valorizzazione terme caronte

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VALORIZZAZIONE TERME CARONTE
Natale Proto
(Recupero, restauro e rifunzionalizzazione dell'Edilizia Antica e dei Ruderi
Archeologici)
Architetto
L’intervento quì definito è stato finanziato dall’Assessorato Beni Culturali della
Regione Calabria, nell’ambito della manifestazione P.O.R. Calabria 2000/2006 – Asse II
Risorse Culturali – Misura 2.3.a, con Decreto n° 12074 del 27 luglio 2004.
Esso investe alcuni edifici antichi appartenenti alle “Terme Caronte” S.P.A., i
quali sono in disuso da tempo con parti che versano in stato di rudere, e propone la
realizzazione di nuovi spazi attrezzati integrativi, in modo da potenziare i servizi culturali
che verranno collocati nei suddetti edifici antichi, recuperati e rifunzionalizzati.
Soggetto promotore e proprietario dell’area di intervento e degli immobili è la
Società “Terme Caronte” S.P.A.
Analisi storico-architettonica
Numerose testimonianze documentali attestano la notorietà delle fonti termali fin
dalla antichità classica. Sono ricordate in versi del poeta greco Licrofone e sono correlate
alla storia della città magnogreca di Terina, della quale è stata confermata la sua
ubicazione (a circa 5 km dalle terme) con i recenti ritrovamenti archeologici. Note in età
romana come “Acque Angae” e denominate “acque calidae” in età medievale, furono
frequentate da Roberto il Guiscardo e si ritrovano menzionate da diversi autori di testi
storici del XVI e XVII secolo come il Barrio, il Marafioti ed il Fiore.
L’area, con le fonti, fu possesso della Badia dei SS. Quaranta Martiri, importante
insediamento monastico fondato in età bizantina. Pervenne in enfiteusi alla famiglia
Cataldi nel 1716 e già da allora, con l’attivazione di una serie di iterventi di bonifica
dell’area e con la realizzazione di un’edilizia termale, si è costituito il nucleo originario
che, evolvendosi nel tempo, è diventato significativo connotato di un territorio e di un
luogo di frequentazione collettiva d’intere generazioni lametine.
La secolare pratica dei “Bagni” divenne ufficialmente riconosciuta come
terapeutica con Atto Ministeriale nel 1924. Nel 1929 hanno preso avvio le fangature con
l’utilizzo delle argille depositate nei secoli dalla sorgente.
Nel 1968 con la realizzazione di un moderno stabilimento termale si è avviavo
l’esercizio dei nuovi reparti terapeutici, che hanno consentito di accrescere notevolmente
il bacino d’utenza.
Nell’area oggetto di intervento ricadono i manufatti più antichi delle Terme
Caronte. Sono edifici realizzati nell’ottocento e nei primi del ‘900, intorno ed attigui alla
Chiesa dei SS. Quaranta Martiri, una plurisecolare memoria storica.
Attualmente la chiesa è in stato di rudere: restano soltanto un settore della
facciata, parti murarie del fianco laterale e tracce fondali. Sono murature in pietrame
assai antiche costituitesi con il riuso di materiale edilizio avvenuto in più fasi; l’ultima è di
tardo ottocento.
Il brano murario che costituisce la facciata è compreso tra l’edificio denominato
“Caronte” ed una muratura appartenuta, un tempo, ad un locale annesso alla chiesa. La
facciata e la muratura contigua sono strutturalmente unitari e di stesso tipo è la tessitura
muraria; lo skai line si svolge su tre linee orizzontali poste a quote diverse, la più alta
delle quali segna l’attacco del timpano di prospetto, andato perduto.
Il carattere stilistico è conferito dallo svolgimento in piano della facciata sulla
quale deboli sporgenze e rientranze disegnano fasce, lesene, cantonali, un marcapiano,
le cornici di due oculi circolari, il portale che s’innalza culminando con una cornice
modanata che diviene mensola di una sovrastante edicola arcuata, un tempo
alloggiamento di un dipinto.
I suddetti elementi decorativi “risaltano” dalla rusticità della muratura in pietrame
a vista che costituisce il fondo, per il loro trattamento di finitura ad intonaco liscio.
La “ruvidezza” muraria, ottenuta con pietrame diverso per natura e taglio e con
inzeppature di cocciame vario, si attenua verso l’alto dove è presente un debole strato di
intonaco coprente, arricciato e colorato, ma fortemente dilavato dalla pioggia.
