CAP. I LE TEORIE SULLE ORIGINI Principali teorie sull’origine della cultura moderna e contemporanea del consumo, ciascuna delle quali ha collocato tale evento in un preciso contesto sociale e culturale DAL COMMERCIO: CHANDRA MUKERJI La cultura del consumo risale alla riv. commerciale del XV-XVI sec. quando si resero disponibili una vasta serie di prodotti nuovi, sconosciuti e si iniziò a produrre una vera cultura materialistica È nel Rinascimento che sono nati i modelli culturali di tipo materialistico che si trovano anche dietro i comportamenti di consumo attuali. La riv. industriale segna certamente un punto di passaggio tra due epoche ma ai modelli di consumo utilizzati dalla nuova economia provengono dall’epoca precedente della riv. commerciale così come la figura del consumatore Lo sviluppo dell’industrializzazione del XVIII sec. è dovuto non solo all’etica protestante (concetto di Weber), ma anche ai modelli materialistici di consumo del XV e XVI secolo. Entrambe le epoche sono cioè caratterizzate da un consumo di tipo edonistico e ostentativo, indispensabile per lo sviluppo economico perché assicura continuità nel collocamento dei beni L’analisi dello storico Fernand Braudel mostra come la nascita nel Rinascimento di una cultura del consumo abbia esercitato un ruolo fondamentale nel determinare lo sviluppo eco/sociale degli ultimi secoli. I consumi non hanno portato solo la produzione di nuove merci ma hanno favorito lo svilupparsi di una nuova cultura sociale. Anche la moda ha esercitato un ruolo importante in questi processi di trasformazione spingendo le persone ad una ricerca costante di innovazioni DALLA POLITICA: GRANT MCCRACKEN Ha collocato la nascita della cultura materialistica nell’Inghilterra della II meta del XVI sec. alla corte di Elisabetta I. Tale sovrana costrinse i nobili a trasferirsi a corte per far ricever loro i propri doni direttamente a mano senza bisogno di intermediari. In questo modo, ottenne di far pagare ai nobili una parte delle spese necessarie per mantenere lo sfarzo indispensabile per com. al mondo il suo potere politico. Ma una volta a corte ciascun politico, non godendo più dei propri possedimenti, si trovava uguale ad un altro. Così per farsi notare agli occhi della regina ogni nobile alimentò una spirale competitiva che portò alla necessità di un elevato impiego di consumi di prestigio Mukerji e Braudel sostengono però che il consumo di beni di lusso era già molto diffuso presso i ricchi signori dell’Italia del XIV sec. Ma il fatto più significativo è che (dai nobili italiani oppure dalla corte elisabettiana) le nuove modalità di consumo, inizialmente per un’élite, si sono sempre più diffuse. La questione su cui gli autori divergono è quando esattamente ciò sia avvenuto E’ certo però che in precedenza i nobili acquistavano i beni di lusso per affermare sia il prestigio e la reputazione dei famigliari, che quelli dei discendenti futuri. Ma poi incominciarono a spendere per se anziché per le generazioni future, spinti dal bisogno di affermare la propria personalità. Nel modello precedente i beni erano considerati più rispettabili quanto più a lungo restavano in famiglia, ma con il nuovo modello si affermò il valore del nuovo e del moderno Nell’analisi di McCracken c’è anche l’idea che in precedenza la “patina” fosse fondamentale nella trasmissione della ricchezza tra le generazioni. Storicamente, gli strati superiori della società hanno utilizzato anche altri sistemi per difendersi, ma nessuno ha avuto l’efficacia della patina.Un esempio possono essere le “leggi suntuarie” (che prescrivevano l’abbigliamento per i diversi strati sociali e punivano chi indossava abiti per uno status sociale superiore al proprio). 