UNIVERSITA’ DI NAPOLI FEDERICO II Facoltà di Economia Master in Economia e Finanza Corso: Economia degli Intermediari Finanziari Tesina: Alcune considerazioni sul consolidamento bancario nel Meridione Antonio Forte INDICE IL PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO………………………………………PAG. 3 EFFETTI DEL CONSOLIDAMENTO………………………………………..PAG. 10 PROBLEMI DEL CREDITO NEL MEZZOGIORNO……………………...……PAG. 18 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………..…PAG. 25 2 IL PROCESSO DI CONSOLIDAMENTO Il processo di concentrazione all’interno del sistema bancario italiano ha preso le mosse all’inizio degli anni Novanta quando, a partire dalla legge Amato, si cominciò a modificare lo status quo che per decenni aveva ingessato il sistema creditizio nazionale tanto da farlo definire, proprio dallo stesso Amato, una “foresta pietrificata”. Si diede avvio, così, ad un processo di revisione sia della struttura istituzionale delle banche sia, con tempi più dilatati, della proprietà degli stessi istituti di credito. Oggi, a distanza di più di un quindicennio si può cercare di esaminare quali siano stati i risultati e le innovazioni che questa rivoluzione copernicana ha prodotto sul settore del credito nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. La letteratura esaminata non lascia dubbi al riguardo: il sistema bancario meridionale ha subito una forte spinta verso la concentrazione, in proporzione anche più elevata rispetto alle regioni settentrionali. L’aspetto rilevante, dal punto di vista del mercato meridionale, è rappresentato dall’imponente ingresso degli operatori creditizi del Centro-Nord. È evidente, analizzando i dati riportati nelle tabelle 1 e 2, che la struttura del sistema bancario meridionale è stata completamente trasformata negli ultimi anni. Un dato estremamente indicativo (vedi tabella 1) è quello delle banche meridionali indipendenti: in 17 anni sono passate da 100 a 17. Ma la ristrutturazione non si è limitata al solo fenomeno legato alle acquisizioni delle banche meridionali da parte delle banche del Centro-Nord. 3 Tabella 1: Evoluzione del sistema bancario meridionale Fonte: Banca d’Italia, albo delle banche e dei gruppi bancari in Coniglio, Ferri, a cura di, Banche@Mezzogiorno, 2007. Infatti, vi è stata anche un differente dinamica nella espansione territoriale degli sportelli tra banche con proprietà nel Centro-Nord e banche con sede e capitali nel Sud. La possibilità di aprire liberamente nuovi sportelli, dopo l’abolizione del piano sportelli della Banca d’Italia, ha dato nuove possibilità di espansione per le banche centro-settentrionali nell’area meridionale. Opportunità che le banche centro-settentrionali hanno colto pienamente. Si è assistito, così, ad una graduale riduzione del peso percentuale degli sportelli delle banche meridionali in tutto il contesto nazionale. Tale riduzione è stata generalizzata. La presenza percentuale degli sportelli delle banche meridionali non solo si è ridotta nel Centro-Nord Italia, come ci si poteva aspettare, ma è drasticamente diminuita anche nella loro stessa area di principale operatività. Certo, tutto ciò è il risultato anche delle numerose acquisizioni operate dagli intermediari del Centro-Nord, ma rappresenta comunque un indicatore della scarsa vitalità di cui ha goduto, e gode tutt’ora, il sistema bancario meridionale. Risulta, quindi, evidente che il sistema bancario meridionale non 4 è riuscito a fronteggiare pienamente la concorrenza esercitata dalle banche centro-settentrionali. Tabella 2: Distribuzione degli sportelli per ente segnalante e localizzazione dello sportello. Fonte: Mattesini, F., Messori, M.,L’evoluzione del sistema bancario meridionale: problemi aperti e possibili soluzioni, il Mulino, 2004 in Coniglio, Ferri, a cura di, Banche@Mezzogiorno, 2007. È da rimarcare, a tal proposito, anche lo studio effettuato da Mattesini e Messori. Nelle loro elaborazioni è evidenziato che nel Centro-Nord si è assistito ad una crescita più marcata del numero degli sportelli rispetto al Meridione d’Italia. Inoltre, confermando l’analisi riportata da Coniglio e Ferri, nel Meridione sono proprio le banche del Nord ad aver accresciuto maggiormente, sia a livello percentuale che a livello assoluto, il numero degli sportelli. Questa analisi evidenzia, senza ombra di dubbio, una notevole staticità del sistema bancario meridionale. Non è stato in grado di espandersi al Nord, in quell’area c’è oggi solo una percentuale ridottissima di sportelli di banche meridionali, ma anche di radicarsi ancor maggiormente nel Mezzogiorno. 