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Fede e ragione, p. 1
Fede e ragione
1.

Nella discussione in classe alcuni hanno rilevato come la filosofia antica e la visione cristiana del mondo
differiscano, oltre che per i loro “contenuti” (le rispettive dottrine riguardo a Dio, il mondo, l’uomo), anche per il
fatto che quest’ultima si fonda sulla fede piuttosto che sulla ragione o sulla conoscenza.
1.1.
Ma è proprio così? Vediamo che cosa ne dicono i “diretti interessati”, cioè i Padri e i Dottori della Chiesa e lo
stesso Papa.
da Giustino, Prima e Seconda Apologia (II sec.)
Abbiamo appreso e sopra illustrato che Cristo è il primogenito di Dio e suo Verbo, del quale tutto il genere umano è parte. Coloro
dunque che vissero secondo il Verbo, sono cristiani anche se ritenuti atei, come presso i greci, Socrate, Eraclito e altri come loro; e
tra i barbari (i non-greci), Abramo, Anania, Azaria, Misaele, Ella, e molti altri, il cui elenco sarebbe troppo lungo riportare. Allo
stesso modo quanti vissero prima di Cristo e non seguirono la retta ragione furono iniqui e nemici di Cristo e uccisori di quelli che
vivevano secondo ragione. Quanti vissero e vivono secondo il Verbo1 sono cristiani [...] .
Mosè infatti è anteriore a tutti gli scrittori greci. Quanto filosofi e poeti dissero circa l'immortalità dell'anima, la punizione dopo la
morte, la contemplazione delle cose celesti e simili verità, tutto ciò fu da loro compreso e spiegato in base a quanto [Mosé e i
profeti] avevano detto. Per questo in ogni filosofo e poeta è possibile rintracciare qualche seme di verità. Tuttavia essi mostrarono
di non aver capito completamente; infatti spesso si contraddicono fra di loro. [...]
Mi vanto di essere cristiano e sono pronto a combattere. Non perché ritenga che le dottrine di Platone, come quelle degli stoici,
siano del tutto estranee agli insegnamenti di Cristo; ma perché non sono in tutto identiche. Ognuno espresse quel tanto di verità che
riuscì a comprendere dai semi del Verbo sparsi tra gli uomini di ogni tempo. Ma quanti di loro annunciarono principi tra loro
opposti su temi di vitale importanza, dimostrarono di non avere una scienza molto elevata né una conoscenza inconfutabile. Quanto
di nobile è stato detto da altri appartiene a noi cristiani. Noi infatti adoriamo il Verbo, che viene subito dopo il Padre non creato e
ineffabile; egli s'è fatto uomo per noi: per guarire i nostri mali, divenendone egli stesso partecipe. Tutti gli scrittori, alla luce innata
del seme del Verbo, hanno potuto intravedere parzialmente tale realtà. Ma una cosa è il seme e l'imitazione entro certi limiti, e altra
cosa è la realtà completa di ciò che è concesso di imitare.

da Agostino, Lettera 120, 1 (2-3) (IV-V sec.)
Tu mi scrivi che bisogna cogliere la verità con la fede piuttosto che con la ragione. Secondo quanto tu dici, dovresti preferire, e
soprattutto riguardo alla Trinità, argomento di fede per eccellenza, di accontentarti a seguire l'autorità dei Santi anziché chiedere a
me di dartene, con ragionamenti, l'intelligenza. Quando mi sforzerò d'introdurti nella comprensione di questo grande mistero (cosa
nella quale potrò riuscire solo con l'aiuto di Dio), che altro farò se non rendertene ragione nella misura del possibile? Pertanto se tu
credi di aver fatto bene nel ricorrere a me, o a qualsiasi altro maestro, per comprendere quello che tu credi, correggi la tua formula:
non si tratta di rigettare la fede, ma di cercare di cogliere col lume della ragione quello che tu possiedi già fermamente con la fede.
