DIVERSITÀ DELLE LINGUE
QUESTIONI DI TIPOLOGIA LINGUISTICA
Che le lingue siano diverse tra loro è un’osservazione ovvia. La misura di questa diversità
non è però così facilmente definibile. Le differenze che appaiono più immediatamente
sono quelle lessicali: il significato X è veicolato dal significante (la parola) Y in una data
lingua e dal significante (la parola) Z in un’altra. La relazione tra i significati e le parole che
li designano non è motivata, non ha ragion d’essere autonoma, ma è determinata dalla
convenzione, storicamente determinata, che lega in un sistema di relazioni le parole di una
lingua (e anche, più in generale, tutto ciò che nella lingua è determinato da un sistema di
relazioni: i suoni (fonologia), “la grammatica” (sia le modificazioni delle parole, cioè la
morfologia, sia i rapporti gerarchici tra le parole nella frase e tra frasi, cioè la sintassi), la
pragmatica (i significati sociali)).
italiano
gatto
inglese
cat
tamil puune ‘gatto’
Le prime due parole si assomigliano, e in effetti sono legate storicamente (lat. tardo
cattus), mentre la terza non ha alcun legame storico con le parole (i significanti) precedenti
ed è completamente diversa1. L’arbitrarietà non riguarda in realtà soltanto la forma delle
parole abbinate a determinati significati, ma anche il rapporto stesso tra le forme e i
significati delle parole:
italiano [un verbo di movimento] a piedi
inglese walk
italiano [un verbo di movimento] in punta di piedi
inglese tiptoe
italiano camminare dondolando le braccia
ilocano widawid
italiano muoversi a piccoli passi
giapponese tyo^ko-maka
Questo è solo uno degli infiniti esempi che si potrebbero portare per mostrare le differenze
nell’organizzazione del lessico (la combinazione di significati e parole) delle varie lingue.
Un altro tipo di diversità che appare immediatamente è quella fonologica (quel dato suono
o quella data combinazione di suoni sono presenti in una lingua e non in un’altra); ogni
lingua ritaglia all’interno delle possibilità di articolazione dei suoni, determinate
dall’anatomia e fisiologia umana, le sue specifiche relazioni tra suoni per costruire parole e
frasi. Anche l’inventario dei fonemi di una lingua, cioè l’insieme dei suoni che hanno valore
distintivo, che servono per distinguere parole, rappresenta quindi una realizzazione di un
sistema di opposizioni arbitrariamente selezionate all’interno di tutte quelle che sarebbero
teoricamente possibili.
In realtà la variazione, pur essendo amplissima, è in qualche modo soggetta a restrizioni;
empiricamente si nota, per esempio, che nessuna lingua è priva di vocali (ogni lingua ne
possiede almeno tre), che nessuna lingua è priva di un lessema che designi in maniera
specifica il locutore (il pronome di prima persona singolare, “io”) e il destinatario del
messaggio (il pronome di seconda persona singolare, “tu”), che nessuna lingua è dotata di
meno di alcune centinaia di basi lessicali.
Differenze nell’organizzazione della struttura grammaticale appaiono invece solo ad
un’analisi più approfondita.
Dal punto di vista morfologico (il modo in cui sono formate le parole) si distinguono quattro
tipi principali di lingue (che saranno elencati più sotto). La classificazione in tipi morfologici
è basata sul rapporto tra la parola e le parti di cui questa può essere composta; la parola è
infatti una combinazione di suoni che costituisce un’entità autonoma, variamente
combinabile con altre dello stesso tipo (altre parole) a formare unità di significato più
complesse (i sintagmi, le frasi), derivate appunto dalla combinazione dei significati
veicolati da queste entità autonome. Ma ciò di cui è composta una parola è, ad un primo
livello (quello fonologico), una serie di suoni che non sono in sé portatori di significato, e,
1
È stato calcolato che si possono avere casuali somiglianze tra singoli elementi lessicali di due lingue senza
legami storici fino alla misura del 4% del lessico.
