6 gennaio EPIFANIA DEL SIGNORE Is 60,1-6 - La gloria del Signore brilla sopra di te. Dal Salmo 71 - Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra. Ef 3,2-3a.5-6 - Tutti i popoli sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità. Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti per adorare il Signore. Alleluia. Mt 2,1-12 - Siamo venuti dall’oriente per adorare il re. Cristo, luce del mondo «Io sono la luce» Nel prefazio di oggi Cristo è chiamato «luce del mondo». Così si definirà egli stesso: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12); «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo» (Gv 9,5); «Io come luce sono venuto nel mondo» (Gv 12,46). Nel giorno di Natale abbiamo udito la parola dell’evangelista: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre... Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,4-5.9). Ma la luce deve manifestarsi, farsi vedere: «Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15). Gesù era nato nell’oscurità della notte. È vero che «un angelo del Signore si presentò ad alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge» per annunziare loro la nascita del Salvatore «e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,8-9); ma, appunto, si trattava di un gruppo di pastori isolati nella campagna, appartenenti al popolo ebreo. Ora, se il Bambino, Verbo di Dio fatto carne, era la luce «che illumina ogni uomo», doveva manifestarsi anche fuori di quel popolo che, scelto come custode della parola di verità e di salvezza, era pur sempre una piccola parte dell’umanità, chiamata tutta alla verità e alla salvezza (1 Tm 2,4). È quel che accadde, come segno del progetto di Dio, con la venuta dei Magi, pagani giunti dall’Oriente, probabilmente dalla Persia. Lo ricorda la colletta: «In questo giorno, con la guida della stella, hai rivelato alle genti il tuo unico Figlio»; lo richiama il prefazio: «Oggi in Cristo luce del mondo tu hai rivelato ai popoli il mistero della salvezza». Senza dimenticare che tutta la vita di Gesù sulla terra, come quella che egli vive nella Chiesa, come la sua venuta alla fine dei tempi, è una continua «epifania» o «manifestazione». Ciò che è predetto, nel linguaggio profetico, nella 1a lettura e nel salmo responsoriale ed è annunziato implicitamente nel Vangelo, è affermato in modo esplicito da s. Paolo: «I Gentili sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo». La tradizione non poteva non raccogliere questi dati della parola di Dio. Così s. Agostino, in una predica sull’Epifania: «Sono passati pochi giorni dalla celebrazione del Natale del Signore: oggi siamo in dovere di celebrare solennemente la sua manifestazione, quando incominciò a manifestarsi ai pagani. Allora furono i pastori a vedere il Signore nato: oggi sono i Magi venuti dall’Oriente ad adorarlo». Così esordiva in un’altra predica: «I Magi vennero dall’Oriente ad adorare il figlio della Vergine. Noi celebriamo oggi questo giorno con la dovuta solennità e ne facciamo oggetto del nostro discorso. Questo giorno è spuntato prima per essi e oggi ne ricorre Epifania del Signore - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 1 la festa anniversaria. Essi erano le primizie dei pagani, noi il popolo venuto dal paganesimo». Queste ultime parole mostrano che queste riflessioni non riguardano solo un fatto avvenuto venti secoli fa, ma toccano anche noi, discendenti da quei popoli pagani, di cui i Magi erano le «primizie», chiamati come loro dall’amore di Dio Padre «a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo», la Chiesa, di cui Cristo è il Capo, «e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo». Sappiamo apprezzare la nostra vocazione di cristiani, c’impegniamo a rispondervi con una fede ferma e coerente? «Ti adoreranno tutti i popoli della terra» Queste parole del salmo responsoriale, ripetute come ritornello, richiamano una verità che emerge con forza dalla festa di oggi e che è ripetutamente proclamata nei testi liturgici: l’universalità della chiamata di Dio. L’ha dichiarato, quaranta giorni dopo la nascita del Bambino che teneva fra le braccia, il vecchio Simeone, illuminato dallo Spirito Santo, benedicendo Dio: «I miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,30-32). La 1a lettura annunzia a Gerusalemme che i popoli cammineranno nella sua luce, la invita a guardare ai suoi figli che vengono da lontano, ai beni dei popoli che affluiranno a lei, allo stuolo di cammelli e di dromedari che la invaderanno venendo da regioni remote. Accenti simili si trovano nel salmo: «Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra... A lui tutti i re si prostreranno, lo serviranno tutte le nazioni». Il significato di questa festa come richiamo all’universalità dell’unico popolo di Dio è sottolineato dal Concilio: «Tutti gli uomini sono chiamati a formare il nuovo popolo di Dio. Perciò questo popolo, restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di Dio, il quale in principio ha creato la natura umana una, e vuole radunare insieme infine i suoi figli, che si erano dispersi (cf Gv 11,52)». Questo disegno divino è già una realtà: «L’unico popolo di Dio è dunque presente in tutte le nazioni della terra, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i suoi cittadini, cittadini di un regno che per sua natura non è della terra, ma del cielo. E infatti tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo». Citati poi i testi di Isaia e del salmo proclamato oggi, il Concilio continua: «Questo carattere di universalità che adorna il popolo di Dio è un dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità del suo spirito» (Lumen Gentium, 13). È il «mistero» di cui parla oggi s. Paolo, che Dio «ha rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito», affinché, spiega il Concilio, «predicassero il Vangelo, suscitassero la fede in Gesù Cristo e Signore, e congregassero la Chiesa» (Dei Verbum, 17). Questo disegno divino è una realtà: una realtà sempre in cammino. Perciò il Concilio dedica un documento apposito all’attività missionaria, compito essenziale della Chiesa. E da parte nostra? Da parte nostra, il dovere di collaborare con fede e con generosità all’annunzio del Vangelo, sia nei nostri paesi sia là dove il messaggio di Cristo non è ancora arrivato. I Magi ci sono esempio di fede e di buona volontà. S. Giovanni Crisostomo mostra come tutto è umanamente inspiegabile in questo fatto: i Magi fanno un lungo viaggio e appena adorato il Bambino ritornano al loro paese. Vedono un re: ma quali sono le sue insegne? Una capanna, una mangiatoia come culla, una madre povera. Chi è colui al quale offrono i loro doni e perché? Epifania del Signore - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 2 C’era forse una legge o un’usanza per cui si dovessero tributare tali omaggi a tutti i re che nascevano nel mondo? Ma la buona volontà li aiuta a superare tutti gli ostacoli. Cerchiamo di imitarli in questo impegno come pure nell’offerta dei doni. Essi, leggiamo in una predica che è forse del nostro s. Massimo, «offrirono al Salvatore ciò che, per quanto dipendeva da loro, giudicavano più prezioso: oro, incenso e mirra». La liturgia ci invita a un’offerta incomparabilmente più grande e preziosa: a offrire «colui che in questi santi doni è significato, immolato e ricevuto: Gesù Cristo nostro Signore» (preghiera sulle offerte). Epifania del Signore - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 3