DINAMICHE DEI GRUPPI IN CONTESTI ISTITUZIONALI LEZIONE

DINAMICHE DEI GRUPPI IN CONTESTI ISTITUZIONALI
LEZIONE DEL 12/10/2011
Prof. CLAUDIO NERI
ASL RM A Dipartimento di Salute Mentale
Struttura Residenziale ad alta intensità terapeutica (SRAIT) “Ripa Grande”
Équipe terapeutica: M.G. Capulli; L. Mazzotti; M. Scandurra; A. Piccarozzi.
ABSTRACT
In questa lezione, l’équipe della Comunità “Ripa Grande” ha riportato la storia della sua
esperienza terapeutica.
Nella prima parte, la Dott.ssa Capulli ha presentato un quadro storico riguardante
l’evoluzione
delle
comunità
terapeutiche,
focalizzandosi,
successivamente,
sulla
costituzione ed organizzazione della comunità romana Ripa Grande, di cui è la
responsabile.
Nella seconda parte, la Dott.ssa Scandurra ha illustrato le difficoltà relative al passaggio
da Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) a Comunità Terapeutica (CT) e si è
soffermata, nello specifico, sulla complessità dell’inserimento del Gruppo Terapeutico
in questo contesto.
Rispondendo alle domande degli studenti, la Dott.ssa Mazzotti ha contribuito a fornire dei
chiarimenti sull’operato della Comunità “Ripa Grande”.
Parole Chiave: gruppo di lavoro, terapia comunitaria, lavoro di gruppo.
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1. LE ORIGINI DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE
La storia della cura della malattia nasce parallelamente alla considerazione del binomio
terapeuta-paziente.
L’evoluzione storica della terapia di comunità inizia dalle prime testimonianze di una
comunità di guaritori di “malattie dell’anima inguaribili” in un periodo tra il 25 a.C. e il 45
d.C.
A riguardo Filo Judeo scriveva che, in Alessandria d’Egitto, “sono chiamati terapeutae e
terapeutides… perché praticano un’arte della medicina migliore rispetto a quella
normalmente praticata nelle città, in quanto quest’ultima cura solo il corpo, mentre l’altra
cura le anime…”
1.1 IN GRAN BRETAGNA E NEGLI USA
In Gran Bretagna lo sviluppo della terapia comunitaria si articola su 2 assi molto
significativi:
 il primo fa riferimento al periodo che segue la Rivoluzione Francese ( 1796 ).
In quegli anni William Tuke ( il cui trattamento era denominato “Terapia delle tre R”:
Right, Respect, Responsability), motivato dalla morte di una sua carissima amica
avvenuta a seguito delle pratiche utilizzate a quel tempo per curare le malattie
mentali, istituì la prima comunità che si occupava di persone malate di mente.
Tuke, commerciante di spezie, riuscì a comprare una grande casa in campagna in
cui, insieme alla moglie e ad altre persone considerate “normali”, decise di
accogliere un gruppo di persone (circa 30) affette da malattie mentali.
La loro terapia consisteva nel FARE INSIEME tutto ciò che riguardava i compiti e gli
impegni della quotidianità e ACCUDIRE INSIEME le persone più bisognose.
Questo primo esempio di comunità ha avuto una grandissima rilevanza in
Inghilterra tanto che, negli stessi anni, il nipote di Tuke, con l’intenzione di
diffondere ulteriormente tale modalità di cura, tradusse il trattato di psichiatria di
Pinel rilevando delle analogie con ciò che Tuke aveva realizzato, e denominò il
trattamento come “trattamento morale”. Tale dizione rimase stabile per molto tempo,
nonostante si trattasse di un errore di traduzione. Ciò che in realtà Tuke voleva
trasmettere era infatti l’idea di un tipo di assistenza molto più umanizzata e
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personalizzata;
 il secondo si riferisce agli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale in cui si
concretizzarono tutti i cambiamenti scaturiti dai fermenti socio-culturali degli anni
‘30.
Medici e psichiatri, infatti, grazie al contributo della psicoanalisi, fecero sì che in
Inghilterra, in particolare nell'ospedale di Northfield, potesse essere attivata
un'esperienza particolare che coinvolse, tra gli altri, anche Bion e Rickmann.
