3B_Epifania - salesiani don Bosco

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Omelie per un anno
Volume 1 - Anno “B”
Anno “B”
EPIFANIA DEL SIGNORE
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Is 60,1-6 - La gloria del Signore brilla sopra di te.
Dal Salmo 71 - Rit.: Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della
terra.
Ef 3,2-3a.5-6 - Tutti i popoli sono chiamati, in Cristo Gesù, a
partecipare alla stessa eredità.
Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Abbiamo visto la sua stella in
oriente e siamo venuti per adorare il Signore. Alleluia.
Mt 2,1-12 - Siamo venuti dall'oriente per adorare il re.
Anno “A” e “B”
Cristo, luce del mondo
“Io sono la luce”
Nel prefazio di oggi Cristo è chiamato “luce del mondo”. Così si definirà
egli stesso: “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12); “Finché sono nel
mondo, sono la luce del mondo” (Gv 9,5); “Io come luce sono venuto
nel mondo” (Gv 12,46). Nel giorno di Natale abbiamo udito la parola
dell’evangelista: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la
luce splende nelle tenebre... Veniva nel mondo la luce vera, quella che
illumina ogni uomo” (Gv 1,4-5.9). Ma la luce deve manifestarsi, farsi
vedere: “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma
sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa”
(Mt 5,15). Gesù era nato nell’oscurità della notte. È vero che “un angelo
del Signore si presentò ad alcuni pastori che vegliavano di notte
facendo la guardia al loro gregge” per annunziare loro la nascita del
Salvatore “e la gloria del Signore li avvolse di luce” (Lc 2,8-9); ma,
appunto, si trattava di un gruppo di pastori isolati nella campagna,
appartenenti al popolo ebreo. Ora, se il Bambino, Verbo di Dio fatto
carne, era la luce “che illumina ogni uomo”, doveva manifestarsi anche
fuori di quel popolo che, scelto come custode della parola di verità e di
salvezza, era pur sempre una piccola parte dell’umanità, chiamata tutta
alla verità e alla salvezza (1 Tm 2,4). È quel che accadde, come segno
del progetto di Dio, con la venuta dei Magi, pagani giunti dall’Oriente,
probabilmente dalla Persia. Lo ricorda la colletta: “In questo giorno, con
la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio”; lo
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richiama il prefazio: “Oggi in Cristo luce del mondo tu hai rivelato ai
popoli il mistero della salvezza”. Senza dimenticare che tutta la vita di
Gesù sulla terra, come quella che egli vive nella Chiesa, come la sua
venuta alla fine dei tempi, è una continua “epifania” o “manifestazione”.
Ciò che è predetto, nel linguaggio profetico, nella 1ª lettura e nel salmo
responsoriale ed è annunziato implicitamente nel Vangelo, è affermato
in modo esplicito da s. Paolo: “I Gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a
partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere
partecipi della promessa per mezzo del Vangelo”. La tradizione non
poteva non raccogliere questi dati della parola di Dio. Così s. Agostino,
in una predica sull’Epifania: “Sono passati pochi giorni dalla
celebrazione del Natale del Signore: oggi siamo in dovere di celebrare
solennemente la sua manifestazione, quando incominciò a manifestarsi
ai pagani. Allora furono i pastori a vedere il Signore nato: oggi sono i
Magi venuti dall’Oriente ad adorarlo”.
Così esordiva in un’altra predica: “I Magi vennero dall’Oriente ad
adorare il figlio della Vergine. Noi celebriamo oggi questo giorno con la
dovuta solennità e ne facciamo oggetto del nostro discorso. Questo
giorno è spuntato prima per essi e oggi ne ricorre la festa anniversaria.
Essi erano le primizie dei pagani, noi il popolo venuto dal paganesimo”.
Queste ultime parole mostrano che queste riflessioni non riguardano
solo un fatto avvenuto venti secoli fa, ma toccano anche noi,
discendenti da quei popoli pagani, di cui i Magi erano le “primizie”,
chiamati come loro dall’amore di Dio Padre “a partecipare alla stessa
eredità, a formare lo stesso corpo”, la Chiesa, di cui Cristo è il Capo, “e
ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo”. Sappiamo
apprezzare la nostra vocazione di cristiani, c’impegniamo a rispondervi
con una fede ferma e coerente?
