Metodi e Modelli per la Gestione e l’Organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni
Prof. Luigi Fiorentino – a.a. 2005/2006
3. LE NORME
3.1 Proposizioni normative e norme — 3.2 Le fonti del diritto — 3.3 Classificazione delle
fonti — 3.4 Le fonti costituzionali — 3.5 Le fonti comunitarie — 3.6 Le fonti primarie —
3.7 Le fonti subprimarie — 3.8 Le fonti secondarie — 3.9 Altri criteri di identificazione e
di classificazione delle fonti — 3.10 Efficacia della legge nello spazio — 3.11 Efficacia
della legge nel tempo — 3.12 L’interpretazione — 3.13 Disciplina normativa
dell’interpretazione — 3.14 Gli strumenti di interpretazione — 3.15. I soggetti che
interpretano —3.16 Codici, testi unici, precedenti. — 3.17 Ignorantia legis non excusat
3.1 Proposizioni normative e norme
Quando si parla di norme, ci si riferisce di solito alle leggi. L'identificazione di norma e
legge, però, è sbagliata non solo perché esistono anche altre norme (Costituzione,
regolamento, ecc.), ma anche perchè altro è la norma, altro la proposizione normativa.
La proposizione normativa - o fonte di cognizione o fonte del diritto - è il documento o
atto che contiene il testo.
La norma - o fonte di produzione - è il precetto o regola che si ricava dal testo.
L'operazione che permette di passare dalla proposizione normativa alla norma è
l'interpretazione.
Per comprendere e analizzare questi aspetti dovremo, quindi, esaminare due temi;
— l’elenco delle fonti;
— l’interpretazione delle fonti.
3.2 Le fonti del diritto
Per fonte del diritto si intendono gli atti di produzione normativa, e cioè quegli atti che
pongono proposizioni giuridiche.
Nell'ordinamento italiano (e, in generale, negli ordinamenti moderni) l'elenco delle fonti
del diritto è determinato dalle leggi. Esistono, in altre parole, leggi che contengono norme
sulla produzione giuridica. Questo avviene per un motivo molto evidente. Poiché è dalle
fonti del diritto che si traggono le regole e i divieti sulla base dei quali opera la società,
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lasciare libero l'elenco delle fonti consentirebbe abusi. Ad esempio, senza un preciso
elenco delle fonti del diritto, un’autorità potrebbe stabilire arbitrariamente nuove norme e
abrogare norme esistenti.
Le principali norme sulla produzione giuridica sono contenute nella Costituzione (artt.
70ss., sulla formazione delle leggi, e 116 ss. sulle norme regionali) e nel codice civile (art.
1 delle disposizioni sulla legge in generale (preleggi), che contiene l’elenco delle fonti del
diritto). Bisogna tenere conto, però, che la Costituzione, come vedremo, non solo ha
maggiore “forza” del codice, ma è anche più recente (è entrata in vigore nel 1948, mentre il
codice è del 1942). Per cui, gli articoli ora ricordati vanno interpretati congiuntamente.
Le fonti del diritto di cui si è parlato sono fonti scritte o fonti-fatti. Esistono, negli
ordinamenti contemporanei, anche fonti non scritte o fonti-fatti. In Italia, l'esempio
principale è quello della consuetudine, di cui si parlerà più avanti. Qui occorre soffermarsi
sulla differenza tra fonti scritte e non scritte.
Negli ordinamenti sviluppati, di regola, ci si vale di fonti scritte. Ma ci sono moltissimi
ordinamenti contemporanei in cui non prevale la legge, bensi altre fonti, come la tradizione
o gli usi. In quasi tutti i Paesi arabi, ad esempio, domina la shari’a che è un misto di
precetti religiosi non scritti o scritti in libri di fede, di interpretazioni del Corano (il
principale libro religioso dei Paesi islamici) e di decisioni di giudici di tipo molto
particolare (cadì).
Le fonti non scritte favoriscono, secondo alcuni, l'evoluzione sociale, perchè cambiano a
mano a mano che muta la società. Ciò è sollecitato quando - come spesso accade - vi sono
clausole di adattamento, che consentono di cambiare le regole. Un esempio è l’ingegnoso
principio della shari’a secondo cui "la validità dì un principio sul quale è una divergenza
pur» essere messa in dubbio, mentre ciò non può avvenire se su un principio c'è consenso”.
