SANGIOVESE AIUTAMI TU Ero in vacanza a Pinarella di Cervia con gli amici. Eravamo quasi tutti ventenni. Era un giorno quanto mai torrido e afoso. L’ultimo giorno di ferie. Avevo programmato il viaggio di ritorno in treno, da solo. Il menù del ristorante era quanto mai classico. Lasagne e carne alla brace, piadina, Squacquerone e salumi misti. Patatine fritte e insalata. Frutta di stagione e per finire l’immancabile dolce della casa. Il tutto innaffiato da giganteschi bottiglioni da due litri di Sangiovese del Rubicone. Un vino che lasciava anche l’alone. Un occhio attento poteva vedere il livello di quanto ne avevi bevuto nello stomaco, talmente macchiava. Mangiammo una quantità industriale di lasagne. Trangugiammo talmente tanta carne alla brace da essere richiamati dall’albergatore. L’acqua era bandita dal tavolo. Così ci scolammo tre bottiglioni di sangiovese in cinque. Più di un litro a testa, bicchiere più bicchiere meno. Quando servirono la frutta, eravamo alla frutta anche noi, come tasso alcolico. Anche uno squisito tiramisù fatto in casa peggiorò il nostro stato perché eravamo già su…ma di giri. Passammo il primo pomeriggio cazzeggiando e dando sfogo alla tradizione rivierasca ovvero i gavettoni. Risultato: eravamo bagnati fuori e “bagnati” dentro. Ma aimè alle diciassette avevo il treno che mi avrebbe riportato a casa. Riuscii a convincere uno dei miei amici, il più sobrio, ad accompagnarmi alla stazione di Cesena. Sobrio era un eufemismo visto come guidava. Durante il viaggio mi rivolsi più volte al Santo protettore degli ubriachi:<<Sangiovese aiutami tu. >> Arrivai appena in tempo, correndo come un pazzo, e ciò mi fece ribollire il vino nello stomaco. Il treno partì e subito mi accorsi che l’impianto di condizionamento era rotto. Vi era un caldo atroce. Provai ad aprire, il finestrino, ma entrava aria calda, tanto che sembrava di aver acceso un phon su velocità tre davanti alla faccia. Morale della favola: la sbornia si tramutò in mal di testa e mal di stomaco. Cominciai a contare le stazioni e i chilometri che mi separavano da casa. Nel frattempo, mio padre mi aspettava alla stazione. Quel ferragosto, combinazione volle che alcuni cugini siciliani di mia madre venissero a trovarci e accompagnarono mio padre. Intanto, sempre più sofferente, non volevo stare male in treno perché c’era tantissima gente. Che figura avrei fatto. Nello stesso momento, in stazione, mio padre anticipava il mio arrivo, decantando le mie qualità ai parenti, tanto che i siculi si fecero un’opinione quanto mai positiva del sottoscritto. Feci il conto alla rovescia delle stazioni vicine a casa: Fiorenzuola, Cadeo, Pontenure e infine Piacenza. Finalmente il treno arrivò e con uno stridio di freni si arrestò. Io scesi di corsa e m’infilai nel sottopassaggio, al limite della sopportazione. La testa sembrava mi scoppiasse e lo stomaco mi provocava degli spasmi tanto da sembrare un vulcano che si preparava all’eruzione. Giunsi nell’atrio della stazione. Appena mio padre mi vide, disse orgogliosamente ai due cugini: << Quello è mio figlio!>> Non l’avesse mai detto. Tutti e tre si avvicinarono per venirmi incontro, fu in quel momento che il vulcano eruttò. Giunto allo stremo della resistenza, tutto il vino e il cibo mi uscirono proprio nell’atrio della stazione piena di gente. Per fortuna che non volevo farmi vedere da nessuno. I due siciliani, esterrefatti esclamarono: << Minchia… ma è ubriaco!>>. Mio padre assunse, in viso, diverse colorazioni, fino a tingersi man mano del verde intenso della rabbia. Con il passo di un tricheco in agonia riuscii ad arrivare all’auto. Il caldo e i succhi gastrici, in bocca e nel naso, mi soffocavano. Feci tutti i dodici chilometri in auto, con la testa fuori dal finestrino. Mi sentivo svenire. Grazie a Dio mi tenevano svegli gli insulti di mio padre. Messaggio per tutti: Puntate alla qualità del gusto e non alla quantità.