Riflessione introduttiva card. Camillo Ruini* 1. Sono molto lieto di questo incontro, della possibilità di parlarvi e di ascoltarvi. L’incontro ha una duplice importanza. La prima specifica per il progetto culturale, al quale potrà giungere un impulso determinante, di idee e di operatività, dalle aggregazioni laicali cattoliche o di ispirazione cristiana oggi qui riunite, nella loro multiformità. La seconda più generale, per la Chiesa - ossia per il popolo di Dio che è in Italia - e la sua missione, e anche, osiamo sperare, per il Paese stesso, in virtù della crescita della comunione e della condivisione di alcuni obiettivi essenziali, nella specificità di ciascun organismo. 2. Il progetto culturale ha già ricevuto un impulso da parte laicale, quando, prima e durante il Convegno di Palermo, vi era qualche perplessità riguardo alla sua pertinenza alla Chiesa. Molti laici, allora, sottolinearono la necessità di quell’attenzione e di quell’impegno che vanno sotto il nome di “progetto culturale”, riguardo a tutta l’ampiezza della parola “cultura”, che abbraccia le idee e il vissuto, i valori, le strutture, le istituzioni: un’attenzione e un impegno necessari sempre, ma anche specificamente oggi. Il contributo dei laici è stato poi molto importante nei tre Seminari del 1996 e nel Forum del 1997, che hanno sviluppato le problematiche del progetto culturale piuttosto sul versante dello studio e della ricerca. Oggi siamo riuniti come laicato associato e come tali vogliamo essere particolarmente attenti all’esperienza e agli spazi di azione. 3. Riguardo al progetto culturale, tra i laici si sono manifestate alcune difficoltà opposte, o se vogliamo speculari, rispetto a quelle espresse dal clero. Di fronte infatti ad un’interpretazione del progetto in chiave soltanto pastorale, sebbene di una pastorale attenta alla cultura e incisiva sulla cultura, alcuni laici hanno sostenuto che il progetto deve essere culturale e non pastorale, quasi i due aspetti fossero alternativi. In realtà il rapporto tra pastorale e cultura non è univoco; si può dire che esso presenta una duplice eccedenza. Da una parte è fondamentale la valenza culturale della pastorale, essendo in certo senso la pastorale stessa il luogo di origine della cultura cristiana. Dall’altra parte l’animazione cristiana della cultura e lo sviluppo di una cultura orientata in senso cristiano non sono compito esclusivo della pastorale, ma di ogni cristiano nella sua vita e nel suo operare quotidiani, dalla famiglia al lavoro alla ricerca alle responsabilità pubbliche (che sono dimensioni tipicamente laicali, anche se non esclusivamente laicali). * Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. 4. Come è già stato più volte precisato, il progetto culturale ha una duplice finalità: in primo luogo l’evangelizzazione della cultura e l’inculturazione della fede, in secondo luogo l’apporto dei cattolici alla vita del Paese. Queste due finalità possono facilmente essere messe in rapporto (anche qui senza esclusivismi) con la duplice qualificazione delle nostre aggregazioni: quelle più propriamente ecclesiali impegnate anzitutto nell’evangelizzazione e quelle, piuttosto di ispirazione cristiana, impegnate in primo luogo in ambito civile e sociale. Vorrei a questo proposito sottolineare di nuovo il grande significato dell’incontro di oggi, proprio perché abbraccia entrambi questi tipi di realtà, mostrando così in concreto che la distinzione non significa separazione, ma apre all’incontro e all’arricchimento reciproco. Alla base di questa “non separazione” c’è l’unità di missione, nella diversità dei compiti e dei servizi (cfr. Apostolicam actuositatem, 2) e anche, specificamente, il ruolo dei laici nella missione cristiana. Diventa sempre più chiaro infatti che il progetto culturale “sta dentro” alla dimensione e caratterizzazione missionaria della realtà e dell’opera della Chiesa-popolo di Dio, missionaria per sua natura e chiamata ad essere missionaria dall’attuale situazione storica, caratterizzata da fenomeni massicci di secolarizzazione e anche di scristianizzazione, ma nello stesso tempo ricca di spazi e di opportunità per il Vangelo. L’idea del Concilio Vaticano II forse più feconda per il futuro del cristianesimo è quella della missionarietà dei laici in tutta la loro vita. Quest’idea “funziona” a livello pastorale, come mostra ad esempio la “missione cittadina” attualmente in corso a Roma, ma si tratta di qualcosa che ha un’ampiezza ben maggiore: riguarda infatti la formazione e gli atteggiamenti e comportamenti costanti del cristiano ossia in concreto del battezzato credente, che devono essere improntati alla missionarietà. In ultima analisi abbiamo a che fare qui con il concetto stesso di laico cristiano, con la sua radice sacramentale e con la valenza teologica (e non soltanto sociologica) dell’“indole secolare” propria dei laici. Resta fondamentale in proposito il testo della Lumen gentium, secondo il quale è vocazione propria dei laici «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» (n. 31), con la conseguente esplicitazione formulata dalla Christifideles laici, «l’essere e l’agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale» (n. 15). 5. Il progetto culturale, come accennavo, sta dentro a questo grande movimento e prospettiva di missionarietà, che è globale sia per il suo soggetto (il popolo di Dio in missione) sia per il suo obiettivo, che sono inseparabilmente le persone e la società e la cultura in cui e di cui le persone vivono. Ricordiamo l’Evangelii nuntiandi: «occorre evangelizzare... in modo vitale, in profondità e fino alle radici la cultura e le culture dell’uomo,... partendo sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio» (n. 20). In realtà l’evangelizzazione della cultura e l’inculturazione della fede, che costituiscono una costante storica del cristianesimo, hanno avuto una loro specifica e ricorrente attualità nella nostra epoca. Per limitarci all’Italia, nella seconda metà del secolo scorso e all’inizio del nostro secolo vi è stato il tentativo di costruire una società e una cultura orientate in senso cristiano e cattolico; in seguito si è avuto un grande lavoro culturale, che potremmo dire “montiniano”, durante l’epoca fascista, con il suo sviluppo pubblico post-bellico; dal Concilio in poi si è aperta una nuova fase, che possiamo chiamare dell’evangelizzazione e della “nuova evangelizzazione”. Ciascuno di questi periodi ha avuto naturalmente la sua novità e il proprio stile. Il progetto culturale nasce non a caso negli anni ’90, quando si è ormai decantata la fase di acuta “diaspora” nel cattolicesimo e quando si stanno facendo strada una nuova progettualità comune e un nuovo desiderio di impegno comune, certamente in quella linea di apertura, libertà, pluriformità e dialogicità che è tipicamente conciliare. È molto significativa in proposito l’affermazione del Papa, nel suo discorso al Convegno di Palermo (n. 10), contraria a una «diaspora culturale dei cattolici», a un «loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede». L’attuale situazione di accentuato pluralismo sociale e culturale (che va di pari passo con il rischio di nuovi conformismi, anzitutto culturali) richiede certamente di essere da noi capita e “intercettata”. A tal fine sono fondamentali il dinamismo e l’apertura storica del cristianesimo: in Cristo e nello Spirito Santo vi è infatti, da parte del cristianesimo, la capacità di incarnarsi nelle più diverse situazioni storiche, mantenendo la propria specifica fisionomia. Sul piano pratico, è assai importante a questo scopo la pluriformità del laicato associato, una pluriformità da intendere non in chiave di alternativa reciproca, e tanto meno di conflittualità, ma di comunione, collaborazione, condivisione e comunicazione reciproca, pur mantenendo ciascuno ben chiaro il proprio profilo e i propri compiti specifici. 6. A questo punto vorrei aggiungere una parola specifica per ciascuna delle due grandi dimensioni del laicato associato e del progetto culturale: quella dell’evangelizzazione e quella dell’animazione cristiana delle realtà terrene. Per l’evangelizzazione è molto importante un’animazione laicale della pastorale ordinaria, in genere ma anche specificamente in quella dimensione missionaria che deve caratterizzarla tutta: occorre animare in termini laicali la pastorale missionaria della Chiesa e in particolare la sua valenza culturale. Hanno qui un ruolo molto importante le associazioni che si occupano più specificamente di approfondimento e di ricerca, ma questo ruolo non è certo esclusivo: ogni associazione ha un suo ampio spazio, proprio perché intendiamo la parola cultura nel suo senso più ampio. In realtà, il progetto culturale non si muove in una