Un altro principio diffuso nei paesi a diritto non scritto è quello di interesse pubblico. Sulla
base di esso si può scegliere tra le varie interpretazioni e tradizioni, quella più conveniente
per il benessere collettivo.
Tuttavia, le fonti non scritte introducono nell'ordinamento elementi di incertezza e
instabilità e si prestano, perciò, a soprusi. Inoltre, l’osservazione storica mette anche in
dubbio l'idea per la quale le fonti non scritte faciliterebbero l'evoluzione sociale. Nei
maggiori Paesi sviluppati, infatti, si fa ricorso alle leggi, non a fonti non scritte, I
cambiamenti sociali, d'altra parte, non avvengono per evoluzione lenta, ma con
modificazioni, spesso repentine e talvolta imposte da una minoranza. Basti ricordare i testi
costituzionali della Francia rivoluzionaria (dopo il 1789).
3.3 Classificazione delle fonti
Le fonti si classificano, secondo una scala gerarchica, in:
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— costituzionali,
— comunitarie,
— primarie;
— subprimarie;
.
— secondarie.
La scala gerarchica è strettamente vincolante, per cui, in primo luogo, una norma posta
su un livello non può essere modificata se non da una norma dello stesso livello (o di
livello superiore); e, in secondo luogo, le norme del livello inferiore debbono conformarsi
a quelle del livello superiore.
L'ordinamento giuridico predispone numerosi strumenti per assicurare la conformità
degli altri del livello gerarchico inferiore a quelli del livello superiore. Se, ad esempio, una
legge (fonte primaria) non si attiene alla Costituzione (fonte costituzionale, che è
superiore), si può, nel corso di un processo, sollevare la questione di costituzionalità e
chiedere alla Corte costituzionale di verificare la corrispondenza della legge alla
Costituzione.
La ragione per la quale è stabilita questa gerarchia delle fonti è la seguente:
determinando quale atto ha maggiore forza, si determina, contemporaneamente, quale
organismo pubblico è più importante. Nell’ordinamento italiano, ad esempio, che è ispirato
al principio di democrazia, uno degli atti di maggior rilievo è la legge, che deve passare al
vaglio del Parlamento. In questo modo, si conferisce un ampio potere al Parlamento, che è
il maggior organismo eletto dal popolo.
Al principio della gerarchia delle fonti si aggiunge quello della competenza. Alcune
materie o alcune zone del territorio possono essere attribuite alla disciplina di organismi
non statali, decentrati (ad esempio, le Regioni), ai quali è conferita la potestà di emanare
nonne che Sono equiparate alle fonti primarie e statali. Proprio per questo, tali fonti
vengono dette subprimarie.
3.4. Le fonti costituzionali
Le fonti costituzionali sono di due tipi:
— principi istituzionali fondamentali e non modificabili. Ad esempio, quello sancito
nell'ultimo articolo della Costituzione (art. 139), per cui "la forma repubblicana non può
essere oggetto di revisione costituzionale”. La trasformazione della Repubblica in
Monarchia comporterebbe una modificazione così profonda da costituire un rivolgimento
costituzionale;
— la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 e le leggi costituzionali (art. 138
Cost.). La Costituzione e le leggi costituzionali sono leggi, ma hanno una particolare forza,
che deriva loro dalla speciale procedura di approvazione e di modificazione (doppia delibe-3-
razione in ciascun ramo del Parlamento, di cui la seconda a maggioranza assoluta dei
componenti) e dal controllo della Corte costituzionale (che assicura la conformità delle
leggi ordinarie alla Costituzione e alle leggi costituzionali). Per questi motivi, la
Costituzione viene detta rigida, mentre lo Statuto albertino, che poteva essere modificato
con legge ordinaria, era una costituzione flessibile.
3.5. Le fonti comunitarie
Nella gerarchia delle fonti, si sono inserite le fonti comunitarie. Queste hanno
acquisito preminenza nei confronti del diritto interno. L'unico loro limite è quello del
rispetto dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili del'uomo. A
queste conclusioni la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia europea sono
pervenute dopo una lunga evoluzione.
