando così la rappresentazione degli attori.
Vi può essere il compare che si accorda segretamente con gli attori per poi
mescolarsi col pubblico e fare il modo che questo abbia un orientamento favorevole
agli attori.
Vi è lo spettatore puro che assiste alla rappresentazione in modo distaccato, come
giudice competente e qualificato ( può essere un critico teatrale ma anche una signora
del bel mondo che osserva con occhio critico il ricevimento organizzato da una donna
della piccola borghesia e che si tiene per sé le sue idee)
Vi è l’intermediario che appartiene a due compagnie che sono l’una il pubblico
dell’altra e può mettere in atto “giochi di triade”
Vi è la “non persona” che pur essendo presente non fa parte della rappresentazione (
il conducente di un taxi).
Le regole e i rituali dell’interazione esprimono attenzione e rispetto per gli altri.
Attraverso questi rituali si valuta lo stato di salute di una relazione, ci si adatta l’uno
con l’altro, si mantiene la fiducia fra i partecipanti alla relazione.
SCHEDA H: K. Marx: I valori della classe dominante ( da: L'ideologia tedesca)
I VALORI DI UNA SOCIETA' SONO I VALORI DELLA CLASSE DOMINANTE ( K.
Marx).
Secondo Marx coloro che detengono i mezzi di produzione detengono non solo il potere
politico ma anche i "mezzi della produzione culturale" con cui riescono ad imporre a tutta la
società i propri valori.
Secondo Marx i valori nascono dalla materialità degli interessi in campo. I valori della classe
dominante sono quelli che "convengono" o sono affini a tale classe. NON CONVENGONO ai
proletari che, facendo propri tali valori, sono ALIENATI ( incapaci di riconoscere i propri,
veri interessi).
Secondo Marx solo con un'organizzazione e una spinta rivoluzionaria le classi subalterne
riescono a vedere la realtà alla luce dei propri interessi, escono dall'ALIENAZIONE e
producono propri valori alternativi.
VALUTAZIONE SOCIOLOGICA DELLA POSIZIONE DI K. MARX.
merito di Marx è stato quello di indicare come i VALORI non cadano dal cielo ma siano legati
alle vicende storiche, concrete, all'esito della lotta fra classi, gruppi di interesse e ceti. Da
questo punto di vista Marx può essere considerato il fondatore della sociologia della
conoscenza che da quel momento ha analizzato ogni IDEA alla luce delle condizioni sociali
della sua nascita, agli interessi dei produttori di tale idea, ecc.
merito di Marx è di aver individuato il fatto che ogni classe dominante è tale proprio perché
cerca di imporre i suoi valori.
Insufficienza di Marx: non aver sottolineato che, come vi è tensione o conflitto fra diversi
gruppi sociali - classi o altri raggruppamenti - vi è anche tensione o conflitto di valori ( o,
almeno, concorrenza).