Ilaria Tarabella
Lo spazio del corpo femminile.
Il corpo della donna come “luogo pubblico” (B. Duden):
autodeterminazione e biotecnologie riproduttive.
Tesi in Antropologia filosofica
Dipartimento di Filosofia dell’Università degli Studi di Pisa
Relatrice Prof.ssa Paola Bora
Correlatrice Dott.ssa Ilaria Possenti
Pubblicata nel giugno 2004 dalla Provincia di Massa Carrara- Commissione Provinciale Pari
Opportunità all’interno dell’iniziativa della Festa della Toscana 2002 “Io sono il pianeta” per i diritti delle
donne.
Il tema affrontato ne Lo spazio del corpo femminile di Ilaria Tarabella è uno tra i più
difficili e urgenti della nostra epoca, quello delle biotecnologie che non solo modificano
l’ambiente in cui viviamo, ma mettono in crisi la nostra identità, il modo di porsi in relazione con
se stessi/e e con gli altri.
Partendo dalla tradizione della medicina ginecologica, Ilaria Tarabella, propone un
excursus storico-filosofico-antropologico sul problema femminile della “donna antica”
nell’ambito aristotelico, in quello degli studi ippocratici e delle “Mulieres Salernitanae”, fino ad
arrivare a quello delle tecnologie riproduttive contemporanee e alle problematiche ad esse
correlate.
Ma che cosa significa lo spazio del corpo femminile? E che cosa si intende per il corpo
della donna come “luogo pubblico”?
Ripercorrendo gli studi dell’antropologa Barbara Duden si sottolinea come la tecnica sia
riuscita a rubarci anche quello spazio che fino a poco tempo fa era del tutto invisibile: il nostro
ventre. Dalla foetoscopia in situ all’ecografia la pelle ha cessato di costituire un confine, il muro
che separava interno ed esterno è stato abbattuto ed il corpo della donna è diventato “un luogo
pubblico”.
Questo prolungato esercizio quotidiano con gli strumenti che costruiscono lo sguardo ha
fatto sì che la percezione visiva paralizzasse completamente tutti gli altri sensi: tatto, olfatto,
gusto ed intuito.
In quali condizioni psichiche si trova la donna che oggi rimane incinta?
A quali conseguenze porta questa gravidanza così medicalizzata? Quali gli obiettivi di
quello che Michel Foucault chiamava biopotere o più nello specifico biopolitica della specie
umana?
Nella storia le donne sono sempre state rappresentate in ambiti e ruoli ben precisi e
definiti dalla mente maschile in una società fondamentalmente patriarcale.
Oggi nonostante si siano fatti molti passi avanti, ecco che ci ritroviamo a fare i conti con
chi decide per noi e per il nostro corpo in una lotta, dal sapore antico, per l’affermazione della
propria identità.
Il marchio di inferiorità rispetto all’uomo che caratterizza le donne nell’ambito della
biologia antica, ha avuto delle ripercussioni fortissime in quella che vorrebbe essere una società
evoluta, come quella contemporanea.
La figura aristotelica della “madre materia” non solo non è scomparsa, ma anzi si rafforza
nell’ambito delle biotecnologie, dove il corpo femminile deve essere a tutti i costi fecondo,
contenitore di un feto/individuo, simbolo di vita in contrapposizione con la figura della madre
come sistema di approvvigionamento.
L’interrogativo filosofico che non necessita risposta, ma che scatena riflessioni e
discussioni, è questo: questa donna intesa come “spazio vitale” non è forse molto simile a quella
donna/madre “materia” di cui parlava Aristotele e dunque non ci troviamo di fronte ad un
progresso/regresso che vede la scienza in continua evoluzione contrapposta ad una “forma
mentis” in qualche modo ferma ad obsolete credenze e convinzioni?
La figura femminile sembra destinata a costituirsi dentro quella lineare consequenzialità
che ne fa derivare la funzione sociale dal biologico.
È questo forse il suo unico spazio?
È vero anche che le evoluzioni della tecnica, compresi gli anticoncezionali come la
pillola, svincolano in parte femminilità da maternità. Ma questo vale a livello sociale?
È chiaro che la frantumazione tecnologica della funzione materna assume le dimensioni
di un evento “catastrofico” per le donne, se la maternità è vissuta come il primo e l’ultimo
baluardo del “potere” femminile. L’immagine della potenza materna, legata alle capacità
riproduttive del corpo femminile è l’altra faccia, non meno insidiosa, del corpo-oggetto, muta
natura.
