Gli Scalabriniani : dagli Italiani a tutti i migranti Giovanni Battista Scalabrini muore nel 1905, lasciando una Congregazione che aveva solo 18 anni di vita ed era presente, fuori Italia, essenzialmente in Brasile e negli Stati Uniti. Dopo quasi 120 anni di esistenza quella congregazione nata dall’intuizione profetica di Scalabrini ha continuato a crescere e ad allargare i confini della sua azione “socio-pastorale” in fa vore dei migranti. La Francia, che in più di cent'anni ha accolto quasi 5 milioni d'italiani, è stata la prima nazione europea dove si sono diretti i missionari scalabriniani. Nel 1936 la prima comunità scalabrinian è stata aperta a Parigi. Sono seguite altre installazioni nei maggiori Paesi di emigrazione italiana : l'Argentina (1940) con i suoi 3 milioni di emigrati italiani, la Svizzera (1942) che ha accolto più di 4 milioni d'italiani, Belgio e Lussemburgo (1946) con 600 mila italiani, Australia e Cile (1952) con 600 emigrati italiani, Canada (1953) con 700 mila, Inghilterra (1954) con 300 mila, Germania (1957) con più di 2 milioni e mezzo, Venezuela (1858) con 300 mila, Uruguay (1962) con 200 mila. Negli anni 1960, la Congregazione scalabriniana capisce che è venuto il momento di piantare le sue tende non solo fuori dall'Italia, ma anche fuori dalla propria cultura. Viene allora modificato lo scopo iniziale (“in favore degli emigrati italiani”) cancellando ogni barriera etnica. Dal 1966 la nuova finalità dei missionari di Scalabrini diventa l'assistenza pastorale dei migranti più bisognosi, indipendentemente dalla loro nazionalità. Da questa data la congregazione scalabriniana s'internazionalizza: i suoi missionari si preoccupano dei migranti di ogni origine e, allo stesso tempo, i giovani di ogni etnia cominciano a far parte delle comunità scalabriniane. Altre posizioni pastorali sono così aperte: Portogallo (1971), Paraguay e Porto Rico (1974), Colombia (1979), Messico (1980), Filippine (1982), Guatemala (1991), Haiti e Repubblica Dominicana (1992), , Monzambico e Sud Africa (1994), Taiwan (1996), Bolivia (1999), Perù (2000), Indonesia (2002), Giappone (2003). Quest'allargamento di finalità esige alcuni cambiamenti radicali nella maniera di considerare l'emigrazione. Fino agli anni 1970-80, l'emigrato s'identificava con italiano, portoghese, spagnolo, cioè un europeo, di cultura e religione cristiana. D'ora in poi l'emigrato sarà sempre più non-europeo (africano, asiatico, latino-americano) e spesso di cultura e religione musulmana. La stessa Italia da serbatoio di mano d'opera per l'emigrazione mondiale è diventata, da qualche decennio, paese di accoglienza per numerosi (quasi 3 milioni) immigrati extra-comunitari. La reazione immediata è quella di dimenticare il proprio passato di emigrazione e di esigere che gli immigrati di oggi paghino lo stesso prezzo (con gli interessi naturalmente) pagato dagli italiani di un tempo... Quali sono le forme di accoglienza e gli attegiamenti di apertura più adatti ad affrontare la nuova realtà migratoria mondiale? A questa domanda cercano di rispondere oggi i 700 missionari scalabriniani sparsi in 29 paesi del Mondo attraverso la loro variegata attività. Cosa fanno gli scalabriniani? Durante i centovent'anni di storia la congregazione scalabriniana ha imparato ad inserirsi gradualmente nelle diverse chiese locali. Essa non vuole costrire una “chiesa parallela” fatta solo per i migranti, ma vuole invitare tutti, cristiani autoctoni, cristiani migranti e non-cristiani, a vivere lo spirito dell'apertura, della solidarietà e dell'accoglienza di modo che ognuno possa ritrovarsi all'interno dell'unica famiglia di Dio. In questa prospettiva, la congregazione scalabriniana si prefigge di servire la Chiesa e la società civile come "presenza provocante e profetica" che aiuti l'una e l'altra a