5 Gli stessi Mattesini e Messori approfondiscono la loro indagine elaborando altri indici. Essi calcolano rapporti un po’ più articolati per cercare di rendere l’analisi più coerente con il contesto economico di riferimento. In effetti un’analisi concentrata esclusivamente su dati assoluti può essere fuorviante. Il mercato e l’economia meridionale sono marcatamente diversi da quelli del Centro-Nord. Esaminarli senza tener presente le loro differenze sarebbe un po’ troppo semplicistico. I due autori elaborano, quindi, tre indici: (numero sportelli)/PIL, (numero sportelli)/impieghi e (numero sportelli)/depositi. Utilizzando questi indicatori, che tengono conto delle specificità delle singole aree di riferimento, ci si accorge che le differenze tra Centro-Nord e Meridione tendono ad affievolirsi notevolmente. Emerge perfino che il secondo di questi rapporti, (numero sportelli)/impieghi, risulta essere migliore nel Mezzogiorno! Sembra, quindi, almeno sotto questo punto di vista, che la situazione del sistema bancario nelle regioni meridionali sia meno negativa di quanto ci si potrebbe aspettare. Però, se considerando l’intero sistema bancario operante nel Mezzogiorno la situazione può essere considerata soddisfacente, i dati fanno emergere una realtà decisamente negativa per le banche meridionali. Perché, è pur vero che la presenza di sportelli nel territorio meridionale è simile a quella centro-settentrionale se riparametrata rispetto alla situazione economica meridionale, però questa sostanziale uguaglianza è stata raggiunta solo grazie all’incremento degli sportelli operato dalle banche settentrionali. Le banche meridionali non sono state altrettanto rapide e incisive nello sviluppare la loro rete territoriale e hanno, di conseguenza, perso buona parte 6 del vantaggio competitivo che avevano costruito grazie alla loro lunga storia e ai loro consolidati rapporti con il sistema economico meridionale. Si può affermare che, almeno dal punto di vista della presenza territoriale, il processo di consolidamento ha rappresentato un fenomeno positivo per l’economia meridionale. Le banche meridionali, a causa dei loro problemi, non sarebbero state in grado di presidiare efficacemente il territorio meridionale e, se lasciate sole, avrebbero limitato la possibilità di accesso al credito e ai nuovi servizi bancari da parte della clientela del Sud Italia. Solo le acquisizioni delle banche meridionali da parte di operatori del CentroNord hanno permesso al sistema economico meridionale di confrontarsi con un sistema bancario più dinamico. Ma per raggiungere tale risultato si è dovuto assistere alla perdita dell’autonomia dei più importanti istituti di credito meridionali. Questo profondo mutamento del sistema creditizio meridionale affonda le radici nel passato. Infatti,non è stata la situazione contingente a trasformare le banche meridionali in prede. Le deficienze erano ataviche e di carattere strutturale. La chiusura del sistema e una conduzione molto attenta da parte della Banca d’Italia hanno permesso di rimandare nel tempo il redde rationem. È da rammentare, per evitare fraintendimenti, che i motivi di maggior peso che hanno costretto le banche meridionali a finire nella rete delle banche settentrionali erano in buona parte addebitabili a motivazioni esterne alle stesse. Ferri e Bongini, nell’esaminare questa problematica, si soffermano su tre macro problemi che, a loro dire, hanno negativamente influito sulla crescita e sulla sopravvivenza delle banche meridionali. La loro analisi pone l’accento sia sui limiti interni alle banche meridionali sia sui problemi strutturali che, dall’esterno, hanno contribuito in maniera 7 negativa a sgretolare le basi su cui si poggiava buona parte del sistema bancario meridionale. La teoria del “vaso di coccio” pone l’accento sulle deficienze delle banche meridionali. Indubbiamente il sistema bancario meridionale era meno efficiente di quello settentrionale. Tutte le analisi e i dati supportano questa tesi. Rimangono dubbi, però, sulla consistenza di tali inefficienze e sul ruolo da esse svolto nel compromettere la stabilità delle banche meridionali. Infatti, alcuni studi (Giordano, Lopes (2005)) evidenziano le carenze del sistema bancario meridionale, ma non traspare dai dati una situazione così negativa da comprometterne addirittura l’esistenza. Accanto a questo fattore interno troviamo due motivazioni esogene che Ferri e Bongini individuano nelle relazioni banche-politica e nella crisi economica. La prima causa richiama la stretta relazione esistente fra politici e sistema bancario. Finché tale relazione è stata solida essa è servita ad entrambi. Nel momento in cui i politici meridionali hanno cominciato a perdere potere