Malattia acuta provocata dal virus di Epstein-Barr, caratterizzata da febbre, faringite e linfoadenopatia; Sommario: Eziologia e fisiopatologia Epidemiologia Sintomi e segni Complicanze Esami di laboratorio e diagnosi Diagnosi differenziale Prognosi e terapia Eziologia e fisiopatologia Il virus di Epstein-Barr (EBV) è un herpes virus ubiquitario le cui cellule ospiti sono principalmente i linfociti B e le cellule del nasofaringe degli esseri umani e di alcuni primati. Dopo l'iniziale replicazione nel nasofaringe, il virus infetta i linfociti B che sono indotti a secernere immunoglobuline. Queste immunoglobuline comprendono anticorpi chiamati anticorpi eterofili che sono utili dal punto di vista diagnostico (v. oltre Esami di laboratorio e diagnosi). I linfociti B trasformati dal EBV sono il bersaglio di una risposta immunitaria multiforme. La risposta immunitaria umorale (produzione di anticorpi eterofili) documenta l'infezione primaria da EBV; la risposta immunitaria cellulare, consistente in parte in una induzione di linfociti T CD8 positivi attivati, è in gran parte responsabile della linfocitosi atipica conseguente all'infezione primaria da EBV. La risposta immunitaria cellulo-mediata gioca un ruolo importante nella prevenzione della ulteriore proliferazione dei linfociti B trasformati dal EBV durante l'infezione primaria e nella inversione dell'attivazione delle cellule B policlonali indotta dal EBV. Dopo l'infezione primaria, il EBV rimane all'interno dell'ospite per tutta la vita e viene eliminato in modo intermittente dall'orofaringe. Il virus è individuabile nelle secrezioni orofaringee del 15-25% degli adulti sani sieropositivi per il EBV. L'eliminazione orofaringea aumenta in frequenza e in quantità nei pazienti immunodepressi (p. es., i trapiantati e le persone con infezione da HIV). La riattivazione del EBV è generalmente asintomatica, contrariamente a quella del virus herpes simplex o del virus varicella-zoster. Il EBV è relativamente labile, non è stato isolato da fonti ambientali e non è molto contagioso. Soltanto il 5% dei pazienti ha avuto un recente contatto con una persona colpita da mononucleosi infettiva. Nella maggior parte dei casi si ritiene che il periodo di incubazione sia di 30-50 giorni. Il contagio può aversi per trasfusione di emoderivati ma molto più frequentemente si verifica per contatto orofaringeo (bacio) tra una persona non infetta e un portatore sano di EBV che secerne il virus dall'orofaringe in maniera asintomatica. Durante la prima infanzia il contagio si verifica più frequentemente nei ceti socioeconomici bassi e in condizioni di sovraffollamento. Il EBV è stato anche associato al linfoma di Burkitt africano (v. Cap. 139), ad alcune neoplasie delle cellule B nei pazienti immunodepressi (specialmente i trapiantati, quelli con infezione da HIV o con atassia-teleangectasia), e al carcinoma nasofaringeo (v. Cap. 87). Queste associazioni sono basate sull'evidenza sierologica di un'accresciuta attività del EBV e sulla dimostrazione di antigeni nucleari (Epstein-Barr Nuclear Antigens, EBNA) e di DNA del EBV in biopsie tumorali. È stato postulato che il EBV giochi un ruolo in alcuni linfomi a cellule B trasformando e stimolando in modo policlonale i linfociti B, rendendoli più suscettibili a una successiva traslocazione cromosomica e a un'evoluzione verso una linfoproliferazione oligoclonale o monoclonale. Negli ultimi anni, molti studiosi hanno individuato pazienti con la sindrome da stanchezza cronica, una malattia caratterizzata da stanchezza, disfunzione cognitiva lieve e, in alcuni casi, da febbre moderata e linfoadenopatia (v. anche Cap. 287). Sebbene alcuni abbiano ipotizzato un ruolo del EBV nella patogenesi della sindrome da stanchezza cronica, tale ipotesi è supportata solo da minime evidenze oggettive. Quindi, gli studi sierologici specifici della infezione da EBV non sono indicati per la valutazione dei sintomi limitati al solo affaticamento. In qualche caso è stata riscontrata l'associazione tra l'infezione cronica da EBV e una sindrome caratterizzata da febbre, polmonite interstiziale, pancitopenia e uveite. Questi pazienti