In origine, i rapporti erano così definiti. Da un lato, vi era una riserva di competenza a
favore del diritto comunitario. I trattati comunitari stabilivano le materie attribuite alla
Comunità e, di conseguenza, quelle che rimanevano agli Stati.
Dall'altro, le fonti comunitarie erano distinte in regolamenti, con forza di legge e
applicazione diretta negli Stati membri (e, quindi, in Italia) e direttive, rivolte agli Stati che
erano tenuti, a loro volta, a recepirle nell’ordinamento interno.
Successivamente, si sono prodotti due cambiamenti. Da un lato, vi è stata un’espansione
delle competenze comunitarie a danno degli Stati ed è divenuto difficile stabilire la linea
esatta di demarcazionc della sfera comunitaria e di quella statale. Dall’altro le direttive
sono divenute sempre più dettagliate e hanno finito in molti casi con l’equivalere ai
regolamenti.
Da ultimo, la sentenza della Corte costituzionale italiana 5 giugno 1984, n. 170 ha
stabilito che il diritto comunitario prevale sempre su quello interno e che, di conseguenza,
il giudice deve disapplicare le leggi statali in contrasto con le norme comunitarie, sia che
queste seguano, sia che precedano le leggi ordinarie non compatibili con le prime.
La situazione prodottasi non è chiarissima: infatti, la legge statale successiva alla fonte
comunitaria ha bisogno di un giudice che, quando accerti il contrasto con il diritto
comunitario, la disapplichi, non potendo abrogarla. Ne deriva che la norma statale in
contrasto con quella comunitaria rimane in vita, ma va disapplicata nel caso concreto.
3.6 Le Fonti primarie
Le fonti primarie sono gli atti con forza di legge ordinaria, e cioè:
— le leggi approvate secondo l’art. 70 della Costituzione dal Parlamento, promulgate
dal presidente della Repubblica e pubblicate sulla "Gazzeta Ufficiale";
— i decreti legge, adottati dal governo in caso straordinario di urgenza e necessità, se
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convertiti in legge dal Parlamento entro sessanta giorni (art. 77 Cost.);
— i decreti legislativi delegati adottati dal governo sulla base di una legge di
delegazione, approvata dal Parlamento, che deve fissare materia, principi e tempi ai quali
attenersi (art. 76 Cost.);
— i regolamenti della Comunità economica europea che hanno direttamente forza di
legge nell'ordinamento italiano, in virtù dell’art. 11 della Costituzione, che consente le
limitazioni di sovranità.
3.7 Le fonti subprimarie
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Sono quelle che, come s'è detto, pur provenendo da altri organismi pubblici, sono
equiparate a quelle statali.
— le leggi regionali, emanate secondo gli artt. 117 e 121 della Costituzione,
— numerosi regolamenti comunali (ad esempio, in materia edilizia, di polizia e di igiene).
Le norme subprimarie hanno la stessa forza legislativa di quelle primarie, ma sono
vincolate nel loro contenuto all'osservanza dei principi delle norme primarie. E questo si
spiega se si pensa al fatto che esse sono emanate da Regioni e Comuni, nelle materie loro
attribuite.
3.8 Le fonti secondarie
Le fonti secondarie sono definite, per lo più, regolamenti. Ma non tutti i regolamenti
sono, al contrario, fonti secondarie: ad esempio, abbiamo già visto, tra le fonti primarie e
tra quelle subprimarìe, dei regolamenti.
I regolamenti si distinguono m:
a) regolamenti statali se promanano da organi dello Stato (ad esempio, presidente
della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro). Questi si distinguono, a loro volta,
in:
— regolamenti per l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi;
— regolamenti per l’attuazione e l'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti
norme di principio, esclusi quelli relativi a materie riservate alla competenza regionale;
— regolamenti per le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi
forza. di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge;
— regolamenti per l'organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche
secondo le disposizioni dettate dalla legge;
—regolamenti per l’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti
in base agli accordi sindacali;
b) regolamenti non statali, se sono adottati da Regioni, enti locali altri enti pubblici.
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3.9 Altri criteri di identificazione e di classificazione delle fonti
S'è detto che, nell’attuale ordinamento, la materia delle fonti è di stretto diritto positivo,
perché disciplinata analiticamente da norme sulla produzione delle norme. Proprio per
questo motivo, non possono adoperarsi altri criteri di identificazione e di classificazione
delle norme, di carattere contenutistico.