Lo spessore murario è coperto con un ordinata fila di coppi che “chiudono”, con
andamento perfettamente lineare, l’alzato del prospetto. La stessa soluzione di
protezione e di finitura si ritrova alla sommità della parete - rudere adiacente alla chiesa.
In essa la disposizione di mattoni a vista livella la sfrangiatura in alto della muratura in
pietrame consentendo lo svolgimento rettilineo della copertura-protezione in coppi.
Lo spazio “interno” della chiesa è idealmente configurabile correlando “i
frammenti” residui del suo originario stato: la base pavimentale, l’altare in muratura
(fortemente ammalorato) il muro ad andamento scalare (rudere della parete laterale
sinistra), la superficie intonacata della parete di destra che dà la misura dell’aula in
lunghezza ed in altezza, la debole traccia di un brano murario che denuncia la posizione
del muro fondale.
Nella parete di destra, che è in comune con il caseggiato “Caronte”, appaiono,
ritagliati nell’intonaco e tamponati con pietrame a vista, i vani di tre aperture rettangolari
con angolo lobato, un tempo finestre. Queste documentano che all’origine la chiesa era
un volume isolato al quale, nei primi del ‘900, è stato affiancato l’edificio “Caronte” il quale
ha conglobato la chiesa oscurandone le finestre laterali.
Scavi recenti hanno individuato elementi fondali di un piccolo abside retro altare.
Il fabbricato “Caronte” è stato edificato nel primo novecento in due fasi con il
prolungamento di un primo blocco edilizio datato 1904. Questo ampliamento è denunciato
nel prospetto principale poiché la parte aggiunta, pur mantenendo le stesse risultanze
estetiche di quella originaria, si distingue per una bugnatura che corre in verticale
segnando la linea di affiancamento e per le aperture diverse per dimensione e per
positura della linea d’imposta.
Lo sviluppo planimetrico è costituito da vani affiancati linearmente contenuti in
un rettangolo sviluppato in lunghezza; volumetricamente l’edificio staglia una forma
parallelepipeda, con facciate a sviluppo rigorosamente lineare, conclusa con un tetto a
padiglione.
Bugnature ai cantonali, una fascia marcapiano, il cornicione modanato e finestre
arcuate, disegnano il prospetto principale, compiuto nelle finiture. I due prospetti di testata
non presentano lo stesso rigore compositivo e parti risultano irrisolte. Il prospetto retro
che è il
più interessante, documenta il “travaglio” avvenuto nel tempo mostrando crolli
murari, parti d’intonaco colorato, un tempo pareti interne di ambienti (come quella assai
significativa che apparteneva alla chiesa), tagli, varchi nella muratura, tamponature di
finestre e un settore con pietrame a vista.
L’area all’intorno degli edifici presenta forti caratteri storico – ambientali.
Elemento di pregio connotativo è la rampa che partendo dalla quota più bassa del
prospetto principale dell’edificio “Caronte” si eleva verso il retro e, “perdendosi” in
direzione delle alture boscose, si qualifica come segno forte del paesaggio. Il ritmo
serrato delle candelabbre della balaustra corre con andamenti lineari e curvilinei che
raccordano le diversità delle quote individuando ambiti di affaccio. Questo segno robusto
che “invita” ad entrare nella natura e che armoniosamente raccorda l’edificato al contesto
arboreo d’alto fusto, che ne è fondale, è in stato d’abbandono ed in forte degrado
materico. Esso in un intervento di valorizzazione va necessariamente riconsiderato per
recuperare appieno il suo significato e la sua funzione di elemento primario e portante di
questo sistema insediativo termale. La scalinata-rampa infatti, nel felice connubio tra
costruito ed ambiente, afferma il suo punto di forza e di maggiore qualità estetica.
Altrettanto significativa è l’area “retro” ora in totale dissesto per la presenza di un
disordinato piano di campagna dal quale sorgono ruderi murari, tracce fondali, elementi
architettonici “sospesi”. Questo è il luogo dove più chiara appare la storia, anche se in
episodi frammentati e di difficile identificazione. Quest’ambito ora del tutto disgregato
deve ritrovare con la costituzione di una unitarietà compositiva un suo ruolo primario;
deve riaffermare la sua centralità perduta.
L’intervento di valorizzazione
L’operazione di valorizzazione che si andrà a realizzare è intesa come
correlazione sistematica degli episodi e delle citazioni che ora sono presenti in uno stesso
spazio, ma in uno stato di frammentarietà caotica. E’ essenziale mantenere come
parametro progettuale primario il pieno recupero d’ogni muratura antica distinguendo il
rudere dall’elemento compiuto e solo deteriorato; su queste due realtà materiche
differenti occorre intervenire con operazioni diverse, filologicamente motivate.