logica di arroccamento, come qualcuno fraintende, in modo innocente o forse malizioso, ma al contrario in una logica di estroversione. È essenziale, per le aggregazioni laicali, inserirsi in quel soggetto unitario della missione che è il popolo di Dio concretamente esistente nella storia, cioè la vivente comunione delle Chiese particolari (per noi, la vivente comunione delle Chiese particolari che sono in Italia). Da un inserimento di questo genere non può che nascere un vantaggio reciproco: per le diocesi e le parrocchie, che da questo inserimento vengono animate e per così dire dinamicizzate nella loro pastorale; per le aggregazioni, che vengono tenute più vicine alla gente, più aperte alla gente di ogni tipo che si incontra nelle nostre parrocchie, e così vengono anche aiutate a mantenersi in quella umiltà che è tipica del servizio pastorale dentro il popolo di Dio e per il popolo di Dio. Mi sia consentito qui un rapido accenno all’attenzione missionaria di cui siamo debitori verso i giovani, e di cui a loro volta i giovani sono debitori verso i loro coetanei. Tra i giovani infatti sono più forti e più avvertite le spinte che vengono dalla cultura di oggi, sia quelle negative sia quelle positive. È una costante del periodo della giovinezza essere un tempo specifico e particolarmente intenso di formazione e orientamento della persona, ma anche di un’intera generazione: ogni generazione, in concreto, prende pian piano il proprio orientamento ed è essenziale che in questo orientamento non manchi il lievito cristiano. 7. Passando alla dimensione dell’animazione cristiana delle realtà terrene, è da sottolineare anzitutto l’ampio spettro di queste realtà: abbiamo a che fare con la famiglia, il lavoro, la ricerca, l’educazione e quindi la scuola, la comunicazione sociale, le responsabilità pubbliche, sociali, economiche, politiche ed istituzionali. Questa ampiezza variegata caratterizza anche le nostre aggregazioni, secondo gli ambiti di cui si occupano. Rimane però fondamentale per ciascuna di esse cogliere nella loro unità la legittima autonomia delle realtà terrene (cfr. ad esempio Gaudium et spes, 36) e la centralità di Cristo nella creazione e nella storia (cfr. Gaudium et spes, 45), entrambe tante volte sottolineate dal Concilio. La centralità di Cristo non lede in alcun modo la legittima autonomia delle realtà terrene, ma le dà il suo ultimo fondamento e dà origine allo stesso tempo all’interpretazione cristiana - teorica e pratica - dell’uomo, della storia e di tutta la realtà, comprese quelle realtà terrene e temporali che sono lo specifico campo di azione di molte associazioni. Tutto ciò acquista una particolare concretezza dovunque è in gioco l’uomo, come persona e come società. Conosciamo l’obiezione secondo la quale questo è il punto di vista del credente, valido solo per lui, specialmente nella moderna società pluralistica nella quale convivono molte visioni dell’uomo e della società, di fronte alle quali lo Stato deve rimanere neutrale. Certamente la visione del credente nasce storicamente dalla fede ed è sempre connessa alla fede. Ma dalla fede viene una intelligenza e una comprensione più profonda della realtà stessa dell’uomo (cfr. Gaudium et spes, 22: Cristo «svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»), realtà che è comune a tutti e non è riducibile ad un peculiare punto di vista. Il ricondurre, per principio, ogni approccio alla realtà dell’uomo soltanto a un particolare orizzonte soggettivo (quello del cattolico, del laico, del marxista... ) è in effetti espressione di quel relativismo che, secondo la Centesimus annus, n. 46, e la Veritatis splendor, n. 101, costituisce una minaccia per l’autentica democrazia. Certamente la realizzazione nella storia della visione cristiana dell’uomo è da perseguirsi soltanto nella libertà e nella democrazia. È fondamentale a questo proposito la precisazione della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, n. 2, che il fondamento della libertà sociale in campo religioso non sta nella mancanza di verità oggettiva della proposta religiosa, e in particolare di quella cristiana, ma si trova nella dignità e nel valore della persona, che rimangono intatti quali che siano le sue idee e le sue convinzioni, giuste o sbagliate. Questa prospettiva vale anche per la dottrina sociale cristiana, che deve essere proposta nella