debbono essere distinti da quelli affetti dalla sindrome da stanchezza cronica, i quali non hanno sintomi o segni oggettivi. l Epidemiologia Circa il 50% dei bambini ha avuto l'infezione primaria da EBV prima dei 5 anni. Nella maggior parte di questi bambini, l'infezione è subclinica. Negli adolescenti o negli adulti, può essere subclinica o può essere riconosciuta come mononucleosi infettiva. In studi prospettici condotti su studenti universitari, l'infezione primaria da EBV è stata riconosciuta come mononucleosi infettiva nel 30-70% dei casi di sieroconversione, ma in analoghi studi tra i volontari dei Corpi di Pace Internazionali e le reclute militari, l'infezione non si è manifestata clinicamente in una proporzione che raggiunge il 90% dei casi. Anche in età adulta l'infezione primaria da EBV può causare i tipici sintomi della mononucleosi infettiva. l Sintomi e segni La tetrade costituita da affaticamento, febbre, faringite e linfoadenopatia è comune; tuttavia, i pazienti possono presentare tutti o solo alcuni di questi sintomi. Di solito il paziente presenta un malessere che dura da parecchi giorni a 1 settimana, seguito da febbre, faringite e adenopatia. L'affaticamento è solitamente massimo nelle prime 2-3 sett. Di solito la febbre raggiunge il suo picco nel pomeriggio o nella prima sera, con una temperatura di circa 39,5°C (103°F), benché possa raggiungere anche i 40,5°C (105°F). Quando l'affaticamento e la febbre sono i segni dominanti (la cosiddetta forma tifoide), l'inizio e la risoluzione possono essere più lenti. La faringite può essere grave, dolorosa ed essudativa e può assomigliare alla faringite streptococcica. La linfoadenopatia può coinvolgere qualsiasi gruppo di linfonodi ma è di solito simmetrica; l'adenopatia cervicale anteriore e posteriore è spesso rilevante. L'ingrandimento di un solo linfonodo o di un gruppo di linfonodi può essere l'unica manifestazione; in questi casi, gli studi degli anticorpi eterofili possono evitare la biopsia linfonodale o aiutare l'interpretazione di aspetti istopatologici allarmanti. La splenomegalia, presente in circa il 50% dei casi, è massima durante la 2 a e la 3a sett. ed è abitualmente limitata a una punta di milza palpabile sotto il margine costale sinistro. Possono essere anche presenti una lieve epatomegalia e un dolore alla percussione epatica. Segni meno frequenti sono le eruzioni maculopapulari, l'ittero, l'edema periorbitale, e l'enantema palatale. l Complicanze Sebbene la maggior parte dei casi si risolva senza problemi, le complicanze possono essere gravi. Le complicanze a livello del SNC comprendono l'encefalite, le convulsioni, la sindrome di Guillain-Barré, la neuropatia periferica, la meningite asettica, la mielite, le paralisi dei nervi cranici e le psicosi. L'encefalite associata al EBV può presentarsi con manifestazioni cerebellari, o può essere globale e rapidamente progressiva, mimando l'encefalite da herpes simplex. Diversamente da quest'ultima, l'encefalite associata al EBV è di solito autolimitata. Le complicanze ematologiche sono solitamente autolimitate e non richiedono trattamenti specifici. Comprendono granulocitopenia, trombocitopenia e anemia emolitica. Modesta granulocitopenia o trombocitopenia si osservano transitoriamente in circa il 50% dei pazienti; meno frequentemente si verificano casi gravi, associati a infezioni batteriche o emorragie. L'anemia emolitica è generalmente dovuta agli anticorpi specifici anti-i. Lasplenomegalia e l'edema capsulare possono causare la rottura della milza, che richiede la splenectomia. Sebbene la maggior parte dei pazienti accusi dolore addominale, la rottura della milza può essere occasionalmente non dolorosa e il paziente può presentare solo ipotensione. L'anamnesi di un trauma è presente solo in circa la metà dei casi. Le complicanze polmonari comprendono l'ostruzione delle vie aeree o un infiltrato polmonare interstiziale. L'ostruzione delle vie aeree causata dalla linfoadenopatia faringea o paratracheale rende necessaria l'ospedalizzazione e un eventuale intervento chirurgico, se la somministrazione di corticosteroidi non riesce a controllare