L’edificio “Caronte” è un volume chiaro nella sua interezza, completo nella sua
morfologia e definito nella sua tipologia. Il recupero pertanto consisterà nel semplice
mantenimento mediante il ripristino delle parti degradate.
Gli interventi di adeguamento, andranno a realizzare una sua
rifunzionalizzazione adeguandosi al contesto senza alterare la sua figurazione originaria.
Essi, in questa prima fase, a causa dell’insufficienza del contributo concesso,
consisteranno principalmente nella realizzazione di tutte le opere strutturali necessarie al
consolidamento delle componenti portanti.
Ben diverso è l’intervento sui ruderi la cui valorizzazione la si ottiene rendendo
“leggibile” il deterioramento morfologico e materico che il tempo ha determinato; non
possono essere oggetto di maquillage posticcio né, tantomeno, divenire brani ispiratori di
una ricostruzione arbitraria. Per questi ruderi il restauro di congelamento è l’intervento
giusto che consolida, conserva ed enuncia una concezione del bene valutato in quanto
reperto- frammento documentale di un passato.
Il progetto di valorizzazione dei ruderi deve, comunque, distinguere lo stato delle
“rovine” materiche che in questo spazio si ritrovano. Infatti se alcuni brani murari in
elevazione, alcune tracce fondali, alcuni piani livellati sono “deboli” presenze di antichi
volumi architettonici, inconfigurabili oggi nella loro pienezza morfologica, quelli della
Chiesa dei SS. Quaranta Martiri, al contrario, aiutano per quantità e dovizia di particolari
ad una riconfigurazione dello spazio nella sua essenzialità architettonica originaria. Il
piano pavimentale, l’altare, la parete laterale intonacata “appoggiata” alla parete
dell’edificio Caronte, quella opposta di cui ne resta buona parte, la traccia fondale
dell’abside, l’attacco della copertura e, soprattutto, buona parte della facciata sono
elementi che guidano a delineare una precisa forma volumetrica: un’aula rettangolare in
planimetria che in alzato si sviluppa a capanna con fondale ad abside catinato. Sono
ruderi significativi che inducono ad una scelta motivata, non ricostruire in continuità
muraria-strutturale, ma lasciare che dai quei ruderi, risorga un “fatto nuovo”, che dagli
stessi prende direttrici formali. Si tratta di erigere una costruzione compresa nelle tracce
antiche, lasciate nella loro interezza lessicale di ruderi, senza contraffazioni. Con questa
scelta si ripristina un segno forte ed una funzione che rinvigorisce la tradizione sacrale
della comunità e che ripropone una continuità storica, nella chiara distinzione dei
momenti, antico e contemporaneo, che la caratterizzano.
Ma l’operazione in questi soli interventi, non considerando le potenzialità del
“vuoto” all’intorno dove giacciono frammentari ruderi e un dissesto del terreno che è
documentale di architetture andate perdute, non assumerebbe la forza di rendere questo
ambito termale punto di forza del sistema.
Pertanto occorre intervenire rendendo qualità formale e pregio funzionale a ciò
che ora è solo un retro marginale in disuso.
Lo stato del sito, i dislivelli del terreno ed i piani d’imposta esistenti,
suggeriscono l’edificazione di un nuovo volume, incastonato nell’altura di bordo dell’area,
tale da poter collaborare con gli altri edifici alla configurazione di una corte interna, dove
in una definita spazialità si possa ritrovare il senso del luogo tra architetture capaci
d’essere fattori attrattori d’utenza. Il Caronte, convertito ad attività museale, la chiesa
valorizzata come evocativa d’una secolare storia e la nuova sala conferenze, la rampascalinata definiranno i bordi di un luogo d’eccellenza, aperto, attrezzato per l’accoglienza
e per il relax, che, con il suo intorno costruito da edifici antichi recuperati, da ruderi e da
nuova architettura, è una corte della memoria ed al contempo di viva attualità.