Dio ci guardi dal pensare ch'egli odii in noi quello in cui ci ha creati superiori agli altri animali! A Dio non piace che la fede ci
impedisca di ricevere o di chiedere la ragione di ciò che noi crediamo! Non potremmo nemmeno credere se non avessimo delle
anime ragionevoli. Nelle cose che appartengono alla dottrina della felicità eterna e che noi non siamo ancora in grado di
comprendere, ma che comprenderemo un giorno, bisogna che la fede preceda la ragione; essa purifica in tal modo il cuore e lo
rende capace di sopportare la luce della grande ragione. Infatti è la ragione stessa che parla attraverso la bocca del Profeta [Isaia]
quando dice: "Se non credete, non capirete!"'. Egli distingue le due cose, consigliandoci di cominciare col credere, al fine di poter
comprendere quello che crederemo. Quindi è la ragione che vuole che la fede la preceda (se quanto dice il Profeta non fosse
secondo ragione, sarebbe contro, e ci guardi Iddio dal pensarlo!). Se quindi è ragionevole che la fede preceda la ragione per
accedere a talune grandi verità, non c'è dubbio che la ragione stessa, che ci persuade a ciò, preceda a sua volta la fede: cosicché vi
è sempre per prima una qualche. ragione.

da Pier Damiani, De divina omnipotentia (XI sec.)
È manifesto pertanto che siffatta alternativa intorno alla quale è sorta contesa, se cioè si possa credere che qualcosa sia stata e non
sia stata nello stesso tempo, sia e non sia, debba o non debba accadere, in nessun modo può competere alla natura delle cose che
esistono; ma riguarda soltanto le battaglie di parole che soglion farsi circa le regole dei loicare2 e sillogizzare. Perciò dobbiamo
credere con fede incrollabile che Dio può tutto, sia ciò che fa sia ciò che non fa; poiché quello che è male, deve dirsi piuttosto un
nulla che un qualche cosa; sicché non reca alcun pregiudizio all'affermare che Dio tutto può, il non poter fare il male, giacché il
male anziché incluso nel tutto ne va tagliato fuori. Ond'è che sovente la potenza divina butta all'aria i sillogismi [...] dei dialettici e
le loro malizie e mette allo sbaraglio le argomentazioni di tutti i filosofi, da loro ritenute necessarie e inevitabili. Senti un po' questo
sillogismo: - Se il legno arde, certo si consuma; ma esso arde; dunque si consuma. - Eppure Mosè vede ardere il rovo e non
consumarsi. E quest'altro: - Se un legno è staccato dalla pianta, non fa frutto; ma esso è staccato; dunque non fa frutto. - Ecco
invece che la verga d'Aronne è trovata nel tabernacolo aver prodotto delle mandorle, contro l'ordine di natura. E d'altra parte che
cosa significa il mostrare in Egitto tanti portenti e miracoli al Faraone? il condurre le torme dei fedeli attraverso il mare diviso,
mentre gli Egizi periscono? il fare sgorgare abbondantissimi getti d'acqua dal macigno d'un'arida rupe? il rovesciar le mura di
Verbo traduce il termine greco Lògos, che appare nel Vangelo di Giovanni e significa: “parola, discorso, ragione”. Chi esercita la ragione, da
questo punto di vista, come già sapevano gli stoici, attinge a una sapienza divina, alla stessa fonte della creazione.
2 Lett. “logicare”, cioè sofisticare con i ragionamenti logici.
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Gerico non col frastuono delle armi, ma col suono delle trombe? infine, quel che forma lo stupore di tutti i secoli, fermare il sole
nel cielo, d'ordine di Giosuè, per la durata d'un giorno, e il farlo retrocedere di dieci gradi verso oriente per opera di Ezechia 3? [...]
A che cosa mirano, dico, tutte queste cose se non a confondere le frivole dottrine dei sapienti di questo mondo e a far nota al
mortali la gloria della divina potenza oltre il consueto ordine della natura? Or vengano questi dialettici, o piuttosto questi eretici,
come son ritenuti (vedan loro se a ragione o a torto): vengano, dico, questi pesatori di parole, questi ventilatori di questioni dalle
bocche sonore, avvezzi a "proporre", ad "assumere" e a "concludere inevitabilmente", come sembra ad essi, e argomentino pure.
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da Abelardo, Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano (XII)
FILOSOFO: Piaccia al Cielo che sia come dici, e che armati da quella stessa suprema sapienza, che chiamate Logos e in latino
Verbum, vi dimostriate veri logici nell’uso degli argomenti razionali. Voi non crederete che io, sprovveduto come sono, chieda
ausilio al vostro Gregorio4, il quale dice che non ha merito colui che la sua fede fonda sulle prove della ragione. Ci sono infatti
anche da voi quelli che non riuscendo a provare la loro fede, cercano soccorso alla loro imperizia, in questo patrocinio gregoriano.
