7. La politica, la vita pubblica e lo stato • Società prepolitiche Nelle primissime società umane, il potere non possedeva una dimensione collettiva, politica. La politica e la sfera pubblica erano quasi assenti; queste società tradizionali erano composte soprattutto di quelli che oggi chiameremmo gruppi privati. Non esistevano istituzioni responsabili del perseguimento di obiettivi collettivi, né ideali civici o normi vincolati per tutti i singoli gruppi: le nazioni come le intendiamo noi non erano state ancora formate. L'ethos di tali società prepolitiche era del tutto differente dalla moralità che oggi informa la politica, gli stati e la sfera pubblica. Questa differenza fu colta da Edward Banfield nel suo Le basi morali di una società arretrata. Banfield passò un anno a Montegrano, nell'Italia meridionale, le cui strutture sociali erano immutate da centinaia di anni (nessun giornali, nessun interesse a occuparsi di problemi di altri gruppi, unico obiettivo perseguimento dell'interesse personale). Nel bene e nel male, la ricerca del potere e gli emento della sua organizzazione e applicazioni sono sempre presenti nella vita sociale, anche perché è inerente alla natura umana una spinta esistenziale ad esercitare controllo ed autorità sugli altri. Ogni collettività, del resto, ha bisogno di essere organizzata e amministrata. Anche nelle società semplice e segmentate, dunque, un gruppo e i suoi componenti familiari emergono come potere dominante. Se le risorse sociali sono sufficienti, questo gruppo parentale diventerà un clan dominante e governerà in maniera personalistica ed egoistica. In molti luoghi, tuttavia, lo sviluppo sociale superò queste forme primitive, grazie alla crescente complessità di società che occupavano territori più estesi. Queste società erano governate da autorità che ereditavano la loro posizione ed esercitavano il potere secondo la tradizione, in modo personale ed arbitrario. Per imporre il proprio volere, questi sovrano si basavano su relazioni familiari. Il territorio che controllavano era una sorta di feudo personale, definito come un esteso possesso della casa del principale. Reinhard Bendix descrive tale estesa forma di potere non statale, tradizionale, come una sorta di patrimonio personale del sovrano. Questo tipo di potere territoriale era personalizzato e finalizzato al gruppo; riguardava ogni famiglia, occupazione, funzione militare, associazione religiosa di per se stessa. • Origini dell'autorità impersonale nella modernità Questo modo personale e particolaristico di organizzare un territorio non poteva reggere l'urto della modernizzazione. Man mano che le società diventavano più sviluppate, il commercio e i trasporti si intensificavano, le città crescevano, i gruppi sullo stesso territorio diventavano sempre più interdipendenti, questa combinazione di atomismo e governo personale che caratterizzava la società tradizionale funzionò sempre meno. In questo contesto storico di cambiamenti gli “stati” cominciarono a svilupparsi nel senso moderno del termine. Secondo Max Weber, fu come se i poteri sparsi, personali, privati dei singoli signori fossero espropriati da un potere centralizzato, impersonale e pubblico: “Nello stato moderno la facoltà di disporre di tutto il complesso de mezzi occorrenti all'esercizio dell'azione politica converge di fatto in un unico centro”. Poiché tutto il potere si concentrava in un luogo e in un'istituzione centrale, questa forma di potere statale si rivelò fortissima. Il suo potere derivava anche dal fatto che tale amministrazione di stato era assolutamente impersonale: “nessun funzionario singolo è più proprietario a titolo personale del denaro, degli edifici, delle scorte di cui dispone. Oggi è attuata nello stato la separazione del corpo amministrativo dai mezzi materiali di esercizio”. • Nascita degli stati assolutistici In molte delle società tradizionali più estese, dunque, le forme patrimoniali si svilupparono in vasti regni semiburocratici. Lo stato burocratico moderno emerse solo nelle società occidentali. Dapprima si manifestò come stato assolutistico, nel XVII secolo, e questo condusse ad un aumento del potere personale assoluto. Sotto Luigi XIV, il “Re Sole”, la Francia visse l'esempio più eclatante di tale sviluppo burocratici: “al posto dei grandi nobili del passato, i principali ministri di stato erano diventati funzionari pubblici professionisti, si potrebbe dire quasi 'scientifici' ” (Carl Friedrich, Charles Blitzer), sebbene “l'intera macchina governativa rimase profondamente devota alla volontà del sovrano”. In questo modo, le qualità scientifiche astratte e razionali che caratterizzano la modernit à furono combinate al dominio personale di epoca tradizionale. Weber ha scritto che ogni burocrazia è non burocratica al suo vertice. Infatti, il grande incremento di potere impersonale che lui e il suo governo produssero rappresentava non soltanto la capacità inedita di conseguire scopi collettivi, ma anche una grande disponibilità di risorse per il dominio personale del monarca: “L'etat c'est moi!”