SCHEDA C. : Appunti su K. Marx Per comprendere la concezione materialistica della storia di Marx ( materialismo storico ) bisogna partire dal presupposto che, nell’ottica marxista, il fondamento dell’esistenza di qualunque società è la riproduzione delle condizioni materiali di vita degli individui. Il modo in cui le società provvedono al soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni materiali in ultima analisi determinerebbe le forme di potere, le norme sociali e la cultura di una società. Secondo Marx in ogni società è presente un modo, dominante sugli altri, attraverso il quale gli individui riescono a riprodurre le loro condizioni materiali di vita ( modo di produzione ). Per modo di produzione si intende la combinazione storicamente determinata di forze produttive e di rapporti sociali di produzione. Le forze produttive comprendono i mezzi di produzione, le forme di divisione del lavoro e le competenze tecniche, mentre i rapporti sociali di produzione sono essenzialmente le forme di proprietà e i rapporti sociali tra le classi che derivano e dipendono dalle caratteristiche delle forze produttive. Da questo punto di vista si può parlare per Marx di una struttura economica, che coincide sostanzialmente col concetto di modo di produzione, che tende a determinare specifiche istituzioni politiche, giuridiche e culturali: forme di potere, norme sociali, cultura ( ciò che Marx chiama sovrastruttura ). La ragione del mutamento sociale è quindi da ricercare in primo luogo nelle forze produttive: i cambiamenti che si producono in questo campo rendono obsoleti i vecchi rapporti sociali di produzione, che tendono a destabilizzarsi favorendo lo scontro tra classi portatrici di interessi antagonisti. A questo punto il vecchio modo di produzione comincia ad entrare in una fase di declino per lasciare il posto al successivo modo di produzione, il quale produrrà un rapido cambiamento nella sfera politico-culturale della società, cioè nella sovrastruttura. Marx rintraccia nella storia l’esistenza di quattro modi di produzione diversi ( il comunismo primitivo, il modo di produzione antico o schiavistico, il modo di produzione feudale, e il modo di produzione capitalistico), ognuno dei quali è nato dalle contraddizioni interne che hanno determinato la fine del precedente. Secondo Marx dalle contraddizioni del capitalismo dovrebbe nascere un nuovo e, ultimo, modo di produzione: il comunismo. Nel modo di produzione capitalistico infatti lo scontro tra una sempre più ristretta classe di borghesi, proprietari dei mezzi di produzione, e la maggioranza di proletari che vende forza lavoro – la loro unica ricchezza - ai primi, dovrebbe condurre alla costituzione di una società senza classi e senza sfruttamento, caratterizzata appunto dal modo di produzione comunista. Secondo Marx lo scontro fra borghesi e proletari è lo scontro politico finale, la spallata ad un sistema ormai moribondo ( simile a quello della borghesia rivoluzionaria contro i resti del potere feudale). Secondo l'autore il capitalismo finisce a causa del capitalismo; le medesime leggi di funzionamento che hanno portato al suo trionfo sono quelle che porteranno alla sua fine. Quel che fa marciare il capitalismo è il mercato, vale a dire la concorrenza: per sua natura la concorrenza porta al progressivo vantaggio di coloro che nel mercato si rivelano più forti: i capitalisti maggiori mangiano quelli minori, "spossessando" dei mezzi di produzione quote crescenti di ex- imprenditori ( nel III libro del Capitale Marx dice quasi tutto sulle Corporations transnazionali) fino a che i mezzi di produzione rimangono in pochissime mani. Queste poche mani non hanno più interesse a farsi la concorrenza e, dunque, smettono di innovare, impedendo così che si dispieghino in tutta la loro potenza i mezzi di produzione ( scienza e tecnica) che il capitalismo aveva messo in moto. La proprietà privata dei mezzi di produzione ( in poche mani che smettono di competere nel mercato) è la ragione principale dell'incepparsi del capitalismo. Eliminata questa le forze produttive ricominceranno a svilupparsi. Ma il capitalismo si inceppa anche perché i crescenti beni che esso produce non trova mercati poiché, nella visione di Marx, i salari sono progressivamente decrescenti ( la forza lavoro è pagata a prezzo di mercato, al valore della semplice riproduzione del produttore) e i beni rimangono invenduti ( le crisi di sovrapproduzione). Marx non aveva messo nel conto che, forse proprio perché è esistito il marxismo, ci sarebbe stato l'intervento dello Stato per sostenere il mercato (Keynes, ecc). In ogni caso la teoria del valore - lavoro di Marx non ha trovato conferme empiriche. I salari sono cresciuti nel corso dello sviluppo del capitalismo non solo per le lotte sindacali ma perché senza i salari e gli stipendi non ci sarebbe stato mercato per i beni di consumo di massa. La teoria marxista del mutamento sociale è stata fortemente criticata per il suo carattere deterministico e unilaterale. In primo