ad un secondo livello (quello morfologico), una serie di “pezzi”, chiamati morfemi, che
sono, diversamente dai singoli suoni, portatori di significato, ma hanno meno possibilità di
combinazione rispetto alle parole. Ciò che distingue parole e morfemi sono le diverse
possibilità di spostamento e combinazione:
italiano il più facile; di più; il facile; più facile; il più è fatto; i più amano ciò che è facile; il tuo
libro è facile, più del mio; più che facile; inglese easier ‘più facile’, *er easy (l’asterisco
indica la non grammaticalità: una sequenza di questo tipo è impossibile, ed er è portatore
del significato “più”, “in grado maggiore” soltanto se attaccato a un aggettivo)
Lo stesso significato (“in grado maggiore”), come si vede, può essere espresso da una
parola autonoma o da un morfema; italiano più e inglese more sono parole che possono
combinarsi con aggettivi e verbi, possono trovarsi in posizioni diverse rispetto all’aggettivo
che modificano, ecc. Viceversa il morfema –er è legato indissolubilmente all’aggettivo (o
meglio, nel caso dell’inglese, a una certa serie di aggettivi), nel senso che ricorre solo in
connessione con una certa classe di parole, e solo in quella determinata posizione con
quel determinato significato. In teacher (‘insegnante’) per esempio il morfema –er (sempre
un morfema legato) ha un significato completamente diverso: a partire da una base
verbale X viene formato un nome che significa ‘colui che X’ (come nome di mestiere o
d’agente).
La variazione tra lingua e lingua è massima nell’ambito morfologico: diverse categorie di
significato possono venire espresse in maniera obbligatoria, come accade ad esempio in
italiano per il numero sul nome (posso dire solo libro singolare o libri plurale, non indicare
il concetto di “libro” sganciato da una sua quantificazione, come invece accade in altre
lingue), per la persona, il tempo e il modo sul verbo (non posso esprimere il tempo
disgiuntamente dalla persona: parlo, parlai, parlerei). Oltre a questi tipi di morfemi, che
devono essere obbligatoriamente selezionati in una data lingua (sono chiamati morfemi
flessivi), possono esistere anche morfemi di altro tipo, che servono a stabilire connessioni
di significato tra parole diverse: libraio, parlatorio sono parole in cui la connessione di
significato con il “libro” e con il “parlare”, evidente nel morfema base (libr-, parl-), è
espressa mediante un morfema detto derivazionale: ‘X-aio’ (un nome X diventa un altro
nome) vuol dire ‘colui che fa un mestiere connesso con X’, vedi fornaio, corniciaio,
macellaio (in altri casi invece ‘X-aio’ indica ‘un luogo connesso con X’, es. acquaio, pollaio,
formicaio); ‘X-torio’ (un verbo X diventa un nome) ‘luogo in cui si X’, come osservatorio (in
altri casi invece ‘X-torio’ è un modo per formare aggettivi, sempre a partire da verbi:
significa quindi ‘connesso con il fare X’, es. persecutorio)2. Già da questi pochissimi
esempi appare chiaro che, mentre la classe dei morfemi che chiamiamo flessivi
rappresenta un insieme chiuso di elementi selezionati dai morfemi lessicali (che sono la
parte tendenzialmente invariabile delle “parole”) con significati prevedibili, la classe dei
morfemi derivazionali rappresenta un insieme molto più grande (anche se anch’esso
chiuso) con significati più diversificati (che dipendono in larga parte dall’unione con i
morfemi lessicali): a libr- posso (e devo) attaccare solo –o e –i come morfemi flessivi,
mentre posso selezionare o no l’aggiunta di morfemi derivazionali (vedi libraio, libresco,
librario, libreria, libretto).
Flessione e derivazione, che sono modi di strutturare le parole, sono molto diffuse nelle
lingue del mondo, ma non sono affatto necessarie. Esistono lingue che esprimono
attraverso l’ordine delle parole, o parole funzionali (cioè parole indipendenti con significati
grammaticali) tutto ciò che in altre lingue è espresso attraverso modificazioni delle parole.
Ad esempio ‘libraio’ può essere “venditore di libri” e parlatorio “luogo del parlare”.
Ecco allora i quattro tipi fondamentali di lingue secondo la tipologia morfologica:
2
Si noti come in libraio e parlatorio ricorra nuovamente il morfema di genere-numero (–o), che è obbligatorio
sui nomi italiani, come detto.
lingue isolanti: lingue con poca o nulla morfologia; il rapporto tra morfema e parola
tende ad essere di uno ad uno (per esempio al posto delle parole italiane citate
sopra avremo parole del tipo più grand, libr / molt libr, un che vend libr, luog di parl,
dove le parole non sono ulteriormente scomponibili in unità di significato più
piccole); una tipica lingua isolante è il cinese. Si noti come spesso le lingue isolanti
presentino anche una forte prevalenza di parole monosillabiche: se alle parole
italiane tolgo i morfemi flessionali ottengo spesso monosillabi (per esempio
l’inglese, che è generalmente più analitico dell’italiano, cioè esprime meno
significati su una singola parola3, ha un maggior numero di parole monosillabiche
rispetto all’italiano4).