e il sistema politico si è sbilanciato verso il Nord è venuta meno tutta la sovrastruttura politica che condizionava e proteggeva le banche meridionali. Per ultimo troviamo la crisi economica dell’inizio degli anni novanta. È risaputo che il 1992 ha rappresentato uno degli anni peggiori per la recente storia economica italiana. La crisi monetaria, la crescita di deficit e debito e l’inflazione ancora elevata condussero l’Italia sull’orlo del baratro. La svalutazione della Lira e l’inizio della politica fiscale restrittiva compromisero le speranze di crescita del Mezzogiorno. La svalutazione rese più facile l’esportazione, ma il sistema produttivo meridionale non è mai stato export oriented e, quindi, ciò non provocò alcun impatto positivo sulla crescita (come invece avvenne nel settentrione). Si riversò sul meridione solo l’aspetto negativo della svalutazione: l’aumento dei prezzi all’importazione. La politica fiscale restrittiva creò, forse, i problemi più gravi. Le imprese meridionali sono molto legate all’andamento ciclico dell’economia locale, 8 visto che l’export ha un peso irrilevante. I drastici tagli ai trasferimenti statali e l’innalzamento della pressione fiscale provocarono una profonda recessione nel Meridione. Questa situazione fece acuire i problemi di solvibilità dei prenditori e ciò trasmise la crisi anche al sistema bancario. Questa congerie di motivi provocò il dissesto del sistema creditizio meridionale che, immerso nella crisi, non solo non riuscì a fronteggiare, come già evidenziato, la concorrenza delle banche centro-settentrionali, ma per preservare la propria esistenza dovette rinunciare all’autonomia. Ci si è trovati di fronte ad un trade-off obbligatorio tra maggior dinamicità del sistema creditizio e perdita della autonomia delle banche meridionali. E così nel corso degli ultimi anni sono scomparse tutte le grandi banche con capitali e sede legale nel Meridione. Il breve quadro tracciato, sicuramente non positivo per il sistema meridionale, ci conduce, quindi, a prendere in esame quali siano state le conseguenze che tale processo di consolidamento ha provocato sul sistema economico meridionale. 9 EFFETTI DEL CONSOLIDAMENTO Il processo di consolidamento ha portato alla quasi totale scomparsa del sistema del credito di origine meridionale. Infatti, come già evidenziato, le difficoltà strutturali degli istituti di credito e del sistema economico meridionale hanno creato i presupposti per una facile conquista del mercato del credito meridionale da parte delle banche centrosettentrionali. Indubbiamente negli ultimi quindici anni la presenza di sportelli nel Mezzogiorno è notevolmente aumentata, così come sono aumentati a livello assoluto gli impieghi. Ma la disparità con il Centro-Nord è stata ridotta? A questa domanda si può rispondere analizzando un dato in particolare e cioè il rapporto tra impieghi e depositi. (tra gli impieghi si possono includere anche le sofferenze). Utilizzando questo indice si può osservare se le banche riescono a fornire il giusto supporto alla crescita economica della zona in cui operano e si possono effettuare veloci confronti tra aree diverse. Le elaborazioni dello Svimez evidenziano che a partire dal 1990, e fino al 2004, la differenza tra il valore di questo rapporto nel Centro-Nord e il valore dello stesso rapporto calcolato per il Mezzogiorno è andato costantemente aumentando. Ciò significa che nel Centro-Nord le banche investono molto di più di quanto raccolgano. La stessa propensione ad investire non si realizza nel Mezzogiorno. Per rendere ancor più attuale tale analisi si è provveduto a calcolare i valori di tali indici per l’anno 2006. Si può così cogliere se la tendenza di fondo si è invertita negli ultimi anni o se le disparità si sono acuite. 10 Utilizzando i dati contenuti nel Bollettino Statistico I 2007 della Banca d’Italia si osserva che tale divario continua, purtroppo, ad ampliarsi. Nella tabella 3 sono riportati i dati tratti dal Bollettino. Per ogni Regione italiana, e poi a livello aggregato per macro aree, sono riportati i valori degli impieghi, delle sofferenze e dei depositi. Tabella 3: Impieghi, depositi e sofferenze in Italia. Dati aggiornati al dicembre 2006 in milioni di € Impieghi A Depositi A Sofferenze B Italia 1.369.308 727.643 49.941 Piemonte 80.672 55.232 2.945 Valle d’Aosta 1.578 1.654 75 Liguria 25.820 18.214 1.145 Lombardia 467.716 199.245 7.755 Italia Nord575.786 274.345 11.921 Occidentale Trentino-Alto Adige 32.050 15.275 594 Veneto 122.415 55.492 3.352 Friuli Venezia Giulia 24.909 16.518 665 Emilia Romagna 120.167 60.965 3.892 Italia Nord-Orientale 299.541 148.250 8.503 Marche 