Non altro costoro si propongono, se non di fare accettare ciò che dicono nelle loro prediche intorno alla fede, e comunque queste
siano, stolte o sensate.
Se la fede non si può affatto discutere affinché non se ne perda il merito, e se quanto ci si propone di credere non può essere
sottoposto a giudizio critico per cui è da accettare, immediatamente, tutto ciò che forma oggetto predicazione, quali che siano gli
errori da questa seminati, allora niente importa credere, perché dove non è lecito servirsi della ragione per ribattere non è nemmeno
lecito adoperarla. Se un idolatra viene a direi che quella pietra, quel pezzo di legno, o qualsiasi altra cosa, è il Dio vero, il creatore
del cielo e della terra, o proclami qualsiasi altra abominazione, che cosa gli si può opporre dato che in cose di fede non si ammette
il dibattito della ragione? Appena tenterete, dal punto di vista cristiano soprattutto, di rifiutarne l'asserto, ricorrerà al vostro stesso
argomento ripetendovi che fede non ha merito ecc. Il cristiano allora sarà confuso proprio da ciò che aveva costituito la sua difesa,
e gli si dirà che ai suoi argomenti non si può dar credito, per il motivo che egli stesso non li ammette in questa materia né permette
ad altri la pur minima impugnazione di quanto concerne la fede.
CRISTIANO: Il più grande dei saggi afferma che non è raro che si presentino come argomenti, ossia come retto ragionare, opinioni
che tali non sono.
FILOSOFO: Non è questo il caso di quelle autorità che proprio i credenti riconoscono? Non è ciò motivo di gravi errori? Non ci
sarebbero dei resto tante sette diverse nel campo della fede, se tutti si appellassero alle stesse autorità. E invece, poiché ognuno si
affida alla propria opinione, sceglie del pari l'autorità da seguire. Bisognerebbe senz'altro accettare indifferentemente tutte le
dottrine contenute nei sacri testi di tutti i popoli, se non spettasse il giudizio prima alla ragione, che per natura è a quelle dottrine
anteriore. G1i autori di quei testi infatti in cui la ragione impronta a dovizia le dottrine, trassero da ciò quella autorità immediata
che diede loro credito. E proprio, a giudizio di coloro che antepongono la ragione all'autorità - lo ricorda il vostro sant'Antonio -, fu
appunto il discernimento della ragione umana la fonte dei testi, per cui quando tale discernimento è integro, non sono affatto
necessari quei testi. In ogni disputa filosofica non han posto, o ve l'hanno ultimo, quegli argomenti che si traggono dalla autorità,
giacché hanno ritegno di servirsene quanti fidando nelle proprie forze, disdegnano 1'ausilio di interventi estranei. Pertanto,
giustamente, i filosofi ritennero che a tali argomenti sia costretto a ricorrere piuttosto l'oratore che il filosofo, dato che sono
estrinseci, lontani dalla realtà, privi di ogni vigore: si fondano piuttosto sull'opinione che sulla verità, e non c'è in essi nessun
lavorio dell'ingegno nel trovarli, e colui che li propone, non delle sue parole si serve ma di quelle altrui.
CRISTIANO: Solo chi è privo di discernimento può non consentire che si ragioni sulla nostra fede per approfondirla e che se ne
discuta. Ed è ammissibile l'arrendersi nelle cose dubbie, purché la ragione le abbia preventivamente accettate. Quando infatti con
elementi incerti, si vuoi dimostrare un oggetto di fede, la ragione ricorre a quel processo che voi chiamate argomento. In qualsiasi
disciplina, sia essa la Scrittura o si tratti di materia dottrinale, si presenti la controversia, e quale che sia l'oggetto della discussione,
la dimostrazione razionale ha più valore che le attestazioni dell’autorità. Ciò che determina infatti la sistemazione della fede non è
ciò che attiene alla sua verità, ma ciò che di essa genera opinione. Molte questioni nascono dalle parole usate dall'autorità stessa,
per cui val meglio esaminarle, prima di invocarla. Dopo una spiegazione razionale, cade ogni disputa, perché non vi è più luogo a
dubbio, anche se la ragione datane sia più apparente, che fondata.