Tale esperienza nacque dall'esigenza di occuparsi dei disagi dei militari; questi
ultimi, non ancora chiamati per il servizio attivo, avevano grossi problemi: erano
“stressati”e annoiati. Bion strutturò una serie di incontri di discussione in cui, per la
prima volta, i soldati di qualunque livello potevano parlare con i loro superiori
in una condizione di parità.
Emersero così tutte quelle caratteristiche che attualmente vengono considerate
parte della dinamica dei gruppi: un gruppo, dandosi dei compiti, funziona in modo
esplicito, ma nello stare insieme, nel rapportarsi, nel collaborare, nello svolgere
questi compiti, emergono delle tensioni che possono andare a favore o contro il
compito stesso. (È possibile qui cogliere la dialettica-conflitto tra la mentalità di
gruppo e i desideri del singolo da cui emerge successivamente la “cultura del
gruppo”) .
Un’altra figura di spicco in Inghilterra è stata quella di Foulkes.
Egli considerava il gruppo come un’entità dotata di vita propria, come uno strumento
terapeutico in sé e per sé, che attiva delle risorse elaborative superiori a quelle che
individualmente ciascuno dei componenti del gruppo potrebbe mettere in azione.
(Si coglie qui la differenza con Bion, il quale concepisce il gruppo in funzione di un
compito).
Sempre a Northfield, con l’aiuto di Tom Main, si diede avvio al primo tentativo di
strutturare, volontariamente e non per caso, una comunità terapeutica aperta (CT).
Essa era un tentativo di utilizzare l’ospedale come una comunità, con l’obiettivo immediato
di una piena partecipazione di tutti i suoi membri nella vita quotidiana, e non come
un’organizzazione gestita dai medici con l’interesse rivolto ad una maggiore efficienza
tecnica. Scopo ultimo di tale tentativo era la ri-socializzazione dell’individuo per
permettergli di vivere nella società.
(Questa prima definizione di CT accoglie i due cardini del pensiero di Main: la prospettiva
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psicoanalitica delle relazioni d’oggetto e la visione sistemica dei processi organizzativi.)
Successivamente, nominato direttore del Cassel Hospital, Main istituì una comunità
terapeutica psicoanaliticamente orientata, ossia una “comunità-ospedale” che si
configura come un modello capace di auto-esaminarsi in tutte le sue strutture.
Il setting viene strutturato intorno a due aree distinte, ma interrelate:
 lo spazio della psicoterapia;
 lo psychosocial nursing”, una specifica pratica di accudimento propria della
comunità “in cui la comprensione viene fornita al paziente attraverso parole e azioni
meditate e sollecitate. In questo “spazio” di vita e di lavoro ogni paziente ha un
infermiere referente (nurse), responsabile e riferimento di circa cinque pazienti.
Centrale è, dunque, il concetto di “ambiente terapeutico”, in cui ogni evento
quotidiano è finalizzato a scopo terapeutico.
La successiva evoluzione della terapia comunitaria si articola lungo 2 filoni
fondamentali:

la terapia ad impronta anglosassone, che dà molta importanza al gruppo, al fatto
che esso si responsabilizzi rispetto alla terapia e che questa responsabilità sia
comunicata, condivisa e, successivamente, affidata alla comunità, e quindi alla
responsabilizzazione sociale;

le comunità ad impronta storica, più diffuse nelle aree latine, che, mantenendo un
duplice binario, danno una fondamentale importanza alla terapia individuale. È
importante che quest’ultima sia inserita all’interno di un contesto di gruppo che
stimoli e raccolga tutti gli elaborati, permettendo una ricostruzione e un
reinserimento sociale.
Negli Stati Uniti, pietra miliare della terapia di gruppo è il “Chestnut Lodge Hospital”
(Washington,1908) che dal 1933, e per 50 anni, si configura come laboratorio clinico e di
ricerca per la diagnosi e la cura dei gravi disturbi psichiatrici attraverso la
partecipazione di Fromm-Reichmann, Sullivan, Pao.
