la socializzazione dei bambini stranieri e figli di coppia mista

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Bambini e adulti: una nuova alleanza per un futuro più giusto.
Convegno di Telefono Azzurro.
Roma, 9-11/6/1997.
LA SOCIALIZZAZIONE DEI BAMBINI STRANIERI
E FIGLI DI COPPIA MISTA
di Barbara Ghiringhelli
CADR & Fondazione Cariplo I.S.Mu.
1. La famiglia come agenzia di socializzazione nella società multietnica
Definire la famiglia è sempre stato un problema di difficile soluzione. Come ben spiega P. Donati [1] ogni
cultura ha una sua ben precisa rappresentazione della famiglia tanto che con tale termine si designa una
vasta gamma di forme sociali primarie che presentano strutture relazionali diversificate le quali variano da
cultura a cultura e in base alle diverse società e alle loro tradizioni. [2] Secondo Leclercq, "la famiglia si
compone di esseri umani viventi in un dato paese e in un dato tempo. Essa si conforma agli usi dell’epoca e
i componenti la famiglia non intendono sottrarvisi....e dipende fortemente dall’ambiente sociale che la
circonda." [3] E’ un errore quindi pensare l’istituzione famiglia isolata dalla società, poiché con essa
comunica e interagisce: non vi è la società senza la famiglia né è possibile la famiglia senza la società.
Non vi è società che potrebbe sopravvivere a lungo se ciascuna generazione non sostituisse se stessa, e
una tra le funzioni della famiglia è proprio quella di "produrre" i nuovi membri della società; nel contempo per
mantenere viva la famiglia sono necessari precisi insiemi di regole che permettono al nucleo familiare stesso
di perpetuarsi attraverso le generazioni costruendo e risanando il modello fondamentale del tessuto sociale
e compito della società è quello di istituire e mantenere tali regole al fine di proteggere, riconoscendone il
valore, la famiglia.
La famiglia assolve al suo compito di riproduzione di nuovi membri della società non con il solo atto della
creazione fisica di questi ultimi, ma con la trasmissione della cultura (nel senso di insiemi di norme, valori e
comportamenti) da una generazione a quella successiva. Da sempre e dovunque, la famiglia viene
considerata determinante per la riuscita di quel processo, definito processo di socializzazione, mediante il
quale "l’individuo, da essere esclusivamente biologico, diventa membro di un determinato gruppo sociale",
[4] o come scrive Cherkaoui [5]"quel processo mediante il quale un individuo apprende a svolgere dei ruoli, a
condividere significati con altri, a rispondere e anticipare le loro aspettative, a interiorizzare norme, valori,
sistemi di pensiero." E’ l’apprendimento della cultura che rende riconoscibile l’uomo da parte della società a
cui appartiene.
Quest’ultima puntualizzazione è necessaria poiché la socializzazione si attua all’interno di un contesto sia
biologico che culturale.
Circa il contesto culturale, ciò che possiamo dire è che ciascuna cultura propone un differente "programma"
di comportamento e pertanto fornisce orientamenti diversi per la socializzazione.
La socializzazione può essere quindi considerata [6]"come un negoziato a diversi livelli; a un primo livello vi
è il negoziato tra genitore e figlio, tra datore di lavoro e dipendente, tra medico e paziente; cioè, in breve, tra
la persona che impartisce la socializzazione e la persona che viene socializzata. Ad un livello più generale vi
è un processo di do ut des tra bisogni e limiti biologici da un lato e bisogni ed esigenze della cultura
dall’altro."
Quanto appena detto è riferibile a un modello idealtipico di socializzazione, in cui si dà per scontata la
coincidenza/convergenza tra modelli culturali e di valore familiari e sociali.
Ma nell’attuale società italiana, caratterizzata sempre più dalla presenza di individui appartenenti alle culture
più diverse, la linearità e semplicità di tale processo viene messa in discussione. Come è possibile che
persone da sempre vissute in contesti socio-culturali profondamente differenti dal nostro per valori di
riferimento, tradizioni, modi di vita, superino questo passaggio che comporta il cambiamento dell’ambiente di
vita, nel senso geografico del termine ma non solo, senza incontrare alcun tipo di ostacolo? Se condizione
della riuscita del processo di socializzazione è il verificarsi di queste tre condizioni:
1 - la persona deve capire cosa ci si aspetta da lei (quale comportamento è cioè implicito al ruolo che
compie);
2 - la persona deve sviluppare la capacità di soddisfare le esigenze legate ai ruoli che svolge (acquisizione
delle competenze);
3 - la persona deve acquisire il desiderio di essere adeguato rispetto al ruolo e quindi deve pervenire ad un
certo grado di accettazione delle regole della società;
come è possibile che non vengano alla luce le differenti concezioni della famiglia, del matrimonio,
dell’importanza della religione?