Se storicamente l’organo riproduttivo (l’utero) ha “riassunto” e “sussunto” l’identità
femminile, significandola come oggettività, non è sull’immagine ribaltata del “grembo potente”,
che può strutturarsi la soggettività femminile.
Sull’altare di questa arcaica identità femminile, seppur rovesciata di segno, la differenza,
“incatenata” alla funzione riproduttiva del corpo sessuato, rischia di annullare le differenze fra
donne, sacrificando la libertà.
Dunque, non si tratta di opporsi alle tecnologie contrapponendovi il corpo-natura, alias il
“potere femminile di generare”, cadendo così in posizioni antiscientiste.
Possiamo prendere le distanze dall’apocalittica figura dell’utero meccanico, o della
“carne femminile da riproduzione” (Gena Corea)?
Dimostrazione del fatto che la maternità continua ad essere un temibile risucchio di
soggettività per le donne, sono proprio quelle “entusiastiche” posizioni sulle tecnologie che
affidano loro il compito di “liberare” il femminile dall’ingombro dell’utero.
Come possiamo, quindi, guardare “criticamente” (cioè liberamente) alle tecnologie, senza
retrocedere sull’ultima spiaggia del “fondamentalismo” materno?
Occorre tenere presente la linea d’ombra che distingue fra la significazione della madre e
l’esperienza del divenire madre, ma senza eludere le ricadute, materiali e simboliche, delle
tecnologie sul corpo di donna, da cui tutti e tutte nasciamo.
Che rapporto c’è, quindi, tra la potenza simbolica della madre e la sua capacità “creativa”
del vivente, radicata in quel corpo “deflagrato” dalla tecnica?
Non si deve esaurire la creatività materna nella potenzialità biologica del corpo
femminile.
È proprio in questa riduzione all’opacità del dato biologico che consiste l’operazione di
spoliazione della madre, operata dalla filosofia e dalla cultura patriarcale.
Non vi è dubbio che la “scomparsa” del corpo femminile ad opera della tecnologia, come
processo di svuotamento simbolico innanzitutto, e come linea di tendenza della ricerca e dello
sviluppo tecnologici, non può non inquietare.
Si prefigura cioè un controllo totale, materiale, oltreché metaforico, del vivente ad opera
delle TRA (Tecniche della Riproduzione Artificiale), e dunque sulla rappresentazione
dell’origine: il falso ideologico della cultura maschile, che consiste nell’appropriarsi tramite
metafora dell’opera della madre, forse presto non sarà più tale, potendosi avvalere di
un’evidenza “materiale” a suo favore.
Ma è anche vero il contrario.
L’utero artificiale non potrà mai “mettere al mondo” il corpo vivente. La mediazione
umana del corpo di donna sarà sempre insostituibile, per dare senso alla nascita.
A conferma di quanto detto fino ad ora in Appendice Ilaria Tarabella riporta la riflessione
su queste tematiche della Commissione per le Pari Opportunità Uomo-Donna della Provincia di
Massa Carrara. “Le componenti della Commissione credono sia giusto confrontarsi su tali
tematiche, in quanto il silenzio sull’argomento può essere strumentalizzato da personaggi senza
scrupoli che, facendo leva sull’insicurezza e la solitudine di alcune donne, possano spingerle a
sperimentazioni non sempre lecite e liberamente decise”. Quindi, a loro giudizio è opportuno
porre dei limiti al progresso scientifico in materia di procreazione e tali vincoli devono
necessariamente scaturire da un confronto tra le donne.
Ilaria Tarabella ha inoltre sottoposto un questionario a 100 donne della propria Provincia
in cui emerge, nonostante la diversità di età ed educazione, che la maggior parte delle intervistate
non è contraria allo sviluppo delle biotecnologie, ma crede sia opportuno porre dei limiti al
progresso scientifico in materia di procreazione per salvaguardare la dignità della donna.
Infine, è interessante l’aver riportato i lavori più significativi ed attinenti all’argomento,
segnalandone le varie simbologie, della pittrice e docente di Anatomia dell’Accademia delle
Belle Arti di Carrara, Monica Michelotti. Essa sviluppa su tela tematiche come la donna gravida,
la donna sterile e la fecondazione artificiale.
Ilaria Tarabella ha ritenuto indispensabile affrontare la realtà del territorio in cui vive
riguardo a queste argomentazioni non solo per amore della materia antropologica, ma anche
perché agendo su campo ci si rende conto che la condizione di “inferiorità” della donna è tuttora
tangibile come se lo spirito di Aristotele non solo non fosse scomparso, ma fosse decisamente
attuale.