34.671 17.465 1.480 Toscana 99.664 43.319 2.886 Lazio 181.929 98.124 9.482 Umbria 15.072 8.253 861 Italia Centrale 331.336 167.161 14.709 Campania 40.963 38.983 3.213 Abruzzo 17.167 11.829 1.133 Molise 2.410 2.101 354 Puglia 32.466 27.411 2.886 Basilicata 3.659 3.442 822 Calabria 10.351 9.650 1.074 Italia Meridionale 107.016 93.416 9.482 Sicilia 39.531 31.978 3.959 Sardegna 16.276 12.467 1.367 Italia Insulare 55.807 44.445 5.326 Fonte: Banca d’Italia, Bollettino Statistico, I 2007. A Distribuzione per localizzazione degli sportelli B Distribuzione per localizzazione della clientela 11 Per analizzare la situazione si è proceduto come segue. Si è calcolato il rapporto (impieghi+sofferenze)/depositi per due macro aree: Sud, comprendente “Italia Meridionale” e “Italia Insulare”, e Centro-Nord che racchiude “Italia Nord-Orientale”, “Italia Nord-Occidentale” e “Italia Centrale”. Il valore di tale rapporto per il Sud è pari a 1,2884 (A). Infatti, il totale di impieghi e sofferenze per l’area ammonta a 177.631 milioni di Euro mentre i depositi sono pari a 137.861 milioni. Per il Centro-Nord la somma di impieghi e sofferenze è pari a 1.241.796 milioni di Euro mentre i depositi ammontano a 589.756 milioni. Il loro rapporto è quindi pari a 2,1056 (B). Se andiamo a dividere A con B otteniamo l’indice voluto. Esso è pari a 0,61. Rispetto agli ultimi dati Svimez si evidenzia un ulteriore diminuzione di questo indice. Diminuzione che non si arresta dal 1990 quando il valore era pari a 0,83. Si può, inoltre, facilmente calcolare il più semplice rapporto impieghi/depositi. In questo caso il valore per il Sud è pari a 162.823/137.861 = 1,1810 (C), mentre quello per il Centro-Nord è 1.206.663/589.756 = 2,0460 (D). Anche in questo caso il rapporto di C su D evidenzia un valore (0,5772) che continua a ridursi nel tempo. Infatti, nel 1990 era pari a 0,80. Sembra evidente, quindi, che le banche siano più propense ad investire e a rischiare nell’economia centro-settentrionale. Ci si può chiedere quali cause abbiano contribuito ad aumentare questa tendenza nel corso degli anni. In primis possiamo ricordare la differente struttura produttiva esistente in Italia. Nel meridione sono più numerose (in proporzione) le imprese medio piccole. In molti casi sono imprese a conduzione familiare e gli investimenti di cui necessitano sono molto limitati. Per giunta esse cercano di investire soprattutto risorse proprie per evitare di contrarre debiti. Indi per cui, è quasi 12 naturale che ciò influisca negativamente sul valore del rapporto impieghi/depositi nell’area meridionale. È da rammentare anche che buona parte delle grandi imprese esistenti al Sud hanno centri decisionali al Centro-Nord o all’estero. Ciò comporta che gli investimenti operati al Sud vengono contabilizzati come impieghi nelle regioni settentrionali! Esempio tipico è quello della FIAT. Gli investimenti in impianti come Melfi o Termini Imerese vengono finanziati con impieghi che le banche erogano nel Nord Italia, visto che è localizzato lì il centro decisionale dell’impresa. Dobbiamo inoltre ricordare che negli ultimi venti anni si è assistito ad una graduale scomparsa delle grandi industrie nel Meridione. Ciò contribuisce ulteriormente a limitare l’ammontare di impieghi erogato. Altra possibile causa che può spiegare una così grande differenza tra CentroNord e Sud nel rapporto impieghi/depositi può risiedere nella grande mole di trasferimenti alle imprese che giungono nelle regioni meridionali e che quindi limitano la necessità di ricorrere a fonti di prestito alternative. Ma questa spiegazione sembra aver perso di importanza negli ultimi anni, visti i vincoli europei all’erogazione di aiuti alle imprese e la pressoché totale scomparsa dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Le diverse cause elencate possono essere utili per cercare di spiegare almeno una parte del divario esistente tra Centro-Nord e Sud riguardo i valori assunti e i trend degli indici considerati, ma non riescono a spiegare pienamente tali differenze. Vi sarebbe una interpretazione più politica di tali differenze tra Nord e Sud, ma non vede concordi tutti gli studiosi. Secondo alcuni (vedi Giannola, Il credito difficile) il processo di consolidamento e l’ingresso nel mercato meridionale degli istituti del CentroNord ha avuto come conseguenza il drenaggio di risorse dal Meridione al Settentrione. 