L’ospedale, suddiviso in padiglioni, è immerso in un meraviglioso parco verde strutturato
in modo tale che i vari padiglioni/“casette” siano collocati in sequenza in base al tipo di
terapia e al tipo di bisogno terapeutico.
In questo luogo si concretizzò la possibilità di integrare la psichiatria con la
psicoanalisi. Questa realizzazione, ritenuta imponente, importante e pionieristica, affrontò
la difficoltà di trattare contemporaneamente, da un punto di vista clinico e gestionale, i
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problemi della residenzialità e della quotidianità. Tali ambiti furono per la prima volta
separati; all’interno della struttura, infatti, erano presenti due differenti responsabili: un
responsabile clinico e un responsabile amministrativo.
Questo tipo di struttura ha mantenuto collegamenti con importanti istituti di ricerca e con il
lavoro prodotto da illustri figure, quali Ping-Nie Pao; quest’ultimo sviluppò una
classificazione della schizofrenia utilizzando come criteri la storia della famiglia, la
crescita e lo sviluppo nell’infanzia e nella latenza, l’integrazione sociale pre-morbosa e
l’età dell’esordio. Tale teorizziazione ha imposto la sua influenza anche sulla
strutturazione dell’attuale DSM.
1.2 IN FRANCIA
In Francia, fin da subito, si sentì la necessità di distinguere il momento della cura da
quello dell'assistenza (fu individuata una medicina-psichiatria di settore), e si avviò,
quindi, un processo di territorializzazione dell’intervento, incentivando l’istituzione di
strutture intermedie (tra l’ospedale/ambulatorio e la società) in cui il paziente potesse
trovare una completa presa in carico. I principali esponenti sono stati Racamier e
Sassolas .
Racamier fu il primo ad istituire una piccola comunità, un esperimento che ripercorreva gli
aspetti salienti dei vari approcci alla cura esposti in precedenza.
Molti dei termini da lui utilizzati, come quelli di “azioni parlanti”, “transizionalità”,
“intermediarietà”, diventarono importanti e si diffusero.
Sassolas fondò, nei pressi della città di Lione, un'organizzazione complessa di presidi
di cura che includevano dai presidi ambulatoriali, al centro per le crisi, alla comunità
terapeutica ( in cui le selezioni dei pazienti non venivano effettuate in base alla patologia e
veniva sollecitata la loro autonomia), fino ad alcune strutture in cui ai pazienti venne data
la possibilità di vivere da soli con la responsabilità di sottoporsi autonomamente a controlli
ed essere sempre sotto osservazione.
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1.3 IN ITALIA
In Italia le prime comunità, tra cui quella istituita da Diego Napolitani, nacquero negli
anni ‘60 prima del grande cambiamento socioculturale avvenuto tra gli anni ‘60 e ’70 e
sotto l’influenza della diffusione delle teorie psicoanalitiche dei gruppi.
Sull’onda della legge Basaglia, si sviluppò il desiderio di liberare le persone all’interno
degli ospedali psichiatrici, promuovendone, quindi, l’integrazione sociale.
Da quel momento in poi, proprio quando si affermava l’importanza del reinserimento
sociale dei soggetti affetti da patologia psichiatrica, tutti coloro interessati alla terapia di
comunità si trovarono ad essere perseguitati dall'ideologia imperante secondo cui non era
opportuno aprire una struttura dove ospitare persone con disturbi mentali,
Di conseguenza, lo sviluppo di idee e innovazioni a livello della terapia comunitaria subì
una fortissima inibizione.
Superate le iniziali difficoltà, tuttavia, le comunità terapeutiche italiane si caratterizzarono
per aspetti diversi: ad oggi ogni comunità risulta specializzata nella cura di uno specifico
disturbo e ognuna applica metodiche terapeutiche differenti (ad esempio, alcune
combinano la teoria psicodinamica con quella sistemica, altre utilizzano la terapia
cognitivista).