. • Gli stati come burocrazie Questa zavorra personalistica al potere burocratico fu alleggerita dalle rivoluzioni antiassolutistiche in Inghilterra (1642), America (1776), Francia (1789). Nacque così lo stato moderno. L'autorità personale oggi può essere esercitata solo dal vertice di organizzazioni amministrative potentissime ed impersonali. Coloro che hanno la responsabilità di questi stati, sono meno sovrani personali e più leader di enormi organismi pubblici. Gli stati moderni sono l'incarnazione stessa della burocrazia. Quanto più una civiltà diventa complessa e specializzata, tanto più è necessario che l'apparato esterno che la sostiene sia diretto funzionari competenti dal comportamento oggettivo, in contrapposizione ai comportamenti diretti da interessi personali, favori, grazie, gratitudine dei signori degli antichi ordinamenti. La burocrazia è per Max Weber lo strumento più efficace per raggiungere gli obiettivi che una collettività si pone. Un meccanismo burocratico pienamente sviluppato è rispetto ad ogni altra forma nello stesso rapporto in cui si trova una macchina nei confronti dei mezzi non meccanici di produzione dei beni. Soprattutto, la burocratizzazione offre la maggiore possibilità di attuazione del principio del lavoro amministrativo in base a criteri puramente oggettivi, con l'attribuzione dei singoli compiti a funzionari preparati in modo specialistico. La burocrazia offre inoltre ai lavoratori la consapevolezza che il potere dell'organizzazione si basa su regolamenti razionali e che siano questi a governare la distribuzione dei compiti e dei compensi. Le caratteristiche degli occupati e della situazione lavorativa in una burocrazia sono le seguenti: ◦ Puntuale divisione del lavoro; ◦ Regole e procedure astratte (impersonali); ◦ Struttura gerarchica; ◦ Impiegati a tempo pieno; ◦ Fedeltà all’ente; ◦ Ufficio pubblico (l’archivio dei documenti, la storia); ◦ Procedure formali di apprendimento; ◦ Gli occupati sono persone libere, e i loro doveri lavorativi del tutto impersonali; ◦ L'ufficio si basa sul principio della competenza e i candidati vengono selezionati in base alle loro capacità; ◦ L'ufficio è occupato in base a un libero rapporto contrattuale; ◦ Gli impiegati sono compensati con stipendi fissi in denaro; ◦ L'occupazione prevede una carriera; ◦ Gli impiegati sono soggetti a un controllo rigido e sistematico nella conduzione del loro ufficio. Attualmente, la burocrazia è da molti considerata disfunzionale perché nasconde sotto un tappeto rosso la via della vera efficienza. Secondo la visione funzionalista di Talcott Parsons, il potere è funzionale: è qualcosa che lavora a vantaggio di un sistema sociale; “è un'agevolazione o risorsa generalizzata per la società”, in cui “vengono serviti gli interessi comuni anziché settoriali”. • Caratteristiche dello stato moderno ◦ Progressivo accentramento del potere politico, accompagnato dal principio della sovranità territoriale; ◦ Progressiva autonomizzazione del potere politico da altri tipi di potere basato sull’ acquisizione del «monopolio dell’uso legittimo della forza fisica» e dell’imposizione fiscale; ◦ Formazione di un apparato burocratico-amministrativo che determina la progressiva razionalizzazione della gestione del potere e l’impersonalità del comando politico; ◦ Sviluppo del diritto come strumento di legittimazione del potere; • Lo stato e il potere E' ovvio che ogni società complessa necessità di uno stato e di una burocrazia. Lo stato moderno è un Giano bifronte; poiché esso è impersonale, razionale ed efficiente, può essere lo strumento ideale per conseguire obiettivi sociali. Ma questo vuol dire che lo stato ha un'esistenza sua propria: le burocrazie, in altre parole, hanno interessi indipendenti. Esso può servire in modo efficiente qualsiasi potere, non solo quelli basati sui diritti democratici. Esiste infatti un'importante tradizione di pensiero politico concentrata su questo fatto: lo stato ha interesse per il potere in quanto tale, e i funzionari possono scegliere di servire i propri interessi o di usare il potere teoricamente indipendente dello stato al servizio di qualche gruppo particolare. A paragone dei sostenitori dell'ottica funzionalista, questi teorici sono più sospettosi e più critici verso le moderne forme di potere. Max Weber è un autore che rispecchia entrambe