- lingue fusive: lingue con morfologia articolata, sistematico cumulo di più significati
su singoli morfemi, variazione idiosincratica (imprevedibile) della forma dei morfemi:
es. italiano bello, bella, belli, belle (cumulo di genere e numero) vs. grande, grandi
(la forma dei morfemi di genere-numero è diversa nei due aggettivi anche se il
significato è parallelo); mangio (presente, indicativo, 1 persona singolare),
mangiamo (presente, indicativo, 1 persona plurale: non posso separare –o come
morfema di persona e –am- come morfema di plurale: infatti –am- non ricorre che
nella prima plurale, cioè sempre insieme ad -o), mangerei (presente, condizionale,
1 persona singolare); vado, vai, va, andiamo, andate, vanno, andrei, ecc. mostra un
fenomeno tipico delle lingue fusive, cioè l’uso di più forme diverse anche per i
morfemi lessicali (quelli che veicolano il significato di base della parola e che
tendono ad essere invariabili: qui il verbo di movimento): il significato “andare”+
presente+ indicativo+ 1persona+ singolare deve essere ricondotto all’intera parola
vado. Le lingue indoeuropee sono in generale lingue fusive, e in particolare sono
lingue fusive le lingue slave (tra cui polacco, russo, ceco, slovacco, bulgaro, serbocroato, sloveno), le lingue romanze (tra cui italiano, rumeno, spagnolo, portoghese,
francese), l’albanese.
- lingue agglutinanti: lingue con morfologia articolata, ma con morfemi facilmente
separabili, che hanno significati univoci, prevedibili, e scarsa variazione tra le forme
in cui si presentano i morfemi (che non sia determinata semplicemente dal contesto
fonetico) (vedi sotto esempi di turco)
- lingue polisintetiche: lingue con morfologia articolata e unione in singole parole di
moltissimi morfemi, sia con significati grammaticali che con significati lessicali; ciò
che in una lingua come l’italiano è espresso con una frase, in una lingua
polisintetica può essere espresso con una sola parola: es. ciukci (Chukchi) t.m.yN.-levt.-p.Gt-.rk.n ‘ho un tremendo mal di testa’, dove t.- = soggetto di 1 sing.,
m.yN.- = grande, levt.- = testa, p.Gt- = male, .rk.n aspetto imperfettivo (come se
fosse ioterribiletestamalò)5.
Questa suddivisione è in realtà basata sull’incrocio di due parametri, l’indice di fusione e
l’indice di sintesi. L’indice di sintesi è il rapporto tra il numero dei morfemi e il numero delle
parole (nelle lingue analitiche 1-1,99; nelle lingue sintetiche 2-2,99; nelle lingue
polisintetiche 3). L’indice di fusione è rapporto tra il numero di morfemi e il numero di
morfemi fusi (cioè cumulativi); può anche essere chiamato, specularmente, indice di
agglutinazione, che esprime il numero di morfemi agglutinati (separabili e invariabili) per
-
Vedi sotto su “analitico” e “sintetico”.
Casi come bigger rispetto a più grande rappresentano in realtà una minoranza rispetto a opposizioni
contrarie.
5
La combinazione di più morfemi base in un’unica parola è possibile anche in italiano, così come in molte
altre lingue, e va sotto il nome di composizione: esempi di parole composte sono apriscatole, portapenne,
capoclasse, cassapanca. Si noti però come le possibilità di combinazione siano molto più ristrette, sia per
quantità che per qualità dei morfemi combinati, rispetto alle lingue polisintetiche.
3
4
“giuntura”, cioè unione tra morfemi; nelle lingue agglutinanti è > 0,50, nelle lingue fusive =
0,50. Per le lingue che hanno un rapporto 1:1 tra parola e morfema (cioè le lingue isolanti)
il calcolo dell’indice di fusione/agglutinazione non ha senso in quanto non c’è alcuna
giuntura tra morfemi (tutti i morfemi sono parole separate).
Le quattro tipologie di lingue sono rappresentate nello schema seguente:
FUSIONE
fusive
isolanti
polisintetiche
SINTESI
agglutinanti
Un altro ambito nel quale sono stati individuati sistematici range di variazione tra lingue è
l‘ordine delle parole. Prendendo come base una frase che contiene un soggetto e un
complemento oggetto nominali (cioè non pronominali) e un verbo (es. il gatto rincorre il
topo), si è osservato empiricamente che la stragrande maggioranza delle lingue ordinano
in modo regolare questi elementi in questi tre modi:
Soggetto Oggetto Verbo; Soggetto Verbo Oggetto; Verbo Soggetto Oggetto
Le altre tre combinazioni possibili, nonché un ordine delle parole completamente libero,
sono molto più rare nelle lingue del mondo (ma vedi sotto per alcuni esempi). Si noti che
l’ordine può avere significato: in italiano per esempio è proprio l’ordine relativo degli
elementi nella frase che fornisce indicazioni riguardo alle funzioni sintattiche di soggetto e
oggetto (Il cane rincorre il gatto è diverso da Il gatto rincorre il cane). Il dyirbal, che ha
ordine libero (vedi sotto) esprime queste stesse funzioni attraverso morfologia flessiva
(l’elemento che sotto è glossato con ERG indica il caso ergativo, che è il caso del soggetto
di un verbo transitivo, mentre ASS indica il caso assolutivo, che è proprio dell’oggetto di
verbi transitivi e del soggetto di verbi intransitivi; proprio queste marche esplicite
consentono di variare l’ordine mantenendo le relazioni sintattiche).