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2. RIPA GRANDE: TRATTAMENTO BREVE, INTENSIVO, PSICOTERAPEUTICO
La Dott.ssa Capulli ha lavorato per moltissimi anni all'interno di diverse comunità e ha
un'esperienza di direzione di vari servizi. È la fondatrice e, attualmente, direttrice della
Struttura Residenziale ad Alta Intensità Terapeutica (SRAIT) “Ripa Grande”, una piccola
comunità per giovani adulti che si basa sull'idea che affrontare i disturbi psicotici subito
dopo l’esordio abbia degli effetti decisivi su tutto il processo terapeutico.
Questa comunità smentisce le credenze attuali sugli ospedali dal momento che, pur
essendo al centro di Roma, trasmette un clima di serenità e non presenta segni di
trascuratezza e disordine. Vi è un'équipe che si occupa ad ampio raggio dei pazienti per
un periodo delimitato, ma non ristretto. Caratteristica di questa comunità è l'attenzione
anche al benessere degli operatori, infermieri, psicologi e medici che vi lavorano e alla loro
continua formazione; periodicamente, infatti, sono previsti corsi di aggiornamento e
supervisioni.
Nel 2006, la Regione Lazio ha varato una legge regionale, una delibera di giunta, in cui
definiva i criteri di accreditamento per le strutture che riguardavano i servizi sanitari.
Per quanto riguarda l'ambito psichiatrico tale legge ha stabilito che le comunità
terapeutiche debbano chiamarsi “strutture residenziali” e che queste possano essere:

ad alta intensità terapeutica;

estensive, in cui vengono accolti pazienti per un lungo periodo (circa 2 - 4 anni);

socio-riabilitative, che si occupano di pazienti psichiatrici con una patologia ormai
stabilizzata e lavorano, quindi, sul recupero di funzioni, di aspetti sani residui, senza
avere l'obiettivo di trasformare e di incidere sulla patologia originaria.
La Dott.ssa Capulli introduce la presentazione di “Ripa Grande” con testuali parole:
“Noi proveniamo da una situazione di esperienza ospedaliera e, stando all'interno di un
presidio che offre possibilità di interventi polispecialistici, polidiagnostici e strumentali, ci è
stato chiesto di diventare una Struttura Residenziale ad Alta Intensità Terapeutica.
All'interno dell'èquipe, c'è un tecnico della riabilitazione (Antonella Piccarozzi), una della
figure più importanti all'interno delle comunità terapeutiche, insieme agli psicologi e agli
psichiatri per quanto riguarda il trattamento farmacologico.
Siamo al Nuovo Regina Margherita, presidio di prossimità terapeutica.
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Siamo un'unità operativa autonoma all'interno del dipartimento e nel 2010 abbiamo
ampliato la nostra competenza terapeutica nei confronti dei disturbi del comportamento
alimentare.”
“Ripa Grande” si definisce una struttura residenziale terapeutico-riabilitativa per trattamenti
comunitari intensivi con interventi terapeutici relazionali, farmacologici e psicologici per
giovani dai 18 ai 30 anni che presentano stati mentali a rischio e gravi disturbi non
stabilizzati e che aderiscono volontariamente ad un percorso terapeutico per un periodo di
60-90 giorni.
L'ultima delibera regionale estende questo periodo fino a 6-9 mesi poiché molto spesso la
persona è maggiormente compromessa; si lavora, quindi, per trasferire il paziente in una
comunità estensiva affinché possa continuare ad essere accompagnato per un periodo di
tempo più lungo.
Per “stati mentali a rischio” (ossia sintomi che vengono osservati spesso dal medico di
famiglia con cui nel dipartimento è stata attivata una stretta collaborazione) s’intende una
“ridotta concentrazione e attenzione, ridotta spinta e motivazione, mancanza di energie;
umore depresso; disturbi del sonno; ansia; ritiro sociale; sospettosità; deterioramento delle
proprie attività; irritabilità; ideazione magica, ecc”.
“Ripa Grande” concentra la sua attenzione sugli stati mentali a rischio, le crisi emozionali,
le problematiche legate all'adolescenza; in trattamento vi sono anche pazienti con esordio
psicotico o con una storia psichiatrica con durata non superiore ai 5 anni. In un primo
momento quest’ultima non doveva essere superiore ai 2 anni in quanto, come suggerito
dalla letteratura, trattare pazienti con problemi psicotici entro questo periodo può evitare
l’acuirsi di difficoltà e problematiche cognitive.