Come ben precisa Parsons [7] non si può dare per scontata la riuscita del processo di socializzazione, tanto
che quest’ultimo può risultare incompleto, difettoso, inadeguato. La socializzazione è incompleta quando si
arresta ad una fase che precede la maturità (pieno apprendimento dei ruoli adulti), mentre è difettosa se nel
corso di una fase della socializzazione intervengono accidenti tali da precludere il raggiungimento degli
effetti evolutivi normalmente osservabili in quella fase. In ultimo la socializzazione si presenta inadeguata
quando l’individuo è socializzato in un sistema sociale diverso da quello in cui dovrà ricoprire un determinato
ruolo.
Se è vero che è nel contesto familiare più che in ogni altro luogo sociale che i bambini imparano le regole del
comportamento, ruoli, linguaggio, l’intero panorama di tipologie familiari oggi presenti in Italia è in grado di
trasmettere una socializzazione che seguendo Parsons potremmo definire riuscita o adeguata? cioè
conforme alle aspettative di ruolo?
L’esistenza sul nostro territorio accanto alle famiglie autoctone, peraltro distinte da un numero di per sè già
elevato di modelli [8] , di famiglie immigrate e famiglie multietniche comporta la necessità di una riflessione
su questa problematica.
Se, consentendo con quanto sostenuto da Parsons è possibile leggere qualsiasi tipo di conflitto tra
l’individuo e la società come conseguenza di una socializzazione incompleta, difettosa o inadeguata, come
può essere l’esito del processo di socializzazione in determinati ambienti familiari piuttosto che in altri?
Risulta quindi utile presentare, seppur brevemente, le differenti modalità in cui può avvenire questo processo
di "trasmissione della cultura" in contesti familiari tra loro differenti. In particolare mio riferimento saranno la
famiglia immigrata e la famiglia mista.
Se la socializzazione è un processo strettamente legato al contesto sociale e culturale in cui si vive, quale
tipo di socializzazione caratterizza i minori stranieri che vivono in due culture differenti, quella fuori casa e
quella dentro casa, e i figli di coppie miste che all’interno dello stesso ambiente familiare vivono l’incontro
delle due culture?
2. La socializzazione primaria dei minori immigrati o figli di immigrati
La complessità etnica è un aspetto fondamentale della presenza straniera e, così come per gli adulti, i minori
stranieri provengono da numerosi paesi [9] . Oltre alla provenienza geografica, importanti differenze sono
ascrivibili alle diverse culture di appartenenza - per lingua, religione, pratiche educative, ecc. - e alle diverse
motivazioni che possono essere alla base della scelta migratoria.
Se vogliamo trattare dei minori stranieri (minori migranti, minori figli di immigrati), necessariamente dobbiamo
partire dalle famiglie, poiché un bambino non nasce direttamente all’interno di una società, ma nella famiglia,
come precisa G. Favaro [10] "è nei legami di filiazione, nello spazio e tempo familiari che va collocata la
condizione dell’infanzia, straniera o autoctona".
E’ infatti all’interno della storia della stessa famiglia che troviamo fattori capaci di aiutare o al contrario
ostacolare la socializzazione del bambino nel paese in cui vive e tra questi i più rilevanti risultano essere il
progetto migratorio, la modalità di inserimento nel nuovo paese e il rapporto con il paese d’origine.[11]
Ma qual è la struttura familiare all’interno della quale il bambino straniero viene socializzato?
E’ impossibile individuare un modello familiare tipico degli immigrati poiché la realtà familiare di questi ultimi
assume spesso una configurazione atipica e non consolidata, di conseguenza risulta maggiormente
adeguata ed esaustiva la seguente tipologia: [12]
- famiglia molecolare tradizionale, la più diffusa fra la maggior parte dei gruppi etnici, specialmente in fase di
stabilizzazione dei flussi migratori;
- famiglia a doppia carriera, in cui entrambi i coniugi svolgono un lavoro extra-domestico e collaborano alla
conduzione del ménage, con un coinvolgimento diverso in base all’etnia di appartenenza; è presente in
quasi tutti i gruppi di immigrati, a eccezione di quello egiziano e marocchino;
- unione libera, basata su una diversa concezione della convivenza e della sua organizzazione, a seconda
della comunità di appartenenza;
- famiglia comunitaria, costituita da un certo numero di coppie coabitanti, molto frequente nell’ambito della
comunità cinese;
- famiglia monoparentale, cioè formata da un solo genitore e da uno o più figli. Il caso più frequente è quello
della madre, tipico della comunità filippina; più raro il caso del padre, rilevabile per esempio tra gli immigrati
marocchini;
- famiglia ricongiunta, composta da membri reduci da un periodo forzato di separazione;
- famiglia mista, formata da individui appartenenti a culture, etnie e/o nazionalità diverse e in cui almeno uno
dei membri è stato coivolto in un’esperienza migratoria.
