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Ascoli Piceno lì, 13.2.2003
Signor Presidente del Consiglio Comunale,
Signor Sindaco,
Assessori, Consiglieri,
Signore e Signori,
La mia prima Visita Pastorale volge verso la conclusione. Sono stati due anni di ascolto. Mi è
stato permesso farlo nella grande tradizione della presenza della comunità cristiana in questa Vallata del
Tronto,
Non vengo tra voi con la pretesa di essere maestro. Gesù ha detto "non fatevi chiamare maestri"
(Mt 23,10) e non mi sento superiore a nessuno.
Ancora Gesù ha affermato che "chi si innalza sarà abbassato" (Mt 23,12) .
Mi sgomenta la mia pochezza e la coscienza dei miei limiti.
Desidero semplicemente e con molta modestia mettere a fuoco quei dinamismi e quei processi
sociali che mi permettono qualche riflessione sul momento presente della nostra società.
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La necessità di un ordine nella società
Una società sta o cade, cresce o decresce, progredisce o si degrada, in quanto riesce o non riesce
a stabilire un ordine consensualmente accolto, almeno in linea di principio, da tutti o dalla maggior parte
dei suoi membri, con una indicazione di valori, di fini, di priorità.
"Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi" (Mt
12,25).
Per raggiungere l'ordine occorrono modi concreti nei quali ciò si realizzi con una certa quota di
variabilità:
- Disponibilità al dialogo tra i membri della società (ma anche della nostra Chiesa),
- Approccio che riconosce la possibilità di una contrapposizione tra idee diverse, ma riporta in
primo piano le buone ragioni di una appartenenza comune,
- Necessità di una disposizione al perdono reciproco per scelte non fatte nel passato, per
incertezze presenti, per le divisioni.
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Radice dell'ordine è uno sforzo condiviso di intelligenza e comprensione.
L'intelligenza umana è chiamata ad esprimersi come intelligenza complessiva di alcune finalità
condivise e di alcuni valori ritenuti prioritari e validi per tutti.
Senza un esercizio costante, paziente, continuo di una intelligenza collettiva, i valori si
confondono, le priorità si sovvertono, le possibilità di operazioni comuni in ordine al raggiungimento
dei fini divengono fiacche e inefficaci.
Non è sufficiente invocare concordia, buona intesa, unanimità quando l'intelligenza non compie
lo sforzo di mettere in luce i valori comuni e di evidenziarne la credibilità.
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L'intelligenza riesce a mettere ordine nel mondo dei fini e delle azioni corrispondenti tanto più
quanto non solo più lungo ma più alto è il suo sguardo.
Non è necessario tacitare gli interessi dei singoli o rinnegare le giuste attese dei gruppi di una
società.
Occorre, tuttavia, uno sforzo di intelligenza comune che si porti al di la dei fini intermedi e dei
progetti parziali, in modo che si colga da tutti insieme il fine comune di una società e gli orizzonti
sempre più vasti che si dischiudono all'agire e allo sperare umano.
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L'intelligenza mette ordine non solo quanto guarda in alto o guarda lontano, ma quanto
raggiunge il vero. E' ingiustificata la sfiducia di poter raggiungere insieme alcune verità comuni, perché
è soltanto per mezzo di esse e mediante l'adesione a valori comuni che è possibile stare uniti e operare
efficacemente.
Non vuole dire che non esistono difficoltà nell'esprimere le cose come stanno: vuol dire che lo
sforzo costante di ciascuno è quello di distinguere il vero dal falso, l'utile dall'inutile, il puramente
dilettevole da ciò che veramente giova.
Nella società civile si tratta di fare emergere, attraverso la critica e il consenso, la riflessione e la
discussione pacata, le ragioni e il convincimento, quei valori che una tradizione secolare ha messo in
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luce e l'esperienza quotidiana della gente onesta ritiene validi. Per questo un clima di sospetto
generalizzato, quasi non esistesse più onestà, verità, sincerità, ma tutto fosse un immondezzaio di
ipocrisie da scoprire impietosamente l'una dopo l'altra fino ad arrivare a concludere che non c'è nulla e
nessuno di cui fidarsi, non corrisponde a quella storia di salvezza e di verità che pur ha costruito
qualcosa nei secoli e che ancora oggi lavora nel cuore di ciascuno.
