I POEMI OMERICI LE CARATTERISTICHE DELL’EPICA LA TRADIZIONE ORALE Il termine “epica” deriva dalla parola greca épos, che significa “narrazione”. L’epica, che si sviluppò a partire dal III millennio a.C. presso culture diverse e in varie aree geografiche, è un’ampia narrazione in versi delle imprese degli eroi, influenzate dall’intervento diretto degli dèi. I canti epici vennero tramandati oralmente di generazione in generazione. EPICA GRECA ARCAICA: AÈDI E RAPSODI Nella metà del XIII secolo a.C. le città micenee (Micene, Pilo, Sparta, Corinto), interessate alla conquista degli stretti (Bosforo e Dardanelli) che mettono in comunicazione il Mar Nero con l’Egeo, si allearono per condurre una spedizione contro la città di Troia, che controllava quell’area strategica. Questa impresa militare ispirò per secoli narrazioni orali che divennero fra l’VIII e il VII secolo a.C., la base dell’epica greca. I cantori di miti e leggende erano gli aèdi e i rapsodi, che li tramandavano a memoria di generazione in generazione presso le corti regie e aristocratiche; avevano un ruolo importante nella società in quanto depositari della memoria collettiva. Durante i banchetti nei palazzi reali l’aèdo (“cantore”), accompagnandosi con uno strumento a corde, la cetra, cantava le imprese degli eroi e i miti religiosi degli dèi. In seguito, le vicende del passato, arricchite di elementi fantastici, vennero raccontate nelle piazze, in occasione di feste popolari; così gli aèdi rielaborarono i loro canti, rivolgendosi a un pubblico desideroso di ascoltarli e applaudirli. Con il tempo agli aèdi si sostituirono i rapsodi (“cucitori di canti”), che imparavano a memoria frasi e formule fisse con le quali costruivano il racconto. Furono loro a determinare il passaggio dal canto alla recitazione degli episodi narrativi, a raccogliere le canzoni sparse degli aèdi e a creare i primi brevi poemi. I rapsodi ebbero fortuna specialmente nelle città greche dell’Asia Minore, dove fiorirono numerose leggende che si fusero con i ricordi storici dell’epoca micenea. La prima poesia epica greca nacque dalla memoria collettiva del popolo e assunse per i greci un’alta funzione educativa come testimonianza di un antico passato, di valori morali e credenze religiose. Nella narrazione epica, le vicende non hanno una precisa collocazione storica, ma sono trasferite nella dimensione mitico- leggendaria: assumono così un valore assoluto e un significato universale. OMERO FONDATORE DELLA TESTUALITA’ OCCIDENTALE LA LINGUA DI OMERO In origine la poesia epica greca era in dialetto eolico1, perché eolici erano i primi aèdi ed eoliche le storie che la costituirono; poi questa poesia si diffuse in tutta l’Ellade2, dove gli Ioni avevano la supremazia politica e le narrazioni furono tradotte in dialetto ionico. A poco a poco si formò una lingua colta e complessa: la prima lingua letteraria dell’Ellade, quella che fu la lingua di Omero, i cui poemi divennero i testi base per la formazione culturale dei greci. 1 Dialetto eolico: le popolazioni della Grecia antica parlavano diversi dialetti a seconda dell’area in cui le varie stirpi greche si erano distribuite a partire dal II millennio a.C. 2 Ellade: nel VI secolo a.C. s’intendeva tutta la Grecia e con il nome di Elleni i Greci chiamavano se stessi. 