Oltre ai molteplici tipi di struttura familiare a cui l’immigrato può dare vita, è utile riconoscere [13] la
molteplicità dei percorsi di costituzione/ricostituzione del nucleo familiare in situazione di migrazione che, in
uno con il modello culturale a cui la famiglia fa riferimento, intervengono a differenziare ed intricare la
socializzazione del bambino straniero nella società d’accoglienza. In tal senso la classificazione suggerita da
G. Favaro [14], identifica, sulla base del percorso migratorio per mezzo del quale viene composto o
ricomposto il nucleo familiare, 5 tipologie di famiglia immigrata. In ognuna di queste il processo di
socializzazione delle seconde generazioni di immigrati si svolge secondo modalità specifiche. [15] Si
distingue allora tra il percorso di tipo tradizionale al maschile; il percorso di ricongiungimento al femminile; il
percorso neo-costitutivo; il percorso simultaneo; le famiglie monogenitoriali.
Il percorso al maschile è il più frequente nel nostro paese ed è quello che ha inizio con la migrazione
dell’uomo che solo in un secondo momento, acquisita una certa stabilità e una discreta sicurezza
economica, si fa raggiungere dalla moglie ed eventualmente dai figli. Il percorso al femminile vede al
contrario la donna svolgere il ruolo di apristrada dell’immigrazione che sarà solo in un secondo momento
spostamento dell’intera famiglia. In questi due casi i problemi che il bambino, una volta ricongiunto al
genitore si trova ad affrontare sono legati:
al periodo di separazione e di distacco dal genitore, la cui immagine può non corrispondere
con quella prefigurata nel paese di origine [16]
a quanto ha già acquisito e appreso della cultura, dei modi di vivere, dei valori del paese
nativo, in breve del suo livello di socializzazione alla cultura di origine.
In queste situazioni, in cui il minore vive il passaggio da una società conosciuta, quella di origine a una
società altra, perlopiù sconosciuta, quella di accoglienza, forte è il peso che sradicamento e migrazione
comportano in termini di costruzione dell’identità[17]: "il bambino migrante...deve conciliare dentro di sè i
conflitti che lo spostamento nello spazio geografico introduce nello spazio corporeo e negli spazi culturali,
personali e familiari; conflitti caratterizzati da sentimenti di perdita e separazione".[18]
Il percorso neo-costitutivo si realizza con la costituzione della famiglia da parte dello straniero immigrato
qualche anno dopo l’arrivo in Italia, mediante il matrimonio con un’altra persona immigrata proveniente dallo
stesso paese o da paesi diversi. Anche se in tale caso si registra la presenza di entrambi i genitori accanto
al bambino, ciò che rende problematico l’andamento del processo di socializzazione è "la mancata
coincidenza tra i processi di produzione/trasmissione dei contenuti culturali dalla vecchia alla nuova
generazione in atto all’interno del nucleo familiare immigrato, e il complesso dei valori, delle opinioni, delle
norme, delle regole e degli ideali che caratterizzano il modo di vivere occidentale".[19]
Si parla invece di percorso simultaneo quando è l’intera famiglia ad arrivare simultaneamente nel paese di
emigrazione. In questo caso lo stress del cambiamento e l’impatto con il nuovo ambiente socio-culturale è
vissuto da tutti i componenti la famiglia, nessuno ha preparato per loro un percorso di inserimento e questo
può comportare importanti conseguenze nelle relazioni intrafamiliari. Ciò che è certo è che "l’esperienza
dell’emigrazione comporta sempre una ristrutturazione dei rapporti interni la famiglia: marito-moglie, padrefigli/e, madre-figli/e e una riformulazione delle più ampie relazioni sociali."[20]
In ultimo le famiglie monogenitoriali sono quelle che vedono la presenza nel paese di emigrazione del
minore insieme ad uno solo dei suoi genitori, si differenzia così tra famiglie monogenitoriali maschili e
famiglie monogenitoriali femminili. In questo caso si sommano alle problematiche legate al cambiamento di
ambiente socio-culturale quelle conseguenti al distacco da una delle due figure genitoriali e dalla difficoltà
che il genitore presente avrà di seguire attentamente la crescita e l’inserimento del bambino nel nuovo
contesto a causa delle notevole risorse, soprattutto di tempo, che dovrà dedicare per provvedere al
sostentamento suo e del figlio.