5.
Il quinto principio che dovrebbe guidare il cuore comune può essere espresso in questi termini: i
fenomeni sociali non sono fenomeni necessari.
Anche tenendo conto del gioco degli interessi individuali e collettivi, presenti in ogni società, i
fenomeni che determinano la storia sono sempre quelli legati alla libertà.
La storia vera della società è quella fatta da uomini e donne libere, che scelgono i loro fini
secondo un criterio di verità e che si aiutano a vicenda per comprendere sempre meglio ciò che vale al
pena di fare insieme.
E' quindi ingiustificato un pessimismo sociale sistematico.
Non bisogna negare che gli interessi immediati e gli istinti siano una forza potente nella società.
Insieme però bisogna riconoscere che c'è nell'uomo intelligenza, quindi una capacità di bene, e che il
tendere ai valori corrisponde altrettanto e ancora di più alla natura dell'uomo di quanto non vi
corrisponda la sua propensione a soddisfare i propri interessi immediati o di gruppo.
Tale affermazione non è puramente astratta, bensì sostanziata da tutti i progressi sociali
affettivamente raggiunti. Lo sviluppo a cui il genere umano aspira è la promozione di ogni uomo e di
tutto l'uomo.
L'intelligenza singola e quella collettiva, pur tra mille esitazioni e incoerenze, riconoscono
questa esigenza e la favoriscono. Perciò, un'opinione pubblica e un'informazione che sottolineano quasi
unicamente i processi negativi di una società, coltivando solo l'ansia e la contrapposizione malevole,
non ne rappresentano il vero volto, ma soltanto le deformità, le macchie e le rughe.
Per quanto esatte siano le singole informazioni, il quadro d'insieme ne risulta falsato. In tale luce
fallace appare fallace anche l'espressione, oggi corrente, che i gruppi sociali e politici debbano
rappresentare sempre e soltanto coaguli di interessi.
Esistono certamente coaguli di interesse, e sono legittimi. Tuttavia, ogni perseguimento di
interesse proprio, per essere autentico, deve potersi protendere, per essere autentico, mediante una
intelligenza più ampia, a cogliere le condizioni generali nelle quali esso può esprimersi in maniera
veramente umana, obbedendo cioè a quelle leggi profonde che fanno si che ciascuno uomo goda non
solo del proprio bene, ma pure di quello altrui e di quello comune, perché è in questo allargamento di
visuale che l'uomo raggiunge la sua vera umanità. In questo senso possiamo dire che la politica è
occasione per mettere a tema i bisogni della persona.
6.
Il pensiero sociale cristiano, specialmente da Leone XIII in poi, si è ispirato a quattro criteri che
vengono chiamati una "grammatica" per declinare il fatto sociale:
- La centralità della persona intesa sempre come fine e mai come mezzo. L'uomo vale per quello che è, e
non per quello che ha o che fa. E' questa la prima regola della grammatica etica.
Riconoscere questo primato significa accettare, in via teorica e pratica che la persona umana (uomo e
donna) con la sua dignità trascendente è "L'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica - sociale".
Ormai "Credenti e non credenti sono pressoché concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra
deve essere riferito all'uomo come suo centro e vertice" (Gaudium et spes, n.63). Da questo principio
deriva un fondamentale criterio di giudizio. Lo Stato e la società dovranno perseguire il bene comune,
subordinandolo sempre alla piena realizzazione della persona. La Società e lo Stato possono sì disporre
dell'attività della persona stessa per il raggiungimento dei fini comuni, ma non potranno mai disporre
della persona stessa, né della vita dell'uomo, essendo questa il fondamento di tutti gli altri diritti. I limiti
morali e giuridici che ne derivano non mortificano perciò né i pubblici poteri, né lo sviluppo, né il
progresso della ricerca scientifica, ma sono semplicemente una garanzia di civiltà.
- La solidarietà come esigenza fondamentale dell'uomo e alla quale tutti dobbiamo sempre convergere.
Oggi in seguito alla crescente consapevolezza della interdipendenza tra gli uomini e le nazioni, la
solidarietà si è trasformata in coscienza e ha acquistato connotazione morale. E' diventata
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia il bene di tutti e di
ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. La solidarietà è il potere dei non potenti.
- La sussidiarietà.