1 Nel tempo la patina è stata sempre più sopravanzata dalla moda e ciò ha avuto delle conseguenze: - è diventato quasi impossibile distinguere la nuova ricchezza da quella vecchia - le classi inferiori hanno potuto imitare più facilmente quelle superiori. DALL’ECONOMIA: MCKENDRICK, BREWER, PLUMB Hanno spostato la nascita della cultura del consumo al XVIII sec. ma sono concordi nel collocarla in Inghilterra. Sostengono infatti che è con l’arrivo dell’industrializzazione il consumo è diventato un fenomeno sociale significativo perché realmente riservato a grandi masse di persone costrette a dover scegliere autonomamente i prodotti. Ma soprattutto la nascita della cultura di consumo in Inghilterra è dimostrata dalla comparsa di un nuovo soggetto sociale, l’impresa che con i suoi strumenti di promozione, marketing e pubblicità può esercitare un ruolo dirompente A sostegno della loro tesi è il caso di Wedgwood, creatore di una famosa industria omonima di ceramiche che ha utilizzato strategie di marketing per la promozione dei propri prodotti come: - presentazione dei propri prodotti in case di nobili importanti - apertura di negozi monomarca per esporre i propri prodotti - lancio di vasi etruschi per rispondere all’interesse per l’archeologia - ha inoltre ha piegato per primo una strategia basata sul desig (rispondono specifico mercato) Secondo molti, W. ha addirittura creato anche la nozione di design o disegno industriale, cioè di produzione industriale di manufatti artistici per rispondere alle richieste del mercato Ma in questo periodo molte altre imprese attraverso l’impiego dei nuovi strumenti hanno progressivamente indebolito i modelli di consumo tradizionali e locali in favore di modelli nuovi estesi su un ampio territorio geografico Un altro importante segnale è il fatto che in questo periodo le donne hanno incominciato ad essere le protagoniste del consumo andando per la I volta a lavorare e disponendo così di un proprio reddito Ma perché questo reddito potesse innescare un incremento della domanda fu necessario che si affermassero dei valori sociali favorevoli al consumo (come ad es. idea che i beni materiali/lusso aumentando la domanda di prodotti contribuisse al benessere comune) DAL LUSSO: WERNER SOMBART Ha ricondotto le origini della cultura del consumo alla richiesta da parte degli aristocratici dei beni di lusso ed ha inoltre sostenuto che storicamente il capitalismo ha attraversato due fasi: Prima fase del capitalismo (1200-1750): il consumo di beni di lusso ha stimolato la sviluppo del capitalismo perché soltanto un’organizzazione di tipo capitalistico può soddisfare una domanda di beni raffinati come quelli di lusso. Nei secoli iniziali della prima fase il consumo di beni di lusso era riservato agli aristocratici e alle corte principesche ma è progressivamente diventato un modello da imitare per la borghesia che aveva bisogno di legittimarsi socialmente In questa fase le tendenze generali di sviluppo del mercato dei beni di lusso sono state: - privatizzazione (progressiva penetrazione nelle mura domestiche) - oggettivazione (spersonalizzazione e concretizzazione dell’individuo nei beni materiali) - raffinamento (incremento della quantità di lavoro necessario al perfezionamento del bene) - concentrazione nel tempo (consumo più regolare e più rapido dei beni) - tendenza al mutamento (crescente dominio esercitato dalla moda) Sul piano storico è avvenuto un passaggio dalla comunità alla società che ha comportato la progressiva scomparsa dei legami collettivi della vita comunitaria che ha prodotto una perdita di 2 quella rassicurante sensazione di “immortalità” determinata dall’appartenere ad un qualcosa che sopravvive alla morte, come la comunità. L’individuo tenta di placare la sensazione di angoscia dovuta dalla morta con l’acquisto di beni materiali. Seconda fase del “capitalismo maturo” (1750-∞): tale fase è caratterizzata dall’impoverimento del gusto che si esprime attraverso una crescente povertà stilistica. A ciò corrisponde la nascita ottocentesca del design, cioè l’applicazione dell’estetica sofisticata dell’arte del consumo alle nuove masse borghesi Sombart ha condiviso con Ferdinand Tönnies l’idea che è avvenuto un passaggio dalla comunità (gemeinschaft) alla società (gesellschaft). Tale passaggio ha comportato la crisi dei legami collettivi caratteristici della vita comunitaria. Vi ha però aggiunto che ciò ha prodotto anche una perdita di quella rassicurante sensazione di “immortalità” data dall’appartenere alla comunità, che sopravvive