L`esistenzialismo Ha caratterizzato il periodo tra le due guerre

L’esistenzialismo
Ha caratterizzato il periodo tra le due guerre mondiali, e non è solo una filosofia ma è una
situazione storico-intellettuale che presenta una particolare attenzione verso gli aspetti limitanti,
negativi, della condizione umana, proprio a causa del momento tragico che colpì la società
contemporanea, a causa della guerra. La guerra con tutto l’odio, la distruzione, tradimenti, aveva
preparato il campo per la nascita dell’esistenzialismo e per una filosofia kierkegaardianamente
esistenziale; fin dall’inizio l’esistenzialismo è strettamente collegato a manifestazioni letterarie nelle
quali era vivo il problema della vita umana. Tra i vari letterari ricordiamo Kafka e Dostoevskij.
Kafka nelle sue opere ha realizzato il senso negativo e paralizzante delle possibilità umane, a kafka
l’esistenza umana appare continuamente minacciata da un senso di nulla e di morte. Dostoevskij,
nelle sue opere, parla di un uomo che continuamente sceglie le varie possibilità della vita, le
realizza, le porta a termine, ma ha sempre su di se la responsabilità della realizzazione.
Al di la della letteratura, se prendiamo in considerazione l’esistenzialismo in senso stretto, vediamo
che esso è un insieme di filosofie che pur presentando delle loro differenze, hanno alcuni tratti in
comune:
1) la riflessione sull’esistenza
2) l’esistenza è considerata come modo di essere dell’uomo, diverso da quello degli altri enti
del mondo
3) il rapporto tra l’uomo e l’essere
4) il rapporto uomo-essere, visto come scelta o progetto
5) considerare l’uomo non come realtà già data ma come ente che può sempre scegliere tra
autenticità e inautenticità
6) l’esistenza è sempre segnata dal limite e dalla finitudine
L’esistenzialismo risulta influenzato dalla filosofia di kierkegaard, infatti vengono ripresi i concetti
di singolarità, possibilità e angoscia. Però si distacca dalla filosofia di kierkegaard in quanto
quest’ultimo:
1) non riconosceva la finitudine esistenziale e identificava l’uomo con l’assoluto
2) finiva per dare poca importanza al problema del singolo in quanto tale
3) dava poca importanza alle situazioni limite dell’esistenza
4) negava l’iniziativa e la scelta, ritenendo che l’esistenza fosse un fatto determinato
Heidegger (nome dell’opera principale: essere e tempo)
Essere ed esistenza
Lo scopo principale della filosofia di heidegger è quello di costruire un ontologia (studio
dell’essere) che parte da una comprensione vaga dell’essere e arrivi a una determinazione completa
del senso dell’essere, cioè heidegger si pone una domanda intorno all’essere, e ogni qual volta ci
poniamo una domanda si possono distinguere tre cose:
1) ciò che si domanda (è l’essere stesso)
2) ciò a cui si domanda (è l’esserci)
3) ciò che si trova domandando (è il senso dell’essere)
Ciò a cui si domanda, cioè l’interrogato, è l’uomo che per heidegger ha un primato ontologico sugli
altri enti. Questo esistente, cioè l’uomo, lo chiamiamo con il termine di esserci (dasein). Facendo
una sintesi possiamo dire che nell’affrontare il problema dell’essere abbiamo un cercato (che è
l’essere), un ricercato (che è il senso dell’essere), e l’interrogato (che è l’uomo o l’esserci):
possiamo dire che l’esserci è essenziale nell’affrontare questo problema, e che il modo d’essere
dell’esserci è l’esistenza. Una volta che abbiamo detto che il modo d’essere dell’esserci è
l’esistenza, definiamo cos’è l’esistenza:
1) la prima caratteristica dell’esistenza è la possibilità di comprendere l’essere
2) è che l’esistenza è fondamentalmente possibilità d’essere, diceva heidegger che l’esistenza
non è una realtà fissa e determinata ma è un insieme di possibilità tra le quali l’uomo deve
scegliere. Questo significa che mentre le cose sono ciò che sono (cioè delle semplici
presenze), l’uomo invece è ciò che è in quanto è possibilità, ed è ciò che lui sceglie o
progetta di essere