Con te poi, bisogna ancor meno addurre l'autorità, dato che tu ti appoggi completamente sulla ragione e non riconosci autorità alla
Scrittura. Se un interlocutore non accetta le premesse è vano volerlo convincere, ed è possibile la persuasione se si parte da ciò in
cui consente, per cui non le occorrono armi diverse da quelle che usiamo nelle nostre controversie. Quanto insegna san Gregorio e
gli altri nostri dottori, e persino ciò che lo stesso Cristo, o Mosè, garantisce, sappiamo che non ti riguarda e che le loro parole non
bastano a portarti alla fede. Per noi invece che le accettiamo l'insegnamento la loro autorità ha il suo campo nelle nostre
controversie: ma ciò esige che ricorriamo alla ragione per garantire e difendere la fede come ho sostenuto io stesso contro coloro
che negano che alla si possa giungere per quella via. Del resto, nel secondo libro della Theologia christiana, sant'Agostino ricorre
ampiamente alla forza delle argomentazioni e all'autorità delle Scritture, e così riesce a convincere i ribelli.
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da Tommaso d'Aquino, Summa contra Gentiles, 1, 2-5, 7-9 (XIII sec.)
È nostro proposito rendere manifesta, per quanto ci riuscirà, la verità della fede cattolica, eliminando gli. errori contrari. Ora è
difficile procedere contro gli errori di ciascuno, perché alcuni di loro, come i Musulmani ed i pagani, non convengono con noi
Sulla base del passo biblico a cui allude Pier Damiani la Chiesa si oppose per decenni all’idea di Copernico e di Galileo che il Sole fosse
immobile al centro del sistema solare, piuttosto che la Terra. In tutti questi passi Damiani ricorda episodi biblici razionalmente incomprensibili.
4 Si tratta di san Gregorio Magno, Papa del VI sec. Abelardo immagina un dialogo tra un filosofo “puro” e un cristiano, il quale, tuttavia,
condivide l’importanza dell’argomentazione razionale in materia di fede.
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Fede e ragione, p. 3
nell'accettare l'autorità di alcuna Scrittura, per mezzo della quale possano essere convinti, così come non possiamo disputare
contro gli Ebrei per mezzo dell'Antico Testamento, e contro gli eretici facendo appello al Nuovo Testamento. Ma i Musulmani ed i
pagani non accettarono né l'uno né l'altro. Perciò è necessario fare ricorso alla ragione naturale, alla quale tutti sono costretti a
dare il loro assenso.
Anche tra le molte cose vere che vengono dimostrate si mescola talvolta qualche cosa di falso, che non viene dimostrato, ma viene
asserito in base a qualche ragione probabile o sofistica che talvolta viene scambiata per dimostrazione. È stato perciò necessario
presentare agli uomini per mezzo della fede la certezza stabile e la pura verità intorno alle cose divine. In modo salutare, dunque,
la divina clemenza ha provveduto in modo che le altre cose che la ragione può ricercare ci fosse comandato di ritenere per fede;
così tutti facilmente possono essere partecipi, senza dubbio ed errore, della conoscenza divina.
Ad alcuni può forse sembrare che non si debba proporre all'uomo come cose da credere quelle che la ragione non è in grado di
investigare, poiché la divina sapienza provvede a ciascuno secondo il modo della sua natura. E perciò bisogna dimostrare che è
necessario che all'uomo vengano proposte da credere da parte di Dio quelle cose che eccedono la ragione. Nessuno, infatti, col
desiderio e con lo studio tende a qualche cosa se non ne ha prima notizia; poiché dunque gli uomini per mezzo della divina
provvidenza sono ordinati ad un bene più alto di quello che l'umana fragilità possa sperimentare nella vita presente, è stato
necessario che la mente fosse richiamata a qualche cosa di più alto di quello che la nostra ragione può raggiungere al presente,
affinché imparasse così a desiderare qualche cosa e a tendere col desiderio a qualche cosa che oltrepassa interamente lo stato della
vita presente. [...] È anche necessario che una tale verità venga proposta agli uomini da credere, affinché essi conseguano una vera
conoscenza di Dio. Allora soltanto, infatti, conosciamo veramente Dio quando crediamo che egli sta al di sopra di tutto quello che
l'uomo può pensare di Dio, e ciò perché, come si è mostrato, la divina sostanza oltrepassa la naturale conoscenza dell'uomo. Per il
fatto, dunque, che all'uomo vengano proposte intorno a Dio cose che oltrepassano la ragione, si consolida nell'uomo l'opinione che
Dio è qualche cosa di superiore a ciò che si può pensare. Da ciò si ricava anche un altro effetto positivo, cioè la repressione della
presunzione che è la madre dell'errore. Vi sono, infatti, uomini che presumono tanto del loro ingegno da pensare di poter misurare
con il proprio intelletto tutta la realtà e ritengono che sia tutto vero quello che ad essi sembra tale, e falso quello che ad essi non
pare vero. Affinché dunque l'animo umano liberato da questa presunzione giungesse alla modesta ricerca della verità, fu necessario
che all'uomo fossero proposte da Dio alcune cose che oltrepassassero del tutto la sua intelligenza. [...]