Si dice, ad esempio, che La norma dovrebbe essere generale e astratta. Ed è vero che
molte norme lo sono. Ma questo non è un criterio valido di identificazione delle norme,
perché non è fissato da altre norme. Per cui il Parlamento può, ad esempio, legittimamente
approvate una legge per concedere una pensione a una persona. In questi casi, non si
provvede con atti che riguardano una categoria di persone (e che sono, quindi, generali e
astratti), ma indicando, specificatamente, il destinatario della norma. E tutto ciò è
perfettamente normale, perché non vi sono criteri sostanzia1i o contenutistici per
identificare le nonne, ma solo criteri formali (sono norme quelle dichiarate tali da altre
norme e, principalmente, dalla Costituzione).
Quelli che ritengono esservi criteri contenutistici o sostanziali di identificazione delle
norme distinguono tra:
— legge formale: è la legge approvata dal Parlamento e, quindi, con tutti i caratteri
esteriori della legge; essa, però, dal punto di vista sostanziale, non è tale, perché non è
generale e astratta (ad esempio, la legge con cui si concede una pensione alla vedova di un
ministro),
— legge sostanziale, che, al contrario, avrebbe i caratteri tipici della legge: la generalità,
l'astrattezza, nonché l’imperatività.
Ma la distinzione tra legge formale e legge sostanziale tende a essere abbandonata. Si
osserva, infatti, che l'approvazione di una legge da parte del Parlamento produce sempre un
effetto sulla sostanza dell’atto nel senso di rendere obbligatorio il suo contenuto. A seguito
dell'approvazione da parte del Parlamento, l'atto, quale che sia l'ampiezza della materia
disciplinata, acquista la proprietà di produrre effetti giuridici generali o particolari, sia nei
confronti dei soggetti della collettività (effetti intersoggettivi), sia nei confronti degli
organi dello Stato (effetti interorganici).
Ad esempio, nel caso della concessione di una pensione alla vedova di un ministro,
l'approvazione della legge produce effetti su un organo dello Stato (ministero del Tesoro),
obbligato a erogarne mensilmente una pensione; crea un onere di destinazione su un
capitolo del bilancio dello Stato nel quale è iscritta la somma e produce i suoi effetti anche
nei confronti della collettività che deve sopportare che il denaro pubblico venga destinato a
quello scopo specifico.
Altra distinzione è quella tra fonti-atti (quelle finora esaminate) e fonti-fatti, di cui si è
già detto in un precedente paragrafo. La fonte-fatto è il diritto non scritto, consistente in
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fatti giuridici. L'esempio principale dato dalla consuetudine, composta di un elemento
oggettivo (costituito dalla ripetizione di un comportamento) e di uno soggettivo
(convinzione che il comportamento sia necessario e obbligato).
Ma la consuetudine contro legge è vietata. Quella secondo legge è efficace solo in
quanto richiamata dalla legge (art. 8 delle preleggi al codice ovile). Quella operante fuori
dei casi richiamati dalla legge trova scarsa applicazione, perché le leggi e i regolamenti
danno a essa scarso spazio.
3.10 Efficacia della legge nello spazio
Abbiamo esaminato, finora, l'elenco delle fonti, illustrando l’ordine gerarchico in cui
sono poste. Bisogna pero, prima di passare all'interpretazione, ricordare che, nell’utilizzare
le leggi, non occorre chiedersi soltanto in quale punto della scala gerarchica siano, ma
anche se siano efficaci in quel determinato luogo e momento.
Cominciamo con l’efficacia delle leggi nello spazio. I problemi che si pongono sono di
due tipi.
1. Efficacia sul territorio dello Stato. In generale, la legge nazionale si applica sul
territorio. Per semplificane, però, i rapporti con altre nazioni, gli artt. 16-31 delle preleggi
del codice civile stabiliscono regole diverse da quella della territorialità del diritto. In
particolare:
— le questioni riguardanti le persone sono regolate dalla legge dello Stato al quale esse
appartengono (ad esempio,, in caso di donazione fatta da un cittadino francese, si applica la
legge nazionale del donante, e cioè quella francese);
— le questioni riguardanti le obbligazioni contrattuali possono essere regolate, se le parti
lo vogliono, non dalla legge del luogo dove le parti le hanno stipulate o da quella comune
alle parti, ma da quella che le parti stesse scelgano (due contraenti inglese in Italia,
possono, ad esempio, scegliere la legge inglese o quella italiana, o altra che essi
preferiscano).