1 IL RUOLO DELLA SCRITTURA Gli studiosi hanno sottolineato l’importanza di Omero quale primo poeta dell’Occidente ad avere elaborato la sua opera usando la scrittura. L’Iliade e l’Odissea, infatti, sono le prime opere in lingua greca che siano state messe per iscritto. Questo evento segna l’inizio, in Occidente, della letteratura, cioè della redazione di testi scritti con delle finalità. DALL’EPICA ORALE ALL’EPICA D’ARTE ATTRAVERSO I SECOLI I due poemi omerici costituirono un modello per gli scrittori successivi. A essi s’ispirò, nel I secolo a.C. , il poeta latino Virgilio nella composizione dell’Eneide, un’opera di epica d’arte3, che racconta le peregrinazioni dell’eroe troiano Enea, scampato alla distruzione della sua città da parte degli Achei, e la nascita della civiltà latino- romana. La produzione epica ebbe grande sviluppo nel Medioevo europeo, dove il contesto determinò un’evoluzione di questo genere letterario. Ne derivò una vasta gamma di opere tra cui: La Chanson de Roland (XII secolo a.C.) epopea4 francese che narra le imprese eroiche di Carlo Magno e dei suoi paladini, difensori della fede cristiana dagli Arabi infedeli; Il Cantare del Cid (XII secolo a.C.), racconto delle imprese del cavaliere Rodrigo Diaz de Vivar, detto El Cid, liberatore della Spagna cristiana dai musulmani; Il Cantare dei Nibelunghi (XIII secolo a.C.), leggende eroico- magiche dei popoli germanici e dei loro ideali guerrieri. Tra XV e XVI secolo in Italia assumeranno importanza i poemi epico- cavallereschi destinati a intrattenere i signori delle corti del Rinascimento. Esempi significativi sono: Orlando innamorato (1495) di Matteo Maria Boiardo; Orlando Furioso (1532) di Ludovico Ariosto; Gerusalemme liberata (1575) di Torquato Tasso. Nei secoli successivi, venuta meno la visione eroica dell’esistenza, la produzione epicocavalleresca cederà il posto al romanzo in prosa. LE NORME FONDAMENTALI DEL GENERE EPICO Il filosofo greco Aristotele (IV secolo a.C.) analizza, nella Poetica, gli elementi costitutivi e le caratteristiche che fanno della narrazione epica un genere letterario. L’ARGOMENTO E LA VISIONE DEL MONDO: I FATTI NOBILI La storia narrata viene presentata come realmente accaduta e spesso ha un fondo di verità storica. L’argomento si incentra su fatti nobili ed eroici spesso riferiti a episodi di guerra e gesta compiute da uomini straordinari. La concezione del mondo è quella di un’intera società e di un’epoca: quelle gesta appartengono alla storia di tutto un popolo che condivide gli ideali e i valori eroici espressi dall’opera. L’Iliade narra le vicende del decimo anno della guerra tra i Greci e la città di Troia, in Asia Minore, e celebra l’eroismo in battaglia, il duello, la pietà funebre, L’Odissea racconta le avventure di Odisseo, re di Itaca, nel viaggio di ritorno in patria dopo la guerra e celebra l’amore per la famiglia e per la patria, l’ospitalità, la giusta punizione per la colpa. 3 4 Epica d’arte: composizione d’autore, che segue determinate regole Epopea: complesso di narrazioni epiche tradizionali 2 I PERSONAGGI EROICI E L’INTENTO EDUCATIVO Il protagonista è un individuo eccezionale (spesso è figlio di una divinità), dotato di forza fisica, virtù guerriera e senso dell’onore. L’eroe funge da tramite tra l’umano e il divino. Egli incarna i valori della comunità d’appartenenza e costituisce un esempio da seguire, perché è forte, intelligente e ha una serie di virtù umane, anche se, in quanto tale ha difetti e debolezze. Le sue gesta creano il filo conduttore del racconto. LA FORMA NARRATIVA E LO STILE FORMULARE L’epica utilizza i versi5 come forma espressiva. Caratteristica di questo genere letterario è lo “stile formulare”, che testimonia il confluire della tradizione orale nella stesura scritta. Il cantore utilizza espressioni ricorrenti collocate in una sede fissa del racconto (inizio, fine, nel passaggio tra un episodio e l’altro) o epiteti6 (attributi, patronimici7) ripetuti nel corso della narrazione per persone o cose. Si tratta di richiami mnemonici utili per comunicare con il pubblico