Sebbene la predetta verità della fede cristiana oltrepassi la capacità dell'umana ragione, tuttavia le cose che la ragione ha
naturalmente in se stessa non possono essere contrarie a quella verità. infatti, quelle cose che sono insite naturalmente nella
ragione, risulta che sono verissime; tanto vere che non è nemmeno possibile pensare che siano false. Ma nemmeno quello che si
crede per fede, dal momento che è confermato con tanta evidenza da parte della divinità, si può ritenere che sia falso. Poiché,
pertanto soltanto il falso è contrario al vero, come si ricava apertamente dalle rispettive determinazioni, è impossibi1e che la
predetta verità della fede sia contraria al principi che la ragione naturalmente conosce. Ancora: ciò che viene indotto nell'anima
dello scolaro dal docente è contenuto nella scienza del maestro; a meno che questi non insegni per finzioni, cosa che non si può dire
di Dio; ora la conoscenza dei princìpi naturalmente noti ci è stata data dalla divinità, poiché Dio stesso è l'autore della nostra
natura; dunque tutti questi principi sono contenuti anche nella sapienza divina; e quindi non possono che derivare da Dio; dunque le
cose che sono ritenute per la fede della rivelazione divina non possono essere contrarie alla conoscenza naturale. [...] Da tutto ciò si
ricava con evidenza che tutti gli argomenti che vengono recati conto i documenti di fede non derivano direttamente dai principi
primi per sé noti e posti nella natura; perciò non hanno nemmeno forza dimostrativa, ma sono ragioni o probabili o sofistiche; e
quindi vi è possibilità di risolverli.
Sembra ancora doversi considerare che anche le cose sensibili, dalle quali la ragione umana dà inizio alla conoscenza, hanno in sé
un certo qual vestigio di imitazione divina, così imperfetto tuttavia da risultare del tutto insufficiente a dichiarare la sostanza dello
stesso Dio. Infatti, gli effetti hanno a loro modo una somiglianza con le rispettive cause, perché l'agente produce qualche cosa di
simile a sé; ma l'effetto non giunge tuttavia sempre alla perfetta somiglianza dell'agente. Quindi la ragione umana per conoscere la
verità della fede - la quale può risultare del tutto nota soltanto a coloro che vedono la sostanza divina - si trova in condizione di
poter raccogliere alcune similitudini di essa, che tuttavia non sono sufficienti a che la predetta verità venga compresa
dimostrativamente o intesa per se stessa. Tuttavia è utile che la mente umana si eserciti in simili ragioni, per quanto essi siano
deboli, purché non si coltivi la presunzione di comprendere appieno o di dimostrare; infatti, poter intravedere qualche cosa intorno
ad argomenti così elevati, anche se con una considerazione debole e ristretta, è cosa oltremodo piacevole.
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da Papa Giovanni Paolo II, Enciclica "Fides et ratio" (1998)
La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità. È Dio ad aver
posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e, in definitiva, di conoscere lui, perché, conoscendolo e amandolo,
possa giungere anche alla piena verità su se stesso (cf. Es 33,18; Sal 27[26], 8-9; 63[62], 2-3; Gv 14,8; lGv 3,2). [...]
Sia in Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei secoli, ha portato l'umanità a incontrarsi
progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa. [...] Il monito Conosci te stesso era scolpito sull'architrave del tempio di
Delfi, a testimonianza di una verità basilare che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di distinguersi,
in mezzo a tutto il creato, qualificandosi come «uomo» appunto in quanto [come Socrate] «conoscitore di se stesso».
Un semplice sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti della terra, segnate da culture
differenti, sorgano nello stesso tempo le domande di fondo che caratterizzano il percorso dell'esistenza umana: chi sono? da dove
vengo e dove vado? perché la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita? Questi interrogativi sono presenti negli scritti
sacri di Israele, ma compaiono anche nei Veda [scrittura sacre indiane] non meno che negli Avesta [libro sacro persiano]; li
troviamo negli scritti di Confucio e Lao-Tze [in Cina] come pure nella predicazione dei Tirthankara [fondatore del giainismo] e di
Buddha; sono ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e Sofocle come pure nei trattati filosofici di
Platone e Aristotele. [...]