alla morte dell’individuo. Pertanto, secondo S. l’individuo tenta di placare quell’angoscioso senso di morte che ne deriva cercando gratificazioni nella vita materiale e soprattutto nel consumo di beni. Ciò si è intensificato con la seconda fase di evoluzi del capitalismo, sviluppatasi a partire dall’800 DALLO SPETTACOLO DELLE MERCI: VANNI CODELUPPI Nel XVIII sec. si modificò in maniera radicale il rapporto esistente da secoli tra la bottega e la strada. Lo sviluppo demografico e commerciale della città sostituì una clientela conosciuta ed abituale con clienti anonimi, frettolosi che dovettero essere persuasi ad entrare nelle botteghe Ciò fu possibile grazie alle vetrine, che consentirono di esporre le merci per strada. La vetrina iniziò a svolgere una funzione di spettacolarizzazione delle merci. Nacque così il negozio moderno, che perse il laboratorio per realizzare i prodotti, trasferito fuori città, e cercò di attirare i clienti sul piano visivo. Lo spazio interno del negozio andò sempre più allentando il suo legame con lo spazio esterno dove in precedenza si poteva anche svolgere un’attività relazionale e di contrattazione. La vendita si trasferì infatti all’interno e cambiò la funzione delle merci, non più nascoste in cassetti e armadi da cui il venditore le prelevava quando voleva magnificarle. Le merci, invece, erano ora esposte nella bottega per catturare lo sguardo e il desiderio dei clienti. Il consumatore, dal canto suo, si emancip dal rapporto individuale di fiducia nel venditore, e sviluppò un’autonoma competenza di acquisto. A partire dal 1850 fu possibile produrre lastre di vetro di grandi dimensioni che fecero diventare i colori delle merci più brillanti. Fu estremamente importante il ruolo svolto dalla combinazione delle nuove lastre di vetro con l’illuminazione artificiale interna, amplificata dalla presenza di numerosi specchi all’interno della vetrina. I negozianti cominciarono così ad attirare i passanti con spettacolari giochi di luce. Le vetrine divennero un teatro la strada la platea e i passanti il pubblico Non è un caso pertanto se l’illuminazione delle vetrine ricalcò le orme dell’illuminazione teatrale. Le fonti di luce inizialmente erano deboli e venivano poste nella vetrina e in mezzo alle merci. Con luce a gas ed elettrica aumentò la luminosità e le fonti di luce scomparvero dal campo visivo. Con la luce elettrica, che non dovette più essere installata all’esterno per il pericolo d’incendi, fu anche possibile riprodurre gli effetti del teatro Ma nell’800 la produzione in grande quantità delle merci resa possibile dalla II riv industriale e l’intensità dei processi di “metropolizzazione” del sociale moltiplicarono i luoghi di acquisto e i consumi (Parigi). Nacque l’esigenza di creare nel centro delle città degli spazi di vendita accessibili a tutti sebbene lussuosi e confortevoli come quelli privati nel quale la funzione commerciale si potesse fondere con quelle ludiche, di relazioni sociali e affari. E’ questa la nuova tipologia della galleria commerciale o passage 3 Con il procedere dei processi di industrializzazione della società i luoghi di consumo dovettero modificare la loro natura, si necessitava di luoghi di acquisto adeguati, più ampi, seducenti come i grandi magazzini luoghi su più piani per sfruttare lo spazio e che potevano essere raggiunti grazie allo sviluppo delle ferrovie e del trasporto pubblico urbano L’opera di seduzione, convincimento fu esercitata dalle merci e dalla capacità del g. magazzino di mettersi in scena. La capacità del luogo (grande magazzino) di farsi teatro, di trasformare le merci in uno spettacolo permanente Dunque, la logica comunicativa della vetrina, basata sulla messa in scena spettacolare dei prodotti, si è estesa all’intera superficie dei luoghi di vendita e a luoghi sempre più grandi. Ne è derivata una progressiva “vetrinizzazione” della società dove anche l’ogg più banale diventa desiderabile (Crystal Palace 1995). Ed è in questo periodo che nella sfera sociale che nasce la cultura del consumo Ma è stato soprattutto durante il sec successivo che tutti i nuovi spazi di vendita