Queste osservazioni potrebbero sembrare anche poco rilevanti, se non fosse che questi
ordini degli elementi nella frase si combinano in modo non casuale con le altre possibilità
di ordinare le parole ad esprimere relazioni di significato.
I tipi sintattici più frequenti sono:
VSO/ Preposizioni/ Nome-Genitivo/ Nome-Aggettivo (arabo)
SVO/ Preposizioni/ Nome-Genitivo/ Nome-Aggettivo (italiano)
SOV/ Posposizioni/ Genitivo-Nome/ Aggettivo-Nome (turco, hindi)
Prevale cioè o il tipo con l’ordine in cui l’elemento modificatore è a sinistra dell’elemento
modificato, o il tipo in cui l’elemento modificatore è a destra dell’elemento modificato
(l’italiano è di questo tipo).
MODIFICATORE
MODIFICATO
oggetto
(il, un) gatto
verbo
vedo
aggettivo
bianco
nome
(il, un) gatto
genitivo
di Maria/ Mary’s
nome
(la) casa
frase relativa
che vedo
nome
(il) gatto
nome
(il, un) gatto
adposizione (pre-o post-)
per
II termine di paragone
di Maria (melle)
aggettivo comparativo
più bella (dulcior)
In effetti sono stati formulati anche degli universali statistici, testati su vari campioni di
lingue (da una trentina a qualche centinaia) (vedi sopra per le sigle)
SOV  (AN  GN)
VSO  (NA  NG)
Pr  (NA  NG) con molti controesempi
Po  (AN  GN) con molti controesempi
Pr & VSO  (NA  NG)
Po & SOV  (AN  GN)
ESEMPI
CINESE: ISOLANTE (ORDINE SOGGETTO-VERBO-OGGETTO, GN, PO)
Tā
wèn
wŏ zuótiān
wănshang zuò
shénme.
3SG
chiedere io ieri
sera
fare
cosa
‘Mi ha chiesto che cosa ho fatto ieri sera.’
Wŏ
wàng
le
tā
io
dimenticare PERF 3SG
‘Ho dimenticato il suo indirizzo.’
de
GEN
dìzhĭ.
indirizzo
zuótiān
yè
lĭ wŏ méng jiàn
wŏ mŭqīn.
ieri
notte in io sogno percepire io madre
‘Stanotte ho sognato mia madre.’
TURCO: AGGLUTINANTE, ORDINE SOGGETTO-OGGETTO-VERBO
Kitab-ı
masa-nın üst-ün-e
koy-du.
Libro-ACC tavola-GEN cima-GEN-DAT mettere-PASSATODEF(3SG.)
‘Mise il libro sulla tavola.’
Kapı-nın diş-ın-da
bir adam
Porta-GEN esterno-GEN-LOC un uomo(NOM)
‘Un uomo stava aspettando fuori dalla porta.’
bekl-iyor-du.
aspettare-PROGR-PASSATODEF(3SG.)
Bozkurt-lar-ın üst-ün-de-ki
daire-de
oturu-yor-lar.
PL-GEN cima-GEN-LOC-REL appartamento-LOC abitare-PROGR-PL
‘Abitano nell’appartamento (che è) sopra ai Bozkurt.’
Si confronti questa frase con inglese They live in the flat over the Flinstones (‘abitano
nell’appartamento sopra ai Flinstones’)
Si noti come in turco i morfemi siano separabili e invariabili: il morfema (suffisso) di plurale
lar ricorre sia nei nomi (Bozkurt-lar) che nei verbi (oturu-yor-lar). La variazione nella forma
del morfema di genitivo, che compare sia come –nın che come –ün che come –ın è
prevedibile: -n-Vocale-n compare dopo vocale, mentre -Vocale-n dopo consonante, e la
variazione della vocale dipende da alcuni parametri articolatori della vocale della radice
(cioè della parola a cui si attacca il morfema di genitivo): insomma la vocale della marca di
genitivo cambia a seconda della vocale della parola a cui si attacca. Lo stesso accade per
il morfema di locativo, che per esempio è –de se attaccato a üst-ün, daire, ma –da se
attaccato a diş-ın (questo fenomeno è chiamato armonia vocalica).