I bambini stranieri possono quindi essere raggruppati in due categorie. Nella prima si possono collocare i
bambini migranti, che in prima persona vivono l’esperienza migratoria da soli o con la famiglia o parte di
essa; nella seconda vanno considerati i figli di migranti, cioè i bambini nati nel nostro paese da genitori
stranieri. E’ la cosiddetta seconda generazione che, pur non avendo vissuto direttamente l’esperienza
migratoria, la rivive continuamente all’interno dell’ambito familiare nei discorsi e nelle proiezioni
fantasmatiche dei genitori.[21]
Quello che può essere definito come il viaggio, sia esso reale o simbolico, dalla cultura di appartenenza (per
ambiente familiare o per paese di origine) alla società di accoglienza, comporta per il minore che vive tra due
culture un ri-orientamento biologico e culturale, un cambiamento nelle pratiche quotidiane, nella lingua che
utilizza per comunicare, e una riorganizzazione della propria immagine di sé e del proprio gruppo di
appartenenza.[22]
La distanza tra questi due mondi, quello familiare e quello esterno, dipende dalla modalità di inserimento che
strategicamente verrà adottata dalla famiglia. Si incontrano infatti famiglie che vivono nella provvisorietà,
incapaci di scegliere il luogo in cui stabilirsi (stare nel nuovo paese? tornare in quello di origine? tentare
l’inserimento in un nuovo paese?); famiglie che, temendo l’erosione della propria cultura d’origine decidono
di chiudersi su se stesse, rimanendo estranee e lontane dal mondo che le circonda; famiglie che tendono
verso l’assimilazione, abbracciando quasi totalmente lo stile di vita proprio della società di accoglienza a
discapito delle proprie origini e in ultimo famiglie che cercano di trovare punti di incontro tra le due culture e
si sforzano di costruire legami e appartenenze plurali. Spesso, sostengono due sociologi francesi, C.
Delcroix e A. Guyaux [23], la lontananza geografica dal paese di origine può far optare per una divisione
degli "spazi di vita" familiare. Così generalmente lo spazio familiare "personale ed intimo" mantiene il suo
legame con il paese di origine mentre quello "esterno e sociale" si apre ai modelli di comportamento del
paese in cui si vive. E’ da rilevare che tra questi due mondi non esistono barriere invalicabili, cosa che
spesso permette processi e dinamiche di scambio se non di vera e propria fusione.
Nonostante le profonde differenze riscontrabili all’interno delle famiglie immigrate, si può comunque dire che
in tutte l’arrivo (nascita/ricongiungimento) di un figlio innesca un processo di rilettura se non di vera e propria
riformulazione del progetto migratorio e degli equilibri familiari, rimettendo in gioco l’assetto culturale,
ridefinendo i ruoli parentali e i rapporti intergenerazionali. [24]
3. L’incontro di due culture: le famiglie miste
Accanto ai minori stranieri, nati in Italia o immigrati nell’infanzia, sono sempre più numerosi i bambini delle
coppie miste [25]intese come quelle coppie costituite da partner che appartengono a comunità, etnie, razze
diverse, in cui uno dei due membri dell’unione è stato coinvolto in un’esperienza migratoria.[26]
Incontro di due persone di culture differenti, viventi all’interno di una società che è essa stessa interculturale,
il matrimonio misto è il luogo delle lacerazioni più profonde e del dialogo più sincero: le culture si incontrano,
si confrontano e si trasformano (Delcroix C., Guyaux A., 1992).
Quando si incontrano due culture, coesistono generalmente differenti concezioni dell’autorità paterna, del
ruolo della madre, del posto che all’interno della famiglia occupano l’anziano e il bambino. Aspettative e
comportamenti per lo più non coincidono. Come in questi ambienti familiari, potenzialmente bilingue e
biculturali, viene gestita la compresenza di due mondi culturali diversi? Come potrà incidere la differenza
delle due culture in rapporto all’educazione dei figli?
In alcune interviste condotte a genitori misti nell’ambito di una ricerca promessa tra il 1992 e il 1994
dall’Ufficio Infanzia della Regione Emilia-Romagna[27] sono emerse tre differenti modalità di gestione delle
differenze e delle appartenenze nelle relazioni della famiglia con i figli e con la società. E’ possibile che la
famiglia mista:
- si senta un gruppo cosmopolita;
- si senta assimilata alla maggioranza;
- si senta un nucleo instabile e in continua tensione a causa delle differenze esistenti tra le due culture di
riferimento familiare.