le facce della medaglia. Mentre riconosce la necessità funzionare della burocrazia, sottolinea anche il pericoloso, ma altrettanto necessario, monopolio della coercizione e del controllo da parte del potere statale. Anzi, definisce lo stato come “quella comunità umana che nei limiti di un determinato territorio esige per sé, con successo, il monopolio della forza fisica legittima; è esso l'unica fonte del 'diritto' alla forza ” . Lo stato non è quindi solo funzionalit à , ma anche controllo, obbligatorietà. E' la sola organizzazione impersonale che può esercitare legalmente la forza nella società moderna. Nel 1651, Thomas Hobbes scrisse il Leviatano, per ricordare che in assenza di un tale stato potente e coercitivo, la distruzione sarebbe sicura. Di fronte a un tale pericolo, sorge lo stato indipendente, impersonale e coercitivo (il “Leviatano”), che ha un potere così forte da distruggere chiunque e da tenere tutti in soggezione. • L'autonomia dello stato Secondo alcuni pensatori di ispirazione weberiana come Michels, Hintze, Huntington e Theda Scokpol, gli stati non sono semplice riflesso dei bisogni e degli interessi di gruppi sociali, classi e società, La Skocpol sottolinea l'autonomia dello stato perché dissente dalla visione funzionalista per cui il potere non è altro che una risorsa collettiva. Inoltre, è convinta che l'accento posto dai marxisti sull'economia annulli l'autonomia della politica. Per Marx, lo stato è il comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese, per massimizzarne gli interessi economici a detrimento di qualsiasi altro gruppo economico. La Scokpol sostiene che lo stato non è una mera arena entro la quale si combattono lotte socio-economiche, ma un insieme di organizzazioni amministrative, politiche e militari cui è proposta un'autorità esecutiva che le coordina più o meno bene. Le grandi rivoluzioni non avvennero solo perché le condizioni economiche erano problematiche, ma perché rivolte di classe scatenate da tali condizioni si scontrarono con burocrazie indebolite, personalistiche ed inefficienti, e il governo non riuscì a funzionare come stato efficiente ed indipendente. • La politica Lo stato accoglie nel suo ambito la politica moderna, lo scopo della quale è controllare lo stato. Nel 1918, di fronte a una moltitudine di studenti di Monaco, nell'atmosfera altamente instabile della Germania appena sconfitta, Max Weber parlò del significato della politica moderna, in una conferenza su La politica come professione. Per Weber, la politica è la direzione oppure l'attività che influisce sulla direzione di un'associazione politica, cioè, oggi, di uno stato. Politica significherà dunque aspirazione a partecipare al potere o a influire sulla ripartizione di esso. Chi fa azione politica aspira al potere, o come mezzo al servizio di altri fini – ideali o egoistici – o per il potere in se stesso, per godere del senso di prestigio che ne deriva. Con il concetto di Potere si intende, in senso lato, la possibilità di condizionare il corso degli eventi (sino a determinarli - si pensi, per esempio, a chi crede nella magia), al fine di produrre un effetto desiderato (Russell, 1938, il potere è la “produzione di effetti ricercati”). Gli eventi condizionabili consistono in: ◦ sé stessi: i propri pensieri e le proprie azioni (autonomia); ◦ i pensieri e le azioni di un altro; ◦ le risorse: le forze/energie, gli strumenti; ◦ gli accadimenti: pioggia, il vento, i terremoti, le burrasche e così via. Il potere è da Weber definito come la probabilità che un attore, nel contesto di una relazione sociale, si trovi in posizione tale da imporre la propria volontà, a prescindere dalle resistenze e dalle basi su cui poggia quella probabilità. Condizioni essenziali all’emergere del potere: ◦ la presenza di una situazione relazionale; ◦ una distribuzione diversificata e non equa delle risorse; ◦ La convinzione del subordinato che il superiore possa incidere sul suo benessere futuro. La politica si stacca dall'impersonalità della burocrazia per tornare alla personalità, agli interessi personali e alle risorse private. • Autorità e legittimazione Per quanto riguarda il potere inteso in senso più specificamente relazionale, con esso si intende la possibilità e la capacità di condizionare l’agire di Alter. Ottenere il potere è molto più facile se riesce a guadagnare la volontà altrui. Nella misura in cui una persona obbedisce, non per paura ma per rispetto, si esercita l'autorità. Weber distingue tra potere e autorità. Con il primo si fa riferimento alla capacità generica di ottenere obbedienza ad un comando, con il secondo, invece, alla possibilità di essere obbediti ad un preciso comando, in virtù di un ruolo, le