13 Data la maggior rischiosità degli investimenti nel Mezzogiorno d’Italia, sembra naturale che le banche del Nord investano la raccolta ottenuta nel Meridione nelle attività più sicure e profittevoli esistenti nelle loro aree di origine. Ciò spiegherebbe pienamente perché gli indici mostrano valori molto più elevati al Nord. Sembra paradossale, ma si può affermare che se nel passato proprio per questa intrinseca maggior rischiosità dei clienti meridionali le banche del Meridione sono entrate in crisi, adesso, dopo il consolidamento, per evitare tale pericolo le banche del Nord preferiscono limitare la crescita degli impieghi nel Meridione per non esporsi troppo verso questi clienti. Inoltre, il sistema economico meridionale non produce una domanda di risorse qualitativamente e quantitativamente paragonabile a quella del Settentrione. Ciò sgonfia ulteriormente il valore degli indici meridionali. A conclusioni in parte diverse giungono Mattesini, Messori e Panetta. Questi economisti non ritengono che ci sia stato un deflusso di capitali dal Sud al Nord. Panetta sostiene che ciò si può facilmente comprendere se si osserva che il rapporto impieghi-depositi al Sud è maggiore dell’unità. Ciò significa che le banche hanno investito più di quanto hanno raccolto nell’area. Inoltre, egli afferma che il maggior valore del rapporto impieghi-depositi raggiunto al Nord è ottenuto grazie a flussi provenienti dall’estero. Quindi, si rigetta l’ipotesi che il consolidamento abbia prodotto uno spostamento di risorse verso il Nord e che abbia creato nocumento ai clienti meridionali. Anzi, lo stesso Panetta afferma, ad ulteriore supporto della sua tesi, che l’espansione dei finanziamenti bancari ha avuto la stessa dinamica nel Nord e nel Sud negli anni 1990-2002. Sembra, quindi, che il minor valore dell’indice in esame non nasconda una politica discriminatoria degli istituti di credito centro-settentrionali verso il Meridione. 14 Una posizione simile è quella di Mattesini e Messori. Essi però, diversamente da Panetta, riconoscono un divario crescente nella disponibilità di credito fra economia meridionale ed economia centro-settentrionale. Vi sarebbe, secondo i loro studi, una maggior difficoltà nell’erogare credito nel meridione soprattutto dopo il 1997, cioè dopo che le Banche Settentrionali avevano salvato gli istituti meridionali in difficoltà. Ma la loro analisi, che sembra coincidente con quella di Giannola, entra più nel dettaglio e propone dei risultati in parte inaspettati. In primo luogo, come era facile attendersi, le acquisizioni e le fusioni, dando vita ad istituti di maggiori dimensioni, hanno reso più problematico il rapporto tra banche e piccole-medie imprese. Ciò spiegherebbe la più lenta crescita degli impieghi nel Meridione. Si sarebbe perso quel legame preesistente che univa in modo stretto il sistema bancario e il sistema economico. Il consolidamento avrebbe reciso parte di questi legami. Ma le PMI hanno potuto trovare un facile appoggio alternativo nelle banche di piccola dimensione. Esse, più radicate nel territorio, hanno incrementato il credito verso le PMI, compensando, almeno in parte, la riduzione nell’erogazione dei crediti operata dalle banche di più grandi dimensioni. Se queste conclusioni erano prevedibili, era invece tutt’altro scontato l’altro aspetto interessante dell’analisi di Mattesini e Messori. Essi osservano il ruolo svolto dalle banche centro-settentrionali nel sostenere l’economia del meridione. Ci si aspetterebbe che la differenza nel rapporto impieghi-depositi nell’area meridionale rispetto al Centro-Nord Italia sia da addebitarsi alla acquisizione degli istituti meridionali da parte delle grandi banche del Nord. Sarebbe logico pensare, cioè, che in queste banche si sia preferito dirottare parte della raccolta meridionale verso il Nord Italia. I dati di Mattesini e Messori confutano questa ipotesi! È interessante notare che le elaborazioni proposte dai due economisti mettono bene in evidenza la differente relazione tra istituti di credito del Nord e del Sud e l’economia 15 meridionale. Ma, inaspettatamente, sono proprio le banche del Sud, quelle che hanno ancora autonomia decisionale e mantengono il centro direttivo nel meridione, le maggiori responsabili delle difficoltà che le imprese meridionali hanno nel trovare nuovi finanziamenti. A tal riguardo la loro analisi pone in evidenza tre aspetti cruciali. Il primo è che il modesto tasso di incremento degli impieghi nel Sud rispetto al Centro-Nord osservato dal 1990 al 2002 è causato soprattutto dalle banche con sede legale nell’area meridionale. Il secondo è che si può evidenziare una dinamica ancor più accentuata di tale fenomeno nel sottoperiodo 1997-2002. In questi sei anni le banche meridionali hanno addirittura ridotto l’ammontare assoluto degli impieghi erogati nell’area. Per ultimo essi sottolineano che la responsabilità maggiore di tale