“Ti adoreranno tutti i popoli della terra”
Queste parole del salmo responsoriale, ripetute come ritornello,
richiamano una verità che emerge con forza dalla festa di oggi e che è
ripetutamente proclamata nei testi liturgici: l’universalità della
chiamata di Dio. L’ha dichiarato, quaranta giorni dopo la nascita del
Bambino che teneva fra le braccia, il vecchio Simeone, illuminato dallo
Spirito Santo, benedicendo Dio: “I miei occhi han visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e
gloria del tuo popolo, Israele” (Lc 2,30-32). La 1ª lettura annunzia a
Gerusalemme che i popoli cammineranno nella sua luce, la invita a
guardare ai suoi figli che vengono da lontano, ai beni dei popoli che
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affluiranno a lei, allo stuolo di cammelli e di dromedari che la
invaderanno venendo da regioni remote. Accenti simili si trovano nel
salmo: “Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra... A lui tutti i re
si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni”.
Il significato di questa festa come richiamo all’universalità dell’unico
popolo di Dio è sottolineato dal Concilio: “Tutti gli uomini sono chiamati
a formare il nuovo popolo di Dio. Perciò questo popolo, restando uno e
unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si
adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio ha creato
la natura umana una, e vuole radunare insieme infine i suoi figli, che si
erano dispersi (cf Gv 11,52)”. Questo disegno divino è già una realtà:
“L’unico popolo di Dio è dunque presente in tutte le nazioni della terra,
poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i suoi cittadini, cittadini di un
regno che per sua natura non è della terra, ma del cielo. E infatti tutti i
fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito
Santo”. Citati poi i testi di Isaia e del salmo proclamato oggi, il Concilio
continua: “Questo carattere di universalità che adorna il popolo di Dio è
un dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica
efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con
tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità del suo spirito” (Lumen
Gentium, 13). È il “mistero” di cui parla oggi s. Paolo, che Dio “ha
rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito”, affinché,
spiega il Concilio, “predicassero il Vangelo, suscitassero la fede in Gesù
Cristo e Signore, e congregassero la Chiesa” (Dei Verbum, 17).
Questo disegno divino è una realtà: una realtà sempre in cammino.
Perciò il Concilio dedica un documento apposito all’attività missionaria,
compito essenziale della Chiesa.
E da parte nostra?
Da parte nostra, il dovere di collaborare con fede e con generosità
all’annunzio del Vangelo, sia nei nostri paesi sia là dove il messaggio di
Cristo non è ancora arrivato. I Magi ci sono esempio di fede e di buona
volontà. S. Giovanni Crisostomo mostra come tutto è umanamente
inspiegabile in questo fatto: i Magi fanno un lungo viaggio e appena
adorato il Bambino ritornano al loro paese. Vedono un re: ma quali sono
le sue insegne? Una capanna, una mangiatoia come culla, una madre
povera. Chi è colui al quale offrono i loro doni e perché?
C’era forse una legge o un’usanza per cui si dovessero tributare tali
omaggi a tutti i re che nascevano nel mondo? Ma la buona volontà li
aiuta a superare tutti gli ostacoli.
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Cerchiamo di imitarli in questo impegno come pure nell’offerta dei doni.
Essi, leggiamo in una predica che è forse del nostro s. Massimo,
“offrirono al Salvatore ciò che, per quanto dipendeva da loro,
giudicavano più prezioso: oro, incenso e mirra”. La liturgia ci invita a
un’offerta incomparabilmente più grande e preziosa: a offrire “colui che
in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo
nostro Signore” (preghiera sulle offerte).
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Anno “C”
Il mistero rivelato ai popoli
Nei primi secoli si ricordavano in un’unica celebrazione il Natale del
Signore e la venuta dei Magi. Commemorando a parte questo
avvenimento, la Chiesa intende richiamare l’attenzione sul fatto che
Gesù è venuto non solo per il popolo d’Israele, a cui appartenevano
quelli che per primi l’hanno visto e adorato: Maria, Giuseppe e i pastori,
ma per tutti i popoli, anche per i più lontani, rappresentati dai Magi.
“Cristo, luce del mondo”
Così lo presenta il prefazio, riprendendo l’aperta dichiarazione fatta da
Gesù stesso: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà
nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Questo tema,
familiare alla liturgia del Natale, è ripreso dalla parola del discepolo di
Isaia che ripete il messaggio del maestro al popolo d’Israele che ritorna
dall’esilio di Babilonia: “Alzati, rivèstiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono
la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te. Cammineranno i popoli alla tua luce, i re
allo splendore del tuo sorgere”. È la luce della stella che i Magi hanno
visto sorgere nell’Oriente, e che, precedendoli nell’ultima tappa del
lungo cammino, “si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”,
destando nei pellegrini “una grandissima gioia”.