cui funzioni sono supportate da una struttura razionale-legale, che giustifica una definita linea di comando. Se ci si riferisce alla possibilità si parla di autorità, se, invece, alla capacità si parla di autorevolezza. Il potere come autorità dispone di una legittimazione. Weber distingue tra 4 tipi di azioni: ◦ Le azioni razionali rispetto al valore; ◦ Le azioni razionali rispetto allo scopo; ◦ Le azioni emotive; ◦ Le azioni tradizionali. A partire da queste tipologie Weber individua tre tipi di potere legittimo a seconda della validità della sua legittimità: ◦ ◦ ◦ • Il potere razionale-legale: che si fonda sull’esistenza di un apparato amministrativo-gerarchico la cui validità è fondata su di un corpus legislativo riconosciuto valido dai componenti della collettività e che attribuisce a qualcuno il diritto di comandare sugli altri; Il potere tradizionale: che si fonda sull’autorità di un insieme di modelli comportamentali la cui validità è giustificata dalla credenza nella loro sacralità e inviolabilità che deriva dal passato: l'autorità dell'”eterno ieri”. Il potere carismatico: che si fonda sulla presenza di una persona alla quale sono riconosciuti particolari attributi, in termini di abilità, eroismo, legame con la sacralità, da cui deriva l’attaccamento e l’obbedienza dei seguaci. L'autorità postmoderna: carisma e cultura Weber pensava che il carisma dovesse scomparire di fronte alla razionalizzazione moderna, poiché la sua soggettività ispirata, volubile, creativa e talvolta pericolosa non sarebbe stata idonea al potere legale-razionale della macchina burocratica. Non è andata così. Nelle società postmoderne, il personale assume una maggiore importa pubblica: la soggettività diventa un aspetto centrale. L'immagine degli attori politici oggi è fondamentale: colui che aspira alla leadership deve ispirare, e perde dunque importanza l'intelligente, l'aderenza ai programmi di partito, un buon curriculum nell'amministrazione. Anche quando un'audience crede che un leader sia davvero straordinario, questa fede è ispirata da un quadro simbolico che precede l'entrata in scena degli attori carismatici stessi. Philip Smith sostiene che l'autorità carismatica è sostenuta da codici culturali binari che elaborano e contrappongono grammatiche di motivazioni sacre e profane. Il carisma si basa secondo lo studioso non tanto sulla rappresentazione delle qualità straordinarie del leader quanto sulla capacità del leader di convincere coloro che formano la sua audience che sono minacciati, e di rappresentare vividamente tale evenienza in termini simbolici, tanto con astrazioni (povertà, capitalismo, eresia) quanto tramite incarnazioni in attori individuali, portatori di carisma negativo. • Politica e potere sociale Coloro che hanno potere economico possono influire parecchi su coloro che ambiscono al potere politico. Questa complessità del potere è stata esplorata nel modello tridimensionale predisposto da Steven Lukes. ◦ La dimensione unidimensionale del potere implica una concentrazione sul comportamento nel prendere decisioni su questioni nelle quali esiste un conflitto osservabile di interessi; questa visione cattura un livello della politica moderna: preferenze politiche e partecipazione politica; ◦ La visione bidimensionale scende più in profondità e include nell'analisi delle relazioni di potere la questione del controllo sull'agenda politica e del modo in cui alcune problematiche sono escluse dal processo politico; ◦ La visione tridimensionale esplora come il potere possa essere esercitato anche senza un partecipazione diretta nelle istituzioni politiche e senza alcun conflitto politico manifesto. In questa terza dimensione, i poteri sociali nascosti controllano l'esecuzione di un certo programma politica,lasciando intatte le forme di legittimazione politica e senza toccare l'autonomia ufficiale dello stato. E' rispetto alla seconda e alla terza dimensione del potere che Lukes indica l'influenza delle elite sociali rispetto a quelle politiche. Le elite sociali operano all'esterno dell'ambito politico che è delimitato dallo stato e dalle istituzioni politiche e di governo. Queste elite usano il loro potere sociale per controllare il potere politico, soprattutto per vie private. • Leadership nei gruppi Un gruppo si forma per un bisogno – strumentale o espressivo – e il leader è colui che sa guidare (to lead = guidare, condurre) il gruppo verso la soddisfazione di questo bisogno. Quanti tipi di leader conosciamo? ◦ Leader strumentale (o del compito); ◦ Leader espressivo (o affettivo); ◦ Il capo (headship). • Lewin, Lippit, White (1939) Una volta riconosciuti leader o imposti come capi, come si può guidare un gruppo? ◦ Leader