Nel primo gruppo familiare i coniugi, coscienti della propria appartenenza biculturale la vivono come una
occasione di arricchimento per sé, per gli altri e tanto più per i figli. In queste unioni le scelte importanti per la
vita del figlio vengono rimandate in quell’età in cui il figlio potrà decidere da solo, l’atteggiamento dei genitori
si orienta alla valorizzazione di entrambe le culture in modo da far conoscere indistintamente tradizioni,
valori, usi, al fine di mantenere vive le radici familiari e il sentimento di appartenenza di ogni individuo
facente parte di questo nucleo. Il figlio di queste coppie è quindi portato a vivere in una situazione di doppia
appartenenza senza per questo considerare in una situazione minoritaria né l’una né l’altra realtà.
Le famiglie miste che tendono invece all’assimilazione optano per l’accantonamento della cultura e delle
origini del coniuge straniero (soprattutto nel caso in cui provenga da paesi generalmente indicati in via di
sviluppo, le cui culture vengono spesso considerate meno prestigiose) in quanto considerate di intralcio o
comunque non funzionali all’inserimento del nucleo familiare e nello specifico del bambino nella società in
cui si vive. "In questi casi, le scelte di "invisibilità di un pezzo di storia familiare"sono dettate dalla volontà di
difendere il figlio dalle possibili aggressioni di un ambiente e di un paese che si ritiene minacciante e
xenofobo, oltre che da una certa vergogna per le proprie origini".[28]
I coniugi appartenenti al terzo gruppo sono quelli che ancora non hanno trovato una armonia interna e una
collocazione nel più ampio ambiente sociale a seguito del fatto che non sono ancora arrivati ad elaborare le
differenze "alla pari", nel senso di considerare di egual valore e importanza entrambe le culture di
riferimento. Queste famiglie vivono in una situazione di continuo conflitto rispetto ad ogni scelta educativa e
identitaria: di conseguenza le relazioni interne alla famiglia sono stressanti e conflittuali sia per i coniugi che
per i figli i quali vivono la loro appartenenza a due culture in modo problematico. Le situazioni di disagio
spesso evidenziano che c’è una reale disparità nel potere decisionale dei due adulti che li induce a lottare
per poter fare prevalere una sola cultura e per poter trasmettere le tradizioni di un solo paese.
Seguendo Favaro [29], possiamo dire che, rispetto alle scelte educative nei confronti dei loro bambini, si
distingue tra:
genitori che oscillano tra scelte ambivalenti e conflittuali
genitori che tendono verso l’assimilazione e che fanno scomparire ogni traccia di memoria e
di appartenenza alla cultura altra (quella straniera)
genitori che cercano, attraverso spazi e decisioni quotidiane, di costruire, per i loro figli,
legami e appartenenze plurali, senza che vi siano fratture e distanze
Una scelta educativa piuttosto che un’altra sta a significare la valorizzazione o meno dei mondi di
provenienza di entrambi i genitori.
Vissuto e interiorizzato nell’infanzia, il proprio modello familiare agisce come referente inevitabile per l’adulto
che diventa sposo o genitore. La famiglia interculturale quando non distrugge un modello a vantaggio
esclusivo dell’altro, può diventare creatrice di modelli inediti.
4. Conclusione
Concludendo, risulta interessante rivedere i principali approcci sociologici alla socializzazione facendo
specifico riferimento a un contesto multietnico.
Seguendo la distinzione presentata da Besozzi[30], tre sono gli approcci teorici principali:
funzionalista [31]
conflittualista [32]
interazionista [33]
"che si distinguono per la diversa importanza che assume al loro interno l’elemento dell’integrazione sociale
e in sostanza contengono una precisa rappresentazione della società, della cultura e dei rapporti sociali".
[34]
Il primo modello di socializzazione è quello che viene definito tradizionale, classico e anche modello
integrazionista [35], nel quale la socializzazione è vista come quel processo mediante il quale ad ogni nuovo
membro di un gruppo sociale vengono trasmessi valori, norme, atteggiamenti e comportamenti che sono
condivisi dai membri del gruppo stesso[36]. Questo è un approccio deterministico secondo il quale l’uomo
deve diventare come lo vuole la società; l’enfasi è posta sull’assunzione di ruoli sociali in conformità con le
aspettative socioculturali.
Il secondo approccio si caratterizza per una visione in negativo della socializzazione. I rapporti sociali
vengono letti in termini di dominio, di conseguenza la socializzazione viene considerata uno strumento di
riproduzione dei valori prevalenti della società e di oppressione nei confronti delle classi subalterne (o dei
gruppi etnici di minoranza).