2. Efficacia nell'ambito del territorio dello Stato . Si è visto che pure le Regioni, oltre
allo Stato, emanano leggi. Anche per le leggi regionali vale il principio di territorialità. Ad
esempio, una legge della Regione Toscana si applicherà soltanto entro i suoi confini
3.11 Efficacia della legge nel tempo
Di regola, le leggi sono efficaci dal momento in cui entrano in vigore (solitamente 35
giorni dopo la pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale", salvo che le leggi stesse non
contengano un termine più lungo o più breve). E si estendono in maniera illimitata nel
futuro. Non si estendono quindi nel passato, retroattivamente, mentre, al contrario,
regolano ogni evento futuro (salvo, naturalmente, che la legge venga abrogata da altra
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legge o preveda essa stessa un tempo limitato di applicazione).
A queste regole, che sono sinteticamente espresse nell'art. 11 delle preleggi al codice civile
("La legge non dispone che per l'avvenire; essa non ha effetto retroattivo”), possono
esservi quattro eccezioni.
1. Le leggi che, per loro espressa dichiarazione, sono applicabili immediatamente anche ai
rapporti non esauriti, sorti precedentemente, per i quali dovrebbero, quindi, continuare a
valere le leggi preesistenti,
2. La legge che, espressamente dispone la propria retroattività.
Ciò è possibile, nonostante il principio generale per cui la legge dispone solo per
l'avvenire, e non per il passato; ma è escluso da un'espressa norma costituzionale (e, quindi
vincolante, perché di livello gerarchico superiore) per la materia penale: "Nessuno può
essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto
commesso” (art. 25).
3. La legge che, ancora una volta espressamente, sposta a un'epoca successiva alla sua
entrata in vigore la sua applicabilità. Ad esempio, una legge che disponesse la sua
applicabilità a partire da un anno dopo la sua entrata in vigore (che, come detto, avviene, di
regola, 15 giorni dopo la pubblicazione sulla "Gazzetta Ufficiale").
4. Le leggi che sono, fin dall’inizio, temporanee, per cui la loro efficacia non si proietta
nell'avvenire, ma ha un termine. Si possono ascrivere a questa categoria le “disposizioni
transitorie", di solito collocate in fondo alle leggi, che sono destinate a regolare la materia
nella fase di passaggio dalla vecchia alla nuova legge (e cessano di avere efficacia quando
la nuova legge ha trovato applicazione).
3.12 L’interpretazione
Ricapitoliamo brevemente. S'è detto, all'inizio, che legge non è eguale a norma. Altro è
la proposizione normativa, altro la norma. Questa proviene da quella, ma non si identifica
con essa. Per passare dalla proposizione normativa alla norma, bisogna:
— stabilire la gerarchia delle fonti;
— accertare l'efficacia nello spazio,
— accertare l'efficacia nel tempo.
Fatto questo, si ha il quadro delle leggi applicabili. Bisogna, ora, trarne le prescrizioni
applicabili al caso da risolvere: per questo, si ricorre all’interpretazione.
L’interpretazione è l’operazione principale del giurista e consiste nel trarre dal
materiale legislativo la regola che si deve applicare al caso concreto.
3.13 Disciplina normativa dell’interpretazione
Abbiamo visto quanto minuziosamente vengono determinate dalle 1eggi l'elenco e la
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gerarchia delle fonti e con quanta cura ne viene regolata l'efficacia nello spazio e nel
tempo. S’è detto perchè viene fatto tutto ciò: per evitare arbitrii nello stabilire le regole
applicabili e per rispettare la diversa importanza dei vari corpi pubblici: ad esempio, alla
legge è attribuito un posto superiore rispetto al regolamento, perchè la legge passa
all'esame del Parlamento, mentre il regolamento è opera degli apparati amministrativi. Il
Parlamento è composto di persone elette dal popolo, gli apparati esecutivi no. La
Costituzione italiana parte dal principio di preferenza degli organismi democratici (perché
detti dal popolo) rispetto a quelli burocratici (perché composti di personale di camera o di
persone senza un’investitura elettiva di base).