Fede e ragione, p. 4
La Chiesa non è estranea, né può esserlo, a questo cammino di ricerca. [...] «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente» (I Cor 13,12).
Molteplici sono le risorse che l'uomo possiede per promuovere il progresso nella conoscenza della verità, così da rendere la propria
esistenza sempre più umana. Tra queste emerge la filosofia, che contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della
vita e ad abbozzarne la risposta: essa, pertanto, si configura come uno dei compiti più nobili dell'umanità.
[...] È possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui
presenza è costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di
causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la
verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. [...]
Non è senza significato che il pensiero filosofico abbia ricevuto un suo decisivo orientamento dalla morte di Socrate e ne sia
rimasto segnato da oltre due millenni. Non è affatto casuale, quindi, che i filosofi dinanzi al fatto della morte si siano riproposti
sempre di nuovo questo problema insieme con quello sul senso della vita e dell'immortalità.
[...] Fin dalla nascita [l’uomo] si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto il linguaggio e la formazione
culturale, ma anche molteplici verità a cui, quasi istintivamente, crede. [...] Nella vita di un uomo le verità semplicemente credute
rimangono molto più numerose di quelle che egli acquisisce mediante la personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di vagliare
criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui la vita moderna si fonda? [...] L'uomo, essere che cerca la verità, è
dunque anche colui che vive di credenza.
[...] Il mio pensiero [...] corre direttamente alla testimonianza dei martiri. Il martire, in effetti, è il più genuino testimone della verità
sull'esistenza. Egli sa di avere trovato nell'incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente e nessuno potrà mai strappargli
questa certezza. [...]
Non si dimentichi che anche la ragione ha bisogno di essere sostenuta nella sua ricerca da un dialogo fiducioso e da un'amicizia
sincera. Il clima di sospetto e di diffidenza, che a volte, circonda la ricerca speculativa, dimentica l'insegnamento dei filosofi
antichi, i quali ponevano l'amicizia come uno dei contesti più adeguati per il retto filosofare. [...]
[La] verità, che Dio ci rivela in Gesù Cristo, non è in contrasto con le verità che si raggiungono filosofando. [...] Lo stesso e
identico Dio, che fonda e garantisce l'intelligibilità e la ragionevolezza dell'ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si
appoggiano fiduciosi5, è il medesimo che si rivela Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Quest'unità della verità, naturale e rivelata,
trova la sua identificazione viva e personale in Cristo, così come ricorda l'apostolo: «La verità che è in Gesù» (Ef 4,21; cf. Col
1,15-20). Egli è la Parola eterna6, in cui tutto è stato creato, ed è insieme la Parola incarnata, che in tutta la sua persona rivela il
Padre (cf. Gv 1,14.18). [...]
Secondo la testimonianza degli Atti degli apostoli, l'annuncio cristiano venne a confronto sin dagli inizi con le correnti filosofiche
del tempo. Lo stesso libro riferisce della discussione che san Paolo ebbe ad Atene con «certi filosofi epicurei e stoici» (17,18).
L'analisi esegetica di quel discorso all'Areopago ha posto in evidenza le ripetute allusioni a convincimenti popolari di provenienza
per lo più stoica. Certamente ciò non era casuale. [...] Uno degli sforzi maggiori che i filosofi del pensiero classico operarono,
infatti, fu quello di purificare la concezione che gli uomini avevano di Dio da forme mitologiche. Come sappiamo, anche la
religione greca, non diversamente da gran parte delle religioni cosmiche, era politeista, giungendo fino a divinizzare cose e
fenomeni della natura. [...] Fu compito dei padri della filosofia far emergere il legame tra la ragione e la religione. Allargando lo
sguardo verso i principi universali, essi non si accontentarono più dei miti antichi, ma vollero giungere a dare fondamento razionale
alla loro credenza nella divinità. [...] Fu su questa base che i padri della Chiesa avviarono un dialogo fecondo con i filosofi antichi,
aprendo la strada all'annuncio e alla comprensione del Dio di Gesù Cristo.