adottarono la logica comunic della vetrina diventando strumenti efficaci per spettacolarizzare i prodotti. E’ la cultura della democrazia borghese che comporta la necessità di visibilità sociale in quanto la visione dell’altro rende possibile un controllo tra gli individui Tale processo ebbe all’interno della pubblicità uno sviluppo parallelo e complementare a quello dei luoghi di vendita e venne ad intensificarsi con l’arrivo delle grandi esposizioni universali Nel XX sec con il modello statunitense del centro commerciale il processo di vetrinizzazione della società si è completato diffondendosi progressivamente a tutte le tipologie di spazi d’acquisto DALLA CULTURA ROMANTICA: COLIN CAMPBELL Come McKendrick, Brewer e Plumb anche per lui l’origine della cultura materialistica della società dei consumi è nella cultura romantica dell’Inghilterra del XVIII e XIX sec. C. si è chiesto come mai in precedenza le persone consideravano pericoloso chi consumava oltre i confini stabiliti dalla tradizione, mentre la civiltà industriale ha fatto nascere un desiderio di consumare che è sempre operante, in ogni momento le persone vogliono consumare sempre di più. Non si desidera un oggetto particolare, sebbene a volte possa accadere, ma si desidera desiderare e si desiderano cose sempre nuove e diverse in una girandola continua d’insoddisfazione. La risposta di C. alla questione della nascita della cultura del consumo risiede in una riabilitazione del ruolo svolto dall’etica protestante. Weber aveva considerato l’etica protestante la molla della produzione perché spingeva gli individui a negare se stessi per produrre e accumulare denaro come se si trattasse di un dovere verso Dio. Secondo C. c’è una complementarietà tra l’etica protestante (che si occupa del lavoro) e quella romantica (che si occupa del consumo). Ciò può sembrare paradossale, perché il Romanticismo nacque come una forma di reazione degli individui alla società industriale e alla sua cultura illuminista basata sulla razionalità scientifica e sul materialismo. Opponeva l’immaginazione all’uso dell’intelletto, l’esperienza sensoriale alla conoscenza razionale, il mondo interiore a quello esteriore. Ciò che è importante però nel Romanticismo è soprattutto il culto dell’individuo singolo. Quest’ultimo è visto per la prima volta come un essere autonomo rispetto alla società e con il dovere morale di sviluppare la sua specificità. Prima, gli individui erano visti come soggetti che condividevano la stessa condizione. Per i romantici, pertanto, gli individui devono fare tutte le esperienze possibili e ricercare tutte le forme di gratificazione esistenti, anche a costo di trasgredire i tabù e le regole della società. Soltanto così possono realizzare la propria specificità, cioè esprimere la propria personalità. Questa concezione contiene dunque al suo interno la scoperta del concetto di sé. 4 C. spiega ciò con la figura dell’artista moderno che con la scomparsa dei mecenati e dei committenti, aveva dovuto scegliere se negare la propria personalità adeguandosi al mercato o esprimere liberamente tutta la propria creatività individuale, ma con il rischio di morire di fame. Trova così la soluzione di questo problema con la “teoria espressiva dell’arte”. Secondo la quale egli non era un esecutore cui commissionare qualcosa, ma un genio eccezionale che con le sue opere poteva dimostrare di avere una sensibilità superiore alle persone comuni. Anche il consumatore di opere d’arte è ora libero di sperimentare delle esperienze. Ciò è valido anche per le opere letterarie. Il grande successo ottenuto all’epoca dai romanzi è stato un importante strumento per la diffusione delle idee dei romantici. Sono state soprattutto le donne della classe media le maggiori consumatrici di romanzi e dunque le responsabili della diffusione dell’etica romantica. In precedenza, si consumava per elevarsi moralmente, mentre ora si cercavano le stesse esperienze sperimentate dal romanziere. Mutò così la concezione del romanzo, letto per divertirsi o per evadere dalle preoccupazioni e non più per istruirsi o elevarsi sul piano morale. Progressivamente, la