luogo sembra difficile credere che ogni tipo di mutamento sociale prodottosi nella storia possa essere spiegato facendo ricorso all’analisi dei cambiamenti intervenuti nella struttura economica. In particolare poi appare discutibile l’idea che i valori, le norme sociali e giuridiche, il potere politico e la cultura di una società siano una sorta di riflesso, quasi di prodotto, dell’operare della struttura economica. Come altri studiosi hanno messo in evidenza, per esempio M. Weber, la sfera dei valori e della politica, lungi dall’essere unilateralmente determinata dall’economia, può influenzare fortemente la direzione del mutamento sociale. Comunque, in sociologia, l'insegnamento di Marx di guardare agli interessi materiali in campo durante le dispute ideologiche o quelle politiche rimane sempre un buon insegnamento. SCHEDA B: Weber: L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (Titolo originale: Die Protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, 1905-1920) Osservazioni empiriche contenute all'inizio dell'Etica: Nelle regioni europee ( e negli Stati Uniti) in cui la popolazione professa una religione nata dalla Riforma, in particolare confessioni di matrice calvinista, la proprietà capitalistica, l'impresa, gli operai specializzati e i tecnici sono più numerosi che nelle aree a maggioranza cattolica. Anzi Weber scrive di un " carattere prevalentemente protestante della proprietà capitalistica" ( tr. it. ed. 1991, p.59) SPIRITO DEL CAPITALISMO L'interrogativo di Weber è il seguente: che cosa vi è in queste religioni che può considerarsi affine allo "spirito del capitalismo"? E in primo luogo che cosa è "lo spirito del capitalismo"? E' un ethos ( ETICA) che pone come sommo bene il guadagnare denaro, sempre più denaro, evitando rigorosamente ogni piacere spontaneo. La natura etica di questa accumulazione incessante di denaro è il fatto che l'uomo "onesto", "degno" sia moralmente tenuto ad aumentare il proprio capitale ( col presupposto che l'interesse a tale aumento sia fine a se stesso). PERCHE' VENNE DATO VALORE ALL'ACCUMULAZIONE? L'interrogativo di M. Weber è il seguente: come è potuto accadere che significativi gruppi umani si lasciassero trascinare dal valore dell'accumulazione per l'accumulazione e da uno stile di vita che preclude ogni autocompiacimento, ogni debolezza ma anzi pone in risalto il valore della rinuncia ai godimenti terreni, condanna il lusso, le comodità, l'ozio? Come ha potuto nascere questo sistema normativo che infine si può chiamare "spirito del capitalismo"? E questa "nascita" è avvenuta in un mondo in cui ideali prevalenti erano quelli aristocratici della raffinatezza, del disprezzo del lavoro, del valore dell'eroismo in guerra, del lusso e dello spreco. LA RELIGIOSITA' All’epoca del primo capitalismo una delle passioni più sentite da strati abbastanza vasti di popolazione era quello della salvezza ultraterrena. Nelle varie denominazioni protestanti, nate dalla Riforma, che rifiutavano l’intermediazione della Chiesa cattolica come dispensatrice dei beni di salvezza, la soluzione circa la salvezza della propria anima veniva ricercata in vari modi. Le sette protestanti influenzate dalle dottrine di Calvino davano una risposta particolare a questo problema. TEOLOGIA CALVINISTA DELLA PREDESTINAZIONE Premessa l'assoluta maestà di Dio e la sua assoluta lontananza dagli esseri umani, indegni per via del loro peccato di avvicinarsi in alcun modo alla Divinità o, meno che mai, di capirne i Disegni, gli esseri umani nulla potevano fare per cercare la propria salvezza. Solo Dio, ab aeterno, aveva potuto decidere la salvezza di alcuni e solo in virtù della Sua misericordia (dottrina della predestinazione). La maestà infinita di Dio, la sua immensa lontananza dal mondo dei peccatori aveva come conseguenza il fatto che la Divinità era nascosta e i suoi decreti erano imperscrutabili. ETICA CALVINISTA La dottrina della predestinazione avrebbe potuto provocare uno stato di incertezza angosciosa: non c'era solo l'assoluta ignoranza circa il futuro della propria anima ma anche l'impossibilità di fare alcunché per la propria salvezza: non opere di bene, non indulgenze, non preghiere. La soluzione a questa angoscia fu trovata in una coppia di concetti dell'etica calvinista: l'ascetismo mondano e il concetto di Beruf ( vocazione). ASCETISMO MONDANO Ascetismo: una concezione in base alla quale il fedele si impegna in uno sforzo intenso, continuativo, al fine di facilitare il compimento dei disegni divini, cercando di diventare uno strumento attivo, coscienzioso, consapevole di quel disegno. Un aspetto particolare di questo ascetismo, espresso dall'aggettivo mondano è che esso deve essere praticato nella realtà terrena, nel mondo comune di tutti, ed è in generale il programma assegnato da Dio ad ogni essere umano. L'asceta mondano calvinista pone le sue energie al servizio del disegno divino mediante la pratica assidua di una VOCAZIONE terrena, entro la società di cui fa parte con tutti gli altri individui. IL