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Come la persona viene prima della società, così la società viene prima dello Stato. E' questo un
punto centrale del pensiero sociale della Chiesa e della tradizione del cattolicesimo sociale. Basti qui
citare un testo classico con il quale don Sturzo si riallaccia appunto a tutto il pensiero sociale cristiano.
"Per noi - egli disse al IV Congresso nazionale del Partito Popolare (Torino, 12 aprile 1923) - lo
Stato è la società organizzata politicamente per raggiungere fini specifici; esso non sopprime, non
annulla, non crea i diritti naturali dell'uomo, della famiglia, della classe, dei comuni, della religione;
solo li riconosce, li tutela, li coordina nei limiti della propria funzione politica. Per noi lo Stato non è il
primo etico, non crea l'etica, ma la traduce in leggi e le conferisce forza sociale; per noi lo Stato non è
la libertà, non è al di sopra della libertà: la riconosce, la coordina e ne limita l'uso, perché non
degeneri in licenza. Per noi lo Stato non è religione; esso la rispetta, ne tutela l'uso dei diritti esterni e
pubblici. Per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli; è il complesso
storico di un popolo uno, che agisce nella solidarietà della sua attività, e che sviluppa le sue energie
negli organismi nei quali ogni nazione civile è ordinata".
Il rapporto dinamico tra società e Stato si fonda quindi sul principio di sussidiarietà: i mondi
vitali, le classi, i comuni, le province e le regioni sono gli organi naturali della società. Ognuno di questi
organi ha le sue caratteristiche, la sua autonomia, la sua ragion d'essere che va rispettata da tutti. La
solidarietà dinamica di questi organi tra di loro e in vista del bene comune fa sì che le istituzioni dello
Stato, rinnovandosi, siano sempre espressione adeguata della società e delle sue esigenze.
Il Concilio, insiste nell'applicare il medesimo principio al retto funzionamento dello Stato
sociale: i cittadini, da soli o associati, hanno il diritto e il dovere di partecipare attivamente alla cosa
pubblica; perciò, da un lato; "si guardino i governanti dall'ostacolare i gruppi familiari, sociali o
culturali, i corpi o istituti intermedi, né li privino della loro legittima ed efficace azione, che al
contrario devono volentieri e ordinatamente favorire"; d'altro lato, però, "si guardino i cittadini
singolarmente o in gruppo, dall'attribuire troppo potere all'autorità pubblica, né chiedano
inopportunamente a essa eccessivi vantaggi, col rischio di diminuire così la responsabilità delle
persone, delle famiglie e dei gruppi sociali".
- Il bene comune
Sulla base degli altri principi enunciati (il primato della persona, la solidarietà, la sussidiarietà),
una concezione adeguata del bene comune ha un respiro ben più ampio: certamente comprende tutte le
condizioni di vita materiale che si richiedono al perfezionamento della vita umana, ma nello stesso
tempo non può fare a meno di aprirsi ad altri "bene" altrettanto essenziali per una vita veramente
"umana", quali sono l'arte, la cultura, l'educazione, la contemplazione, la dimensione spirituale e
religiosa.
Il nostro tempo ne è consapevole: "Cresce la coscienza - nota il Concilio - della esimia dignità
della persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili.
Occorre, perciò, che siano rese accessibili all'uomo tutte quelle cose che sono necessarie a condurre
una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo
stato di vita e a fondare una famiglia, all'educazione, al lavoro, al buon nome, la rispetto, alla
necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla
salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso".
Il bene comune, insomma, coincide soprattutto con la qualità della vita umana, più che con la
quantità delle disponibilità materiali. Pertanto si deve concludere che una concezione adeguata del bene
comune - dice Giovanni Paolo II - esige, in primo luogo, il rispetto per l'ambiente ("non si può fare
impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati, animali, piante, elementi
naturali, come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche"); richiede, in secondo luogo, la
moderazione nell'uso delle risorse naturali ("Usarle come se fossero inesauribili, con assoluto dominio,
mette seriamente in pericolo la loro disponibilità non solo per la generazione presente, ma soprattutto
per quelle future"); infine, una visione adeguata del bene comune impone la dovuta attenzione alla
qualità della vita, messa in pericolo soprattutto da un certo tipo di sviluppo disordinato, il cui risultato lo sappiamo tutti - "e, sempre più di frequente, la contaminazione dell'ambiente, con gravi conseguenze
per la salute della popolazione".