concezione romantica del consumo si è diffusa anche ai beni non culturali. Ne “L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno” (1992), C. si è chiesto xò come mai la riv. dei consumi si verificò in quella parte della società inglese dove più viva era la tradizione protestante, cioè le classi medie, o del commercio, gli artigiani e i piccoli proprietari terrieri. La risposta è stata che la ricerca aristocratica del piacere era basata sulle sensazioni. Ma la ricerca del piacere, via via che si è allargata, è andata sempre più a riguardare le emozioni, che possono fornire uno stimolo edonistico prolungato. Per poter ottenere tale stimolo, però, è necessario saper prendere le distanze dalle proprie emozioni. A tale scopo, è stato particolarmente utile l’avvento dell’etica protestante, che ha insegnato a sopprimere le emozioni in pubblico e a esprimerle in maniera controllata e consapevole. Il controllo delle emozioni appreso dall’etica protestante ha prodotto una nuova concezione della ricerca del piacere. E’ l“edonismo moderno”, diverso da quello tradizionale perché, mentre il secondo ricerca il piacere cercando di controllare oggetti ed eventi, il primo lo fa attraverso il controllo dei significati degli stessi oggetti ed eventi. L’edonista moderno, perciò, è in grado di trarre piacere da ogni esperienza praticabile e non più soltanto da attività specificamente finalizzate a questo: mangiare, bere, ecc. L’edonista moderno gode, per esempio, delle immagini che rappresentano i prodotti (vede vetrine, sfoglia riviste, ecc.) e che gli consentono di sognare, immaginando il risultato ottenibile con il possesso di tali prodotti. Il consumo ha preso dal romanticismo il modello del “sogno ad occhi aperti”, e dunque è necessario per esso produrre continuamente delle novità. Il sogno, infatti, una volta realizzato, perde il suo incanto e svanisce il piacere che offre. Pertanto, dall’acquisto sorge un sentimento di delusione, che produce la nascita di nuovi desideri. Paola Parmiggiani ‘97 ha criticato C. sostenendo che riduce un fenomeno sociale e relazionale come il consumo ad una dimensione individualistica, lasciando in ombra il carattere sociale delle fantasie individuali. Tale posizione è condivisibile alla luce della sempre più evidente natura relazionale del consumo DALL’ETICA: T. J. JACKSON LEARS Il consumo è nato tra la fine del XIX sec. e l’inizio del sec. successivo attraverso la sostituzione dell’etica protestante con un nuovo tipo du etica che spinge gli individui a ricercare la propria soddisfazione e realizzazione personale nel mondo terreno: etica terapeutica dell’autorealizzazione Secondo J.L. alla fine del XIX sec. si è sviluppato negli SU un clima sociale favorevole al consumo in conseguenza di un processo di secolarizzazione della religione e dell’etica protestante diffusosi tra i seguaci della religione protestante appartenenti alle classi medio - superiori e più scolarizzate. 5 La risposta delle élites sociali più avanzate alle strategie attuate dal sistema capitalistico per esercitare un controllo su quel processo di trasformazione economico-sociale da esso stesso avviato è avvenuta principalmente sul piano etico. All’inizio del XX sec. è avvenuto così l’abbandono, diffusosi sempre più presso la classe media, di quell’etica protestante che prometteva la salvezza attraverso un’altruistica negazione del proprio sé. Il suo posto viene occupato da un nuovo tipo di etica che in seguito si rivelerà come interamente consumistica. Spinge, infatti, gli individui a ricercare la propria soddisfazione e la propria realizzazione personale nel mondo terreno e per questo, è stata denominata da L. “etica terapeutica dell’auto-realizzazione”. L’aggettivo terapeutica deriva a tale etica dal fatto che è caratterizzata da un’elevata preoccupazione dell’individuo per la sua salute e il suo benessere fisico e psichico. Il consumatore, sempre più isolato dai gruppi sociali tradizionali e solo di fronte alla crescente moltitudine di merci, ha risposto all’isolamento in cui si trovava creandosi questa nuova etica personale centrata sull’autovalorizzazione