In un secondo momento, poiché al Dipartimento di Salute Mentale era frequente la
presenza di pazienti con una storia psichiatrica superiore ai due anni, è stato ritenuto
necessario estendere questo periodo a 5 anni per accogliere tutte le persone che
avrebbero potuto usufruire del servizio.
L'obiettivo dell'intervento in SRAIT è dar forma e comprendere le dimensioni dei problemi
personali, familiari, contestuali che hanno reso necessario l’ intervento, e formulare con il
paziente, insieme alla famiglia e al curante, il progetto terapeutico che meglio si adatta alle
esigenze psicopatologiche, alle risorse personali e ai bisogni socio-familiari individuati
durante il periodo di soggiorno.
L'èquipe è costituita da psichiatri, operatori socio-sanitari (coloro che stanno insieme ai
pazienti 24 ore su 24 e con cui gli psichiatri si interfacciano), infermieri professionali,
tecnici della riabilitazione.
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Linee di attività rivolte ai pazienti:
–
Valutazione clinica e psicodiagnostica
–
Colloqui individuali
–
Psicoterapia di gruppo
–
Incontri con le famiglie
–
Gruppi di discussione, attività creative e ricreative
–
Terapie espressivo-riabilitative, ossia laboratori di psicomotricità, fotografia, arte
terapia, teatro, danza- movimento terapia, scrittura proiettiva, problem solving.
A “Ripa Grande” ogni paziente ha un referente per gli aspetti individuali e un referente per
i contatti con la famiglia.
C'è la terapia farmacologica, un gruppo di psicoterapia il mercoledì e due gruppi di
discussione giornalieri condotti dagli infermieri e dal tecnico di laboratorio, uno la mattina e
uno la sera fatto per raccogliere i resoconti di quanto fatto durante la giornata e per
programmare la serata o la giornata successiva.
Ci sono poi le attività espressivo-riabilitative, laboratori condotti da persone esterne, per
circa due o tre ore alla settimana, di mattina o di pomeriggio.
Molto importante è la psicomotricità, prima eseguita all'interno della struttura, adesso
invece in una palestra esterna.
Importanti sono
anche la fotografia, l'arte terapia, il teatro e il laboratorio di scrittura
condotto da due psicologhe che svolgono il tirocinio presso la struttura. In tale spazi
emergono spesso elementi importanti da integrare nella terapia e da trasmettere ai
referenti.
Il problem solving è condotto dal tecnico di riabilitazione: si sceglie un problema da
affrontare, una difficoltà che può essere anche pratica, e si vedono i vari passi da fare per
risolverla tramite l'apporto di tutti i partecipanti al gruppo.
Linee di attività predisposte per gli operatori:
–
Riunioni cliniche con tutti gli operatori il martedì (10-14);
–
Riunioni dei soli referenti il giovedì (13-15);
–
Briefing organizzativo il venerdì (13-14).
–
Vi è poi la formazione e l'aggiornamento, con organizzazione annuale.
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L'intervento è composto da 3 fasi:
1. Accoglienza: presentazione della struttura e del personale;
2. Accettazione: firma di accordo terapeutico (obiettivi del percorso); condivisione
del regolamento;
3. Terapia residenziale.
Follow up
È stato portato avanti un follow-up riguardo ai pazienti afferiti a “Ripa Grande” nel 2008 in
base a tre criteri:
- età tra i 18 e i 30 anni;
- almeno 30 giorni della terapia comunitaria;
- avere le diagnosi sopra riportate.
Era importante sapere quanto il paziente avesse continuato a fare la terapia ambulatoriale,
se avesse avuto delle riacutizzazioni e se queste avessero avuto bisogno di
ospedalizzazione; era inoltre importante conoscerne la vita relazionale.
La questione era comprendere se la struttura fosse in grado di intervenire precocemente.
Tra i pazienti arrivati per la prima volta in dipartimento 19 (20%), con un’età media
sufficientemente bassa, hanno potuto usufruire di un intervento precoce; 12 di questi
erano nell'ambito delle psicosi e 7 nei disturbi di personalità.