Se, però, stabilite la gerarchia e l’efficacia delle fonti, queste fossero rimesse alla libera
interpretazione degli amministratori, dei giudici e di tutti gli altri organismi che debbono
"applicare le leggi", si darebbe a questi un margine larghissimo di discrezionalità.
L'operazione interpretativa, infatti, non è puramente meccanica. Comporta giudizi e
valutazioni. Può seguire strade diverse. Rimettere la scelta delle varie strade agli apparati
giudiziari e amministrativi che debbono applicare le leggi vuol dire dare loro una grande
possibilità di scelta.
Per evitare ciò, l'art. 12 delle preleggi del codice civile contiene le seguenti norme
sull’interpretazione:
“Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese
dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del
legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane
ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello
Stato".
Esamineremo nel prossimo paragrafo il contenuto di questa disposizione. Va, invece,
sottolineato subito il suo significato complessivo. Essa si propone di limitare la
discrezionalità dell’interpretazione (dei giudici, principalmente, ma anche di tutti gli altri
interpreti ufficiali), stabilendo con quali criteri essa deve essere fatta. La detta limitazione
della libertà interpretativa delle leggi avviene mediante una legge. Ecco, quindi, che
accanto alle norme sulla produzione giuridica e alle norme sulla efficacia delle leggi, vi è
una norma sull’interpretazione delle norme. In questo modo, si chiude il cerchio delle
garanzie disposte dall’ordinamento intorno alle norme. Se le norme sono la parte più
importante dell'ordinamento, stabilire quali sono è l’operazione principale. Per limitare gli
arbitrii che questa operazione comporta, bisogna fare ricorso ad altre norme che
stabiliscano come si producono le norme, quando esse sono efficaci, come esse vanno
interpretate.
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3.14 Gli strumenti di interpretazione
L’art. 12 delle preleggi del codice civile elenca quattro strumenti interpretativi, da
utilizzare l'uno dopo l’altro, facendo ricorso a quello successivo solo se il precedente si è
rivelato infruttuoso.
1. Il significato delle parole della legge. Va inteso come il significato secondo le regole
linguistiche. Questa interpretazione viene correntemente definita grammaticale o lessicale
o testuale.
2- L’intenzione del legislatore. Si deve ricostruire l'iter formativo della legge, esaminando
quelli che si chiamano lavori preparatori: si tratta degli atti parlamentari (disegno o
proposta di legge, relazione che l’accompagna, pareri delle commissioni parlamentari,
resoconti delle discussioni, ecc.).
3. Le disposizioni che regolano cosi simili o materie analoghe.
All’interpretazione analogica (così è chiamato questo tipo d'interpretazione) si ricorre
quando sul problema specifico non vi è alcuna legge. Si fa ricorso allora alla disciplina di
casi simili. Questo è lo strumento col quale si colmano le cosiddette lacune del diritto. Va
tenuto presente, proprio per questo, che, se le leggi hanno lacune (nel senso che, in certi
casi, non vi è una legge che stabilisca espressamente regole), le norme non hanno lacune
(perché, in assenza di una legge che regola specificatamente il caso, si può ricorrere ad
altra legge che disciplina un caso analogo e tranne una norma da applicare al proprio caso).
4. II ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. L’interpretazione
sistematica comporta un’analisi molto difficile, da un punto di vista logico e da un punto di
vista storico, del sistema, per poterne trarre i principi generali che si debbono applicare al
caso specifico. Bisogna, naturalmente, tenere conto di quanto si è notato parlando
dell'ordinamento giuridico: che esistono principi di istituti (ad esempio, l’interpretazione è
l’operazione principale del giurista e consiste nel trarre dal materiale legislativo la regola
che si deve applicare al caso concreto.