L’ordine delle parole, e in parte anche dei morfemi, è esattamente speculare: inglese “Loro
abitano in il appartamento sopra i Flintstones”, turco “Bozkurt-i-di sopra-di-in-che
appartamento-in abitando-sta-loro’. Si noti come l’inglese presenti un indice di sintesi e di
fusione inferiore rispetto all’italiano: la persona (il soggetto plurale) è espresso con la
flessione in italiano (abitano), mentre in inglese deve essere espresso tramite una parola
indipendente (they); la preposizione e l’articolo si fondono nell’italiano nel(l’); l’articolo
esprime anche il genere e il numero (i maschile plurale, the invariabile). Il suffisso di
relativo -ki (cioè la marca attaccata in fondo alla parola) con üst-ün-de (‘in cima’)
nell’esempio turco esprime il fatto che il sintagma ‘sopra ai Bozkurt’ (lett. ‘in cima dei B.’)
modifica il nome che segue (daire ‘appartamento’), non è cioè dipendente direttamente dal
verbo. Questa relazione in italiano e in inglese è espressa solo tramite l’ordine: il sintagma
sopra ai Bozkurt è posto immediatamente dopo il nome che modifica (appartamento).
ARABO: INTROFLESSIVO (un tipo di lingua fusiva particolare), ORDINE VERBO-SOGGETTOOGGETTO E SOGGETTO-VERBO-OGGETTO
All’interno delle basi lessicali, fondate su sequenze di tre consonanti, si inseriscono le
vocali, che sono portatrici dei significati grammaticali6, come ad es. Numero (plurale/
singolare/ duale), categoria lessicale (nome/ verbo), Tempo7 (perfetto-imperfetto), voce
(attivo-passivo), ecc.
Esempio: radice triconsonantica K – T – B ‘scrivere’
Schema di struttura della parola: aCCuC = ‘imperfetto’; CaCaC = ‘perfetto’; CaaCiC =
participio attivo; maCCuuC participio passivo;
(C = consonante)
?a‘rifu ?annahu yaktubu
kitaaban
‘So che sta scrivendo un libro.’
so
che-lui
3SG-scrivere.IMPF libro.SG-ACC
?a‘rifu ?annahu kataba
kitaaban
‘So che ha scritto un libro.’
so
che-lui
scrivere.PERF-3SG libro.SG-ACC
Huwa kaatib
‘aíiim. ‘Lui è un grande scrittore.’
lui
scrivere.PART.ATTV grande
?aala
kaatiba
‘macchina da scrivere’
macchina scrivere.PART-F
Kullu
ttaqaariir maktuuba.
‘Tutti i resoconti (che sono stati) scritti.’
tutti
resoconti scrivere.PART.PASS
(maktuub = anche ‘lettera’)
?inxarafa
rrajul
wa rakiba
xadiiquhu ddarraaja
andar via.PERF-3SG.M ART.uomo e salire.PERF-3SG.M amico-suo bicicletta
‘l’uomo se ne andò e il suo amico montò in bicicletta’
?inxarafa
rrajul
wa xadiiquhu yarkabu
ddarraaja
andar via.PERF-3SG.M ART.uomo e amico-suo 3SG.M-salire.IMPF bicicletta
‘l’uomo se ne andò mentre il suo amico era (o ‘stava montando’) in bicicletta’
Gli “schemi” sono usati sia nella flessione che nella derivazione: maCCaC per esempio
forma nomi di luogo, es. maktab ‘scrivania, ufficio’, maktaba (femm.) ‘libreria, biblioteca’; si
6
In generale tutte le lingue semitiche hanno questo tipo di struttura morfologica. Gli esempi riportati qui sono
di arabo classico/ standard, ma si ricordi che le parlate arabe moderne (i “dialetti”) divergono sia rispetto allo
standard che tra di loro, fino ad essere reciprocamente non comprensibili; ad esempio nelle parlate moderne
si sono perse in generale le opposizioni di caso.
7
Sarebbe più corretto Aspetto, ma non possiamo qui soffermarci su questo.
veda sopra anche kitaab ‘libro (plur. kutub). Si noti l’ordine modificato (nome) –
modificatore nei sintagmi ?aala kaatiba ‘macchina da scrivere’ e Kullu ttaqaariir maktuuba
‘tutti i resoconti (che sono stati) scritti.’
Ordini rari
Verbo-Oggetto-Soggetto: tagalog (l. austronesiana, Filippine)
Ma-runong ng
dalawa-ng wika
ang
lahat ng nandito.