Non solo. Il carattere essenzialmente "qualitativo" (morale e spirituale) del bene comune impone
che esso ormai venga tutelato e perseguito a livello planetario: la crescente interdipendenza universale
fa sì che ormai un singolo Stato non sia più in grado di garantire da solo il bene comune: Siamo divenuti
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cittadini del mondo. In questa particolare e straordinaria circostanza sento la necessità morale di unirmi
al Santo Padre nella invocazione della pace. Sabato c.m. incontrando la comunità di S. Egidio, il Santo
Padre ribadiva "Non ci si può fermare di fronte agli attacchi del terrorismo, né davanti alle minacce che
si levano all'orizzonte. Non bisogna rassegnarsi, quasi che la guerra sia inevitabile". Il Santo Padre nel
medesimo discorso continuava "La pace non è tanto questione di strutture, quanto di persone. Strutture
e procedure di pace - giuridiche, politiche ed economiche - sono certamente necessarie e
fortunatamente sono presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto della saggezza e della esperienza
accumulata lungo la storia mediante gli innumerevoli gesti di pace, posti da uomini e donne che hanno
saputo sperare senza cedere mai allo scoraggiamento. Gesti di pace nascono dalla vita delle persone
che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace". So che molte persone recitano il Santo
Rosario per la pace. Sono convinto che sta nascendo tra i cristiani il desiderio di fare assieme, come
comunità cristiana qualche gesto di pace. Noi preghiamo per la pace. La guerra è sempre una sconfitta
dell'umanità. In questa prospettiva è anche da auspicare che veramente possa realizzarsi la ventilata
ipotesi della Università della Pace in Ascoli Piceno.
Vorrei, infine rispondere ad una domanda che mi potrebbero rivolgere
Quali esigenze ho visto nella nostra città? quali problemi mostrano un'urgenza particolare?
Mi pare di dover rispondere in coscienza così.
a)
Innanzitutto è evidente la necessità di porre in atto da parte della comunità tutta una grande
attenzione ai giovani. In alcuni casi essi sono in difficoltà per trovare un lavoro. Stiamo passando dal
Welfare State al Welfare Society: si dice liberi di scegliere - ma il passaggio appare traumatico. Credo
che su questo argomento occorra molta impegno educativo - di supporto - di programmazione.
La mancanza di lavoro (a volte) è anche la causa delle devianze quali la droga.
Si tratta di creare una coscienza di grande attenzione ai giovani. Una società solidale tiene conto
particolarmente dei giovani. Oltre ai nostri ragazzi abbiamo in città anche un numero crescente di
universitari da accogliere e da aiutare.
b)
In secondo luogo occorre attenzione alle nuove povertà costituite dalla solitudine degli anziani
che in numero considerevole sono riuscito a visitare operando sinergie occorre monitorare
continuamente ogni casa è diverso.
Esistono certamente buone strutture pubbliche e private. Dobbiamo creare sempre nuove
collaborazioni tenendo presente anche un mondo qualificato del volontariato.
c)
In terzo luogo è la famiglia.
La nostra famiglia mediamente è sana, ma comincia a mostrare crepe preoccupanti. La forte
pressione dei mass-media veicolano un modello di famiglia tesa unicamente a soddisfare le esigenze
affettive delle singole persone. Si sottolinea la libertà e si omettono i doveri delle responsabilità.
La famiglia rischia di dimenticare il suo ancoraggio naturale, la sua unità, la sua identità. Si
adatta alle correnti culturali che spesso la rendono fragile e incapace di preparare i figli alla vita.
Signor Sindaco,
a conclusione di questa nostro convenire sento il dovere di ringraziare per le parole cortesi che
mi ha rivolto e particolarmente per la sua determinazione a voler risolvere la equa pars per S. Angelo
Magno e completare quelle relative alla Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo e del Convento di S.
Francesco.
Come ella può ben comprendere è dovere del Vescovo fare in modo che ogni parrocchia abbia
una sede adeguata e propria.
Mi auguro che il nostro incontro favorisca sempre sinergie utili per il bene della nostra amata
città.
† Silvano Montevecchi
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