Fino al primo aprile 2011 il centro ha ospitato circa 100 pazienti con un’età media di 25
anni e con un tempo medio di soggiorno di 3 mesi.
Nella comunità possono afferire pazienti anche di altre ASL e pazienti da fuori Roma
(attualmente sono 13 pazienti).
Le diagnosi riguardano principalmente psicosi (70%), sia schizofreniche sia affettive
proprie del Disturbo Bipolare. Il Disturbo di Personalità più diffuso è il Disturbo Borderline.
Il Gruppo Terapeutico
“Ripa Grande” era in precedenza un reparto ospedaliero. Il passaggio da reparto
ospedaliero a comunità non è stato semplice soprattutto a causa della diversità del tipo di
lavoro da svolgere; nessuno infatti aveva esperienza in tale settore e, a causa della
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forzatura associata alla chiusura del reparto base, non fu per tutti piacevole affrontare
questo cambiamento.
Nonostante la struttura fosse nuova, pulita e situata in un posto verdeggiante, questa
incuteva inizialmente un po' di timore, timore che può essere ben riassunto dalla frase del
Prof. Neri “ci vorrebbero le pattine”, a seguito di una sua visita alla nuova comunità.
La comunità appariva, quindi, “troppo perfetta” e c'era un senso d’inibizione dinanzi al
cambiamento d'équipe, composto prima solo da medici e infermieri,
poi affiancati da
psicologi e tecnici di riabilitazione.
Fino ad Aprile 2010 la comunità non permetteva di fare un gruppo psicoterapeutico; la
fase di progettazione veniva abortita poiché erano presenti altre priorità organizzative
chenegavano lo spazio a quelle che sono poi divenute attività importanti.
La Dott.ssa Scandurra ha illustrato quindi le difficoltà relative all’istituzione del gruppo.
Quest’ultimo avrebbe comportato l’alterazione di una serie di equilibri tra cui quello tra lo
staff medico e le due promotrici del progetto del gruppo. Ognuna di loro aveva infatti dei
pazienti in carico e la creazione di un gruppo avrebbe comportato da un lato l’esclusione
dal progetto dei colleghi non d’accordo (in particolare di una collega), e dall'altro il fatto
che parte dei pazienti avrebbe perso il loro riferimento.
Per stabilizzare gli equilibri gestionali si era quindi immaginata la seguente soluzione,
rivelatasi poi inattuabile: l’attività di tipo psicoterapeutico nel gruppo sarebbe stata svolta
dalle promotrici di tale progetto mentre l’attività farmacologico-psichiatrica sarebbe stata
svolta dalla terza collega.
Attualmente la terza collega non è più presente all'interno dell'équipe e si sono sviluppate
ulteriori evoluzioni. Il tempo ha inoltre ha aiutato a capire che il fatto che all'inizio molti
pazienti non avessero più un proprio referente non era un problema.
Un’altra difficoltà importante riguardava l'organizzazione settimanale, un'organizzazione
molto scandita. Trovare un posto nella scaletta settimanale per il gruppo non fu semplice
anche perché i pazienti tenevano già un gruppo di discussione con gli infermieri sia la
mattina che la sera.
Nella fase di progettazione ci si rese conto che questi gruppi di discussione con gli
infermieri, in cui si parlava di cose gestionali e quotidiane della comunità, venivano talvolta
riempiti di contenuti più personali, su cui però gli operatori intervenivano differentemente.
Bisognava, quindi, immaginare di dover creare un altro tipo di gruppo, differente da quello
degli infermieri cui i pazienti erano particolarmente affezionati.
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Trovare un tempo adatto per il gruppo è stata la cosa più problematica ma grazie alla
collaborazione di tutti è stato possibile creare, sia nella mente che nella comunità, uno
spazio temporale adeguato. Attualmente il gruppo si svolge il mercoledì mattina dalle 11
alle 12.30.
Un altro aspetto problematico ha riguardato la scelta luogo; la comunità ha in effetti due
stanze per i colloqui ma queste non sono state considerate adatte allo scopo. Sono stati
alla fine i pazienti a decidere e la loro scelta è ricaduta su un luogo particolare, una stanza
chiusa a chiave, al secondo piano della comunità: un posto senza riscaldamento e aria
condizionata, da scaldare il giorno prima di inverno e raffreddare il giorno prima in estate.