il processo. Gli infiltrati polmonari interstiziali sono riscontrati più frequentemente nei pazienti pediatrici, sono di solito individuati alla radiografia e restano clinicamente silenti. Le complicanze epatiche sono rivelate da alterazioni dei test di funzionalità epatica. In circa il 95% dei casi si riscontrano elevati livelli di transaminasi (circa 2-3 volte superiori al normale, con un ritorno al livello basale in 3-4 sett.). Se si riscontrano ittero o aumenti più sostenuti degli enzimi epatici, bisogna ricercare altre cause di epatite. Sporadicamente si osservano casi gravissimi di infezione da EBV, ma in quetsi casi a volte è presente una familiarità per queste infezioni. In particolare, la sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X (sindrome di Duncan), è stata descritta in diverse famiglie (v. anche Cap. 147). In tali famiglie, l'infezione primaria da EBV può essere associata a una linfoproliferazione incontrollata, anemia aplastica o ipogammaglobulinemia. l Esami di laboratorio e diagnosi Sebbene la sindrome clinica della mononucleosi infettiva e le sue caratteristiche epidemiologiche possano essere così stereotipate da far sembrare certa la diagnosi, la sovrapposizione con altre malattie giustifica l'esecuzione di test di laboratorio. Nella maggior parte dei pazienti, si osserva una lieve leucocitosi, di solito accompagnata da una linfocitosi relativa e assoluta più pronunciata, causata da linfociti attivati che presentano differenti gradi di atipicità morfologica. I linfociti atipici possono essere assenti o possono rappresentare fino all'80% della conta differenziale dei GB. Alcuni linfociti possono avere delle caratteristiche morfologiche così bizzarre da far sospettare una malattia ematologica maligna. Tuttavia, l'eterogeneità di questi linfociti atipici distingue l'infezione da EBV dalla leucemia, che presenta una maggiore omogeneità morfologica dei linfociti atipici. Gli anticorpi eterofili sono diretti contro gli antigeni presenti sugli eritrociti di pecora, di cavallo e di bovino. Questi anticorpi possono essere identificati solamente nel 50% dei pazienti di età inferiore a 5 anni ma sono presenti nel 90% degli adolescenti e degli adulti con infezione primaria da EBV. Il test standard che utilizza i livelli di Ac eterofili, in cui il siero è preassorbito dagli antigeni di rene di cavia (Forssman), è meno sensibile, più laborioso e di minore valore diagnostico rispetto all'ampia varietà di test di agglutinazione su cartine (monospot) esistenti in commercio. Il titolo degli anticorpi eterofili aumenta durante la 2a e 3a settimana di malattia. Per cui, se la diagnosi di mononucleosi infettiva è fortemente sospetta sulla base del quadro clinico ma il test degli anticorpi eterofili è negativo, è ragionevole ripetere il test dopo 7-10 giorni dalla comparsa dei sintomi. Gli anticorpi eterofili possono persistere da 6 a 12 mesi dopo la guarigione dalla malattia. Gli anticorpi eterofili sono di solito evidenziati quando i pazienti sviluppano i sintomi e presentano una infezione primaria da EBV; essi possono anche essere utilizzati a scopo diagnostico. Se una sindrome clinica tipica è accompagnata da anticorpi eterofili individuabili, gli esami sierologici specifici del EBV non sono indicati. Tuttavia, nei bambini di 4 anni, nei quali gli anticorpi eterofili possono non essere mai evidenziabili, gli anticorpi contro l'antigene del capside del EBV (VCA) sono utili. Per l'utilizzo appropriato degli anticorpi specifici è necessario conoscere il momento della loro comparsa in rapporto all'infezione primaria da EBV. Gli anticorpi anti EBV-VCA compaiono solitamente nel periodo d'incubazione. Gli anticorpi IgG anti-VCA rimangono per tutta la vita a livelli sufficientemente elevati da rendere di solito inutile la loro determinazione per sapere se un paziente presenta una infezione primaria da EBV o un'altra malattia e una pregressa infezione da EBV. Invece, gli anticorpi IgM anti-VCA sono presenti in tutti i pazienti con un'infezione primaria da EBV e scompaiono 2-3 mesi dopo la guarigione; quindi, la dimostrazione di questi anticorpi è diagnostica di