del sé.Tale etica è stata sfruttata a proprio vantaggio dal sistema industriale, il quale ha adottato nuovi e sofisticati strumenti d’interpretazione e d’influenza dei consumatori (psicologia, marketing). Ha superato così la sua primitiva e ingenua concezione utilitaristica dei beni e ha spinto nel contempo gli individui a ricercare nel consumo quelle soddisfazioni psicologiche che non riuscivano più a trovare nel lavoro. L’avvento dell’etica terapeutica dell’auto-realizzazione non è molto differente da quello dell’etica romantica di cui parlava Campbell. Ma mentre per J.L. l’etica protestante ha ridimensionato il suo ruolo sociale, per C. ha continuato ad operare anche nella cultura del consumo contemporanea. CAP. II LE TEORIE CLASSICHE Principali teorie elaborate dai sociologi attivi nelle società moderne per cercare di spiegare le motivazioni che portano le persone a consumare i beni KARL MARX Ha elaborato il concetto di alienazione e la teroa del feticismo per analizzare il ruolo delle merci nelle società capitalistiche. Fu influenzato dalle idee sul denaro di Hegel e della sinistra hegeliana. Nel 1806 Hegel ha sostenuto nella Filosofia dello spirito jenese che lo scambio nella società mercantile moderna si è reso autonomo ed è divenuto un fine in sé, del tutto separato dal lavoro dei produttori e dai bisogni che i prodotti devono soddisfare. Nel saggio “La questione ebraica” 1884 scrisse che “Il denaro è l’essenza, fatta estranea all’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e questa essenza estranea lo domina, ed egli l’adora”. Nel “Capitale”, il consumo è visto anche come forma autentica di godimento, che si contrappone allo spirito del capitalismo. Però il consumo è generalmente interpretato come una forma di alienazione. E’ cioè la modalità principale attraverso cui le persone vengono allontanate dalla loro umanità, dunque alienate dalla dimensione più specifica. Da ciò Marx ha sviluppato la “teoria del feticismo”, secondo la quale le merci sono dei feticci perché sembrano essere soggetti autonomi, dotati di vita propria e in grado di intrattenere relazioni. Nascondono, cioè, la loro umanità, il fatto di essere il frutto del lavoro degli uomini. Per M. nel feudalesimo i rapporti sociali apparivano come rapporti tra individui dotati della loro umanità. Nel capitalismo, invece, i rapporti sociali sono alienati, perché assumono la forma di rapporti tra cose, prodotte dagli uomini, ma resesi via via indipendenti da essi. Le cose vi possono però essere scambiate mediante il denaro perché sono diverse manifestazioni della stessa entità: la forza lavoro 6 degli uomini che le producono. La quale è la base su cui si fonda il “valore di scambio” che acquisiscono le cose quando diventano merci scambiate sul mercato, cioè quel valore che rende possibile stabilire delle equivalenze tra merci con differenti valori d’uso. Uno scambio tra merci diverse è dunque uno scambio tra quantità equivalenti di forza lavoro necessaria a realizzarle. Da ciò deriva che per Marx tutte le cose diventano inevitabilmente merci, le quali costituiscono la sua categoria interpretativa centrale, perché dietro la loro natura apparente celano quei particolari rapporti sociali che caratterizzano il capitalismo. Tale capacità non riguarda il valore d’uso delle merci, in quanto questo tipo di valore non rimanda a nessun rapporto sociale. E’ inf. specifico per ogni merce e non rende possibile perciò effettuare uno scambio sul mercato. La particolare visione di M. della società e della storia è stata definita “materialismo dialettico”, perché la motivazione primaria che spiega il divenire storico della società si trova nei differenti rapporti di produzione esistenti tra due classi in contrapposizione: la borghesia e il proletariato. Perciò il funzionamento della sovrastruttura ideologica della società (norme, valori, istituzioni) è condizionato dagli interessi economici espressi dalla struttura materiale ed economica (i rapporti di produzione). Dunque, la produzione materiale ha assunto un potere tale da dominare la vita dell’uomo, il quale viene ad essere pertanto alienato