BERUF Il Beruf ( vocazione ) era, nella concezione cattolica, solo la chiamata di Dio alla vita ascetica dei monasteri. Lutero prima e poi Calvino trasferiscono il concetto di vocazione alla vita nel mondo, fuori dagli ordini religiosi consacrati. Era dovere di ogni uomo seguire la sua vocazione mondana, la sua professione, con le medesime caratteristiche di ascetismo che caratterizzavano la vita dei monaci. ( Weber dice che i primi professionisti moderni sono stati i monaci benedettini, con la loro giornata scandita in orari precisi fra preghiera e lavoro). Qualunque fosse questa posizione lavorativa, anche quella così disprezzata dai cattolici e dagli aristocratici, quale l'attività imprenditoriale, essa era gradita a Dio se svolta con rigore e con metodo. CONSEGUENZE SPIRITUALI DEL CORRETTO SVOLGIMENTO DELLA VOCAZIONE Dovere di ogni fedele era quello di svolgere la propria vocazione nel mondo per la gloria di Dio. Ma forse se nella vocazione mondana si raggiungevano risultati positivi, ad esempio il successo negli affari o la ricchezza, ciò poteva essere interpretato come un segno del favore di Dio, un indizio di salvezza, l'appartenenza alla schiera degli eletti da Dio. La certezza non poteva mai raggiungersi, ma questi segni del favore di Dio potevano placare l'angoscia. E c’era il lavoro - duro, metodico, senza fine, che occupava tutto il tempo - che impediva di abbandonarsi a pensieri oziosi, al dubbio, al peccaminoso dubbio circa la misericordia di Dio. GLI IMPRENDITORI CALVINISTI I primi imprenditori del capitalismo europeo ( e americano), ripete Weber, furono fedeli calvinisti e puritani che agivano nel mondo esclusivamente per la gloria di Dio. Il loro incessante lavoro, il loro rigore etico, lo stile di vita non potevano non portare all'accumulazione e al reinvestimento dei profitti. Ma essi non avevano ALCUNA CONSAPEVOLEZZA di essere portatori di una civiltà nuova né che i loro atteggiamenti nei confronti del denaro e del lavoro sarebbero stati gli orientamenti di valore più adatti alla società capitalista che andava nascendo e che essi contribuivano a costruire. Quel che facevano era dettato solo da una preoccupazione spirituale per essi fondamentale. LE CONSEGUENZE NON PREVISTE DELL'AZIONE DEI GRUPPI UMANI Fu una conseguenza non prevista della storia che da uno slancio tutto spirituale nascesse un atteggiamento che poco ha avuto di spirituale in seguito. Ma in seguito, una volta che il capitalismo raggiunse il suo sviluppo e perfezionò il suo modo di funzionare, esso non ebbe più bisogno di questi slanci religiosi. Il capitalismo fu in grado di prodursi da sé quegli uomini che avevano le caratteristiche adatte al sistema. RIGHE CONCLUSIVE DEL LIBRO DI WEBER " Il puritano volle essere un professionista, noi lo dobbiamo essere. Infatti quando l'ascesi passò dalle celle conventuali alla vita professionale e cominciò a dominare sull'eticità mondana, contribuì, per parte sua, a edificare quel possente cosmo dell'ordine dell'economia moderna - legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica - che oggi determina, con una forza coattiva invincibile, lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati entro questo grande ingranaggio e forse continuerà a farlo finché non sia stato bruciato l'ultimo quintale di carbon fossile…. Solo come "un leggero mantello che si potrebbe sempre deporre", la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli eletti… Ma il destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio…. da cui lo spirito è fuggito. In ogni caso il capitalismo vittorioso non ha più bisogno di questo sostegno, da quando poggia su una base meccanica… e la ricerca del profitto si è spogliata del suo senso etico-religioso, e oggi tende ad associarsi con passioni puramente agonali, competitive… Nessuno sa ancora chi in futuro abiterà in quella gabbia, e se alla fine di tale sviluppo immane ci saranno profezie nuovissime …o se invece avrà luogo una sorta di pietrificazione meccanizzata, adorna di una specie di importanza spasmodicamente autoattribuitesi. Poiché, invero, per gli "ultimi uomini" dello svolgimento di questa civiltà potrebbero diventare vere le parole: "Specialisti senza spirito, edonisti senza cuore; delle nullità che si immaginano di essere ascesi a un grado di umanità mai prima raggiunto" ( Etica, tr. it. cit. pp. 239-241) SCHEDA C. IL POTERE NEI GRUPPI Definizioni: Il potere è un fenomeno sociale generale. Esso può distinguersi secondo M. Weber in: POTENZA: la possibilità di condizionare il comportamento altrui anche senza azioni dirette di comando. POTERE: la possibilità di trovare obbedienza ad un comando che abbia un determinato contenuto AUTORITA’ O POTERE LEGITTIMO: il diritto legittimo di dare ordini e il dovere di ubbidire In tutte le sfere della vita sociale vi sono fenomeni di potenza, potere, autorità. RISPETTO AI MEZZI IMPIEGATI SI DISTINGUONO TRE TIPI DI POTERE: IL POTERE ECONOMICO: chi ha mezzi economici può indurre chi non li possiede a seguire una certa condotta