Cass_23_3_98_3076 Cassazione civile, SEZIONE III, 23 marzo 1998, n. 3076 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Angelo GIULIANO Presidente" Antonio LIMONGELLI Consigliere" Giuliano LUCENTINI Rel. "" Mario FINOCCHIARO "" Donato CALABRESE "ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: SACCHINI GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA BARBERINI67, presso lo studio dell'avvocato ANTONIO PICOZZI, che lo difende unitamente all'avvocato SALVATORE SPINA, giusta delega in atti; Ricorrente contro MATTEUCCI DERVISHI BRUNA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA A.TRAVERSARI 55, presso lo studio dell'avvocato G MARZANO, difesa dall'avvocato ROSARIO DI PIETRO, con studio 57025 PIOMBINO (LI), VIATRENTO e TRIESTE n. 55, giusta delega in atti; Controricorrente avverso la sentenza n. 111-96 della Corte d'Appello di FIRENZE, emessa il 10-11-95 depositata il 15-02-96;RG. 739-93.udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del18-12-97 dal Consigliere Dott. Giuliano LUCENTINI;udito l'Avvocato SALVATORE SPINA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Orazio FRAZZINI che ha concluso per rigetto del ricorso. Fatto Con citazione 16 giugno 1989 Bruna Dervishi - premesso che il Presidente del Tribunale di Livorno le aveva ingiunto di pagare la somma di lire 8.806.000 a Giovanni Sacchini per la mediazione da lui svolta in relazione ad un preliminare di vendita immobiliare stipulato, per il prezzo di lire 370.000.00, tra Santini Virgilio, promittente venditore, e il di lei figlio Alessandro Dervishi, promissario acquirente - opponevasi all'ingiunzione di pagamento, rilevando che il preliminare era nullo in quanto privo della sottoscrizione del secondo, laddove essa opponente aveva sottoscritto il documento negoziale solo in quanto proprietaria di immobile che, previa donazione al figlio, avrebbe dovuto cedere al Santini in conto prezzo. Conveniva pertanto il Sacchini davanti allo stesso Tribunale di Livorno per sentire revocare il decreto opposto. Radicatosi il contraddittorio, l'adito giudice respingeva l'opposizione, ma, su gravame della Dervishi, la Corte d'appello di Firenze revocava il decreto. Motivava all'uopo la Corte territoriale - nel limite di rilevanza segnato dai motivi di ricorso - che non poteva ritenersi che la Dervishi avesse concluso in proprio il preliminare, sebbene l'avesse sottoscritto, risultando stipulato non già da essa, ma dal Santini, da un lato, e da Alessandro Dervishi, dall'altro (onde la clausola relativa al pagamento della provvigione, facente carico alle parti, non poteva esserle riferita); nè, d'altro canto, si poteva ipotizzare la conclusione di un contratto contratto a favore del terzo (il figlio Alessandro), questo essendo incompatibile con un preliminare di vendita, poiché con esso contratto, lungi dal potersi imporre obblighi al terzo, è solo possibile attribuirgli situazioni giuridiche attive. Il fatto era, piuttosto, che l'avere essa sottoscritto il preliminare dava luogo, in base alle regole dell'interpretazione dei contratti, ad una rappresentanza senza potere; e pertanto, non essendo intervenuta la ratifica del rappresentato, il contratto era - e restava - claudicante, con la conseguenza ultima che non poteva dirsi nato il diritto alla provvigione. Per la cassazione della sentenza il Sacchini ha proposto ricorso sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l'intimata. Entrambe le parti hanno presentato memoria difensiva. Diritto Con il primo motivo il ricorrente deduce che, secondo l'interpretazione letterale e teologica del contratto, la Dervishi aveva stipulato, in proprio, un preliminare. Mentre invero non risultava che avesse agito quale procuratrice del figlio, era significativo, nel senso appena detto, che si fosse qualificata, alla clausola 2), come parte acquirente, in relazione all'obbligo di cedere al Santini, a titolo di prezzo, l'immobile di sua proprietà. Con il secondo motivo, denunziando violazione dell'art. 1411 c.c. in relazione agli artt. 1754 e segg. c.c., il medesimo ricorrente deduce, in via subordinata, che la Dervishi, sottoscrivendo il contratto, aveva stipulato un contratto a favore di terzo (il figlio Alessandro), per il quale è sufficiente un interesse soltanto morale. D'altro canto, questa stessa Corte aveva riconosciuta la piena compatibilità di tale fattispecie in relazione al contratto preliminare. I due motivi debbono essere esaminati congiuntamente, attenendo alla medesima questione della qualificazione del contratto inter partes. Osserva la Corte. È ripetuta affermazione che l'interpretazione del contratto nel suo complesso o