dalla sua vera essenza, dalla sua vera umanità. L’analisi di M. può spiegare il funzionamento dello scambio di merci, anche se non spiega cosa avviene alle merci quando sono acquistate e sono quindi sottratte allo scambio. Non spiega cioè come si sviluppa dopo l’acquisto il rapporto tra merci e consumatore. Anche se, come ha detto Alberto Abruzzese, Marx considerava centrale il ruolo del consumatore nell’attribuire alla merce il suo carattere di “finish”, di conclusione necessaria alla continuazione del ciclo economico di valorizzazione del capitale. Anche per Ragone Marx si distinse dagli altri economisti classici perché considerava importante la figura del consumatore. GEORG SIMMEL Si è occupato della dialettica tra imitazione e differenziazione che da origine alla moda e dei meccanismi di diffusione delle mode e dei beni nella piramide sociale Il più importante contributo teorico alla comprensione dei fenomeni di consumo è il saggio “La moda” del 1895. Vi si sostiene che la causa della variabilità della moda risiede nel confronto che si manifesta tra due spinte contrapposte dell’animo umano: l’imitazione (o uguaglianza) e la differenziazione (o mutamento). Ciò avviene perché l’individuo si sente rassicurato dal fatto di appartenere, grazie alla moda, ad una collettività sociale che si comporta nello stesso modo e condivide gli stessi obiettivi e ideali. Nel medesimo tempo, egli è anche gratificato quando riesce a sperimentare gli aspetti originali e sorprendenti che la moda può assumere. Lo sviluppo delle mode, per S. rappresenta una conseguenza dell’articolarsi della società in una struttura gerarchica con le diverse classi in cui ogni classe tende a chiudersi all’interno e a differenziarsi dalle classi inferiori. Ogni individuo consuma beni di prestigio per apparire superiore agli appartenenti agli status inferiori o per simulare il raggiungimento di una posizione sociale più elevata della propria. Ma una volta che un bene di consumo della classe superiore è stato acquistato dagli status inferiori, si banalizza perché non riesce più a segnalare un livello sociale agiato e viene perciò abbandonato. Sorge allora l’esigenza di introdurre un nuovo bene che permetta alla classe superiore di continuare a differenziarsi e di mantenere viva l’invidia emulativa degli altri individui. Negli anni ’50, Fallers ha denominato “trickle effect” questo meccanismo di diffusione della moda e dei beni, vedendolo anch’egli come una perenne lotta simbolica in atto tra gli individui. 7 S. pubblicando nel 1900 Filosofia del denaro ha tentato anche un’ampia analisi del ruolo sociale ricoperto dal denaro che è fortemente influenzata dal pensiero di Hegel e Marx. Anche per S. infatti, l’economia basata sul denaro separa quello che dovrebbe essere unito: gli uomini fra loro e rispetto ai prodotti del loro lavoro. Egli condivideva cioè con H. e M. l’idea che il denaro crea un processo di oggettivazione dello spirito degli uomini, i quali possono prendere coscienza di se stessi proprio creando degli oggetti in cui si esternalizzano. Tale oggettivazione è necessaria, poiché senza di essa non ci sarebbe civiltà; ma produce anche uno scarto fra spirito soggettivo e spirito oggettivo, in quanto il secondo si rende indipendente dal primo. S. parla perciò di oggettivazione e M. parlava di alienazione, ma la differenza è minima. Da M. S. ha ripreso anche il concetto di “reificazione” (o feticismo), per cui i rapporti tra gli uomini non sono più diretti, ma mediati dalle cose (prodotte dagli uomini, ma resesi indipendenti da essi e dunque deificati). A differenza però di M. che considerava il superamento dell’alienazione come un risultato garantito dalla imminente rivoluzione proletaria, la visione di S. è più pessimistica. THORSTEIN VEBLEN Ha concentrato la sua attenzione sul consumo ostentativo e su come esso venga impiegato dagli appartenenti alle diverse classi sociali nella lotta alla competizione di status Ha individuato per primo che, alla fine dell’800, con la comparsa dei nuovi ceti borghesi, il consumo era diventato “vistoso” e “ostentativo”. Ciò significa che i consumatori