autoritario; ◦ Leader democratico; ◦ Leader lassista. • Likert (1967) Approfondì la classificazione di Lewin. Vi sono alcune variabili determinanti: ◦ la confidenza e la fiducia dei leaders verso i subalterni; ◦ il tipo di motivazione utilizzata; ◦ l'intensità dell'interazione; ◦ lo stile di leadership; ◦ la comunicazione; ◦ il processo decisionale; ◦ la formulazione degli obiettivi. I sistemi rilevati nelle organizzazioni si potevano ricondurre a quattro tipi fondamentali ◦ autoritario. I subordinati vengono raramente coinvolti nei processi decisionali, si ritiene così che non vi sia fiducia né confidenza da parte del management; il vertice assume le decisioni e queste vengono trasmesse a cascata per livelli di responsabilità decrescenti. La motivazione al lavoro è garantita attraverso il timore di punizioni e, raramente, con gratificazioni; l'interazione tra superiore e subalterno si fonda sulla paura e la sfiducia, si formano a livello informale linee di pensiero contro l'organizzazione centrale. ◦ paternalistico. È un approccio padrone-servitore in cui il management ripone una fiducia compiacente nei confronti dei sottoposti: le decisioni determinanti vengono prese dal vertice, mentre i subordinati hanno la facoltà di scelta entro uno schema prefissato. La motivazione e basata più su premi che su punizioni; questo crea un rapporto di timore reverenziale e di prudenza nei confronti del capo. A livello informale si creano solitamente dei gruppi che non sempre si rivolgono contro l'organizzazione, ma soddisfano i bisogni di appartenenza dei membri. ◦ consultivo. La fiducia dei leaders verso i subordinati è elevata, ma non completa; le decisioni a cui essi possono partecipare sono determinanti, ma non fondamentali; la motivazione viene fornita, oltre che dal sistema premi-punizioni, soprattutto dal coinvolgimento negli obiettivi organizzativi. La comunicazione tra diversi livelli è fluida con rapporti spesso contraddistinti da lealtà e confidenza. Vengono fomite occasioni di assunzione di responsabilità attraverso la delega di funzioni organizzative e di controllo. I gruppi informali condividono gli interessi della organizzazione o, qualora vi si oppongono lo fanno lealmente e apertamente contribuendo allo sviluppo degli obiettivi. ◦ democratico. I membri della organizzazione hanno completa fiducia reciproca; il processo decisionale è ampiamente distribuito con una buona integrazione degli individui, i lavoratori sono motivati dalla partecipazione e dal coinvolgimento nell'organizzazione. I rapporti tra superiore e subalterno sono cordiali e leali, ciò porta ad una coincidenza tra rapporti formali e informali; la responsabilità e diffusa a tutti i livelli e le forze sociali sostengono gli obiettivi comunemente definiti. • Fiedler, 1967 Le “Teorie Contingenti” considerano l'efficienza della leadership in funzione della situazione in cui essa si esplica e non solo in relazione allo stile adottato; Fiedler si propone di analizzare diversi tipi di situazione sulla base di tre variabili: la qualità delle relazioni tra leader e subordinati (clima), la strutturazione del compito e l’autonomia decisionale accordata al leader; • • buone • alta • Relazione leader-membri Strutturazione del compito Potere accordato • • Situazione • f • o r t e 1 • • • bassa de bo le • 2 • f • o r t e 3 • de bo le 4 • Vroom e Yetton , 1973 Si basa sull’analisi del processo decisionale situazionato; ◦ autocratico. Il leader decide da solo usando le informazioni disponibili al momento; ◦ informativo. Il leader richiede ai subordinati le informazioni necessarie, senza spiegare loro il problema, poi decide da solo; ◦ consultivo-individuale. Dopo aver condiviso il problema con i subordinati attraverso il dialogo a due, il leader prende la sua decisione; ◦ consultivo-gruppale. Durante un incontro il leader discute il problema con i subordinati e poi decide; ◦ gruppale. Il gruppo, assieme al leader, discute il problema e ricerca un accordo. Ci sono 7 fattori contingenti che i due autori ritengono caratterizzare la situazione: ◦ l'importanza attribuita alla qualità della decisione; ◦ l'informazione disponibile; ◦ la strutturazione del compito; ◦ il livello di accettazione del compito dei subordinati; ◦ il coinvolgimento dei subordinati; ◦ la motivazione dei subordinati; ◦ il grado di disaccordo dei subordinati. Ne derivano tre assunti basilari propri della teoria di Vroom e Yetton: ◦ le decisioni individuali sono più rapide; ◦ i subordinati risultano più motivati dalla partecipazione; ◦ i compiti complessi e ambigui necessitano di più informazioni e maggior qualità. • Graen e Cashman, 1975 Formulano la vertical dyadic linkage theory (VDL), secondo la quale, all'interno