di ascoltatori, che sentendo la stessa definizione, associavano più facilmente le caratteristiche al nome del personaggio e ricordavano meglio la trama. Anche la sintassi risente dello stile orale: è semplice e paratattica, cioè costituita in prevalenza da frasi principali coordinate dalle congiunzioni. Numerosissime similitudini danno immediatezza al racconto accostando le azioni dei personaggi a immagini che hanno con esse un rapporto di somiglianza. ESEMPI- STILE FORMULARE Aurora dalle dita rosate figlia del mattino Disse parole fuggenti A lui rivolgendosi parlò il potente Agamennone L’animo altero lasciò le sue ossa Pelide Piede veloce Laerziade Astuto/ paziente/ dal cuore generoso glaucopide Rocca sacra di Troia Nera nave Formula ricorrente nei passaggi in cui si annuncia lo spuntare del giorno Formula spesso usata per introdurre un discorso diretto Costruzione tipica per introdurre le risposte in modo solenne Formula ricorrente per indicare il momento della morte Patronimico di Achille (figlio di Peleo) Epiteto di Achille Patronimico di Ulisse (figlio di Laerte) Epiteti di Odisseo Epiteto di Atena (dagli occhi azzurri) Perifrasi con cui si indica la città di Troia Espressione ricorrente: la nave è nera perché la chiglia è calafatata, cioè cosparsa di pece 5 Versi: i poeti epici utilizzavano l’esametro, che conferisce alla narrazione un tono disteso e solenne. Da esso trae origine l’endecasillabo italiano. 6 Epiteto: sostantivo, aggettivo che qualifica un nome, indicando determinate caratteristiche. Nei poemi omerici i nomi degli dèi e degli eroi sono spesso accompagnati da epiteti fissi. 7 Patronimico: nome o cognome derivato dal nome del padre per mezzo di un suffisso. 3 IL PROEMIO E LA PRÒTASI Nella maggior parte dei poemi è presente, in apertura, il proemio. Nei poemi omerici esso è suddiviso in due parti distinte: L’invocazione alla Musa (Calliope), a cui il poeta chiede ispirazione; La pròtasi, o premessa, che consiste nell’esposizione dell’argomento dell’opera. Calliope è la figlia di Zeus e Mnemòsine, dea della memoria, quindi invocata dal poeta che tramanda la memoria di un passato eroico. Elementi comuni sono la presenza del soprannaturale, le scene dei concilii degli dèi in cui ci si riunisce per discutere, la partenza dell’eroe, la vestizione delle armi, i funerali. IL NARRATORE ONNISCENTE Poiché il poeta tramanda vicende del passato, la narrazione epica è sempre al passato e in terza persona. La voce è quella del narratore esterno e onnisciente, cioè un narratore che non ha partecipato agli eventi narrati e che conosce tutta la vicenda dei personaggi. Egli fa anche parlare tra loro i personaggi, riportandone i dialoghi che sono introdotti da formule di passaggio, come si può notare per esempio in questi versi tratti dal dialogo tra Achille e Patroclo nel XVI libro dell’Iliade: Vedendo n’ebbe pietà Achille glorioso, piede veloce, e a lui i volse e gli disse parole fuggenti: “Perché sei in pianto, Patroclo, come una bimba piccina [ …] ”. E tu con gemito grave dicesti, Patroclo cavaliere: “O Achille, figlio di Peleo, il più grande dei Danai, non adirarti, tanta pena ha raggiunto gli Achei”. OMERO NOTIZIE SULL’AUTORE E L’OPERA Omero è il poeta greco cui si attribuiscono i poemi epici Iliade e Odissea, 33 Inni e il poemetto Batracomiomachìa (Guerra delle rane e dei topi). Secondo la leggenda fu un cantore cieco che andava di città in città raccontando le sue storie. Secondo alcuni studiosi i due poemi potrebbero essere opera di due differenti autori; altri attribuiscono la composizione dell’Iliade all’età giovanile di Omero e quella dell’Odissea alla vecchiaia dell’autore. Le opinioni diverse nascono