L’essere nel mondo e l’esistenza inautentica
L’uomo, visto nel suo concreto, è in primo luogo un essere nel mondo, ed essere nel mondo
significa prendersi cura delle cose intorno. Questo prendersi cura ha come principali caratteristiche
la trascendenza e il progetto. L’esserci, trascendendo (cioè oltrepassando la realtà così come si
presenta), costruisce (cioè progetta) la realtà secondo significati (ad esempio: la casa, al di la della
casa in sé così concretamente, l’uomo la vede come casa per abitare, cioè vede il suo significato,
così come vede il sentiero per camminare). Possiamo affermare che l’uomo è nel mondo in modo
tale da progettare il mondo e subordinare le cose in base ai suoi bisogni e ai suoi scopi. L’esserci,
l’esistenza, o l’uomo (sono dei sinonimi) oltre ad essere nel mondo, è anche essere tra gli altri
essere. Come il rapporto tra l’uomo e le cose è un prendersi cura delle cose, così il rapporto tra
l’uomo e gli altri uomini è un aver cura degli altri. L’uomo, per comprendersi, può avere come
punto di partenza o se stesso oppure il mondo e gli altri uomini. Nel primo caso parleremo di una
comprensione autentica, nel secondo caso invece parleremo di una comprensione inautentica, che
porterà poi ad un tipo di esistenza anonima. L’esistenza anonima è l’esistenza del si, cioè quella in
cui il “si dice” o il “si fa” prevale. In questo tipo di esistenza tutto è insignificante e l’uomo appare
essere tutti e nessuno. In questo tipo di esistenza il linguaggio, che per heidegger è svelamento
dell’essere, diventa chiacchiera, cioè si fonda sul “si dice”. Questo tipo di esistenza inautentica
porta alla deiezione, cioè alla caduta dell’essere dell’uomo a livello delle cose del mondo. Questa
deiezione non è un peccato originale, ma è un processo per cui l’essere scende al livello dei fatti, o
degli altri enti. La deiezione è l’essere gettato nel mondo in mezzo agli altri esistenti. Quest’uomo,
gettato nel mondo, tenta continuamente di uscire dall’anonimato, cerca di progettare e prende in
considerazione le sue possibilità di esistenza, ma quest’uomo ricade sempre nella sua condizione
originaria, cioè al suo essere gettato nel mondo. Cioè l’esserci è vittima di una struttura circolare: un
continuo progettare ma un continuo ricadere alla condizione di ente.
L’esistenza autentica
Fino ad ora abbiamo preso in considerazione l’esistenza nel campo della quotidianità e
dell’inautenticità, ora invece consideriamo l’esserci nella sua totalità e nella sua autenticità, cioè
prenderemo in considerazione la fine dell’esserci, cioè la morte. Heidegger sostiene che la morte
non è il termine finale dell’uomo ma è la possibilità dell’esserci più propria, incondizionata e certa.
È la possibilità più propria perché riguarda l’essere stesso dell’uomo, è incondizionata perché
appartiene all’uomo come individuo singolo e isolato, cioè mentre le altre possibilità pongono
l’uomo tra le cose e gli altri, la morte isola l’uomo con se stesso, è certa in quanto è connessa e
connaturata alla natura stessa dell’uomo. Solo quando l’uomo riconosce la possibilità della morte e
solo quando l’assume su di se, solo in questo momento l’uomo vive in maniera autentica e
comprende veramente se stesso. Questa comprensione di se stessi, che ci pone difronte al nostro
essere, è accompagnata da un emozione che è l’angoscia. Come kierkegaard anche heidegger
distingue l’angoscia dalla paura (la paura è sempre paura di qualcosa di specifico, l’angoscia invece
colloca l’uomo davanti al nulla). L’esistenza quotidiana anonima fugge di fronte alla morte e cerca
di dimenticarla, di non pensarci. L’esistenza autentica invece è un essere-per-la-morte, ma essere
per la morte non significa volerla realizzare ovvero suicidarsi, ma significa considerarla come una
possibilità, anzi la possibilità più propria del nostro destino. Il passaggio dall’esistenza inautentica a
quella autentica prevede l’accettazione anticipatrice della morte.