di un'organizzazione gerarchica, una struttura sociale è costituita dalla dinamica di processo tra persone, chiamata role making. Secondo gli autori il rapporto tra leader e subordinati va considerato come relazione bidirezionale tra due soggetti. La teoria propone il leader-member exchange model (LMX). Esso fornisce una scala di analisi del rapporto tra i ruoli di leader e subordinato che si sviluppa lungo un continuum; da un estremo punteggio basso che descrive un rapporto freddo e poco attivo, a un opposto punteggio alto sintesi di un atteggiamento di fiducia e amicizia. I quesiti proposti per costruire il risultato riguardano, solitamente, la percezione dei dipendenti: ◦ sulla flessibilità del loro superiore ai cambiamenti; ◦ ◦ ◦ ◦ sul grado di formalità nel loro rapporto; sulla possibilità di affidarsi all'esperienza del capo; sul tipo di relazione che intercorre tra loro; sulla capacità del leader a riconoscere i momenti di difficoltà e a giudicare il potenziale del soggetto. La relazione tra leader e subordinati è correlata: ◦ positivamente al grado di produttività: Graen, Novak e Sommercamp (1982), Graen, Scandura, Graen (1986); ◦ positivamente al grado di soddisfazione dei dipendenti: Graen e Cashman (1975) Liden e Gsaen (1980); ◦ negativamente al turnover: Graen e Ginsburgh (1977), Craen, Liden e Hoel (1982). • Elite del potere I sospetti che le elite sociali controllino le elite politiche non sono certamente nuovi. ◦ Mosca: parte da una critica alla teoria aristotelica (tripartizione: monarchia, oligarchia, democrazia) e afferma che la “legge universale” del potere sta nel fatto che minoranze (competenti e organizzate) dominano su maggioranze. ◦ Marx : articola una visione particolarmente forte del controllo sociale latente. La sua teoria della lotta di classe sostiene infatti che lo stato non sia altro che il comitato d'affari della borghesia, la classe economicamente dominante. ◦ Pareto: gli uomini sono diversi per abilità e doti, quindi la diseguaglianza è inevitabile. Per ogni attività umana ci sarà una classe eletta: ▪ strato inferiore ▪ classe eletta • al governo • non al governo La classi elette non costituiscono entità statiche ma tendono al mutamento, nonostante la persistenza degli aggregati. Originariamente i governanti appartengono alla classe eletta, poi questa col tempo perde forza e alcuni membri dello strato inferiore diventano parte della classe eletta. La società è quindi un sistema di elementi in equilibrio. ◦ Michels: si interessa ai partiti, visti come strutture caratterizzate da un apparato di vertice che traspone i suoi fini autoperpetuandosi e che procede per cooptazione: “legge ferrea dell’oligarchia”; ◦ Charles Wright Mills : sviluppa il modello marxista in una forma più sottile, che da allora è stato impiegata dall'analisi critica neomarxista. I poteri dell'uomo comune sono limitati dal mondo quotidiano in cui vive, e anche in questo mondo egli sembra sovente mosso da forze che non può comprendere né controllare. La società moderna da all'uomo comune delle prospettive che non sono sue; l'uomo e la donna si sentono senza scopo e senza potere. Alcuni uomini vengono a occupare posizioni in cui sono in grado guarda dall'alto e influire profondamente. Possono fare e disfare il lavoro di migliaia di persone, non devono fronteggiare problemi ma sono anzi loro che li creano. Mills cerca di sviluppare un modello più pluralistico dell'analisi marxiana. L'elite del potere per Mills non riguarda solo la sfera economica ma anche quella politica e militare, e la posizione elitaria non è definita solo dalla ricchezza ma dal controllo delle istituzioni. Il collante che le tiene insieme è l'interesse capitalistico, ovvero il tornaconto dell'iniziativa economica. Le stesse forze sociali che hanno generato la nuova elite del potere hanno trasformato un'opinione pubblica un tempo critica e indipendente in una massa dipendente, manipolata, una collettività di individui passivamente esposti all'influenza e alla manipolazione dei mezzi d'informazione, che propagano analfabetismo psicologico. L'opinione pubblica non è più una seria minaccia al potere delle elite. ◦ William Domhoff: segue l'idea di Mills secondo la quale il dominio dell'elite presuppone non soltanto la condivisione di interessi economici ma anche quella di un'identità collettiva. La socializzazione elitaria, frutto di istituzioni culturali private, genera un senso di fiducia e sicurezza. • Sfera civile, solidarietà civile, vita pubblica Tra il potere sociale da una parte e il potere statale dall'altra si trova uno spazio culturale ed istituzionale che può essere definito “sfera civile”. La sfera civile è definita da norme legali che