Il dopo guerra e l`Italia fascista La guerra era stata la più grande

Il dopo guerra e l’Italia fascista
La guerra era stata la più grande esperienza di massa mai vissuta fino a quel momento dall’umanità. Il distacco
dal nucleo familiare di molti giovani, l’allargamento dell’area del lavoro femminile, l’assenza dalle case dei
capifamiglia provocarono profondi mutamenti nella mentalità e nelle abitudini.
Il primo problema che emerse fu il reinserimento dei reduci, che rivendicavano lavoro e compensi adeguati per
le privazioni che avevano dovuto subire durante la guerra. Inoltre fu accentuata la tendenza alla massificazione
della politica e tutti ambivano un “ordine nuovo”.
La guerra segnò una tappa fondamentale nell’emancipazione femminile, perché le donne, durante il suo
svolgimento, presero il posto degli uomini nei campi, nelle fabbriche, negli uffici. Il processo fu lento e spesso
contrastato da chi voleva mantenerle nei ruoli di sempre, ma comunque andò avanti, e la seconda guerra
mondiale contribuì a farle evolvere ulteriormente.
Economicamente determinò grossi problemi in tutti gli Stati ad eccezione degli USA. Soprattutto in Europa
ebbe forti ripercussioni negative, creando grande insoddisfazione in Germania, smembrata nel territorio e
obbligata a pagare danni di guerra esagerati, e in Italia, per il non rispetto del Patto di Londra.
Nel 1920 fu fondata la Società delle Nazioni con lo scopo di risolvere diplomaticamente eventuali problemi che
potessero insorgere tra le nazioni, ma negli oltre 20 anni in cui operò non ottenne risultati apprezzabili sia
perché non aveva una sua organizzazione militare in grado d’intervenire nelle zone a rischio bellico, sia perché
gli USA non vi aderirono perché negli anni ’20 si chiusero nel cosiddetto “splendido isolamento” e si
disinteressarono delle vicende europee e mondiali.
Dopo la rivoluzione russa, i borghesi moderati di vari Stati, temendo una insurrezione comunista, sostennero
sempre più i partiti di destra anticomunisti sia in Italia che in altri Stati. Nel ’19 -’20, il cosiddetto “Biennio rosso”,
in Italia ed Europa scoppiarono moti e scioperi per ottenere le 8 ore lavorative e aumenti salariali, e molte
fabbriche furono costrette ad adottare il modello dei soviet. A parte le migliorie di natura sindacale, le agitazioni
del periodo non portarono al di fuori della Russia ad alcuna rivoluzione perché nei paesi occidentali borghesia
e capitalismo erano maggiormente sviluppati rispetto all’URSS e seppero frenare sul nascere, anche con
metodi repressivi, le velleità di stampo bolscevico.
Nel 1920 il Komintern svolse un importante congresso in cui fu stabilito che i partiti socialisti europei che
volevano aderire alla Terza Internazionale dovevano sottomettersi al comunismo russo, rifiutare il sistema
parlamentare democratico e impegnarsi per fare la rivoluzione proletaria. In tutta Europa avvennero dopo tale
congresso scissioni fra socialista riformisti e massimalisti; costoro fondarono ovunque partiti che si chiamarono
comunisti sottomessi al partito comunista russo.
Dopo la fine della guerra, l’Italia non ottenne quanto le era stato promesso col Patto di Londra, ovvero un
ampliamento in Istria, perché il presidente americano Wilson, in nome dell’autodeterminazione dei popoli, volle
accontentare le popolazioni slave della Dalmazia che reclamavano la creazione di un loro Stato.
Gli italiani, con Gabriele D’Annunzio in testa, urlarono alla vittoria mutilata, per cui crebbe un forte malcontento
che portò nel 1919 all’occupazione per qualche mese della città di Fiume in Istria da parte di un esercito
irregolare formatosi spontaneamente sotto la guida della stesso D’Annunzio. La delicata questione, che aveva
portato molte nazioni a protestare fortemente col governo italiano, fu risolta dapprima con un intervento
dell’esercito italiano contro D’Annunzio, poi nel 1920 grazie al Trattato di Rapallo con cui la Jugoslavia ottenne
la Dalmazia, l’Italia ebbe l’Istria, mentre Fiume fu dichiarata città libera e indipendente.