prendere coscienza delle proprie responsabilità verso i migranti. Le principali strutture pastorali degli scalbriniani fra i migranti sono: * parrocchie e missioni che possono essere "personali" (per un gruppo specifico di emigranti sparsi in una nazione), "territoriali" (per un gruppo di persone, migranti e non, abitanti una certa zona) o "pluriculturali" (per diversi gruppi etnici); * missioni volanti fatte soprattutto in Australia, in Brasile, in Argentina e per i filippini sparsi in Asia e in Europa. Era la forma pastorale privilegiata da Mons. Scalabrini e si rivela ancora utile là dove dei gruppi di migranti vivono lontani dalle sedi di missione; * apostolato del mare fatto dagli scalabriniani nei porti principali del mondo (Santos, Buenos Aires, Manila, New York...) in favore degli equipaggi delle navi per difendere i loro diritti e promuovere la loro fede soprattutto sul piano ecumenico, di dialogo con tutte le religioni; * centri di accoglienza e di prima assistenza creati soprattutto per rispondere alle situazioni di emergenza per i migranti (specialmente “indocumentati” alla frontiera tra Stati Uniti e Messico); * centri di animazione pastorale per coordinare la formazione dei migranti in modo da inserirli gradualmente nelle parrocchie locali; * centri di animazione per le vocazioni e di formazione dei laici per proporre ai giovani dei diversi movimenti ecclesiali e agli adulti sensibili ai problemi dei migranti il carisma scalabriniano e la possibilità d'impegnarsi nella congregazione. Gli scalabriniani hanno anche alcune presenze significative negli organismi ecclesiali per la pastorale dei migranti, nelle organizzazioni civili e nei mass-media. Un esempio di tale attività viene dai Centri Studi per le Migrazioni la cui finalità specifica è l'analisi del fenomeno migratorio sia dal punto di vista sociologico che teologico-pastorale. I Centri Studi Migratori degli Scalabriniani, presenti oggi a Roma, Parigi, Basilea, New York, San Paolo del Brasile, Buenos Aires, Manila, sono tra loro aggregati in Federazione ed hanno come obiettivo primario di sensibilizzare - tramite la documentazione, l'informazione, l'edizione e la formazione - la società locale per condurla a considerare le migrazioni internazionali come fattore di trasformazione e di ricomposizione del paesaggio sociale, culturale e religioso delle diverse società nazionali. I Centri Studio Migratori scalabriniani si propongono inoltre di aiutare gli immigrati a conservare e a ravvivare la memoria storica, sociale, politica e culturale delle loro comunità, aiutandoli a superare il cambiamento psicologico causato dall'emigrazione sull'identità del migrante. Di fatto, il primo cambiamento cui l'immigrato è sottoposto è quello dovuto alla scoperta che la terra che lui immaginava aperta e accogliente rimane sempre la terra dell'altro. Il secondo cambiamento è conseguente all'esperienza che questo altro (= "padrone della terra") è disposto a riconoscere l'immigrato solo nei suoi figli. Il terzo cambiamento del migrante è dovuto alla percezione che i suoi figli saranno riconosciuti dall'altro solo e nella misura incui saranno diversi da lui. A questo punto il cerchio è completo e l'emigrante-immigrato non riconosce più né se stesso né i suoi. Lo sforzo dei Centri Studi Migratori, come di ogni scalabriniano, è di continuare ad unire in dialogo l'unicità della persona, la particolarità delle diverse appartenenze e l'universalità propria di coloro che condividono la dignità umana, coscienti che gli scalabriniani non pretendono risolvere tutti i problemi delle migrazioni, ma vogliono proporre alcuni gesti di speranza che possano invogliare altre persone nell'opera continua di trasformazione del mondo. Lorenzo Prencipe, c.s. Presidente Centro Studi Emigrazione – Roma (CSER) www.scalabrini.org/fcms