IL POTERE IDEOLOGICO: chi ha idee e mezzi per diffonderle può influenzare la condotta degli altri. POTERE POLITICO: chi ha il controllo dei mezzi della coercizione fisica può costringere gli altri a eseguire i propri ordini. SCHEDA D: INTERESSI E AUTORITA' IN MAX WEBER Gli individui tendono ad aggregarsi fra loro in organizzazioni e gruppi sulla base di interessi materiali e ideali, cioè sulla base di orientamenti di condotta influenzati prevalentemente da considerazioni di utilità economica e da considerazioni di affinità sociale. Esempi del primo tipo sono le compagnie commerciali o le moderne società per azioni; nel caso della stratificazione sociale il caso tipico è quello delle classi sociali che, nella definizione weberiana, sono gruppi che si formano fra individui che condividono la stessa situazione di mercato e quindi hanno probabilità relativamente simili di poter sfruttare i propri beni e servizi a fini economici. Esempi dei gruppi del secondo tipo sono la famiglia, il vicinato , le comunità religiose e, sempre a livello di stratificazione, i ceti cioè gruppi formati sulla base del comune possesso o della comune concezione del prestigio e dell'onore sociale. Naturalmente la distinzione tra questi due orientamenti di condotta è analitica: non solo Weber riconosce che nella realtà essi si accavallano ma anzi uno dei temi del suo lavoro empirico consiste appunto nel vedere questo costante intreccio. Nel perseguire i propri interessi individui e gruppi non sono orientati solo da considerazioni di utilità o affinità ma anche dalla rappresentazione della sussistenza di un ordine legittimo, cioè da considerazioni relative all'esistenza di un'autorità politica. In questo Weber si richiama alla celebre distinzione fra stato e società civile. Ma nel riallacciarsi ad essa ha anche cura di distinguersi da quella tradizione intellettuale che l'aveva elaborata nella prima metà del XIX secolo. La scoperta del concetto di società civile era stata una scoperta polemica nel senso che aveva comportato la convinzione - comune al liberalismo, al marxismo e ai teorici conservatori della restaurazione - che la SFERA DEL POLITICO FOSSE INTERAMENTE DETERMINATA DALLA SFERA SOCIALE. Weber non accetta questa conclusione riduttiva. Per lui società civile e stato - cioè comportamenti orientati sulla base di costellazioni di interessi e comportamenti orientati dalla concezione dell'esistenza di un ordine legittimo - si intersecano e si condizionano a vicenda ma sono qualitativamente diversi e necessitano di distinti livelli di analisi. Weber dunque individua tre dimensioni di aggregazione alle quali corrispondono analiticamente tre settori istituzionali: l'economia - gli interessi materiali - la cultura - gli interessi ideali - la politica - gli interessi relativi alla lotta per il dominio. Su questa teoria della formazione di gruppo egli fonda la sua teoria della stratificazione sociale: in ognuno dei tre settori coloro che condividono interessi e posizioni comuni tendono ad associarsi fra loro e ad escludere gli altri. Da ciò deriva la lotta delle classi nel settore economico, quella dei ceti nella sfera culturale, quella fra gruppi di potere ( i partiti nello stato moderno) nel campo della politica. Fra ordine economico, ordine culturale e ordine politico sussistono sia legami sia relativa autonomia. Al esempio, la gerarchia culturale può essere importante in sé perché influenzando la concezione del mondo degli individui è la più diretta determinante della loro esperienza della realtà sociale, ma anche perché questi meccanismi simbolici possono costituire la base della stratificazione economica e politica. Per esempio nelle prime colonie americane solo i membri delle sette protestanti potevano partecipare alla gestione politica della comunità; allo stesso tempo la chiusura settaria nei confronti dei non qualificati religiosamente offriva ai membri opportunità economiche facilmente monopolizzabili. Tuttavia per Weber la direzione dell'influenza causale non è mai determinata una volta per sempre perché la stratificazione economica tende a sua volta a consolidarsi in una stratificazione culturale. La stessa relazione di autonomia relativa che collega l'ordine economico e quello culturale sussiste nelle connessioni che intercorrono tra questi due settori e quello della politica. L'ambito della politica può essere caratterizzata come quella dimensione analitica dell'azione che concerne il controllo dell'apparato di coercizione della società: lo Stato è infatti definito da Weber come il "monopolio della violenza legittima". Gli attori sociali in questa sfera sono i gruppi che si formano sulla base di interessi politici; questi interessi possono coincidere con gli interessi materiali e ideali che si formano nella società civile ma ciò non avviene necessariamente. La politica ha una logica sua propria non riconducibile teoricamente a quella economica e culturale: perciò la stratificazione esistente nella sfera dello Stato riflette in parte quella