garantiscono i diritti ai singoli individui. E' definita anche dai sentimenti e dai valori che esaltano la solidarietà tra i membri del consorzi, a prescindere dal loro status o dal loro potere. Essere cittadino non significa soltanto far parte di uno stato, ma anche essere membro di una sfera civile, parte di quella solidarietà che definisce la democrazia. Non si nasce cittadini a pieno titolo: lo si diventa dal momento che si acquisisce la responsabilità di un comportamento civile. Nella misura in cui c'è democrazia, la sfera civile assicura che le attività dei cittadini avranno una certa indipendenza tanto dal potere sociale quanto dalla burocrazia statale. Lo stato governa per i cittadini e il potere burocratico funziona nel loro interesse. Quando l'opinione pubblica è in fermento, le elite offrono compromessi per cooptare gli elementi più accesi e riforme per calmare le acque. Per Habermas, nello spazio pubblico della sfera civile ci sono le condizioni perché prevalga l'argomentazione razionale. Questa è una versione non burocratica, più democratica dell'autorità legale-razionale Weberiana. Coloro che aspirano a esercitare il potere nelle società democratiche postmoderne confidano meno sulla ragione e sull'argomentazione intellettuale che non sulla rappresentazione simbolica. Le qualità civile sono nella contemporaneità costruite attraverso immagini, codifiche e narrazioni. La storia della vita politica degli ultimi duecento anni non riguarda tanto la continuità dell'elite del potere, quanto il modo in cui la sfera civile è riuscita progressivamente a vincere quel predominio. E' la storia politica di come questi gruppi subordinati riuscirono a conquistarsi una cittadinanza. Votare esprimere l'appartenenza alla società civile in maniera particolarmente vivida e importante, perché trasforma il riconoscimento civile in potere statale (italia 1946). Nonostante le dure lotte per conquistarli, i diritti politici non sono esercitati in pieno, e anche la cittadinanza sociale rimane parziale. Per Marshall, la cittadinanza è composta di tre dimensioni: ◦ diritti civili (diritti necessari alla libertà individuale); ◦ diritti politici (che permettono ai cittadini di intervenire direttamente sul controllo stato); ◦ diritti sociali (riguardano i vantaggi economici e culturali che l'esercizio di tali diritti può portare). • La partecipazione politica La presenza, che è la forma meno intensa e si basa su comportamenti essenzialmente ricettivi e passivi; ◦ L’attivazione, quando il soggetto svolge una serie di attività politiche, sia per delega che iniziativa spontanea; ◦ La partecipazione vera e propria, quando l’individuo contribuisce direttamente o indirettamente (attraverso organizzazioni come i partiti o i gruppi d’interesse) ad una decisione politica. • I regimi politici Un regime si dice democratico se: ◦ esiste una reale competizione politica e viene garantita la possibilità di opposizione; ◦ viene esercitato il suffragio universale e sono assicurate altre forme di partecipazione; ◦ si tengono elezioni libere a scadenze regolari; ◦ tutte le cariche politiche più importanti vengono assegnate attraverso processi elettivi; ◦ vi sono più partiti in competizione; ◦ esistono diverse fonti di informazione, alternative fra loro. ◦ Possono dirsi regimi autoritari quelli in cui: ◦ il pluralismo politico è limitato, così come le fonti d’informazione; ◦ vi è assenza di mobilitazione politica estesa e spontanea; ◦ il potere, detenuto da un leader o da un piccolo gruppo, viene esercitato entro limiti formalmente mal definiti, ovvero in modo sostanzialmente arbitrario. I regimi totalitari, infine, sono caratterizzati dal fatto che: ◦ Il pluralismo politico è del tutto assente; ◦ Esiste un alto grado di mobilitazione indotta dall’alto, sostenuta dal partito unico e da un’ideologia «forte», molto articolata e rigida; ◦ Per il leader, o il piccolo gruppo, non esiste alcun limite nell’esercizio del potere e questo è altamente imprevedibile. Centrale, nei regimi totalitari, è l’uso e l’intensit à dell’ideologia; ◦ Volontà di trasformazione totale e radicale della realtà sociale, con la completa distruzione, anche fisica, del precedente ordine. • I partiti politici Il partito politico emerse come parte della lotta per la cittadinanza politica e sociale. I partiti sono organizzazioni ideologiche, specializzate nel trasformare il dibattito pubblico in voti, e i voti in potere statale. Max Weber scrisse che “i partiti appartengono alla sfera della potenza”. I partiti si formano perché la sfera civile delle società democratiche dà ai gruppi l'opportunità di unirsi e di assumere una posizione pubblica, politica. Per MacIver, si può sostenere che la