La voce della coscienza
L’uomo è richiamato alla vita autentica dalla voce della coscienza: questa voce si rivolge all’uomo,
che è immerso nel mondo, e lo richiama a sé stesso, lo richiama all’autenticità. L’esserci è
attraversato dalla nullità per due motivi:
1) l’uomo è progetto gettato e quindi non è mai il fondamento del proprio fondamento (tu sei
fondamento di te stesso perché ti progetti, però sei sempre gettato e quindi non sei realmente
il fondamento di te stesso). Da ciò quindi la nullità di base che costituisce l’esserci (tutto è
da osservare nel “non” della frase, quando diciamo che l’uomo è progetto gettato diciamo
che non è fondamento e il non è il simbolo della sua nullità)
2) l’uomo, in quanto progetto, deve scegliere: quindi deve scegliere qualcosa ed escludere altre
cose. Anche qui la nullità sta nel non, cioè l’uomo sceglie delle possibilità e NON sceglie
altre possibilità
Questa doppia nullità porta l’esserci in uno stato di negatività (dovuto alla finitezza stessa
dell’uomo) e di senso di colpa, e la voce della coscienza fa risuonare all’essere autentico
dell’esserci il richiamo di questo nulla. L’esistenza autentica è quella che comprende, in maniera
chiara, e realizza emotivamente, tramite l’angoscia, la radicale nullità dell’esistenza. Detto
altrimenti: essendo l’uomo un progetto gettato, ed essendo quindi costituito da una nullità
essenziale, non gli resta che anticipare e progettare questo nulla sottoforma della decisione
anticipatrice della morte
Il tempo e la storia
La struttura stessa dell’esserci rimanda necessariamente alle dimensioni del tempo, l’esserci come
“progetto” è futuro, l’esserci come “esser gettato” è passato, infine l’esserci come “deiezione” è
presente, che a sua volta può essere presente inautentico e presente autentico, ovvero attimo
(l’attimo prevede la decisione anticipatrice della morte). Da questo risulta evidente che l’esserci è
tempo o meglio la temporalità è ciò che rende possibile l’esserci. A questo punto heidegger
introducendo questo concetto di tempo, doveva passare alla sezione intitolata “tempo ed essere”, ma
questa sezione non è mai stata scritta perché il pensiero del filosofo a questo punto ebbe una svolta:
sarà il filosofo stesso, piu tardi, a spiegare che “tempo ed essere” è rimasto incompiuto perché è
venuto meno il linguaggio, non aveva gli strumenti linguistici per trattare questo tema
Il secondo heidegger (introduzione alla metafisica)
Il primo heidegger si era posto il compito di delineare un ontologia che determinasse il senso
dell’essere; per fare questo heidegger ha interrogato l’ente che si pone il problema dell’essere, cioè
ha interrogato l’esserci, o l’uomo, e a questa interrogazione l’esserci ha risposto manifestando il suo
essere nulla. Il problema della negatività è dato dal fatto che il senso dell’essere non lo possiamo
ottenere interrogando un ente (anche se è un ente superiore, ovvero l’uomo) ma bisogna interrogare
l’essere stesso. Nell’introduzione alla metafisica, opera scritta dal secondo heidegger, il filosofo fa
una critica alla metafisica classica in quanto questa ha per anni indagato il senso dell’essere a partire
dall’essere degli enti (cioè la metafisica si è interessata degli enti e non degli esseri). Secondo
heidegger platone è stato il primo responsabile della degradazione della metafisica in fisica, perché
prima di platone i primi filosofi concepivano la verita come rivelazione dell’essere, cioè come
svelamento dell’essere, invece platone ha capovolto il rapporto tra la verità e l’essere dicendo che
era l’essere a fondarsi sulla verità. Secondo heidegger la metafisica occidentale ha iniziato il suo
processo di decadenza con platone e questo processo è finito con nietzsche, in particolar modo con
il nichilismo di nietzsche. Per heidegger il disvelarsi dell’essere prevede che l’uomo si apra
all’essere: cioè, affinché la verità dell’essere sia chiara all’uomo, l’uomo deve essere predisposto e
libero; quindi per heidegger la verità e la libertà si identificano in quanto solo l’uomo libero può
aprirsi allo svelamento dell’essere. Lo svelamento dell’essere non è mai totale e non è mai diretto.