fenomeno è da addebitarsi alle grandi banche con sede legale nel mezzogiorno, visto che le piccole, come accennato in precedenza, hanno cercato comunque di espandere il credito erogato. Tale analisi non lascia aperte opzioni alternative: le grandi banche meridionali sono le maggiori responsabili della crescente differenza tra impieghi e depositi nel Centro-Nord rispetto al Sud. Inoltre, i dati fanno emergere una ulteriore nota di merito per le banche del Centro- Nord: sono proprio queste banche che hanno erogato gli impieghi soprattutto a favore delle attività più produttive e con maggiori possibilità di crescita, mentre le grandi banche meridionali si sono concentrate sui mutui alle famiglie, sul credito al consumo e sul sostegno di imprese operanti in settori maturi o protetti. L’analisi effettuata in queste pagine, riferendosi sia ai dati sia alla letteratura, fa emergere un dato di fondo chiaro (cui solo Panetta sembra opporsi): nel meridione a partire dai primi anni novanta si è verificata una dinamica più 16 lenta nell’erogazione di prestiti. Le spiegazioni addotte sono diverse tra loro, ma resta pur sempre il problema. Il Meridione ha subito e sta subendo un trattamento che non permette all’economia di crescere. Ma se l’economia non cresce i prenditori non possono fornire buone garanzie di solvibilità e di conseguenza le banche continueranno a destinare più risorse al Nord Italia che al Sud. È necessario agire in qualche modo per spezzare questo circolo vizioso se no la situazione non riuscirà mai migliorare e non si invertirà mai la tendenza di fondo che vede il Meridione svantaggiato rispetto al Centro-Nord. 17 PROBLEMI DEL CREDITO NEL MEZZOGIORNO Sono sostanzialmente due gli ostacoli che le imprese meridionali possono incontrare nella richiesta di credito. Vi è la possibilità che la banca richieda un tasso di interesse più elevato rispetto a quello praticato ad un prenditore simile ma localizzato nel CentroNord Italia oppure vi può essere proprio il rifiuto da parte della banca di erogare il credito richiesto (la banca può rifiutare di concedere il prestito o può concedere un fido più limitato). Questi problemi, con intensità e dinamiche differenti, hanno da sempre interessato il territorio meridionale. Si cercherà di esaminare quali siano stati gli ultimi sviluppi in merito. Il primo aspetto che si prende in considerazione è quello del differenziale tra tassi di interesse praticati al Nord e al Sud. Si è sempre verificato uno scostamento tra le due macroaree a sfavore del Meridione d’Italia, dove i tassi sono stati costantemente più elevati. Un’analisi dettagliata è fornita da Panetta (2003). Nella figura 4 viene rappresentato l’andamento del costo del credito nel Nord e nel Sud dal 1986 al 2001. È evidente che il differenziale tra i tassi delle due aree si va riducendo nel corso del tempo e in maniera marcata negli ultimi anni, soprattutto dopo aver superato la crisi del 1992. Panetta, inoltre, fornisce anche una misurazione corretta di tale differenziale. Visto che nel Mezzogiorno è maggiore in percentuale la presenza di imprese più piccole e più rischiose, egli deduce che è naturale che vi sia un differenziale nei tassi di interesse praticati dalle banche che sfavorisce i clienti del Sud. Se si corregge la misurazione del differenziale tenendo conto di questa specificità del sistema produttivo meridionale si osserva una ulteriore riduzione del differenziale di interesse. 18 Figura 4: Costo del credito per le imprese: differenziale tra mezzogiorno e centro-nord Fonte: Centrale dei rischi, in Panetta, F., Evoluzione del sistema bancario e finanziamento dell’economia nel Mezzogiorno, Banca d’Italia, Temi di discussione, n. 467, marzo 2003. A considerazioni analoghe giungono anche Mattesini e Messori. Secondo i loro studi il differenziale dei tassi è spiegato in parte da un effetto composizione del sistema di imprese meridionali (imprese più piccole e in settori meno redditizi, la stessa spiegazione di Panetta) e in parte da un effetto ambientale ed istituzionale, che rende le regioni meridionali più rischiose. L’aspetto positivo di fondo è che tale differenziale si va riducendo nel tempo (anche se uno scostamento di 1 punto percentuale con tassi vicini al 7% è in proporzione maggiore di uno scostamento dell’1,4% con tassi vicini al 15%, vedi Figura 4). Quindi, la conclusione è che il differenziale c’è, si sta riducendo ed è in parte addebitabile alla differente struttura economica delle due aree considerate. 