Economicamente la guerra lasciò grossi problemi con l’aumento del debito pubblico, la svalutazione della lira,
una forte inflazione e un elevato caro-viveri, una crescente disoccupazione per la lentezza con cui si
riconvertiva l’industria bellica in industria di pace. Il ceto medio, composto da piccoli borghesi e proprietari
terrieri, più di tutti pagò la crisi economica, diventando sempre più timoroso e diffidente verso l’instabilità
determinatasi.
Questi problemi in Italia erano aggravati dalla debolezza delle strutture democratiche e dalla crisi del partito
liberale, sconfitto nelle elezioni del ’19 da socialisti e popolari.
Le lotte sociali si fecero più aspre, con aumento delle adesioni ai sindacati e degli scioperi, l’occupazione dei
terreni incolti, l’ottenimento, tra forti polemiche e scontri, delle 8 ore lavorative, di aumenti salariali, della
parziale distribuzione delle terre.
Tra il 1919 e il 1920 avvenne anche in Italia il Biennio Rosso, con occupazione per diverso tempo di molte
fabbriche da parte degli operai, che smobilitarono solo dopo aver ottenuto aumenti salariali. Il biennio provocò
grande paura tra gli imprenditori e la borghesia che temevano una rivoluzione proletaria di tipo bolscevico.
Politicamente l’Italia del dopo guerra subì parecchie novità e la crisi irreversibile del partito liberale di Giolitti:
nel 1919 fu fondato da don Luigi Sturzo il Partito Popolare Italiano (PPI) che portò i cattolici ad un
coinvolgimento diretto nella politica e al superamento definitivo del non expedit. Il PPI, che si professò
aconfessionale, ovvero aperto pure ai non cattolici, ottenne subito nelle elezioni del 1919 un grande successo.
Propose un programma politico contrario sia ai socialisti sia ai liberali. Ottenne adesioni da parte del vasto
mondo rurale, dai conservatori e dai difensori dei valori cattolici.
Sempre nel 1919 nacque il movimento dei Fasci di combattimento fondato da Mussolini1 con il Programma di
San Sepolcro, chiamato così dalla piazza di Milano dove si riunirono la prima volta. Inizialmente i Fasci
predicavano radicali e confuse riforme sociali di stampo sinistroide, ma ben presto tale programma fu
abbandonato e venne adottato un sistema aggressivo e violento di lotta politica contro coloro che erano ritenuti
avversari, ovvero socialisti e liberali: il 15 aprile 1919 i Fasci incendiarono la sede del giornale socialista
“L’Avanti”.
Le elezioni del 1919 avvennero col nuovo sistema proporzionale che consentiva ai partiti politici, e non ai
singoli candidati com’era in precedenza, di essere i principali protagonisti delle votazioni. Il partito più votato fu
quello socialista, secondo il PPI, mentre i liberali vennero decisamente sconfitti. Il panorama politico cambiò
radicalmente, tuttavia non si ottenne stabilità nel parlamento e nel paese perché i socialisti continuarono a
rifiutare ogni collaborazione con gli altri partiti da loro ritenuti borghesi. Inoltre nel 1921, durante il Congresso di
Livorno, dietro la spinta del Komintern, i socialisti si spaccarono con l’uscita dei massimalisti che fondarono il
Partito Comunista Italiano guidato da Antonio Gramsci e Amedeo Bordiga.
Questa situazione di grave instabilità e di timore di un’insurrezione rivoluzionaria di tipo bolscevica indusse
molti del ceto medio e del gruppo imprenditoriale, ma anche piccoli proprietari terrieri e contadini intimoriti dal
“pericolo rosso” e dal rischio di sconvolgimento dei valori culturali del passato, a dare fiducia al movimento
fondato da Mussolini, che tra il ’19 e il ’21 creò varie squadre d’azione nate per compiere azioni violente e
punitive contro socialisti, sindacati e organizzazioni contadine, non osteggiate più di tanto dalle forze di polizia.
Inoltre Giolitti, che era tornato a guidare il paese nel 1920, commise l’errore di non comprendere che il
fascismo era un partito non disposto a farsi manipolare politicamente, e cercò di utilizzarlo per tenere sotto
controllo socialisti e popolari.
Nel maggio del ’21 furono indette nuove elezioni politiche ed i fascisti, da novembre riuniti nel Partito Nazionale
Fascista, riuscirono ad entrare per la prima volta in parlamento. Mussolini cambiò radicalmente il programma
del suo partito: abbandonò le posizioni repubblicane dichiarandosi monarchico; accantonò la critica al
capitalismo schierandosi per il liberismo; abbandonò l’anticlericalismo, ma attaccò il PPI come “bolscevismo
bianco”.