3.15
I soggetti che interpretano
L’interpretazione è un’operazione che può essere compiuta da più soggetti:
— dal Parlamento. Non è raro il caso che una legge ponga dubbi interpretativi tali da
richiedere un'altra legge che ne precisi il significato. Si parla, in questo caso, di leggi di
interpretazione, da tenere distinte dalle norme sulla interpretazione, che sono altra cosa;
— dai giudici. Ad essi spetta principalmente il compito di interpretare. La loro
interpretazione si differenzia da quella di altri soggetta perché, concludendosi con una
sentenza, è vincolante per le parti del giudizio;
— dall’amministrazione. Anche in questo caso, l’interpretazione
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può avere effetti vincolanti per i privati, perchè, sulla base dell’interpretazione,
l'amministrazione emanerà un provvedimento amministrativo;
— dal privato. Si può dire che non solo gli operatori del diritto (ad esempio, gli avvocati),
ma molte altre persone leggono e interpretano frequentemente leggi (ad esempio, un
geometra che si interessi dell'espropriazione di un campo dovrà leggere le leggi
sull’espropriazione). In questo caso, l'operazione interpretativa, pur se compiuta a norma
dell’art. 12 prima citato, ha solo scopi conoscitivi e vale solo per l'interessato.
3.16 Codici, testi unici, precedenti
In pratica, la ricerca delle leggi, la loro selezione e la loro interpretazione sono
operazioni spesso molta difficili. Nessuno ha fatto un calcolo del numero delle leggi: in
vigore, ma esso si può stimare intorno a 100.000. Si pensi a quanto intricata è la selva delle
disposizioni intorno a ciascuna materia.
Per facilitare il lavoro dei giudici e degli amministratori, vi sono strumenti pratici diretti o
a rendere più facile l'identificazione delle disposizioni o ad agevolare la loro
interpretazione.
Sono diretti al primo dei due scopi i codici e i testi unici.
I codici sono leggi molto ampie che contengono, in ordine sistematico, le disposizioni
dirette a regolare un ramo del diritto. In Italia vi sono cinque codici: civile, di procedura
civile, penale, di procedura penale, della navigazione. Il primo, il secondo e l'ultimo
risalgono al 1942; il terzo e il quarto al 1931.
Il codice civile consiste di quasi 3.000 articoli, distribuiti in sei partizioni, definite "libri",
relativi a persone e famiglia, successioni, proprietà, obbligazioni, lavoro, tutela dei diritti.
Nel codice civile vigente sono fuse le materie che precedentemente erano distinte in due
codici separati, quello civile e quello di commercio.
La disciplina del codice, pur essendo generale, non esaurisce tutte le materie regolate- Ad
esempio, il codice contiene solo una parte della disciplina della proprietà. Ma altre parti
sono contenute in leggi ad hoc, chiamate leggi speciali: ad esempio, la proprietà di suoli ed
edifici urbani è regolata dalle leggi sull’urbanistica; la proprietà di cose d'interesse artistico
dalla legge sulle cose d'arte ecc.
Nell'uso corrente, si dà il titolo di codici anche a pubblicazioni fatte da studiosi e operatori
che raccolgono le leggi di un certo settore:
ad esempio, codice dei lavori pubblici. In questi casi, l'uso della parola è improprio
volendo indicare una mera raccolta di leggi.
Per l'abbondanza e il disordine delle leggi, si provvede a raccoglierle, ma non
semplicemente giustapponendole, bensì ordinandole e sistemandole. In questo caso, si
parla di testi unici.
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I testi unici sono di due tipi. Possono riprodurre e ordinare norme già vigenti, senza
mutarne il contenuto. Oppure riproducono e ordinano, modificando e adattando, le leggi
esistenti sia pure in limiti ristretti. Si tenga però presente che ai testi unici può provvedere
solo il governo, il quale nella maggior parte dei casi, è autorizzato espressamente da una
legge alla redazione del testo unico.
Accanto ai due tipi principali, vi sono anche, a partire dal 1999, testi unici di
delegificazione, che provvedono sia al riordino delle norme legislative, sia alla
delegificazione (e cioè alla trasformazione di norme legislative in norme regolamentari, per
consentire una loro più agevole modificazione, da parte del governo, senza ricorrere al
Parlamento).