delle classi e dei ceti ma è anche determinata dalle particolari relazioni esistenti fra le diverse istituzioni del sistema politico. La necessità di impiegare un distinto livello di analisi per lo studio della politica viene sottolineato da Weber mediante l'uso di una terminologia specifica. Il concetto centrale è quello di DOMINIO O AUTORITA' (HERRSCHAFT): con questo termine Weber desidera distinguere il potere coercitivo tipicamente politico da quello che deriva da altre fonti, in particolare da quello basato su costellazioni di interessi economici ( oppure il potere che può esistere nei salotti, nella comunità scientifica, nei rapporti erotici, nello sport ecc); le relazioni sociali che derivano dalle costellazioni di interessi economici influenzano l'agire formalmente libero di individui e gruppi e sono QUALITATIVAMENTE DIVERSE da quelle che si costituiscono in virtù dell'autorità e fondate sul dovere di obbedienza preteso a prescindere da ogni interesse. Per Weber questo potere era identico al potere autoritario di comando. Per autorità deve quindi intendersi il fenomeno per cui una volontà manifestata ( comando) del detentore o dei detentori dell'autorità vuole influire sull'agire di altre persone ( del dominato o dei dominati) e influisce effettivamente in modo tale che il loro agire procede, in un grado socialmente rilevante, come se i dominati avessero assunto, per loro stesso volere, il contenuto del comando per massima del loro agire ( obbedienza). Secondo W. perché vi sia autorità è necessario che vi sia: 1) un individuo o un gruppo di individui che comandano; 2) un individuo o un gruppo che è comandato; 3) che gli individui o il gruppo che comandano esprimano il loro volere con comandi 4) la prova che coloro che comandano hanno influenza perché empiricamente si rileva l'obbedienza dei comandati; 5) la prova indiretta di questa influenza in termini dell'accettazione soggettiva con il quale il comandato obbedisce al comando. IL DOMINIO O AUTORITA' IMPLICA UN RAPPORTO RECIPROCO FRA COLORO CHE COMANDANO E COLORO CHE SONO COMANDATI NEL QUALE LA REALE FREQUENZA DELL'OBBEDIENZA E' SOLO UN ASPETTO DEL FATTO CHE IL POTERE DI COMANDO ESISTA. E' EGUALMENTE IMPORTANTE IL SIGNIFICATO CHE COLORO CHE COMANDANO E COLORO CHE SONO COMANDATI ATTRIBUISCONO AL RAPPORTO DI AUTORITA'. OLTRE AL FATTO DI EMANARE ORDINI COLORO CHE COMANDANO RIVENDICANO UN'AUTORITA' LEGITTIMA A FARLO E QUINDI SI ASPETTANO CHE I LORO ORDINI SIANO OBBEDITI; ALLO STESSO MODO L'OBBEDIENZA DI COLORO CHE SONO COMANDATI E' GUIDATA IN QUALCHE MISURA DALL'IDEA CHE COLORO CHE COMANDANO E I LORO ORDINI COSTITUISCANO UN ORDIMENTO LEGITTIMO DI AUTORITA'. L'autorità richiede un apparato amministrativo per far eseguire gli ordini e di converso ogni amministrazione richiede un autorità perché il potere di comando sull'apparato deve essere attribuito al un individuo o ad un gruppo di individui. Queste condizioni dell'autorità e dell'amministrazione sono minime quando l'organizzazione é su base locale e ha piccole dimensioni. Quando le dimensioni del gruppo aumentano oltre un certo limite, o i membri non sono più uguali, le funzioni amministrative diventano troppo difficili per essere eseguite da qualsiasi persona designata per rotazione o per designazione: perciò l'autorità e l'amministrazione tendono a trasformarsi in strutture più durevoli. Il risultato è la superiorità tecnica dei funzionari che hanno ricevuto un addestramento e che per questa superiorità essi tendono a occupare le cariche in modo continuativo. Per Weber sono importanti sia l'organizzazione che rende effettivo un certo sistema sia le credenze che lo sostengono. Secondo Weber le credenze nella legittimità di un sistema di dominio non sono mere questioni filosofiche o sovrastrutturali. Esse possono contribuire alla stabilità di un rapporto di autorità e indicare differenze assai reali tra sistemi di dominio. "COME TUTTI COLORO CHE HANNO UN VANTAGGIO SUGLI ALTRI , GLI UOMINI CHE DETENFONO IL POTERE VOGLIONO CONSIDERARE LA LORO POSIZIONE "LEGITTIMA" E I LORO VANTAGGI "MERITATI" E INTERPRETARE LA SUBORDINAZIONE DEGLI ALTRI COME UN GIUSTO DESTINO CHE RICADE SULLE LORO SPALLE. QUINDI COLORO CHE COMANDANO SVILUPPANO UN QUALCHE MITO DELLA LORO SUPERIORITA' NATURALE CHE, IN CONDIZIONI DI STABILITA' E' GENERALMENTE ACCETTATO DALLA GENTE , MA CHE PUO' DIVENIRE L'OGGETTO DI UN ODIO APPASSIONATO QUANDO UNA QUALCHE CRISI METTE IN QUESTIONE L'ORDINE STABILITO". M. Weber considerò solo tre principi di legittimità - ognuno dei quali connesso ad un corrispondente tipo di apparato - che sono stati usati per giustificare il potere di comandare: ( FONTI DELLA LEGITTIMITA’ DEL POTERE DI COMANDO) IL CARISMA: la credenza nel carattere straordinario di un capo ( AUTORITA' CARISMATICA) LA TRADIZIONE: la credenza nel carattere sacro di tradizioni immemorabili ( AUTORITA' TRADIZIONALE) LA LEGGE: le credenza nella validità di norme statuite ( AUTORITA'LEGALE RAZIONALE) Ovviamente, trattandosi di una tipologia, è possibile - anzi