Nel ’22 capì che i tempi erano maturi per un colpo di mano con cui impossessarsi del potere: il 24 ottobre riunì
a Napoli migliaia di camicie nere per marciare su Roma e farsi affidare il governo del paese. Il re Vittorio
Emanuele III, che simpatizzava per Mussolini, non diede l’ordine all’esercito di fermarlo, per cui il 28 i fascisti
entrarono a Roma senza problemi, ed il 30 Mussolini ricevette l’incarico di formare un nuovo governo.
Tra il ’22 e il ’24 si svolse la cosiddetta fase legalitaria del governo fascista, in quanto Mussolini guidò un
governo democratico in collaborazione con liberali e popolari. Il 10 giugno del 1924, però, il socialista Giacomo
Matteotti, che qualche giorno prima aveva accusato con forza in parlamento gli abusi politici e sociali del
fascismo, fu rapito e assassinato da un gruppo di squadristi. Questo fatto provocò il cosiddetto Aventino,
ovvero il ritiro dal parlamento di tutti i partiti di opposizione. Dopo un primo periodo di smarrimento in cui
Mussolini pareva isolato e destinato a doversi ritirare dalla scena politica, il 3 gennaio del 1925, invece,
pronunciò un discorso in cui si assunse la responsabilità totale di quanto era accaduto, gettando le basi per
l’inizio della fase dittatoriale del fascismo. Nei giorni successivi seguirono arresti e restrizioni che tolsero ogni
possibilità di reazione ai partiti che si opponevano al fascismo, che di fatto vennero messi fuori legge.
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Dopo essere stato un capo del socialismo di stampo massimalista, Mussolini era stato espulso dal partito per le sue
posizioni interventiste in aperto contrasto con quelle neutraliste della maggioranza dei socialisti. Dopo aver
personalmente preso parte alla prima guerra mondiale, Mussolini si schierò in seguito su posizioni antisocialiste.
Dal 1925, con l’approvazione delle cosiddette leggi fascistissime concepite dal giurista Alfredo Rocco, il
fascismo si trasformò ufficialmente in dittatura vietando l’esistenza di altri partiti politici, eliminando la figura del
Presidente del Consiglio, ora sostituito con il Capo del governo, responsabile solo davanti al re, non più al
Parlamento, e che deteneva il potere legislativo, abolendo le autonomie locali e la figura di sindaco, ora
sostituito dal podestà, uomo del fascismo, sottoponendo la stampa a continuo controllo e censura, dando ampi
poteri all’OVRA -Opera di vigilanza per la repressione antifascista-, e creando il Tribunale speciale per la difesa
dello Stato, per giudicare e condannare senza possibilità di difesa i nemici del fascismo.
Il Partito fascista venne riorganizzato per togliergli l’irruenza della sua fase iniziale, quando a guidarlo come
segretario era stato Roberto Farinacci, squadrista radicale e violento. Venne perciò rinnovato in una struttura
burocratica sottoposta localmente ai prefetti e governato dal Gran Consiglio del fascismo, presieduto dallo
stesso Mussolini, unico organo del partito in cui si discuteva collegialmente di politica. Spettava al Gran
Consiglio predisporre l’unica lista elettorale da sottoporre agli elettori, così come previsto dalla nuova legge
elettorale di stampo totalitario del 1928, che trasformò le elezioni in plebisciti farsa a favore del solo PF.
Il fascismo si adoperò costantemente per organizzare il consenso a suo vantaggio influendo sui costumi e sulle
attività quotidiane degli italiani. Divenne obbligatorio essere tesserati al partito per avere un posto sotto
l’amministrazione pubblica o farvi carriera. Furono create organizzazioni per gestire il tempo libero dei cittadini
(Opera Nazionale Dopolavoro), l’attività sportiva (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), la gioventù secondo la
cultura fascista (Fasci giovanili, Gruppi Universitari Fascisti -GUF-, Opera Nazionale Balilla -per i giovani tra gli
8 e i 14 anni, e tra i 14 e i 18 -avanguardisti-). Grande importanza venne data al controllo dei mass-media
dell’epoca, cioè giornali, cinema e radio (nel 1927 venne fondata l’EIAR, antenata della RAI). Dal 1926 ogni
sala cinematografica fu obbligata a proiettare i cinegiornali dell’Istituto Luce, che era alle dirette dipendenze di
Mussolini. Nel 1937 fu istituito il Ministero della cultura popolare (Miniculpop) per orientare e controllare tutti gli
aspetti della vita culturale italiana. Per la scuola fu varata nel 1923 la Riforma Gentile che creava un sistema
scolastico molto selettivo privilegiando i licei e la cultura umanistica a scapito di quella tecnica e degli istituti.