Nel terzo e ultimo approccio l’unità di analisi è l’interazione con l’altro. L’uomo costruisce attivamente la
realtà sociale, le sue azioni non sono quindi determinate esclusivamente dalle forze sociali e dalle pressioni
esterne che agiscono su di lui. In questo modello la conoscenza viene interiorizzata tramite l’identificazuone
e l’imitazione di altri.
Riguardo la contestualizzazione nell’attuale società multietnica, l’approccio funzionalista comporta due
differenti forme di integrazione dell’immigarto: l’assimilazione e l’integrazione pluralista. Nella prima
concezione è considerato prioritario l’adattamento al modello culturale della società ospitante, l’Altro deve
diventare il più possibile conforme a tale modello; l’integrazione pluralista comporta invece la tolleranza e la
convivenza tra le diverse culture che mantengono buona parte dei loro tratti culturali i quali non devono però
interferire con i valori più generali della comunità societaria (Parsons 1994). L’approccio conflittualista alla
socializzazione non viene generalmente preso in considerazione negli studi sulla socializzazione degli
immigrati, in quanto tende a sottolineare le differenze connesse all’appartenenza di classe piuttosto che a
quelle etniche. In ultimo, l’approccio comunicativo alla socializzazione enfatizza lo scambio interculturale
favorendo l’incontro fra culture diverse e l’elaborazione delle differenze ai fini di un arricchimento
reciproco.[37]
Da quanto illustrato finora, emerge in tutta la sua importanza la crucialità, nell’attuale società multietnica,
dell’istituzione famiglia nella sua funzione di agenzia di socializzazione delle nuove generazioni. Se infatti la
socializzazione è un fenomeno che riguarda l’intera vita dell’individuo, che in ogni momento e a qualunque
età può apprendere qualsiasi orientamento essenziale per funzionare correttamente nell’ambito di un
sistema di aspettative complementari, è esclusivamente tramite la socializzazione primaria, che si realizza attraverso e mediante i legami familiari - il primo e più decisivo impatto degli elementi del sistema culturale
con quelli del sistema della personalità: è in questa fase che si costituisce nell’individuo la particolare
combinazione dei diversi modelli di orientamenti di valore che Parsons chiama "struttura della personalità
fondamentale"[38].
Di conseguenza, se è nell’ambito della socializzazione che le persone apprendono norme culturali, ossia
aspettative e modelli che regolano l’interazione tra le persone stesse, vediamo quanto sia importante la
visione dei rapporti con l’altro[39] che, ricevuta in famiglia, risulta essere cruciale soprattutto nell’attuale
società multietnica in cui l’incontro con il diverso, nella società per le famiglie autoctone e le famiglie
straniere all’interno della stessa famiglia per le coppie miste, è realtà di ogni giorno.
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[3] J. LECLERCQ, Verso una nuova famiglia?, La Scuola, Brescia, 1964.http://www.cadr.it/articoli
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[4] V. CESAREO, Sociologia. Teoria e problemi, Vita e Pensiero, Milano, 1993, p.
147http://www.cadr.it/articoli
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[5] M. CHERKAOUI, Stratificazione, in R. BOUDON (a cura di), Trattato di sociologia, Il Mulino, Bologna,
1996, p. 146http://www.cadr.it/articoli
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[6] N.J.SMELSER, Manuale di sociologia, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 48http://www.cadr.it/articoli
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[7] T. PARSONS-R.F. BALES e al., Famiglia e socializzazione, Glencoe, 1955http://www.cadr.it/articoli
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[8] P. DONATI, Famiglia, in E. SCABINI-P. DONATI, Nuovo lessico familiare, Studi Interdisciplinari sulla
famiglia, n. 14, Vita e Pensiero, Milano, 1995http://www.cadr.it/articoli
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[9] La popolazione immigrata in Italia si caratterizza per la sua varietà, è composta infatti da persone
appartenenti ad almeno 100 etnie e a una molteplicità di nazioni.http://www.cadr.it/articoli
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[10] G. FAVARO-T. COLOMBO, I bambini della nostalgia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993, p.