Per agevolare l’interpretazione, si ricorre, di fatto frequentemente, alla regola del
precedente. Questo è un accorgimento pratico, non disciplinato in Italia dalle leggi, a
differenza di altri Paesi, come quelli anglosassoni. Esso consiste nell'esame di casi
analoghi precedentemente decisi, e nell'adeguamento a essi. Ad esempio, il giudice che
deve decidere una controversia per la quale non vi sia una legge che indica espressamente
la soluzione, cercherà, di solito, tra le sentente di altri giudici per vedere se il caso si è già
presentato e, per ragioni di comodo (secondo alcuni, anche per ragioni di parità di
trattamento),
si
adeguerà
al
precedente.
Lo
stesso
avviene,
frequentemente,
nell’amministrazione.
3.17 Ignorantia legis non excusat
Per assicurale la conformità del comportamento della collettività alla legge, si
applica il principio per cui il fatto di non conoscere una legge non giustifica il
comportamento proibito dalla legge. Il cittadino o altro soggetto, quindi, non può dire, per
giustificare un'eventuale inosservanza, di non conoscere la legge. Se si potesse scusare un
comportamento contrario a una legge perché non la si conosceva, i giudici dovrebbero
accertare ogni volta, caso per caso, se la legge era conosciuta.
Tuttavia, la sentenza della Corte costituzionale 23/24 marzo 1988, n. 364 ha stabilito
che è scusabile l’ignoranza di leggi penali che sia inevitabile (ad esempio, se il testo
legislativo è assolutamente oscuro o se 1 giudici che l'interpretano hanno orientamenti
discordanti e caotici).
Lettura
Da Lo stile italiano: l’interpretazione di John H, Merryman
John H. Merryman (nato nel 1920) è il maggiore studioso americano del diritto italiano.
In questo saggio, pubblicato prima negli Stati Uniti e poi in Italia, egli mostra che
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l'interpretazione non è un’operazione meccanica, come può apparire a prima vista. Essa
comporta scelte difficili per il giudice, che deve adattare le leggi a sempre nuove situazioni
(da Lo stile italiano: l'interpretazione, in "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile”,
1968, p. 384).
L'illusione della legge che si applica automaticamente, della norma legislativa così
chiara che la sua applicazione è un processo automatico, è stata da tempo dissolta dai fatti.
La più ovvia obiezione pratica è che fin dal 1865 i tribunali italiani sono stati occupati a
risolvere questioni la cui decisione dipende dal significato da dare alla nonna legislativa.
Le loro decisioni vengono frequentemente appellate e la revisione da giudizi delle corti
ulteriori è avvenimento del tutto normale. Quasi nessuna delle norme del codice civile è
sfuggita al bisogno di essere interpretata dai giudici per chiarirne il significato alle parti, ai
loro difensori e ai giudici stessi.
Similmente il dogma della completezza del codice (non esistono lacune) e della sua
coerenza (non esistono norme contrastanti) non riesce a sopravvivere, se appena si getti
uno sguardo, anche superficiale, alla giurisprudenza. I libri sono pieni di sentenze con le
quali i tribunali dovettero colmare le lacune nello schema legislativo e riconciliare leggi
apparentemente contrastanti. La pretesa onniscienza legislativa diventa un non senso alla
luce dell'apparizione costante di nuovi problemi, chiaramente non previsti dalla
legislazione e richiedenti una risoluzione giudiziale. Benché la lettera delle leggi rimanga
invariata, il suo significato nell'applicazione spesso cambia di fronte alle nuove istanze
sociali. L'ideale della certezza del diritto diviene una illusione di fronte alla incertezza che
esiste nella realtà, dove per determinare il diritto delle parti spesso si deve attendere il
risultato della lite.
Tutto ciò è di lampante evidenza. Il giudice italiano non è, in pratica, soccorso da una
chiara, completa, coerente e preveggente legislazione, che lo sollievi dalla necessità di
interpretare e applicare le norme legislative. Egli è implicato in un processo vitale,
complesso e difficile. Egli deve individuare i problemi e scegliere e applicare a essi norme
di legge che assai raramente, o meglio mai, sono chiare nel contesto del caso, per quanto
chiare possano sembrare in astratto. Egli deve riempire le lacune e risolvere i conflitti nello
schema legislativo. Deve adattare la legge a condizioni mutevoli. Il codice non si presenta,
nell’applicazione, evidente di per sé, neppure (o meglio soprattutto) al giudice scrupoloso.
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