Questo aspetto costringe le psichiatre a pensare al gruppo appunto il giorno prima e
conferisce una ritualità che sin dall'inizio è stata di grande aiuto.
Un ulteriore difficoltà è stata rappresentata dalla scelta delle modalità di partecipazione dei
pazienti: ci sono infatti pazienti che partecipano a seguito di un ricovero, pazienti che
possono essere maggiormente sedati, pazienti che possono avere elementi del disturbo
acuto. Inizialmente, si pensava di far partecipare i pazienti solo dopo una certa stabilità
psicologica e dopo un certo periodo di permanenza, componenti che non sono poi state
incluse in quanto si è capito che il gruppo sarebbe dovuto appartenere a tutta la comunità.
Per tale motivo sono state incluse anche le persone che vengono solo per una giornata o
che vengono nella fase iniziale e/o finale del percorso. Ciò dà al gruppo una grande
variabilità. A “Ripa Grande” la permanenza nel gruppo è legata alla permanenza nella
comunità: non si esce dal gruppo quando è finito il proprio percorso nel gruppo, bensì
quando termina il percorso nella comunità.
La prima seduta del gruppo è avvenuta a seguito di una lite molto forte tra due ospiti della
comunità. A novembre il gruppo compirà il primo anno.
DOMANDE
Studente: <<Che lavoro fanno i tecnici della riabilitazione?>>
Dottoressa Capulli: <<Si occupano di valutare gli aspetti sani e positivi vitali e il loro
approccio li enfatizza e li rafforza con strumenti specifici. Lo sviluppo di queste capacità e
l’equilibrio della persona diventano terapeutici per gli aspetti patologici; ad esempio,
smussano le paure di confronto con gli altri del paziente.>>
Studente: <<Avrei due domande: la prima riguarda il fatto che un giorno saremo psicologi
e visto che voi siete psicoterapeuti e psichiatri, vorrei sapere come funziona la
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collaborazione tra i vari componenti di équipe, perché ho l’impressione che la figura dello
psicologo sia un po’ di margine in queste comunità.
La seconda domanda riguarda, invece, la cura farmacologica, visto che somministrate dei
medicinali e portate avanti dei gruppi terapeutici, come tenete i due aspetti insieme?
Seguite delle strategie, come abbassare o alzare le dosi in base alle esigenze del
paziente?>>
Dottoressa Mazzotti: <<Rispondo all’ultima domanda: è stato un punto che abbiamo
affrontato, immaginare che noi mettessimo a disposizione colloqui individuali e facessimo
terapia di gruppo con qualcun’altro che si occupi della terapia farmacologia apriva delle
questioni e quindi questo non era possibile. Diciamo che, proprio all’interno delle strutture,
diventa sempre più difficile trovare collaborazione piena, è qualcosa che non dipende da
noi. Poter creare una buona équipe, che prevede diverse figure, è un equilibrio dinamico
che si mette sempre in discussione, non è facile. Con le possibilità economica dei servizi
pubblici la figura dello psicologo è in estinzione, gli psicologi trasferiti non vengono
sostituiti, quindi non dipende da noi creare una buona équipe terapeutica. Qualsiasi
variabile nuova venga inserita in un gruppo di lavoro obbliga a procedere a piccoli passi.
Integrare varie funzioni a volte è l’unica possibilità. La terapia farmacologica non c’entra
con quello che avviene nel gruppo.>>
Dottoressa Scandurra: <<Aggiungo una cosa: noi siamo tanti perché in realtà veniamo
da un SPDC, però questo è raro nelle comunità, solitamente ne hanno solo uno e, nella
maggior parte dei casi, funge da consulente esterno per quanto riguarda le terapie
farmacologiche. Il ruolo fondamentale nella comunità è quello di tipo terapeuticopsicologico, un po’ perché la comunità è comunque ad alta intensità terapeutica e un po’
perché questo è il personale a disposizione. Io personalmente sento poco il conflitto,
lavorare in comunità vuol dire immaginare di anteporre un altro modo di guardare le cose,
non come farebbe un collega nei servizi, però questo è proprio contro il principio stesso di
comunità. Oltre a questo, rispetto ai colleghi in via di estinzione diciamo che in effetti molti
vanno in pensione e poi non vengono sostituiti. Io personalmente, non ho mai vissuto lo
psicologo come figura marginale, anzi, all’interno del nostro dipartimento sono figure
fondamentali, che si occupano anche di pazienti gravi.