19 Pur tuttavia esso non sembra essere percepito dagli imprenditori come il problema prioritario cui porre rimedio. Infatti, diverse analisi condotte negli ultimi anni (vedi ad esempio Ferri e Inzerillo e le indagini di Capitalia) dimostrano che il problema del differenziale dei tassi di interesse è considerato molto meno rilevante rispetto al fenomeno del razionamento. Anzi, è proprio quest’ultimo il problema principale che rende il mercato del credito meridionale più sfavorevole per le imprese. Anche su questo argomento sono state effettuate numerose ricerche. Si è cercato di capire se veramente nel Mezzogiorno le imprese trovano difficoltà a reperire presso il sistema bancario i fondi di cui abbisognano. Anche in questo caso Mattesini e Messori forniscono una interpretazione interessante. Essi hanno analizzato il tasso di utilizzazione dei fidi nel Sud Italia e hanno osservato che dal 1990 al 2001 questo tasso è aumentato. Ciò potrebbe essere una prova empirica di come le imprese si trovino in difficoltà nel riuscire ad ottenere margini di manovra più ampi rispetto al passato sui prestiti concessi. Altri studi cercano di rintracciare l’esistenza di razionamento del credito intervistando direttamente le imprese. A tal proposito si possono citare sia un’indagine di Capitalia sia quella di Ferri e Inzerillo. Seppur con modalità differenti nella ricerca la conclusione è collimante. Le imprese meridionali dichiarano di avere difficoltà nella ricerca dei fondi necessari al loro sviluppo. L’indagine Capitalia fornisce risultati abbastanza chiari. Il 33,2% del campione di imprese del Mezzogiorno esaminato dichiara che avrebbe voluto più credito, ma non è riuscito ad ottenerlo. È una percentuale decisamente elevata, ma la domanda è alquanto generica. Per questo motivo l’indagine cerca di entrare più nel dettaglio. 20 Si scopre allora che, secondo l’indagine, l’8,8% delle imprese del Mezzogiorno avrebbe subito un razionamento del credito anche se era disposta a pagare tassi più elevati! Questo dato è decisamente più preoccupante del primo. Nonostante la disponibilità a pagare interessi più elevati queste imprese si sono viste rifiutare il credito da parte del sistema bancario. Un ulteriore segnale negativo, sempre nell’indagine Capitalia, è dato dalla percentuale di imprese meridionali che hanno chiesto più credito senza ottenerlo. In questo caso il 9,1% delle imprese non ha avuto accesso al credito. Per tutte le classi dimensionali considerate nell’analisi Capitalia le percentuali calcolate hanno un valore superiore nel Meridione rispetto alle risposte delle imprese settentrionali, ad ulteriore prova della differente qualità della relazione esistente tra sistema bancario e sistema imprenditoriale nelle due aree. Conclusioni altrettanto negative si possono rintracciare nella pubblicazione di Ferri e Inzerillo del 2002 (Ristrutturazione bancaria, crescita e internazionalizzazione delle PMI meridionali, CSC Working Paper). Nella loro analisi emerge che ben il 33% delle piccole e medie imprese meridionali non ha ottenuto tutto il credito desiderato. Percentuale quasi identica a quella calcolata nell’indagine Capitalia. Si può, come ulteriore dato, considerare la figura 5 tratta da uno studio di De Bruyn e Ferri. Si nota che addirittura il 10,2% delle imprese meridionali ha dovuto ridurre la produzione proprio a causa del razionamento! E tale percentuale è più elevata se si va a considerare il rapporto tra imprese e grandi banche (banche nazionali ed estere). In questo caso la percentuale sale all’11%. Questo dato potrebbe avvalorare la tesi di chi vede nei processi di concentrazione la causa della perdita dei legami storici instaurati tra cliente e banca acquisita. La maggior parte delle banche meridionali è stata acquisita da banche nazionali con sede nel Centro-Nord ed è probabile, visti i dati, che ciò 21 abbia influito sulla facilità con cui le imprese meridionali riescono ad ottenere credito. Ma a questo problema esogeno (cioè legato al comportamento di banche con sede in zone del Centro-Nord) si somma anche una certa resistenza delle stesse banche piccole e locali ad erogare la quantità di credito richiesta dalle imprese, come si evince dallo stesso grafico. Tutte queste analisi non lasciano ombra di dubbio. Nel sistema bancario meridionale si è assistito al fenomeno del razionamento del credito. Figura 5: Percentuale di imprese meridionali che dichiarano di aver ridotto la produzione per mancanza di credito per tipologia di banca principale De Bruyn R., Ferri G. (a cura di; 2005), Le Banche Popolari nel localismo dell’economia italiana, Edicred, Roma. In Coniglio Ferri L’evidenza delle analisi riportate sembra coincidere con il modello proposto da Giannola (vedi A. Giannola “Quando le banche si incontrano”). In questo modello si prendono in considerazione due banche. Inizialmente sono considerate autonome. Poi si assume che le banche procedano ad una fusione e si cerca di osservare i cambiamenti indotti dalla fusione. 