di una singola clausola di esso, mirando ad evidenziare una verità storica (la comune intenzione delle parti contraenti) è tipico accertamento di fatto riservato istituzionalmente al giudice di merito, che è censurabile in sede di legittimità unicamente per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli art. 1362 e ss. c.c., e per vizi di motivazione. Perché sia configurabile una violazione delle regole legali di interpretazione del contratto, non è sufficiente che il ricorrente faccia astrattamente richiamo agli art. 1362 e ss. c.c., ma è necessario che lo stesso indichi, in modo specifico, i canoni in concreto inosservati e, soprattutto, il modo in cui il giudice del merito si sia da essi discostato, non essendo idonea la mera critica del risultato raggiunto dal giudice medesimo mediante la contrapposizione, a quella datane dal giudice stesso, di una sua difforme interpretazione (così da ultimo, Cass. 30 gennaio 1995 n. 1092, Cass. 3 settembre 1994 n. 7641, Cass. 4 febbraio 1993 n. 1375). Rebus sic stantibus, deve dichiararsi l'infondatezza dei due mezzi d'annullamento, i quali sostanzialmente si risolvono nel contrapporre inammissibilmente all'interpretazione del giudice del gravame (il contestato negozio costituiva una promessa di vendita stipulata da rappresentante senza poteri) una diversa interpretazione (la Dervishi aveva stipulato il preliminare in proprio e nel proprio interesse, ovvero, in subordine, a favore del figlio Alessandro). Notasi appena, in relazione al secondo motivo, che dalla complessiva trama argomentativa della decisione impugnata emerge sostanzialmente che la Corte territoriale escluse l'ipotesi normativa del contratto a favore del terzo non già in ragione di un'ontologica incompatibilità con il contratto preliminare (la quale è in realtà insussistente: v. Cass. 28 aprile 1989 n. 1993), ma in quanto il contratto preliminare in questione, prevedendo obblighi del supposto favorito (Alessandro Dervishi) in ordine al pagamento di parte del prezzo, non poteva per ciò stesso essere qualificato a suo favore. Con l'ultimo motivo, il ricorrente - nel citare il principio di cui a Cass. 26 marzo 1956 n. 908 - censura la sentenza nella parte in cui aveva comunque omesso di considerare che il diritto alla provvigione può essere fatto valere anche contro chi non sia parte del contratto, ove ne sia provata la commissione dell'incarico e l'assunzione del correlativo obbligo. Anche tale doglianza è infondata. Intanto, il ricorrente avrebbe dovuto indicare gli elementi di fatto, pretermessi dal giudice del gravame, dai quali risulterebbe il conferimento dell'incarico in questione e l'assunzione dell'obbligo, da parte della Dervishi, in ordine al pagamento della provvigione. In ogni caso, indipendentemente da ciò, è da considerare che, al fine di riconoscere il diritto del mediatore alla provvigione, l'affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per la esecuzione del contratto (Cass. 13 marzo 1995 n. 2905, Cass. 13 gennaio 1982 n. 186), laddove, alla stregua della decisione del giudice d'appello, che qualificò il rapporto secondo gli artt. 1398 e 1399 c.c., un vincolo giuridico siffatto non sorse certamente in capo alle parti. Esattamente in questi termini, in relazione ad una fattispecie del tutto simile a quella esaminata, è Cass. 8 maggio 1980 n. 136, secondo cui il perfezionamento del contratto concluso per effetto dell'opera del mediatore, costituisce, a norma del comma 1 dell'art. 1755 c.c. la condizione ed il momento del sorgere del diritto del mediatore alla provvigione. Pertanto, nel caso di contratto concluso dal falsus procurator, che non è nè invalido, nè inefficace, ma costituisce un negozio a formazione successiva soggettivamente complesso, perfezionantesi con la ratifica del dominus, la nascita del diritto alla provvigione per l'opera di mediazione si ha solo quando intervenga detta ratifica ma non qualora il terzo ed il falsus procurator, ai sensi del comma 3 dell'art. 1399 c.c., sciolgano concordemente il contratto prima che questo sia ratificato (nel medesimo senso vedasi anche Cass. 7 marzo 1964 n. 486). Il ricorso, in definitiva, dev'essere interamente rigettato. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese di questa fase del giudizio, nella liquidazione di cui in dispositivo. P.Q.M rigetta il ricorso proposto da Sacchini Giovanni e condanna il ricorrente alle spese di questa fase del giudizio, che liquida in lire 128.400, e in lire 1.000.000, quanto agli onorari. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, addì 18 dicembre 1997. Nota - In senso conforme, Cass. 5 dicembre 1987 n. 9034.