Nell'accennare a questo movimento di avvicinamento dei cristiani alla filosofia, è doveroso ricordare anche l'atteggiamento di
cautela che in essi suscitavano altri elementi del mondo culturale pagano, quali ad esempio la gnosi. La filosofia, come saggezza
pratica e scuola di vita, poteva facilmente essere confusa con una conoscenza di tipo superiore, esoterico 7 , riservato a pochi
perfetti. È senza dubbio a questo genere di speculazioni esoteriche che san Paolo pensa, quando mette in guardia i Colossesi:
«Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del
mondo e non secondo Cristo» (2,8). [...] Sulle orme di san Paolo, altri scrittori dei primi secoli, in particolare sant'Ireneo e
Tertulliano, sollevano a loro volta riserve nei confronti di un'impostazione culturale che pretendeva di subordinare la verità della
Rivelazione all'interpretazione dei filosofi.
[...] Quale pioniere di un incontro positivo col pensiero filosofico, anche se nel segno di un cauto discernimento, va ricordato san
Giustino: questi, pur conservando anche dopo la conversione grande stima per la filosofia greca, asseriva con forza e chiarezza di
aver trovato nel cristianesimo «l'unica sicura e proficua filosofia». Similmente, Clemente Alessandrino chiamava il Vangelo «la
vera filosofia», e interpretava la filosofia in analogia alla legge mosaica come una istruzione propedeutica alla fede cristiana e una
«[Galileo] ha dichiarato esplicitamente che le due verità, di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi “procedendo di pari dal Verbo
divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio” come
scrive nella lettera al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613. Non diversamente, anzi con parole simili, insegna il concilio Vaticano II: “La
ricerca metodica di ogni disciplina, se procede [ ... ] secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane
e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio” (Gaudium et spes, 36). Galileo sente nella sua ricerca scientifica la presenza del Creatore
che lo stimola, che previene e aiuta le sue intuizioni, operando nel profondo del suo spirito» (Giovanni Paolo II, Discorso alla Pontificia
Accadernia delle Scienze, 10 novembre 1979).
6 Si ricordi che il termine greco per indicare questa parola, di cui parla il Prologo del Vangelo di Giovanni, è Lògos, che significa altrettanto:
“parola, verbo, discorso, ragionamento, ragione”.
7 “Esoterico” è il sapere riservato a pochi iniziati. “Gnosi” significa “conoscenza” ed è il nome che si suole attribuire a certe sette religiose e
inziatiche antiche che pretendevano che i propri adepti pervenissero a una “conoscenza” assoluta di Dio - non solo, dunque, alla fede in lui - e,
soltanto per tale via, alla salvezza.
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preparazione al Vangelo. Poiché «la filosofia brama quella sapienza che consiste nella rettitudine dell'anima e della parola e nella
purezza della vita, essa è ben disposta verso la sapienza e fa tutto il possibile per raggiungerla. Presso di noi si dicono filosofi
coloro che amano la sapienza che è creatrice e maestra di ogni cosa, cioè la conoscenza dei Figlio di Dio».
[...] Nella storia di questo sviluppo è possibile, comunque, verificare l'assunzione critica del pensiero filosofico da parte dei
pensatori cristiani. Tra i primi esempi che si possono incontrare, quello di Origene è certamente significativo. Contro gli attacchi
che venivano mossi dal filosofo Celso, Origene assume la filosofia platonica per argomentare e rispondergli. Riferendosi a non
pochi elementi del pensiero platonico, egli inizia a elaborare una prima forma di teologia cristiana.
[...] In quest'opera di cristianizzazione del pensiero platonico e neoplatonico, meritano particolare menzione i Padri Cappadoci,
Dionigi detto l'Areopagita e soprattutto sant'Agostino. [...] La sintesi compiuta da sant'Agostino rimarrà per secoli come la forma
più alta della speculazione filosofica e teologica che l'Occidente abbia conosciuto. Forte della sua storia personale e aiutato da una
mirabile santità di vita, egli fu anche in grado di introdurre nelle sue opere molteplici dati che, facendo riferimento all'esperienza,
preludevano a futuri sviluppi di alcune correnti filosofiche.
Diverse, dunque, sono state le forme con cui i Padri d'Oriente e d'Occidente sono entrati in rapporto con le scuole filosofiche. Ciò
non significa che essi abbiano identificato il contenuto del loro messaggio con i sistemi a cui facevano riferimento. La domanda di
Tertulliano: «Che cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa l'Accademia e la Chiesa?», è chiaro sintomo della
coscienza critica con cui i pensatori cristiani, fin dalle origini, affrontarono il problema del rapporto tra la fede e la filosofia,
vedendolo globalmente nei suoi aspetti positivi e nei suoi limiti8.