Purtroppo dobbiamo fare i conti con la scarsità di personale.>>
Dottoressa Capulli: <<Io invece, ho sempre lavorato in équipe in ospedale e c’era
sempre lo psicologo come figura fondamentale per confrontare i punti di vista.
Qualche volta, tuttavia, era più importante l’assistente sociale, perché sapeva più cose e
ci informava. In questo periodo, per mio grande piacere, abbiamo tre tirocinanti psicologi e
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siamo riusciti in qualche modo ad inserirli nella formazione di altre aree. Per avere un
tirocinante psicologo, dobbiamo fornirgli un tutor e a volte questo non è possibile, quindi ci
è difficile anche avere tirocinanti psicologi.>>
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Punti chiave lezione 4
Terapia comunitaria
-
Origini: la storia della cura della malattia nasce in una condizione di binomio del
rapporto terapeuta.- paziente.
-
Modello anglosassone basato sulla terapia delle 3r: right, rispect e responsability
molta importanza al gruppo.
Inghilterra: modello dell’ospedale di Northfield in cui ci si occupava dei disagi dei
militari dopo la seconda guerra mondiale attraverso dei gruppi di discussione da cui
emersero le caratteristiche della dinamica dei gruppi attuali; importanza anche del
modello di Foulkes sul gruppo: il gruppo vive di vita propria, è un'unità, uno
strumento terapeutico in sé e per sé, attiva delle risorse elaborative superiori a
quelle che individualmente ciascuno dei componenti del gruppo potrebbe fare
Usa: modello del “Chestnut Lodge Hospital” laboratorio clinico e di ricerca per la
diagnosi e la cura dei gravi disturbi psichiatrici in cui fu concretizzata la possibilità di
integrare la psichiatria con la psicoanalisi.
-
Modello latino basato su un duplice binario: terapia individuale inserita all’interno di
un contesto di gruppo che stimola e raccoglie gli elaborati individuali e permette il
reinserimento sociale.
Francia: distinzione del momento della cura da quello dell'assistenza; processo di
territorializzazione dell’intervento incentivando l’istituzione di strutture intermedie in
cui il paziente può trovare una completa presa in carico.
Italia: nascono negli anni 60 sull’onda della legge Basaglia; le comunità
terapeutiche italiane presentano aspetti variegati: ognuna specializzata nella cura di
uno specifico disturbo. Ognuna applica metodiche terapeutiche differenti (es.
comunità Ripa Grande di Roma)
Ripa grande : comunità ad alta intensità terapeutica con funzione riabilitativa; è
specializzata su stati mentali a rischio, crisi emozionali e tutte le problematiche legate
all'adolescenza; in trattamento vi sono anche pazienti con esordio psicotico o con una
storia psichiatrica con durata non superiore ai 5 anni;i basa sull'idea che affrontare i
disturbi psicotici subito dopo l’esordio ha degli effetti decisivi su tutto il processo
terapeutico. Molta attenzione anche al benessere degli operatori
Gruppo terapeutico di Ripa Grande
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Il gruppo terapeutico ha trovato molte difficoltà a crearsi in quanto la comunità è nata sulle
basi di un vecchio SPDC. Problematiche relative a:
-
Luogo
-
Tempo
-
Modalità di partecipazione dei pazienti (chi poteva partecipare e chi no)
-
Permanenza nel gruppo
Inizialmente vi era solo un gruppo di discussione dei pazienti con gli infermieri: gruppi di
discussione in cui si parlava di questioni gestionali e quotidiane della comunità,
successivamente si è visto che in questi gruppi emergevano anche elementi più personali
su cui gli operatori intervenivano in modo differente per cui si è creato un vero e proprio
gruppo terapeutico.
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