PRES.sapere OGG
due-DEF
lingua SOGG tutti
DEF LOC-qui
‘Qui tutti conoscono due lingue.’
malgascio (l. austronesiana, Madagascar)
Nahita ny mpianatra ny vehivavy. ‘La donna vide lo studente’.
vide
lo studente
la donna
OVS: hixkaryana (l. amerindiana, Brasile sett.)
Toto
jahos6ye
kamara.
‘Il giaguaro catturò l’uomo’.
uomo
esso-catturò-lo giaguaro
Ordine libero: dyirbal (l. australiana)
OSV: Balan
dugumbil baNgul
ya+aNgu
bu+an. ‘L’uomo
donna’
DEITT-ASS-CLASS
(cfr. Bayi
DEITT-ASS:CLASS
vide
donna-ASS
DEITT-ERG-CLASS
uomo-ERG
ya+a
baNgun
dugumbi-+ubu+an. ‘La donna vide l’uomo’.
uomo(-ASS) DEITT-ERG-CLASS donna-ERG
la
vide
vide
SVO: BaNgul ya+aNgu bu+an balan dugumbil.
VOS: Bu+an balan dugumbil baNgul ya+aNgu.
SOV: BaNgul ya+aNgu balan dugumbil bu+an.
VSO: Bu+an baNgul ya+aNgu balan dugumbil.
OVS: Balan dugumbil bu+an baNgul ya+aNgu.
Le caratteristiche della lingua materna, sia fonologiche che morfologiche che sintattiche
che lessicali, interferiscono sui modi e sui tempi di acquisizione di una seconda lingua
(meno, in generale, sulle sequenze, cioè sull’ordine in cui vengono apprese le varie
strutture della lingua). A scopo meramente esemplificativo si possono fare alcuni casi
classici:
difficoltà nel riprodurre le affricate italiane (i suoni resi graficamente con <ci>,
<ce>,<gi>, <ge> e <z>), fonemi piuttosto rari nelle lingue del mondo, e in particolare nel
distinguere le sorde dalle sonore (<ci>, <ce> da <gi>, <ge> e <z> in zaino da <z> in
azione); se si aggiungono anche le distinzioni di lunghezza consonantica (consonante
“scempia” vs. consonante “doppia”) e il fatto che per questi fonemi c’è una forte variazione
nella pronuncia tra le diverse parti d’Italia (variazione diatopica) si comprenderà come
possano costituire un problema per un parlante non nativo;
difficoltà nel riprodurre la morfologia flessiva (in particolare quella verbale, che in
italiano ha un alto carico funzionale, cioè un ricco contenuto di significato) in parlanti che
hanno come prima lingua una lingua isolante (ad es. il cinese);
formazione di parole con tecnica agglutinante, es. lui-/ lei- o lui-di/ lei-di + nome per
‘suo’
riproduzione dell’ordine sintattico SOV della lingua materna, con tutte le caratteristiche
ad esso connesse (cioè posposizioni, GN, AN, frase dipendente che precede la frase
principale): es. Maria(-di) fratello per ‘il fratello di Maria’; questo finito casa io va(do)
‘quando è/ ho finito questo, vado a casa’; una frase come lui amico pronunciata da un
parlante con prima lingua VSO (ad es. l’arabo) è più probabile che voglia dire ‘lui è un
(mio) amico’ (e ‘il suo amico’ sarà più probabilmente espresso da quel parlante con amico
(a/ di) lui), mentre se pronunciata da un parlante con prima lingua SOV è più probabile che
voglia dire ‘il suo (di lui) amico’ (e il significato ‘lui è un amico’ sarà costruito più
probabilmente come lui mio amico o lui per/a me amico o lui me-per amico)
riproduzione del sistema di genere della lingua materna nella lingua seconda (o
cancellazione delle opposizioni di genere in quanto assenti nella lingua materna): l’italiano
presenta un sistema a due generi non predicibili (il genere non è sempre connesso con il
significato: gatto vs. gatta ma il fine vs. la fine, il palazzo vs. la palazzina, il gelato vs. la
gelata); il genere è presente in molte altre lingue oltre a quelle d’Europa, sia in Asia che in
Africa, ma i sistemi di genere possono essere anche molto articolati, cioè essere costituiti
da molte classi di nomi diverse e più o meno connesse con il significato del nome (per
esempio un sistema a base semantica è quello tripartito che oppone nomi animati (o
umani) maschili a nomi animati (o umani) femminili a nomi inanimati neutri).