È la luce spirituale con cui Dio ha rivelato alle genti il suo unico Figlio, la
luce della fede con cui noi l’abbiamo conosciuto e che un giorno
diventerà visione piena e beatificante. La luce con cui Dio ha fatto
conoscere a Paolo “il mistero... rivelato ai suoi santi apostoli e profeti
per mezzo dello Spirito”.
Preghiamo con la Chiesa: “La tua luce, Signore, ci accompagni sempre
e in ogni luogo”. Apriamo gli occhi a questa luce, seguiamo con la buona
volontà dei Magi la stella della fede, vigilanti perché non ci colga la
tenebra dell’incredulità, dell’ateismo dilagante, rendendoci insensibili,
come i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, come Erode, all’appello
che ci viene dal Salvatore nato per noi a Betlemme.
“Cammineranno i popoli alla tua luce”
Perché egli è venuto per tutti, vicini e lontani, nello spazio e nel tempo.
Non solo gli Ebrei, ma anche “i Gentili”, cioè tutti i popoli della terra,
“sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a
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formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per
mezzo del vangelo”. Ha detto bene don Mazzolari, eco della voce di
tutta la Chiesa: “Nessuno è fuori della salvezza, perché nessuno è fuori
del suo amore, che non si sgomenta né si raccorcia per le nostre
opposizioni o i nostri rifiuti”.
“Tutti gli uomini”, insegna il Concilio, “sono chiamati a questa cattolica
unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a
questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli
cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza
eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza” (Lumen gentium,
13).
Vale anche per la Chiesa d’oggi l’invito e la visione del profeta: “Alza gli
occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I
tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
È il disegno di Dio. Egli “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino
alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Ma Dio non costringe nessuno:
tocca all’uomo rispondere alla chiamata. Tocca a noi che abbiamo avuto
il dono della fede farci “collaboratori di Dio” (1 Cor 3,9). “Tutti i fedeli,
quali membra del Cristo vivente, a cui sono stati incorporati ed
assimilati mediante il battesimo, la cresima e l’Eucaristia, hanno lo
stretto obbligo di cooperare all’espansione e alla dilatazione del suo
Corpo, sì da portarlo il più presto possibile alla sua pienezza (cf Ef
4,13)” (Ad gentes, 36). L’Epifania è la grande festa delle missioni, non
solo per i generosi che hanno consacrato tutta la loro vita a questa
causa, ma per la Chiesa intera, che è “tutta missionaria, essendo
l’opera evangelizzatrice dovere fondamentale del popolo di Dio” (Ad
gentes, 35).
Missionari, in senso largo ma vero, dobbiamo essere tutti, dappertutto,
sempre. Perché anche oggi l’uomo ha bisogno di Gesù. Ha ragione uno
scrittore di romanzi: “Sei dunque ancora splendidamente moderno,
Gesù di Nazaret, e continuerai ad esserlo, finché l’umanità non avrà
trovato il modo di raggiungere la fine dei tempi, o, come dicevi più
volentieri Tu, la gloria”.1
Dobbiamo adoperarci perché a tutti arrivi la luce del Vangelo. La parola
è evidentemente necessaria, ma lo è ancora più la testimonianza della
vita. Porta il messaggio di luce e di salvezza chi avvicina il fratello con
l’amore che spinse Cristo Salvatore alla ricerca della pecora smarrita,
che lo avvicinò ai peccatori, ai sofferenti, ai lebbrosi, ai dimenticati e
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G. BERTO, La Gloria, Mondadori, Milano 1978, p. 29.
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agli emarginati. Chi, in nome di Cristo salvatore e liberatore, prega,
lavora e combatte per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Il
Messia, proclama il salmo, “libererà il povero che grida e il misero che
non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei
suoi miseri”. Ma anche in questo Cristo ci vuole suoi collaboratori
disinteressati, generosi, coraggiosi.
L’ultima epifania
La fede, che è la stella che ci guida a Cristo durante questa vita, non ce
lo fa vedere se non “come in uno specchio, in maniera confusa: ma
allora vedremo a faccia a faccia” (1 Cor 13,12). “Allora”, quando
saremo stati condotti da Dio a contemplare la grandezza della sua
gloria. È la grazia che chiediamo oggi, che dobbiamo chiedere sempre.
È la speranza che ci accompagna e ci sostiene. Ce lo dice ancora don
Mazzolari: “Chi può vivere senza speranza? Chi può reggere senza
sostegno e portare questo lungo tribolare senza consolazione? Le
speranze non si contano: una sola è la Speranza. Molti sono i sostegni:
uno solo tiene contro il tempo, contro le vicende, contro gli uomini.
Molte sono le consolazioni: uno è il Consolatore”.
“Questa è la nostra speranza: il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha legato
la sua sorte alla nostra!”.
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