dalle notizie incerte che di Omero sono state tramandate e da alcuni specifici caratteri testuali: Le differenze linguistiche fra i due poemi, in cui convivono forme arcaiche e forme più recenti, in una mescolanza di dialetti diversi; Il modo di procedere della narrazione (concitato nell’Iliade, tranquillo nell’Odissea); L’atmosfera (inquieta e ansiosa nell’Iliade, serena e riposata nell’Odissea); La caratterizzazione dei personaggi ( i protagonisti dell’Iliade agiscono d’impulso, quelli dell’Odissea agiscono con maggior equilibrio fra sentimento e ragione)La critica attuale colloca l’origine dei poemi in età micenea, nel periodo di passaggio tra la civiltà orale e quella della scrittura (intorno all’VIII secolo a.C.). Agli inizi dell’Ottocento le due opere sono state rispettivamente tradotte, in versi endecasillabi8 sciolti, da Vincenzo Monti e Ippolito Pindemonte. 8 Versi endecasillabi sciolti: versi di unici sillabe che non sono legati da uno schema di rime prestabilito 4 MITOLOGIA E DIVINITÀ DELLA GRECIA ANTICA CARATTERISTICHE DELLA RELIGIONE GRECA La religione greca era politeista, cioè ammetteva il culto di molti dèi, ognuno dei quali era legato alle forze della natura (la pioggia, i terremoti, ecc.) o rappresentava un aspetto dell’esperienza umana (la guerra, l’amore, il lavoro agricolo, ecc.). Le credenze religiose attribuivano agli dèi aspetti e sentimenti umani (antropomorfismo). Gli dèi somigliano agli uomini (come gli uomini sono nati da Gea, la Terra) sia per le fattezze, sia per certi aspetti della loro vita: amano e odiano; non sono eterni in quanto non sono sempre esistiti; sono dotati di poteri straordinari (hanno la capacità di volare) e sono immortali: raggiunto il culmine della bellezza e della forza, non conoscono la vecchiaia e la morte, vivono un’esistenza infinita e immobile (per loro il tempo si è fermato). LE DIVINITÀ OLIMPICHE Dodici sono le divinità maggiori venerate dagli antichi Greci: 1. Zeus 4. Atena 7. Afrodite 10. Dìoniso 2. Era 5. Apollo 8. Ermes 11. Efesto 3. Poseidone 6. Artemide 9. Demetra 12. Ares Poiché nell’immaginario greco si riteneva che dimorassero sulla vetta del monte Olimpo (il più alto della Grecia, in Tessaglia), erano chiamate anche “divinità olimpiche”. IL DESTINO: MOIRA, CHERE Gli dèi, come gli uomini, sono soggetti al potere del Destino. Anche Zeus, la maggiore delle divinità, deve sottostare ai voleri di questa entità che tutto governa. Omero chiama la dea del destino Moira (“colei che assegna una porzione di tempo”), altre volte parla di Chera, che significa “la devastatrice” o “colei che spezza”, o di Chere al plurale. Il poeta Esiodo cita in un suo poemetto, tre Moire: Cloto (“colei che fila”: avvolgeva la lana sulla conocchia, cioè dava origine alla vita); Làchesi (“colei che tiene il fuso della vita”: filava con il fuso, cioè accompagnava lo svolgersi della vita); Àtropo (“colei che non si spezza”: recideva il filo, ciò determinava la morte). Le divinità del destino sono femminili perché i Greci pensavano che, essendo la vita un dono della madre, anche la morte dipendesse da un’entità di natura femminile. LA CIVILTÀ MICENEA E I POEMI OMERICI LA CITTÀ DI TROIA La città di Troia è realmente esistita. Fondata intorno al 1550 a.C. nell’Anatolia nord-occidentale, sull’alto della collina di Hissarlik, cinta da forti mura che la difendevano dagli attacchi della costa, aveva un’importante posizione strategica per i traffici degli stretti ( Dardanelli e Bosforo, oggi) che mettono in comunicazione il Mar Nero con l’ Egeo. La prosperità economica della città derivava dalla compravendita di legname, olio, vino, canapa, minerali preziosi (oro, argento, giade) e dalle