22 È da premettere che le due banche operano in contesti differenti: la banca più debole fronteggia una clientela numericamente minore e più rischiosa. I risultati hanno dimostrato che dopo la fusione la banca unica tende a comportarsi allo stesso modo con tutti i clienti, a prescindere dalla zona di riferimento. Cioè, essa pratica lo stesso tasso di interesse verso tutti i clienti. Ma si verifica una netta differenziazione nella composizione dei clienti. I clienti della banca debole che, come già indicato, erano mediamente più rischiosi saranno danneggiati dal modus operandi della nuova grande banca. Essa tratterà tutti allo stesso modo ma la differente composizione territoriale dei clienti indurrà la banca ad erogare più credito lì dove ci sono i clienti meno rischiosi. Accade, quindi, che la fusione (ma lo stesso accadrebbe in caso di acquisizione) favorisce i clienti della banca più forte e danneggia quelli della banca acquisita che saranno razionati. Si assiste ad un aumento dei prestiti verso i clienti della banca acquirente (o di quella più forte nelle fusione) e ad una riduzione nei confronti dei prestatori più rischiosi della banca più debole. Alla luce di quanto detto, sembra che tale modello prefiguri ciò che sta avvenendo in Italia negli ultimi anni. Nelle pagine precedenti abbiamo visto che il differenziale dei tassi tende a scomparire e che non è sentito come un grave problema dalle imprese del Sud. Invece, le imprese meridionali, come risulta dalle numerose indagini riportate in precedenza, ammettono di avere problemi nel riuscire ad ottenere il credito desiderato. Sembrano proprio le stesse conclusioni ottenute nel modello. La banca unica, che potrebbe rappresentare le grandi banche nazionali formatesi dopo le acquisizioni delle banche meridionali, non discrimina, attraverso il tasso d’interesse i clienti delle diverse zone. Pratica, cioè, gli stessi tassi verso clienti con la stessa rischiosità a prescindere dalla zona in cui operano, ma, poiché nel Mezzogiorno i clienti sono meno numerosi e 23 mediamente più rischiosi, accade che la banca preferisca dare credito ai clienti del Nord. Operando in tal maniera si va a penalizzare la clientela più rischiosa, quella meridionale nel caso specifico, arrivando a razionare clienti che prima della fusione non trovavano ostacoli nell’ottenere i finanziamenti desiderati. Se così fosse la situazione sarebbe preoccupante. I clienti saranno trattati allo stesso modo al Nord e al Sud, ma data la maggior rischiosità e la minor redditività dei clienti meridionali, le grandi banche nazionali preferiranno in modo crescente la clientela settentrionale. Si potrebbe giungere ad un razionamento sistemico che comprometterebbe le possibilità di crescita dell’economia meridionale. Se ciò avvenisse allora si potrà dire che il processo di consolidamento ha fallito nel tentativo di migliorare il rapporto tra il sistema bancario e l’economia italiana. Anzi, la concentrazione bancaria avrà nuociuto in maniera grave all’economia del Mezzogiorno. Alle banche, alle istituzioni e al tessuto produttivo spetta il compito di ribaltare quello che sembra un ineludibile futuro. 24 BIBLIOGRAFIA Banca d’Italia, Bollettino Statistico I 2007. Bongini, P., Ferri, G., Che cosa è successo alle banche del Mezzogiorno?, in Coniglio, N., Ferri, G., Banche@Mezzogiorno, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bari, 2007. Colombo, L., Turati, G., La dimensione territoriale nei processi di concentrazione dell’industria bancaria italiana, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2002. Ferri, G., Inzerillo, U., Ristrutturazione bancaria, crescita e internazionalizzazione delle PMI meridionali, CSC Working Paper, 2002 Giannola, A., Il credito difficile, l’Ancora del Mediterraneo, 2002. Giordano, L., Lopes, A., Efficienza di costo e profitto nel sistema bancario italiano (1994-2000), Rilevanza degli aspetti istituzionali, geografici e dimensionali nella dinamica evolutiva, Università di Foggia, 2005. Mattesini, F., Messori, M., L’evoluzione del sistema bancario meridionale: problemi aperti e possibili soluzioni, il Mulino, 2004. 25 Panetta, F., Evoluzione del sistema bancario e finanziamento dell’economia nel Mezzogiorno, Banca d’Italia, Temi di discussione, n. 467, marzo 2003. Petersen, M. A., Rajan, R. G., The effect of credit market competition on lending relationships, 1994. 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