24http://www.cadr.it/articoli
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[11] G. FAVARO, Famiglie immigrate e servizi educativi per l’infanzia: una relazione da costruire , in AA:VV:, I
bambini stranieri nei servizi educativi da 0 a 6 anni nella regione Emilia Romagna, Bologna, Regione Emilia
Romagna-IRPA-Università di Bologna_IRSAEE Emilia R., gennaio 1993, Seminario regionale di
presentazione della ricerca "I bambini stranieri nei servizi educative da 0 a 6 anni nella regione Emilia
Romagna".http://www.cadr.it/articoli
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[12] S. ACQUAVIVA, La famiglia nella società contemporanea, in AA.VV., Ritratto di famiglia negli anni ‘80,
La terza, Bari, 1981, ripreso da M. TOGNETTI BORDOGNA, La famiglia che cambia: matrimoni interetnici,
relazione alla Giornata di studio sull’immigrazione femminile in Italia. Ancona, 20-21 settembre
1993.http://www.cadr.it/articoli
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[13] Si veda,V. CESAREO-L. ZANFRINI, Famiglia multietnica, in E. SCABINI-P. DONATI (a cura di), Nuovo
lessico familiare, Studi Interdisciplinari sulla famiglia, n. 14, Vita e Pensiero, Milano,
1995http://www.cadr.it/articoli
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[14] G. FAVARO-T. COLOMBO, I bambini della nostalgia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano,
1993http://www.cadr.it/articoli
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[15] CARITAS, Il minore immigrato in Italia, Atti del Seminario tenutosi a Roma il 20/22 aprile
1995http://www.cadr.it/articoli
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[16] Spesso viene costruita una figura di padre che nella realtà non ha riscontro: il padre dall’estero è visto
come una persona vincente e realizzata, ma a poco tempo dall’arrivo in Italia, se non subito, i ragazzi si
rendono conto della situazione di insicurezza e instabilità del genitore che così ai loro occhi risulta un
perdente.http://www.cadr.it/articoli
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[17] S. RESNIK, Educazione e psicoanalisi, in Fondazione Giorgio Cini (a cura di), Infanzia, processi di
comunicazione, movimenti migratori, 1979http://www.cadr.it/articoli consultorio/ - back17
[18] G. FAVARO e al. (a cura di), I colori dell’infanzia. Bambini stranieri nei servizi educativi, Guerini, Milano,
1990, p. 14http://www.cadr.it/articoli
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[19] CARITAS, Il minore immigrato in Italia, Atti del Seminario tenutosi a Roma il 20/22 aprile 1995, p.
21http://www.cadr.it/articoli
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[20] V.CESAREO, La famiglia in emigrazione, relazione tenuta al Convegno di studi "Immigrazione e
multicultura nell’Italia di oggi", Macerata, 9-11 ottobre 1996http://www.cadr.it/articoli
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[21] G. FAVARO- T. COLOMBO, I bambini della nostalgia, Mondadori, Milano,
1993http://www.cadr.it/articoli
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[ 22] E. CAMILLETTI-A. CASTELNUOVO, L’identità multicolore. I codici di comunicazione interculturale nella
scuola dell’infanzia, Angeli, Milano, 1994http://www.cadr.it/articoli consultorio/ - back22
[23] C. DELCROIX - A. GUYAUX, Double mixte. La rencontre de deux cultures dans le mariage,
L’Harmattan, Paris, 1992.http://www.cadr.it/articoli
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[24] E. SCABINI-C. REGALIA (a cura di), La famiglia in emigrazione: continuità e fratture nelle relazioni
intergenerazionali, Terapia Familiare, n. 43, novembre 1993http://www.cadr.it/articoli consultorio/ -
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[25] Generalmente con l'espressione "matrimonio misto", si intende semplicemente un "matrimonio tra
persone differenti". In questo senso, tutte le coppie eterogame, quelle cioè che uniscono due persone che
per esempio differiscono l'una dall'altra per cittadinanza, lingua madre, religione, status sociale, età, ecc.,
rientrano in tale tipo di unioni. Ciò che è difficile precisare è quale sia, di volta in volta, la differenza sulla
quale basarsi per riconoscere la diversità tra i coniugi. Se per il sociologo è la reazione dell'entourage che
rende la differenza significativa, per il teologo sarà il credo religioso o l'appartenenza istituzionale ad una
Chiesa che renderà mista l'unione: sarà misto un matrimonio tra un ebreo e un cristiano entrambi italiani e
non lo sarà invece un matrimonio tra un italiano e un filippino entrambi di religione cattolica. Per approfondire
la questione inerente la definizione di matrimonio misto si rimanda a DELCROIX Catherine-GUYAUX Anne,
Double mixte. La rencontre de deux cultures dans le mariage, Paris, L'Harmattan, 1992; CAHILL Desmond,
Intermarriages in International Contexts - A study of Filipina Women Married to Australian, Japanese and
Swiss Men, Quezon City, Philippines, Scalabrini Migration Center, 1990; ALLIEVI Stefano, Il ruolo della
religione nelle famiglie miste, in Mara Tognetti Bordogna (a cura di), Legami familiari e immigrazione: i
matrimoni misti, Torino, L'Harmattan Italia, 1996. http://www.cadr.it/articoli consultorio/ - back25
[26] Misto sarebbe da considerarsi anche quel matrimonio in cui i due partner appartengono a comunità,
etnie, razze diverse, indipendentemente dal fatto che uno dei due sia stato coinvolto in un’esperienza
migratoria. Una tale unione presenta alcuni aspetti propri dei matrimoni tra persone provenienti da paesi
diversi ma, nello stesso tempo, si caratterizza da questi ultimi per il fatto che i due coniugi, nati o per lo meno
cresciuti in uno stesso contesto territoriale, risultano condividere almeno in minima parte valori, usi e
costumi.http://www.cadr.it/articoli
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[27] Per una analisi più approfondita dei risultati della ricerca, si veda G. FAVARO, Da radici diverse.