Dire che non è totale significa che l’essere nello stesso tempo in cui si manifesta, si nasconde. Dire
invece che non è mai diretto significa che lo svelamento, la rivelazione, avviene attraverso le cose
(attraverso il cielo, la terra, il divino e il mortale). Oltre all’”introduzione alla metafisica”, ci sono
anche altre opere che caratterizzano il secondo heidegger, dove pian piano scompaiono le tracce
dell’esistenzialismo, e in queste opere l’uomo non è piu come in “essere e tempo” il padrone
dell’ente, ma diventa il pastore dell’essere; vista in questa dimensione, l’uomo può solo
abbandonarsi all’essere
Secondo heidegger (Il linguaggio)
Sempre in questa seconda fase per heidegger, l’unica vera e diretta manifestazione dell’essere è il
linguaggio, in particolar modo il linguaggio poetico. In questi anni heidegger definirà il linguaggio
come “la casa dell’essere”, in quanto la lingua, dando il nome alle cose, fonda l’essere; secondo
heidegger non è l’uomo che parla ma è il linguaggio stesso che parla
Jaspers
Esistenza e situazione
Jaspers, a differenza di heidegger, è piu legato all’esistenzialismo di kierkegaard, in quanto anche
per jaspers il singolo uomo è l’unico tema della filosofia e l’unico compito che ha l’uomo è quello
di chiarire razionalmente la sua esistenza. Per jaspers, come poi era per heidegger, l’esistenza è
sempre esistenza nel mondo; l’esistenza è la ricerca dell’essere e anche per lui l’essere esistente è
esserci. L’essere nel mondo, di cui parlava heidegger, è un essere nel mondo oggettivo; invece
jaspers vuole porre l’io in una realtà esistenziale: secondo questa realtà esistenziale, l’io non è mai
oggetto a sé stesso ma è la sua stessa intuizione nel mondo (cioè la mia intuizione del mondo non è
un possibile oggetto tra gli altri, ma è la mia stessa situazione nel mondo). Riprendendo sempre
kierkegaard, jaspers arriva ad una filosofia della libertà, nel senso che l’uomo è ciò che sceglie di
essere: la scelta è costitutiva del suo essere, jaspers arriva addirittura ad affermare che l’uomo è in
quanto sceglie: la scelta fa si che l’uomo sia libero. Ma l’io che sceglie è l’io situato nel mondo,
cioè un io determinato storicamente, quindi particolare, questo vuol dire che la scelta, radicandosi in
una situazione gia determinata (il mondo), non può scegliere se non quello che già è stato scelto (si
viene ostacolati dall’oggettività del mondo, dalle condizioni del mondo. Ad esempio non posso
scegliere di rifarmi da capo, o di non essere).
Trascendenza, scacco e fede
La continua ricerca dell’essere, essendo connaturata all’uomo, ma essendo l’uomo determinato e
quindi non potendo scegliere l’essere, non sarà mai raggiunto, sarà cioè un essere trascendente.
Possiamo fare esperienza di questo essere trascendente solo in un modo, attraverso le cifre, cioè
attraverso i simboli (i simboli sono i segnali dell’esistenza di qualcosa, come ad esempio cristo nella
religione cristiana era segnale che esisteva dio). La trascendenza si rivela soprattutto in quelle che
jaspers chiama le situazioni limite, cioè in quelle situazioni incomprensibili nelle quali l’uomo si
trova come di fronte ad un muro, contro il quale urta senza nessuna speranza. Trovarsi in una
situazione limite significa “non poter non” (ad esempio: non poter non morire, non poter non
peccare). La situazione limite è la situazione più chiara del fatto che l’uomo sia costitutivamente
impossibilitato (esempi di situazioni limite sono: l’essere destinato alla morte, il non poter vivere
senza la lotta e il dolore). Lo scacco entra in gioco quando l’uomo tenta di superare le situazioni
limite, non riuscendoci. Jaspers trova la soluzione, alle situazioni limite, solo nella rassegnazione e
nel silenzio, cioè dinanzi a certe situazioni non si può che rassegnarsi. Negli ultimi scritti jaspers ha
parlato di una via d’accesso all’essere trascendente, questa via d’accesso è la fede.