forti tassazioni imposte ai naviganti che scaricavano le merci sulla costa per poi proseguire via 5 terra verso le regioni interne dell’Asia Minore. Oltre a questo Troia rivestì una notevole importanza strategico- geografica, essendo uno snodo di passaggio fra Occidente e Oriente. LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE Nel corso dei millenni i detriti portati dai fiumi Scafandro e Simoenta hanno creato una pianura davanti alle rovine dell’antica città costiera. Nel 1871, un archeologo autodidatta tedesco, Heinrich Schliemann, basandosi sulle descrizioni dei poemi omerici, iniziò in questa zona gli scavi che lo portarono a identificare il sito in cui era sorta Troia. Si trattava appunto della collina di Hissarlik. Scavando furono riportati alla luce numerosi strati di rovine, corrispondenti alle nove differenti fasi storiche della città. In seguito altri studiosi hanno identificato la Troia omerica distrutta dagli Achei negli strati corrispondenti al settimo livello della città. Grazie a questi ritrovamenti sappiamo che sono vere le vicende cantate nell’Iliade: intorno al 1250 a.C. (periodo culminante con la “civiltà micenea”, 1400-1200 a.C.) una guerra sanguinosa e violenta oppose i Greci ai Troiani. La Grecia era un mosaico di regni (Micene, Pilo, Sparta, Corinto) di cui il più potente era Micene. Queste città, interessate all’espansione commerciale attraverso gli stretti su cui si affacciava Troia, e avide di bottino, si allearono contro la città che assediarono per dieci anni e infine distrussero deportando parte della popolazione. La caduta di Troia fu probabilmente determinata da un inganno e da una imprudenza degli assediati. La conquista di Troia segnò il culmine della potenza micenea. Dopo non molto questa cominciò a declinare per l’arrivo dei Dori, altra popolazione di stirpe greca che dominò per quattro secoli (periodo chiamato “età oscura”o “Medioevo ellenistico”, 1150-750 a.C.) del quale abbiamo poche testimonianze storiche. LA SOCIETÀ DELL’ILIADE Nell’Iliade Omero presenta la società come era stata descritta dagli aedi a lui precedenti. I re dei vari regni micenei (wanax) sono giudici, legislatori e guerrieri: le loro decisioni non sono influenzate dal popolo. I prigionieri di guerra sono ridotti in schiavitù. Le armi usate dagli eroi omerici sono in bronzo , come quelle in usa nell’epoca micenea a quanto risulta dai ritrovamenti archeologici dell’epoca in cui si colloca la guerra di Troia (XIII sec. a.C.). In alcuni punti dell’Iliade si trovano riferimenti al rito funerario della cremazione, tipico del Medioevo ellenistico, quindi di un periodo successivo: per esempio, i Troiani bruciano sul rogo funebre il corpo di Ettore e raccolgono le ossa in un’urna d’oro. Nella precedente età micenea si praticava invece l’inumazione9. Queste discordanze confermano l’ipotesi della composizione in tempi diversi, da parte di uno o più aedi, di episodi narrativi confluiti nella stesura di un unico testo scritto. LA SOCIETÀ DELL’ODISSEA Nell’Odissea la figura del re ha un potere limitato dalle assemblee dei cittadini liberi e dai nobili. Questi ultimi rivendicano il proprio ruolo militare, politico ed economico e pongono in discussione il potere del capo supremo. La struttura sociale appare più stratificata rispetto a quella dell’epoca micenea: oltre all’aristocrazia guerriera, vi compaiono artigiani e indovini, aedi e servi. Infine, anche se i viaggi di Odisseo ripercorrono le rotte segnate dai Micenei, rappresentano lo spirito d’avventura dei colonizzatori greci diretti verso terre lontane e l’avvio delle attività commerciali sul Mediterraneo. 9 Inumazione: seppellimento del cadavere sottoterra 6