probabile - che nelle espressioni concrete del potere si ritrovino elementi che fanno capo all'una o all'altra fonte di legittimità. Il quadro weberiano del dominio può essere riassunto, in linea di principio, nel seguente schema: tipo di legittimità organizzazione politica tipo di amministrazione status dei soggetti Carismatica Comunità carismatica Extra- quotidiana Seguaci, discepoli Tradizionale Stato tradizionale Amministrazione Sudditi patrimoniale ( cariche assegnate come beneficio) Legale - razionale Stato moderno di diritto Burocrazia Cittadini SCHEDA E: LO STATO MODERNO DI DIRITTO E LA CITTADINANZA Già sotto l'assolutismo regio il diritto si evolve verso UNA CRESCENTE AFFERMAZIONE DELL'UGUAGLIANZA GIURIDICA FORMALE. Si affermano i DIRITTI DI CITTADINANZA INDIVIDUALI in quanto, in primo luogo, è agli individui, come componenti del popolo, che fa capo la SOVRANITA' dello Stato. La sovranità dello Stato derivante dal popolo è proclamata da una COSTITUZIONE o da uno STATUTO (concesso dal sovrano) che vincola popolo e sovrano a diritti e doveri specifici. Nasce il CITTADINO ( al posto del suddito) sottoposto ai comandi della legge e non di una persona. SVILUPPI DEL CONCETTO DI CITTADINANZA CITTADINANZA CLASSICA. L'IDEA DELLA CITTADINANZA - VALE A DIRE CHE LE PERSONE POSSANO ESSERE TITOLARI DI DIRITTI - E' ANTICA. L’antichità – LA POLIS GRECA – ha conosciuto il concetto di diritto di cittadinanza individuale, sia pure limitato ad una parte ristretta della popolazione: i cittadini erano i maschi capofamiglia proprietari terrieri, aristocratici e in possesso delle armi, gli unici che avessero diritto a fare politica: partecipare alle decisioni politiche era il più prezioso fra i diritti di cittadinanza Ad Atene nel III secolo a. C. vi erano circa 250.000 abitanti: fra questi gli SCHIAVI erano circa 100.000 ; i METECI: ( artigiani, mercanti, stranieri, senza diritti di cittadinanza) erano circa 120.000; i MASCHI ADULTI, CITTADINI erano circa 30.000. Per la VALIDITA' DELLE ASSEMBLEE il quorum era di circa 6.000 cittadini ( ignoto il numero delle donne, ovviamente senza cittadinanza). CITTADINANZA "CORPORATA" Nello STATO DI CETO si ha in riconoscimento da parte del re e dei principi del diritto di autogoverno dei diversi corpi ( ceti) : l’assemblea dei nobili ma anche le comunità cittadine, le associazioni di mestiere di commercianti e artigiani, le corporazioni ecclesiastiche e quelle dei giuristi, le università ecc. reclamavano il diritto all’autogoverno. Nelle assemblee degli stati generali si reclamano questi diritti. E si tratta di DIRITTI, VALE A DIRE DI PRIVILEGI CHE OGNI CORPO OTTIENE DAL RE, PER LA PROPRIA PARTE E NON DI DIRITTO. LA CITTADINANZA MODERNA. L’orizzonte dei diritti di cittadinanza, si afferma con l’affermazione di un diritto tendenzialmente uguale per tutti. Ma si deve aspettare l'era delle rivoluzioni perché la cittadinanza trovi il suo pieno riconoscimento politico. La lunga rivoluzione inglese nel 1640 e poi l’affermazione del principio dell’autogoverno nel 1688. La rivoluzione americana iniziata con le prime assemblee elettive in Virginia nel 1619 e culminata con la dichiarazione di indipendenza (1783) e i BILLS OF RIGHTS ( 1776-1784), delle varie ex-colonie, di stampo giusnaturalistico e illuminista. La rivoluzione francese e la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" del 1789. “Ogni cittadino nasce e rimane libero ed eguale nei diritti” La cittadinanza si afferma come l'insieme di diritti e doveri che definiscono la condizione di appartenenza ad uno stato. Evoluzione dei diritti di cittadinanza secondo T.H. Marshall: tre fasi di sviluppo. LA CITTADINANZA CIVILE: riguarda i diritti necessari alla libertà individuale: libertà personali, di parola, di pensiero, di fede, di possedere cose in proprietà, di stipulare contratti validi, il diritto di ottenere giustizia ( inizio: Inghilterra XVIII secolo). LA CITTADINANZA POLITICA: ( Europa e Stati Uniti: XIX SECOLO): il diritto di eleggere ed essere eletti ( voto attivo e passivo) e, dunque, di partecipare all'esercizio del potere politico. LA CITTADINANZA SOCIALE: (XX SECOLO): il diritto ad accedere a certi standard di consumi, salute, istruzione, in modo, come affermava Marshall, da " vivere la vita di una persona civile, secondo i canoni vigenti nella società" VA PRECISATO CHE QUESTA EVOLUZIONE RIGUARDA LA PARTE MASCHILE DELLA POPOLAZIONE. L'AFFERMAZIONE DEI DIRITTI DELLE DONNE HA UNA STRADA PIU' LUNGA E PIU' TORTUOSA. SCHEDA B: ragione e razionalismo LA RAGIONE: la credenza che l'essere umano sia dotato delle facoltà necessarie per arrivare da se stesso alla verità e di trovare in sé le ragioni e le motivazioni del proprio agire e, di conseguenza, la concezione di essere umano "emancipato" dalle definizioni della realtà confezionate da vari poteri politici e religiosi, o costruite dalla tradizione. Il RAZIONALISMO può essere: A) DISINCANTAMENTO DEL MONDO ( M. Weber) 1. Distacco della religione dalla magia: la magia è un modo di pensare e di agire che serve per controllare un mondo popolato da forze e da spiriti che sono incomprensibili alla ragione umana. La magia serve per assicurare la bontà del raccolto, la nascita di eredi maschi, il passaggio agli esami, la vittoria nei processi, vale a dire il raggiungimento di ogni possibile fine materiale attraverso il controllo con riti e pratiche - di spiriti buoni o cattivi, forze sconosciute, dei capricciosi. Ed è magico anche quel pensiero che ritiene che attraverso riti e pratiche particolari si possa ottenere la salvezza della propria anima. 