La chiesa dei SS. Quaranta Martiri, viene concepita come fatto innovativo che si
costituisce con i reperti esistenti i quali, consolidati con un restauro di congelamento,
restano presenze forti dalle quali è “sorgente” la nuova struttura. Questa si mantiene nelle
dimensioni dettate dai reperti e configura nella pienezza spaziale un’aula rettangolare,
con fondale absidato, su cui poggia il tetto a capriata. Gli elementi parietali vengono
costituiti con setti portanti armati addossati alla muratura esistente che all’esterno resterà
nella sua “pienezza” visiva, ed all’interno sarà presente in tagli aperti nella nuova struttura
per evidenziare i suoi elementi più significativi. Così che nello spazio riconfigurato viene
messo in luce l’intervento nella sua novità ed al contempo che esso è “suggerito” dalla
necessità di mantenere una memoria, quella stessa che lo condiziona nella forma. La
facciata con un restauro di tipo conservativo manterrà lo stato materico che la
caratterizza riproponendo, per tutto il “fondo”, quel sottile strato d’intonaco al rustico che
si ritrova ora solo nella parte alta, mentre le cornici, le fasce ed il portale verranno
ripristinate con intonacatura di fino al liscio. Essa manterrà la “chiusura” terminale a
tegole e su questa si innalzerà il nuovo timpano che, arretrato rispetto al filo facciata,
riproporrà l’originario disegno a capanna connotandosi, al contempo, come elemento non
coevo.
L’altare sarà interessato da un intervento di ripristino della sua figurazione
formale e cromatica, ora lacunosa, e nell’abside verrà ricollocata la scultura della Vergine
con Bambino rimossa da tale edificio dopo il crollo del tetto.
Le unità funzionali – gli interventi
Nel progetto l’edificio Caronte, la chiesa e la sala conferenze sono intesi come
unità funzionali di un complesso edilizio che trova nel sistema dei percorsi l’armatura
connettiva, evidenziata con segni architettonici diversi. Al percorso anulare che
circoscrive e definisce l’area di intervento, sviluppato sull’andamento naturale del terreno
su quote crescenti e decrescenti, si attestano più accessi nell’area – corte e più ingressi
negli spazi interni. Gli accessi e gli ingressi tendono una maglia di attraversamento e di
penetrazione, morfologicamente diversificata, che al fruitore consente plurime percezioni
visive delle forme edificate e della natura.
L’edificio “Caronte”
è oggetto di sostenuti interventi di consolidamento
strutturale che interessano le murature portanti, i solai e la coperture. Tali interventi
vengono adeguati alla tecnologia edilizia originaria utilizzando per le risarciture, le
ricostruzioni e le integrazioni materiali identici o coerenti a quelli esistenti. Le rifiniture
sono tali da mantenere, o da riproporre nelle manchevolezze, la figurazione del lessico
architettonico originario.
Dovendo installare una scala di collegamento interpiano, poiché dell’originaria
non resta traccia alcuna, essa è configurata come elemento aggiuntivo esprimendo, con il
disegno e con i materiali che la costituiscono, una propria fisionomia, che non mantiene
riferimenti con quelle della tradizione edilizia storicizzata. Questa è pensata più come
oggetto ivi collocato, e mentalmente rimovibile, che come parte strutturale del contesto
architettonico antico.
Con la ristrutturazine si possono ottenere ampi vani intercomunicanti su tutti e
due i livelli, ottimali per un allestimento museale.
La sala conferenze è strutturata come elemento che concorre alla compiutezza
del complesso per proprietà morfologiche e funzionali. Essa incastona in uno “scavo” di
confine costituendo un volume di raccordo tra il piano di campagna esistente e la quota
alta raggiunta dal percorso anulare che circoscrive l’area. Così il livello dell’aula si
configura come estensione al chiuso della corte interna, mentre la copertura, su cui è
possibile accedere dall’alto diventa slargo fruibile d’ affaccio sulla corte e di comprensione
del processo edificatorio antico e contemporaneo. Dalla copertura-terrazza si innalza una
torre belvedere conclusa in alto dall’altana da dove con lo sguardo si correla lo spazio
delle Terme al contesto ambientale-naturalistico, quasi a divenire questa il culmine del
tutto.
La sala conferenze contiene 140 posti a sedere, un servizio bar su due piani
(uno per lo spazio giardino l’altro per lo spazio terrazza), una hall con doppio accesso ed i
locali di servizio. Sul lato lungo corre una leggera struttura metallica che accenna ad un
portico svolto su due lati come segno di raccordo e di configurazione spaziale. Esso
congloba pilastri-ruderi che così relaziona al contesto architettonico e con la torre, verso
cui i suoi due lati convergono, traccia le coordinate tridimensionali di costruzione della
ricucitura dei vari episodi edilizi che concorrono, con i ruderi, a definire il complesso
funzionale.
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