infezione primaria da EBV. Poiché alcuni laboratori commerciali non sono in grado di eseguire la ricerca degli anticorpi IgM anti-VCA, può essere utile in caso di diagnosi incerta rivolgersi a un laboratorio specializzato. Gli anticorpi contro gli antigeni precoci di 2 tipi (diffuso e ristretto) sono denominati rispettivamente anticorpi anti-EAD e anticorpi anti-EAR. Gli anticorpi anti-EAD si riscontrano nel 70% circa degli adolescenti e degli adulti con mononucleosi infettiva e sono associati a manifestazioni cliniche più gravi e al carcinoma nasofaringeo. Gli anticorpi anti-EAR sono meno frequenti e sono associati al linfoma di Burkitt africano. Gli anticorpi anti-EBNA generalmente compaiono più tardi nell'infezione primaria da EBV rispetto agli anticorpi anti-VCA e possono essere più facilmente individuabili degli anticorpi IgM anti-VCA. l Diagnosi differenziale La faringite, la linfoadenopatia e la febbre possono essere clinicamente indistinguibili dai sintomi causati dagli streptococchi -emolitici di gruppo A; tuttavia, la presenza di questi microrganismi nell'orofaringe non esclude la mononucleosi infettiva. Quando gli anticorpi eterofili sono assenti, la sindrome mononucleosica può essere dovuta al citomegalovirus (CMV). Benché il CMV causi meno frequentemente una faringite grave, può provocare tanto una linfocitosi atipica quanto epatosplenomegalia ed epatite. La diagnosi di infezione primaria da CMV dipende dalla dimostrazione degli anticorpi IgM anti-CMV o dall'isolamento del virus dal sangue periferico (v. Infezione da Citomegalovirus sotto Infezioni da Herpesvirus al Cap. 162). Anche il Toxoplasma gondii, il virus dell'epatite B o quello della rosolia e i linfociti atipici che compaiono nelle reazioni avverse da farmaci, possono simulare una mononucleosi eterofilo-negativa. Una malattia simile alla mononucleosi è stata osservata anche nella infezione primaria da HIV. Nella maggioranza di questi casi, le altre caratteristiche cliniche sono utili per formulare una corretta diagnosi. l Prognosi e terapia La mononucleosi infettiva è di solito autolimitata. La durata della malattia è variabile; la fase acuta dura circa 2 sett. Generalmente il 20% dei pazienti può rientrare a scuola o al lavoro entro 1 sett. e il 50% entro 2 sett. I pazienti sono generalmente in grado di riprendere le proprie attività dopo questo periodo ma a volte la completa risoluzione dell'astenia richiede parecchie settimane. Solo nell'1-2% dei casi l'astenia dura mesi. Il decesso si verifica in meno dell'1% dei casi ed è generalmente dovuto a complicanze dell'infezione primaria da EBV (p. es., encefalite, rottura della milza, ostruzione delle vie aeree). La terapia è di supporto. Salvo in caso di complicanze, non sono di solito necessari test di laboratorio supplementari poiché la guarigione non è correlata alla persistenza o al titolo degli anticorpi eterofili, alla presenza di linfociti atipici nel sangue periferico, o all'aumento degli enzimi epatocellulari. Ai pazienti deve essere consigliato di rimanere a letto durante la fase acuta ma devono essere mobilizzati rapidamente quando la febbre, la faringite e il malessere scompaiono. A causa del rischio di rottura della milza, si deve evitare di sollevare pesi o di praticare sport da contatto per 2 mesi, anche se non c'è un'evidente splenomegalia. A causa della rara associazione dell'EBV con la sindrome di Reye, il paracetamolo è preferibile all'aspirina come analgesico e antipiretico. I corticosteroidi si sono dimostrati efficaci per accelerare la defervescenza e migliorare la faringite, ma devono essere usati soltanto per il trattamento delle complicanze specifiche come l'ostruzione imminente delle vie respiratorie. La loro efficacia nel trattare la trombocitopenia e l'anemia emolitica è meno chiaramente stabilita. La somministrazione PO o EV dell'acyclovir riduce l'escrezione orofaringea del EBV, ma non esistono evidenze convincenti che giustifichino il suo utilizzo nei casi non complicati. Non è stata ancora stabilita la sua utilità nei pazienti con grave infezione o sindromi linfoproliferative delle cellule B associate a trapianto d'organo.