Per attuare la fascistizzazione dell’Italia fu necessario trovare un accordo con il Vaticano; nel 1929 furono
perciò sottoscritti i Patti Lateranensi che prevedevano: 1) il riconoscimento dello Stato italiano con capitale
Roma da parte della Chiesa; 2) il versamento di un’indennità finanziaria al Vaticano da parte italiana; 3) un
concordato in cui si stabiliva che la religione cattolica era quella di Stato, si regolamentava il suo insegnamento
all’interno delle scuole, si garantiva alla Chiesa libertà e autonomia nell’amministrazione dei beni ecclesiastici e
nella scelta dei vescovi. Papa Pio XI si dimostrò molto soddisfatto per l’accordo sottoscritto, mentre don Sturzo
capì che il fascismo non aveva rispetto per la cultura cattolica, ma stava cercando di sottomettere la Chiesa per
i propri fini politici. Infatti già nel 1931 il regime tentò di limitare l’attività dell’Azione Cattolica per non avere
concorrenti nella trasmissione di valori e cultura nei confronti dei giovani.
Economicamente il fascismo fu liberista fino al ’26: concesse sgravi fiscali alle imprese, favorì l’iniziativa
privata, ridusse la spesa pubblica ottenendo buoni risultati e un periodo di crescita economica. Tuttavia non
riuscì a fermare l’inflazione e a stabilizzare la lira rispetto alla sterlina inglese, per cui nel ’26 adottò misure
protezionistiche e atteggiamenti economici più statalisti. Uno dei primi interventi in tal senso fu l’aumento del
dazio sui cereali e la cosiddetta battaglia del grano, con miglioramento delle tecniche di coltivazione ed
aumento delle aree coltivabili tramite la bonifica di molte zone paludose, così da portare l’Italia
all’autosufficienza nel settore. Il fascismo mirava all’autarchia (autosufficienza economica) che sarà perseguita
anche negli anni ’30, tuttavia tale politica economica determinò un generale indebolimento del sistema
produttivo, in particolare nell’industria pesante, perché l’Italia era povera di materie prime e poteva essere
autosufficiente solo a costo di grandi rinunce nella produzione di beni e nei consumi.
Per evitare scontri tra le classi sociali, il sindacalismo degli anni precedenti fu sostituito dal corporativismo
(collaborazione tra operai e padroni degli stessi settori produttivi) regolato dalla Carta del lavoro del 1927, ma
tale sistema non funzionò mai come si voleva, e andò a vantaggio esclusivo dei datori di lavoro che riuscirono
a impedire scioperi e proteste operaie, e a mantenere basso il costo del lavoro.
Per fronteggiare la crisi legata al crollo di Wall Street del ’29, negli anni successivi l’intervento dello Stato
nell’economia nazionale divenne sempre più pieno con la creazione dell’Istituto Mobiliare Italiano (IMI), un
istituto di credito capace di sostituirsi alle banche a sostegno delle industrie in difficoltà, e l’Istituto per la
Ricostruzione Industriale (IRI), fondato nel ’33, che aiutò molte imprese tramite finanziamenti statali.
La crisi del ’29 fu meno tragica in Italia che nelle altre nazioni perché la sua industrializzazione era piuttosto
limitata ed era ancora poco presente sui mercati internazionali. Inoltre aveva un’economia molto legata alla
semplice produzione per l’autoconsumo, soprattutto nel settore agricolo che impegnava tante famiglie.
I redditi più colpiti furono quelli minori degli operai, perché la produzione calò notevolmente, di conseguenza la
disoccupazione aumentò del 60%, e i salari si contrassero tra il ’29 e il ’32 di un 15/20%.
Nonostante il forte nazionalismo che lo contraddistingueva e la polemica feroce legata alla “vittoria mutilata” e
ai maltrattamenti subiti dall’Italia per colpa del Trattato di Versailles dalle nazioni plutocratiche (cioè ricche), in
politica estera il fascismo inizialmente fu prudente e si mantenne amico con Francia e Inghilterra: si limitò a
sottoscrivere solo alcuni trattati internazionali, tra cui il Patto di Roma del 27 gennaio 1924 (con il
riconoscimento della Iugoslavia in cambio di Fiume), e il riconoscimento dell’Urss del 7 febbraio 1924.