riproduzione del sistema tempo-aspettuale della lingua materna; queste distinzioni
sono in realtà meno soggette a interferenza, nel senso che è stata notata una certa
regolarità nelle fasi di apprendimento del sistema verbale, indipendente sia dal contesto di
apprendimento (spontaneo o guidato), sia dalla lingua materna dell’apprendente di
italiano. Sono apprese prima distinzioni di aspetto, espresse nelle due forme del participio
passato, che indica azione visualizzata come compiuta, e del gerundio, che indica azione
in svolgimento. Si noti che questa opposizione (che è chiamata appunto aspettuale) è
indipendente dal Tempo (presente, passato, futuro): io aspettando ma lui non arrivato può
voler dire, a seconda delle circostanze ‘io lo sto aspettando ma lui non è (ancora) arrivato’,
oppure ‘io lo aspettavo ma lui non è arrivato’, oppure ‘io lo stavo aspettando ma lui non era
ancora arrivato’, mentre io aspettato ma lui non arrivato vuol dire ‘io l’ho aspettato ma lui
non è arrivato’.
L’individuazione dell’interferenza della lingua materna può costituire un elemento
importante nella strategia didattica; questa deve essere infatti basata sul confronto delle
diversità (che può essere fatto a qualsiasi livello di scolarità con l’aiuto dell’apprendente di
italiano8) e non sulla semplice correzione di errori. Quest’ultima infatti, specialmente se
scarsamente adeguata al livello di apprendimento e al periodo di permanenza in Italia,
rischia più che altro il blocco dell’apprendimento (si badi: non soltanto della lingua).
L’allontanamento netto dalla lingua materna, specialmente quando questa continua a
rappresentare un forte elemento di identità etnica, pone pessime basi sia per
l’apprendimento linguistico sia per ogni altro tipo di apprendimento, in quanto non
costruisce alcuna strumentalità (nemmeno quella comunicativa) a partire dal noto.
Si osservino infine alcune caratteristiche delle lingue dell’Europa centrale che sono
piuttosto rare nelle lingue del mondo e che quindi possono costituire punti critici
dell’apprendimento dell’italiano, in quanto molto probabilmente assenti dalla lingua di
partenza:
- presenza di due articoli, uno determinativo e uno indeterminativo: molte lingue non
hanno articolo; se lo hanno, hanno quello determinativo, mentre ciò che viene
espresso con l’indeterminativo in italiano è espresso mediante assenza di articolo.
- il perfetto con avere + participio passivo, e il passivo con essere + participio passivo
(es. italiano ha visto, è visto)
- il pronome relativo flesso (italiano di cui, (a) cui)
- la congiunzione di Sintagmi Nominali del tipo “A & B” (in molte lingue non europee
si hanno semplici giustapposizioni, del tipo cane gatto = ‘(un/ il) cane e (un/ il)
gatto’, oppure una doppia marca, del tipo & (un/ il) cane & (un/ il) gatto o cane-&
gatto-&, oppure una marca di dipendenza, del tipo (un/ il) cane con (un/ il) gatto o
gatto-con (un/ il) cane; simili considerazioni valgono per la disgiuntiva o.
8
Si vedano a questo proposito le Dieci tesi (IX, punto 4).
Differenze nei sistemi grafici.
Da un punto di vista didattico è importante sottolineare anche le differenze tra i sistemi
grafici. L’alfabetizzazione è infatti fortemente legata al sistema grafico di una determinata
lingua (quella in cui “si impara a scrivere”). Anche nel caso di due lingue che utilizzano lo
stesso insieme di simboli grafici (ad es. l’alfabeto latino), le norme grafiche possono
divergere in maniera anche molto marcata. Si possono avere sistemi grafici con una
corrispondenza biunivoca simbolo-suono (o fonema), o sistemi grafici in cui le vicende
storiche della trasmissione del sistema hanno introdotto forte incoerenza. Questo può
essere il caso di una lingua in cui la grafia è conservativa e non viene cambiata al mutare
della pronuncia, come è accaduto per il francese e l’inglese, oppure il caso di una lingua
che prende a prestito un insieme di simboli da una lingua che ha un sistema fonologico
completamente diverso e che quindi non ha tutti i simboli necessari per rappresentare
opposizioni fonologiche fondamentali nella lingua ricevente (oppure ne ha in eccesso) 9. La
grafia italiana viene di norma considerata dal sistema scolastico come una grafia con
corrispondenza suono-simbolo, e su questa base viene insegnata, senza che però sia
prestata sufficiente attenzione alle numerose incoerenze; queste sono soprattutto di
natura storica, ma non solo:
elementi grafici uguali = elementi fonici diversi
casa, cosa, cena, cielo, cioccolata, cinema, gatto, gola, giorno, giro, pioggie, gelo,
pesce, pesca, sciarpa, scienza, piscina, paglia, fogli, sole, sbaglio, azione, zaino, (uno,
uovo, isola, ieri)
elementi grafici diversi = elementi fonici uguali
cuore, quota, acqua, taccuino, soqquadro, azione, lizza
più elementi grafici = un solo suono
cielo, cioccolata, giorno, pioggie, chiave, poche, righe, ghiro, ho, paglia, pesce,fogli,
ragno
Oltre ai sistemi grafici alfabetici (un simbolo = un suono, con le avvertenze di cui sopra),
esistono anche sistemi grafici sillabici, in cui ogni simbolo corrisponde a una sillaba. È
facile constatare come il numero dei simboli cresca notevolmente (ci sarà per esempio un
simbolo per ta, uno diverso per tu, uno diverso per ma, uno diverso per mu, ecc.).