[...] Nella teologia scolastica 9 il ruolo della ragione filosoficamente educata diventa ancora più cospicuo sotto la spinta
dell'interpretazione di S. Anselmo dell'intellectus fidei [intelligenza o comprensione razionale delle fede]. Per il santo arcivescovo
di Canterbury la priorità della fede non è competitiva con la ricerca propria della ragione. Questa, infatti, non è chiamata a
esprimere un giudizio sui contenuti della fede; ne sarebbe incapace, perché a ciò non idonea. Suo compito, piuttosto, è quello di
saper trovare un senso, di scoprire delle ragioni che permettano a tutti di raggiungere una qualche intelligenza [comprensione] dei
contenuti di fede. [...] L'armonia fondamentale della conoscenza filosofica e della conoscenza di fede è ancora una volta
confermata: la fede chiede che il suo oggetto venga compreso con l'aiuto della ragione; la ragione, al culmine della sua ricerca,
ammette come necessario ciò che la fede presenta. [...]
Un posto tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per il contenuto della sua dottrina, ma anche
per il rapporto dialogico che egli seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebraico del suo tempo. In un'epoca in cui i pensatori
cristiani riscoprivano i tesori della filosofia antica, e più direttamente aristotelica, egli ebbe il grande merito di porre in primo piano
l'armonia che intercorre tra la ragione e la fede. La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, egli
argomentava, perciò non possono contraddirsi tra loro.
Più radicalmente, Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della
rivelazione divina. La fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa confida. Come la grazia 10 suppone la natura e la
porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione. Quest'ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e
dai limiti derivanti dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi alla conoscenza del mistero di Dio uno e
trino. Pur sottolineando con forza il carattere soprannaturale della fede, il dottore angelico non ha dimenticato il valore della sua
ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è in qualche
modo «esercizio del pensiero»; la ragione dell'uomo non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono
in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole. È per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato proposto
dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia.
Alla luce di questi estratti e della discussione in classe rifletti sul rapporto, in ambito cristiano, tra ragione e fede, domandandoti in
particolare:
1) Con quali argomenti (e di chi) si può sostenere la sostanziale identità di contenuto tra la ragione (lògos) e la fede?
2) Con quali argomenti (e di chi) si può sostenere la semplice compatibilità tra le conoscenze razionali e le verità di fede, pur
nella loro distinzione?
3) Con quali argomenti (e di chi) si può sostenere il primato assoluto della ragione anche in materia di fede?
4) Con quali argomenti (e di chi) si può sostenere il primato assoluto della fede e la sua incompatibilità con la ragione?
5) Quale la dottrina attuale della Chiesa cattolica, ispirata a San Tommaso (in particolare per quanto riguarda le molteplici
funzioni svolte dalla ragione per la fede)?
6) Secondo te, dal punto di vista di un credente, chi ha ragione e perché?
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Per quanto riguarda la critica da parte cristiana alla pretese della filosofia, nel Medioevo, cfr. Pier Damiani.
La filosofia cristiana conosce due principali momenti: quello - antico (secc. II-VIII ca.) - della “patritrica”, ossia dei Padri della Chiesa, filosofi
e insieme teologi cristiani che elaborarono filosoficamente i dogmi della fede in lingua greca e, poi, anche in latino; quello - medioevale (secc.
XI-XIV) - della “scolastica”, tipicamente occidentale, ossia dei Dottori della Chiesa che insegnavano nelle scuole episcopali e nella università, i
quali, distinguendo in modo più preciso fede e ragione, rivelazione e filosofia, si ponevano esplicitamente il problema del loro rapporto e, senza
volerlo, preparavano il terreno all’esercizio moderno di una filosofia autonoma dalla religione. Il Papa degli scolastici cita Anselmo e Tommaso,
ma non Abelardo, che, come abbiamo letto, difende il primato assoluto della ragione sulla fede.
10 Per grazia si intende uno speciale “dono” di Dio, ossia un intervento soprannaturale che Dio può compiere in quanto persona libera, al di là di
quanto Egli stesso ha stabilito, in quanto creatore, attraverso le leggi della natura. I miracoli e la salvezza degli uomini peccatori appartengono
all’ordine della grazia, perché non si verificherebbero “naturalmente” senza un esplicito intervento divino.
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