destra comprendere quei partiti che sono legati agli interessi delle classi superiori o dominanti, mentre la sinistra i partiti che sono espressione delle classi economicamente o socialmente inferiori. Lipset ha dimostrato che questa frattura destra/sinistra è in realtà ben più complicata. Le classi più povere sono più liberali per quanto riguarda i problemi economici, in quanto si fanno sostenitrici di misure dirette ad assicurare un maggiore stato di benessere, rivendicano migliori salati, etc etc. Ma definendo il liberalismo in termini non economici, cioè come difesa delle libertà civili, dell'inetrnazionalismo, ecc., il rapporto è inverso. I ricchi sono più liberali, i poveri più intolleranti. Seymour Lipset definisce le elezioni come “la lotta di classe democratica”. Egli usa questa espressione perché la cornice della cittadinanza prevede che le problematiche economiche siano dibattute a livello pubblico. Problema fondamentale dei governanti: acquisizione e conservazione di un sufficiente livello di consenso. Nella Società di Massa la “soluzione” è rappresentata dai partiti. Weber: distingue 2 tipi di partiti: ◦ di “patronato” (poi detti dei notabili): si prefiggono di insediare il loro leader nella carica direttiva per realizzare programmi politici legati a specifici interessi determinati da programmi pluriennali (U.S.A., Sindaco in Italia); ◦ “ideologici” (poi detti burocratici di massa): sono finalizzati alla realizzazione di programmi ispirati da ideali di contenuto politico ad ampio respiro, che coinvolgono l’ intero sistema. • Duverger classifica i partiti secondo alcune variabili: • ORIGINE • 1. Partiti di origine interna (élites: wighs e tories inglesi); • • PARTECIPAZIONE • • • ADESIONE UNITÀ DI BASE ORGANIZZATIVA RAPPORTI TRA UNITÀ • 2. Partiti di origine esterna (socialdemocratici, verdi); • 1. Partiti di notabili (personalità prestigiose); • 2. Partiti di massa • 1. Diretta (individuale) • 2. Indiretta (collettiva) • 3. Misti • 1. Comitati • 2. Cellule (“sezioni”) • 3. Milizie • 1. Partiti verticali o orizzontali 2. Partiti Centralizzati o decentralizzati Duverger identifica 3 tipi di partiti: ◦ Partiti liberali e conservatori: privi di una organizzazione rigida e capillare, basati su comitati indipendenti di notabili, orientati alla preparazione e conduzione delle battaglie elettorali (i 2 grandi partiti statunitensi: democratico e repubblicano). ◦ Partiti socialisti dell’Europa continentale: la cui struttura si basa sull’inquadramento di grandi masse popolari. Si «autofinanziano» mediante tassazione degli iscritti. Il loro elevato numero richiede una vasta organizzazione amministrativa con conseguenti tendenze burocratiche e oligarchiche; ◦ Quelli creati dal fascismo e dal comunismo. Con vincoli verticali assai rigidi, profonda frattura tra base e vertice, stretta disciplina di partito, gestione autocratica del potere, dottrina rigida e totalitaria. • Il discorso del declino Per molti di coloro che partecipano alla vita civile, la qualità della democrazia contemporanea appare insufficiente: non c'è mai abbastanza “vero” spirito pubblico, mai abbastanza “vera” civiltà. Questo porta a una critica secondo cui la società civile e la vita pubblica starebbero contraendosi, una critica nota come discorso del declino. ◦ Già Rousseau nel XVIII secolo si lamentava che “non abbiamo più cittadini”; ◦ Alexis de Tocqueville nel 1840 sosteneva in La Democrazia in America che questa non produceva libertà ed uguaglianza politica, ma semplicemente la tirannia della maggioranza e il conformismo di massa; ◦ Nel 1925, Walter Lippman lamentava la vittoria della propaganda politica sulla ragione e sullo spirito civico; ◦ Nel secondo dopoguerra, Hanna Arendt, Jurgen Habermas, Charles Wright Mills affermavano che la società di massa, alimentata dalla pubblicità e dai mass media, avesse ormai eroso le potenzialità democratiche della sfera pubblica. ◦ A metà degli anni 80, Robert Bellah e i suoi colleghi, in Le abitudini del cuore, sostenevano che la cultura americana stesse passando dalla solidarietà civile alla chiusura individualistica; ◦ Verso il 2000, Robert Putman ha affermato che gli americani si stanno abituando a “giocare da soli”, e il celebre associazionismo americano si starebbe dissolvendo. Tali sviluppi, insieme con la fetta di tempo sempre maggiore che gli americani passano davanti alla televisione, spiegano le scarse percentuali di affluenza elettorale che caratterizzano la società americana di fine millennio, e più in generale, il suo declino politico e morale. I fautori del discorso del declino, nel proclamare con insistenza l'importanza dei principi morali, immettono energia nella coscienza della società civile.