2. Le religioni contengono "quote" più o meno grandi di magia. Nel corso dello sviluppo delle religioni monoteistiche - segnatamente la tradizione giudaico- cristiana - il pensiero e le pratiche magiche vengono progressivamente emarginate e condannate. Il SACRO che con la magia popolava il mondo e la vita quotidiana viene trasferito in una dimensione "altra", TRASCENDENTE ( fino al Dio "nascosto" dei Calvinisti) 3. La trascendenza di DIO ha svuotato il mondo del SACRO. Ciò ha consentito di guardare al mondo e alla natura come realtà oggettiva, di osservare il mondo con regole diverse da quelle magiche. 4. Queste regole sono quelle della scienza e della tecnica e, in generale, del pensiero laico. 5. Nel mondo "disincantato" può esplicarsi la ragione umana. Si può notare che questo processo intellettuale ha la sua controparte storica e istituzionale nella separazione fra Stato e Chiesa. M. Weber pensava che il modo di pensare e di agire prevalente nel mondo moderno fosse appunto un modo razionale. Tendenzialmente è così ma la magia continua a popolare anche il moderno mondo occidentale se è vero che si consultano gli oroscopi, si spendono somme consistenti di denaro per farsi rassicurare da maghi su salute, amori e denaro, si indossano amuleti, ecc. Anche le religioni vengono usufruite in modo diverso dalle élite religiose e dal popolo: le élites religiose praticano in genere forme di religiosità al cui centro vi è la trascendenza/ lontananza dalla divinità mentre la religiosità popolare è più incline a forme magiche di religione ( voti, ceri ai santi per impetrare grazie o per grazia ricevuta, pellegrinaggi a luoghi sacri ecc). La Chiesa cattolica ha talvolta favorito e talvolta ostacolato le forme magiche di religione. Il cristianesimo riformato è sempre stato ostile alle forme di religiosità magica. Si può sinteticamente distinguere fra queste due forme di religiosità con due semplici frasi, riferibili la prima ad una religiosità non magica e la seconda alla religiosità popolare: "Sia fatta la volontà di Dio" o, viceversa: " San Padre Pio, se mi fai guarire farò offerte alla tua chiesa per il resto della mia vita" ( commenti Oppo) B. Il processo di razionalizzazione ( M. Weber) Si intende come tendenza generale all'uso della conoscenza con lo scopo di raggiungere un controllo crescente sul mondo circostante. Vi è l’applicazione di modi di agire razionali ( modi di agire efficienti e efficaci per realizzare i propri fini) ad ambiti sempre più vasti: sistemi di credenze, ordinamenti giuridici e politici, la scienza. Questi modi di agire razionali si oppongono, in primo luogo, al tradizionalismo, vale a dire a modi di pensare e di agire abituali, " si è sempre fatto così", quasi automatici, non "pensati" criticamente dal soggetto. E si oppongono, naturalmente, al pensiero magico. Razionalità e riflessività: le potenzialità razionali dell'azione sono connesse ad una concezione degli esseri umani come capaci di scindersi in un soggetto pensante e in un oggetto pensato e, dunque, essere in grado di tenere sotto controllo le componenti irrazionali della propria personalità. Il processo di razionalizzazione può essere inteso anche come progressiva "intellettualizzazione" dell'esistenza: il soggetto pensante, prima di dar corso alle sue azioni, è in grado di immaginarle e di prevederne ( entro certi limiti) le conseguenze. In una parola, l'essere umano è in grado di "ragionarci su". Questa attività immaginativa e programmatoria rende "non immediata", "non naturale" l'azione degli esseri umani ma, appunto, razionale. ( Weber immagina che nelle epoche prescientifiche e pre-capitalistiche le azioni umane fossero meno mediate dal ragionamento, più "naturali" o più "irrazionali", più "immediate" Si può pensare che questa concezione non sia proprio esatta) SCHEDA G: ERVING GOFFMAN E LA VITA QUOTIDIANA ( "La vita quotidiana come rappresentazione". Il Mulino, 1969; "Modelli di interazione", Il Mulino, 1971; "Espressione e identità", Oscar Mondadori, 1980) Oggetto dell'analisi: studio degli eventi che si verificano durante una compresenza e in virtù di una compresenza. G. assume una prospettiva drammaturgica: gli eventi si verificano in ribalte sociali e retroscena sociali. Gli attori sociali, nelle ribalte, usano i loro ruoli come maschere di scena. Nei luoghi di retroscena ci si può rilassare, spogliarsi degli abiti di scena, riposarsi. Guai a scambiare ribalta e retroscena: le conseguenze per la