Famiglia mista e scelte educative, in M. T. Bordogna (a cura di), Legami familiari e immigrazione: i matrimoni
misti, L’Harmattan Italia, Torino, 1996http://www.cadr.it/articoli consultorio/ - back27
[28] G. FAVARO, Da radici diverse. Famiglia mista e scelte educative, in M. TOGNETTI BORDOGNA (a
cura di), Legami familiari e immigrazione: i matrimoni misti, L’Harmattan Italia, Torino, 1996,
p.132http://www.cadr.it/articoli
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[29] G. FAVARO, Da radici diverse. Famiglia mista e scelte educative, in M. TOGNETTI BORDOGNA (a
cura di), Legami familiari e immigrazione: i matrimoni misti, L’Harmattan Italia, Torino,
1996http://www.cadr.it/articoli
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[30] E. BESOZZI, Elementi di sociologia dell’educazione, La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1993http://www.cadr.it/articoli
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[31] Tale prospettiva è espressa emblematicamente con il pensiero di Durkheim e Parsons. Di Durkheim si
veda: E. DURKHEIM, La sociologia e l’educazione, Newton Compton Italiana, Roma, 1971; E. DURKHEIM,
La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1962.http://www.cadr.it/articoli consultorio/
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[32] All’interno della matrice critica confluiscono i contributi dei teorici della riproduzione sociale (Althusser,
Bowles, Gintis) e quello dei teorici della riproduzione culturale (Bourdieu,
Passeron).http://www.cadr.it/articoli
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[33] Questo approccio prende le mosse da contributi provenienti dalla fenomenologia, dall’interazionismo
simbolico e dalle teorie sistemiche.http://www.cadr.it/articoli
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[34] V. VOLONTERIO,........, Tesi di dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano,
199..http://www.cadr.it/articoli
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[35] E. BESOZZI, Tra somiglianza e differenza, Vita e Pensiero, Milano, 1990http://www.cadr.it/articoli
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[36] TELLIA, Gruppi di pressione e decisione politica, Istituto di scienze politiche, Trieste,
1976http://www.cadr.it/articoli
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[37] Per un approfondimento si veda V. VOLONTERIO, ........., Tesi di dottorato, Università Cattolica del
Sacro Cuore, Milano, 199....http://www.cadr.it/articoli
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[38] Di questo autore si veda: Il sistema sociale, Comunità, Milano, 1981; La struttura dell’azione sociale, Il
Mulino, Bologna, 1987; Comunità societaria e pluralismo. Le differenze etniche e religiose nel complesso
della cittadinanza, in SCIORTINO G. (a cura di), F. Angeli, Milano, 1994http://www.cadr.it/articoli
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[39] Si veda E. BESOZZI, Insegnare in una società multietnica: tra accoglienza, indifferenza e rifiuto, in G.
GIOVANNINI (a cura di), Allievi in classe, stranieri in città. Una ricerca sugli insegnanti di scuola elementare
di fronte all’immigrazione, F. Angeli, Milano, 1996
Come propone Besozzi, tre sono i principali modi di considerare l’alterità:
l’alterità è qualcosa che occorre riassorbire (assimilazione a me): il diverso deve diventare
uguale
l’alterità è qualcosa che può esistere ma può anche essere fonte di disturbo (una minaccia)
e quindi va tenuta sotto controllo: tolleranza del diverso
l’alterità è qualcosa di positivo e produttivo sia per me che per l’altro: è in sostanza fonte di
ricchezza e di sviluppo personale e sociale: interazione e
scambiohttp://www.cadr.it/articoli
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