Spesso si trovano anche sistemi grafici semi-sillabici, in cui il simbolo grafico per la sillaba
è di fatto una combinazione (seppure non immediatamente individuabile come tale) di un
simbolo per la consonante e di uno per la vocale, con due parti distinte più o meno
identificabili. Il simbolo della consonante indica in realtà la consonante + una vocale di
default. Inoltre le sillabe formate con Consonante + Vocale + Consonante non sono
rappresentate da simboli specifici (come ci si aspetterebbe secondo il principio “un
simbolo per ogni sillaba”), ma dal simbolo della sillaba [Consonante + Vocale] seguito dal
simbolo della Consonante in fine di sillaba marcato in qualche modo come tale (c’è cioè un
simbolo che indica che quella consonante non è seguita da alcuna vocale). Si noti che,
anche quando un sistema semi-sillabico si evolve verso un sistema alfabetico (cioè i
simboli delle vocali diventano regolari, anche se sono sempre dipendenti da quelli delle
consonanti), possono rimanere tracce del vecchio sistema, per esempio nella
rappresentazione diversa di vocali all’inizio o all’interno di parola (ad es. una parola come
a-pe ha la prima sillaba senza nessun elemento in comune con quella di ra-pe), oppure
nella sequenza dei simboli (ad es. se il simbolo per ra era composito ma si separa in due
simboli, uno = r, l’altro = a non è detto che la separazione del simbolo rifletta questa
sequenza).
9
In realtà in molti casi i due tipi di incoerenza si sono sommati.
Il sistema grafico dell’arabo è un sistema alfabetico, ma le vocali possono essere segnate
o no; se lo sono, sono segnate sopra o sotto la consonante, non dopo nella sequenza dei
simboli. In qualche modo, quindi, consonante e vocale si combinano in un unico slot
grafico. Si ricordi che le vocali delle parole arabe rappresentano le categorie grammaticali,
non il significato di base della parola; la mancata resa grafica delle vocali potrebbe essere
quindi paragonabile, per is uoi effetti, a una resa grafica dell’inizio di questo paragrafo del
tipo l sistem graf di l arab sistem alfabet.
Infine esistono sistemi grafici che non hanno alcun legame con la struttura fonica della
parola: i simboli rappresentano unità di significato, cioè parole o morfemi, non suoni. È
facile vedere come il numero dei simboli grafici sia in questo caso potenzialmente illimitato
(cioè delimitato soltanto dalle necessità di economia dell’utente). Si noti come il cinese,
che possiede questo tipo di sistema grafico, chiamato ideografico, abbia un sistema
morfologico che tende a far corrispondere parola, morfema e sillaba. Nonostante il sistema
grafico appaia poco economico (i bambini cinesi imparano circa 2000 caratteri entro i dieci
anni, ma per poter leggere un quotidiano o un romanzo devono conoscerne almeno il
doppio), l’abbinamento carattere-parola consente la comunicazione scritta tra parlanti di
diversi dialetti cinesi10, e persino di lingue non imparentate tra loro (come accade col
giapponese).
Per chi fosse interessato a problemi specifici, e comunque per approfondimenti
bibliografici, si consiglia di consultare
M. Vedovelli, S. Massara, A. Giacalone Ramat (a cura di), Lingue e culture in contatto.
L’italiano come L2 per gli arabofoni, Milano, Franco Angeli 2001.
e
E. Banfi (a cura di), Italiano/L2 di cinesi. Percorsi acquisizionali, Milano, Franco Angeli
2003
dove si possono trovare numerosi riferimenti bibliografici sull’acquisizione dell’italiano
come seconda lingua, in particolare in relazione alla lingua di partenza (la prima lingua).
10
Oltre al dialetto mandarino, che è considerato la varietà standard, esistono molte altre varietà, wu,
cantonese, min, ecc.