La situazione cambiò a partire dal 1932 quando fu lo stesso Mussolini ad assumersi il ruolo di Ministro degli
Esteri. Egli si mosse inizialmente per ottenere uno spazio di prestigio per l’Italia tra gli altri Stati europei e per
assicurarsi appoggi, o almeno nessuna interferenza, nella politica coloniale che voleva riavviare. Nel 1935
ordinò quindi di conquistare l’Etiopia per ampliare i territori coloniali già in possesso dell’Italia (Libia, Eritrea,
Somalia), con l’esplicito desiderio di fondare un impero italiano, nonché per alleggerire i problemi economici
interni creando possibili sbocchi all’emigrazione che, dopo la crisi del ’29, era bloccata.
La conquista fu portata a termine nel maggio del ’36, ma nel frattempo la Società delle Nazioni aveva
condannato l’azione decretando sanzioni economiche contro l’Italia, tra cui il divieto di venderle beni di natura
militare. In realtà le sanzioni non ottennero particolari effetti, ma allargarono invece il consenso interno verso
Mussolini che le seppe utilizzare propagandisticamente a suo vantaggio (date oro alla patria), accentuando
inoltre il mito dell’autarchia. Nel ’36 le sanzioni furono ritirate e Inghilterra e Francia riconobbero il nuovo
Impero dell’Africa Orientale Italiana, proclamato da Mussolini il 9 maggio di quell’anno, per la volontà di
mantenere la pace in Europa. La conseguenza più grave di questo episodio fu l’avvicinamento di Mussolini a
Hitler: nel ’36 fu firmato un patto di amicizia tra Italia e Germania (Asse Roma-Berlino) e nel ’38 l’Italia varò
leggi razziali antisemite a imitazione di quelle promulgate in Germania nel 1935.
L’antifascismo negli anni del regime non fu tollerato, per cui gli oppositori venivano costretti all’esilio, alla
prigione o uccisi. Un’eccezione a questa prassi fu rappresentata dal filosofo Benedetto Croce che nel 1925 si
rese promotore del Manifesto degli intellettuali antifascisti, in cui condannò insieme ad altri l’ideologia di
Mussolini, che si contrappose al Manifesto degli intellettuali fascisti, uscito invece per esaltarla. Inoltre la sua
rivista “La Critica”, di tendenza liberale, poté continuare ad essere edita per tutto il ventennio. Ciò fu possibile
perché la contestazione di Croce era soprattutto morale e simbolica, poco politica quindi. Occorre dire ancora
che egli era personaggio troppo noto a livello internazionale per subire serie persecuzioni politiche.
Altro movimento antifascista fu Giustizia e libertà, fondato a Parigi nel ’29, che tentò di fondere liberalismo e
marxismo. Nel ’37 due dei suoi fondatori, i fratelli Rosselli, vennero assassinati da sicari fascisti. Molti dei suoi
uomini si ritrovarono in seguito nella Resistenza, ovvero nel Partito d’Azione, che combatté i nazifascisti
quando l’Italia venne gradualmente invasa dall’esercito anglo-americano.
Il Partito Comunista fu il raggruppamento che meglio seppe organizzare una rete antifascista in Italia e fuori. La
sua sede si stabilì a Parigi sotto la guida di Palmiro Togliatti (suo segretario dal 1926). Le sinistre rimasero
però divise fino al 1934, quando l’Internazionale Comunista cambiò linea invitando comunisti e socialisti ad
unirsi contro il nemico comune fascista e nazista.
Altri gruppi antifascisti, composti da cattolici (guidati da Alcide De Gasperi), repubblicani, socialisti (guidati da
Filippo Turati, Giuseppe Saragat, Pietro Nenni), agirono all’estero, in particolare in Francia, promuovendo una
continua propaganda contro i loro avversari politici, tuttavia fino al ’43, quando l’Italia e l’Europa vennero invase
dalle truppe alleate, la loro influenza risultò piuttosto modesta e poco incisiva sulle masse, perché
impossibilitata ad essere diffusa in Italia per il continuo e rigoroso controllo attuato dal fascismo nei confronti
dei suoi antagonisti. In seguito, invece, gli antifascisti riusciranno ad organizzarsi grazie all’aiuto in armi e soldi
degli anglo-americani per condurre una violenta guerriglia partigiana contro i nazifascisti.