relazione sociale potrebbero essere disastrose. Togliersi il cerume dall’orecchio nel bagno di casa - un retroscena custodito – è diverso che farlo durante il colloquio di lavoro o durante un esame. La compresenza può semplicemente essere tale: in questo caso si interagisce con gli altri solo in virtù della compresenza, con una comunicazione semplicemente fisica : per G. si tratta di "Interazione non focalizzata". Tipico comportamento dell'interazione non focalizzata è la " Disattenzione civile" ( in un aeroporto, in ascensore, nella fila alla posta, in autobus, in treno ). Gli altri ci sono ma ci si comporta reciprocamente come se ognuno fosse solo, cercando di non disturbare, di non dare nell’occhio, di non importunare ( Non so cosa avrebbe detto G. sull’uso del cellulare in questi luoghi, quando tutti i compresenti vengono a sapere gli affari e le faccende più intime del parlante. Forse avrebbe detto che la “disattenzione civile” in questi casi diventerebbe più accentuata ma che il giudizio sul parlante non sarebbe dei più lusinghieri) L'interazione focalizzata è chiamata da G. "incontro". a) Negli incontri gli individui giocano le loro parti ( i loro ruoli) facendo in modo di presentare se stessi nella miglior luce possibile e credibile. Nelle parole di G. gli attori sociali tentano costantemente di "salvarsi la faccia". b) La rappresentazione, tuttavia, può essere più o meno convincente: gli attori rischiano costantemente di essere traditi da emozioni comunicate dal corpo ( rossori, sudori, odori, lapsus, amnesie ecc.) c) La rappresentazione ( l'incontro) può andare avanti se l'attore trova la complicità dei comprimari - degli altri attori - che mostrano di ignorare le sue défaillance consentendogli di "salvare la faccia". Il gioco è un gioco di reciprocità poiché: d) pur essendoci vincitori e vinti è essenziale, se non si vuole rischiare la relazione, che tutti “salvino la faccia”. Nell’incontro i rapporti fra gli attori e il pubblico possono anche essere diversi da quelli che sembrano. Vi possono essere, cioè, “ruoli incongruenti”. Vi può essere il delatore che finge presso gli attori di essere un membro della compagnia e, in tale veste, avere la possibilità di accedere al retroscena. Dal retroscena attinge particolari segreti o imbarazzanti che comunica al pubblico, minando così la rappresentazione degli attori. Vi può essere il compare che si accorda segretamente con gli attori per poi mescolarsi col pubblico e fare il modo che questo abbia un orientamento favorevole agli attori. Vi è lo spettatore puro che assiste alla rappresentazione in modo distaccato, come giudice competente e qualificato ( può essere un critico teatrale ma anche una signora del bel mondo che osserva con occhio critico il ricevimento organizzato da una donna della piccola borghesia e che si tiene per sé le sue idee) Vi è l’intermediario che appartiene a due compagnie che sono l’una il pubblico dell’altra e può mettere in atto “giochi di triade” Vi è la “non persona” che pur essendo presente non fa parte della rappresentazione ( il conducente di un taxi). Le regole e i rituali dell’interazione esprimono attenzione e rispetto per gli altri. Attraverso questi rituali si valuta lo stato di salute di una relazione, ci si adatta l’uno con l’altro, si mantiene la fiducia fra i partecipanti alla relazione. SCHEDA H: K. Marx: I valori della classe dominante ( da: L'ideologia tedesca) I VALORI DI UNA SOCIETA' SONO I VALORI DELLA CLASSE DOMINANTE ( K. Marx). Secondo Marx coloro che detengono i mezzi di produzione detengono non solo il potere politico ma anche i "mezzi della produzione culturale" con cui riescono ad imporre a tutta la società i propri valori. Secondo Marx i valori nascono dalla materialità degli interessi in campo. I valori della classe dominante sono quelli che "convengono" o sono affini a tale classe. NON CONVENGONO ai proletari che, facendo propri tali valori, sono ALIENATI ( incapaci di riconoscere i propri, veri interessi). Secondo Marx solo con un'organizzazione e una spinta rivoluzionaria le classi subalterne riescono a vedere la realtà alla luce dei propri interessi, escono dall'ALIENAZIONE e producono propri valori alternativi. VALUTAZIONE SOCIOLOGICA DELLA POSIZIONE DI K. MARX. merito di Marx è stato quello di indicare come i VALORI non cadano dal cielo ma siano legati alle vicende storiche, concrete, all'esito della lotta fra classi, gruppi di interesse e ceti. Da questo punto di vista Marx può essere considerato il fondatore della sociologia della conoscenza che da quel momento ha analizzato ogni IDEA alla luce delle condizioni sociali della sua nascita, agli interessi dei produttori di tale idea, ecc. merito di Marx è di aver individuato il fatto che ogni classe dominante è tale proprio perché cerca di imporre i suoi valori. Insufficienza di Marx: non aver sottolineato che, come vi è tensione o conflitto fra diversi gruppi sociali - classi o altri raggruppamenti - vi è anche tensione o conflitto di valori ( o, almeno, concorrenza).