libertà e mai imposta, ma non perché si tratti soltanto di un punto di vista particolare che non ha una valenza universale, bensì perché dobbiamo rispettare pienamente la libertà di ciascuno, e nello stesso tempo, per questa via della libertà e del libero consenso, proporre a tutti le istanze della dottrina sociale cristiana, che hanno una validità generale perché sono fondate su ciò che è proprio dell’uomo in quanto tale, e non soltanto su qualche peculiare caratteristica dei cattolici. Dobbiamo notare con piacere che anche tra coloro che vengono definiti “laici” sta emergendo una nuova consapevolezza del fatto che, quando proponiamo determinati valori, proponiamo qualcosa che ha una valenza generale e non è soltanto proprio dei cattolici. Possiamo e dobbiamo dunque procedere serenamente, con fortezza e con spirito di amicizia, e soprattutto con buona coscienza: con la coscienza cioè di fare davvero un servizio per tutti e di non ricercare un indebito vantaggio per noi. 8. Vorrei terminare con alcune osservazioni telegrafiche che valgono per tutti noi, riguardo al progetto culturale e anche al lavoro che dobbiamo fare oggi. La prima di queste osservazioni è a proposito della carità, come anima del progetto culturale e come linguaggio comune della fede, e quindi anche di un progetto culturale orientato in senso cristiano. Con la carità si sposa la gratuità. La gratuità totale è soltanto di Dio: infatti, come diceva la grande teologia medievale, solo Dio agisce in modo puramente gratuito, senza ricevere nulla in cambio, mentre noi, quando facciamo del bene, ne siamo sempre avvantaggiati sia personalmente sia comunitariamente. E tuttavia bisogna muoversi nella logica della gratuità, in quella logica cioè nella quale si muove il Padre che è nei cieli che, come ha detto il Signore Gesù, fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Ciò significa operare non per una utilità che possiamo ricavarne come persona, come associazione, o anche come Chiesa, ma per amore di Dio e del prossimo. Questa prospettiva della carità e della gratuità è anche la grande carta di credibilità del messaggio cristiano e della Chiesa oggi. Proprio perché la Chiesa, pur con tutti i propri limiti e difetti, in concreto ha fatto e fa un’opera di carità e di gratuità, essa è presa sul serio ed è anche amata da tanta gente. La seconda osservazione riguarda la fede e la ricerca. Fede e ricerca non sono parole alternative, ma parole da tenere strettamente unite. Se ne avessimo il tempo, vorrei leggervi delle pagine di S. Tommaso d’Aquino sorprendenti a questo riguardo: per lui infatti la certezza della fede lascia del tutto aperta l’inquietudine dell’intelligenza, che cerca e che non è appagata. Oggi è quanto mai necessario avere la voglia, la libertà e l’intenzione di ricercare e di pensare. Non dobbiamo assolutamente ritenere di possedere già una cultura orientata in senso cristiano matura e adulta, e in certo senso completa, che sarebbe soltanto da proporre e da comunicare. Questa cultura è da costruire e da elaborare e si elabora tramite le esperienze della vita ma anche tramite quella che Hegel chiamava la fatica del concetto, cioè tramite l’impegno del pensiero e della ricerca. La fede non è un ostacolo per la ricerca ma al contrario, come diceva molto bene Karl Rahner, è una ricchezza e uno stimolo per la ricerca stessa. A questo proposito ricordo i tre temi della libertà sociale in campo morale oltre che religioso, dell’identità nazionale, locale e cristiana e dell’interpretazione scientifica del reale, che sono attuali piste di ricerca del progetto culturale, evidentemente tra altre parimenti possibili. L’ultima osservazione riguarda la formazione dell’uomo cristiano. Anche qui le aggregazioni laicali hanno un compito grandissimo. Tutto ciò che ho cercato di dirvi, o che comunque possiamo dire, sarebbe destinato a rimanere sulla carta se mancassero i soggetti per realizzarlo, cioè cristiani adulti nella fede (se questa parola non è troppo presuntuosa), che cerchino cioè di vivere la propria fede, pur essendo peccatori come noi tutti. Pertanto la formazione dell’uomo cristiano (adopero intenzionalmente entrambe queste parole) resta fondamentale per ogni proposta, e per questo è a sua volta fondamentale il contributo che sono chiamate a dare le varie aggregazioni laicali, ciascuna secondo la sua fisionomia specifica.