sarebbero mossi da una volontà di ostentare la quantità di prestigio e di onore insita nella propria posizione sociale (o status), la quale è a sua volta dipendente dalla ricchezza monetaria posseduta. Addirittura, per V. il consumo deve essere uno spreco, un consumo di cose superflue. La situazione descritta è tipica di una società integrata e senza classi sociali, ma stratificata in differenti status e con un’elevata mobilità individuale al suo interno. E’ la situazione degli S.U. alla fine dell’800. Secondo V. al vertice della piramide sociale si trova la “classe agiata”, la quale può dimostrare il proprio status sociale prestigioso attraverso due differenti strategie esibitive: - l’“agiatezza vistosa” uno spreco di tempo, in quanto la classe agiata deve dimostrare di non dover lavorare, il lavoro diventa così disdicevole e le occupazioni onorevoli improduttive - il “consumo vistoso” uno spreco di beni di lusso, praticato attraverso l’acquisto di nuovi beni di lusso, è riservato alle classi elevate, che possono permettersi di consumare per motivi non legati alla sopravvivenza, mentre è impossibile per le classi inferiori, che consumano soprattutto per la loro riproduzione. Il c. vistoso è coerente con la visione della diffusione verticale: una discesa verso la parte inferiore della piramide sociale, in un processo di differenziazione dove ciascuno degli status si pone come riferimento per quello sottostante. Ma per V.la classe agiata diffonde nella parte bassa della piramide anche il modello culturale del consumo vistoso. Per V. il consumo ostentativo diventa sempre più importante socialmente e ciò è evidente anche ad uno sguardo di tipo storico. Infatti, il passaggio dalla società feudale a quella capitalistica ha comportato anche il passaggio da una società con piccole comunità e dominata dall’agiatezza vistosa ad un’altra in cui prevalgono le grandi città e il consumo vistoso. Perché l’ozio può servire a conquistare onore in società di piccole dimensioni nelle quali tutti si conoscono. L’esibizione del consumo interviene invece nelle società di grandi dimensioni, in cui è impossibile conoscersi, perché in tali società è un mezzo più efficiente per comunicare lo status finanziario. Era anche in atto nella società dei suoi tempi un passaggio dalla morale puritana - che prescriveva agli individui l’astensione dai consumi e dall’edonismo connaturato ad essi - ad un’etica che invece persegue il piacere nei consumi. Egli, infatti, era critico verso il modello di consumo della classe agiata e auspicava l’evoluzione della società da una condizione pre-razionale, basata su principi barbarici, ad una condizione razionale. 8 Il limite della teoria di V. risiede nel voler esaurire nell’unico significato di prestigio e di competizione sociale le molteplici motivazioni che sono alla base dei comportamenti di consumo. Dunque, di fronte alla ricchezza comunicativa manifestata dai beni odierni, le possibilità di funzionamento del “trickle effect” ostentativo appaiono piuttosto limitate. Riguardano soprattutto: - quei beni che si vedono facilmente - alcuni soggetti appartenenti agli strati non-elevati della popolazione, mobili perché attratti di continuo da obiettivi di mobilità ascendente - dei soggetti che sperimentano una situazione di squilibrio tra le diverse dimensioni del proprio status e tendono perciò a riequilibrarla. Altre critiche sono state mosse alla sua interpretazione del consumo, ma la maggior parte di esse ha concordato nel ritenerla troppo legata alla sua realtà storica e sociale. Alberoni, in particolare, ha sostenuto in Consumi e società (1964), che il modello non è applicabile ai Paesi europei, e sop. all’Ita in quanto questi sono segmentati in classi sociali separate da valori morali inconciliabili. In Europa cioè l’equazione di V. tra ricchezza e valore non è adottata da tutte le classi, ma solo dalla classe dominante, proprio a causa della sua vicinanza culturale alla classe al potere. Tale idea è stata però invalidata dal processo di omogeneizzazione della società e delle diverse etiche di classe verificatosi negli ultimi decenni in Europa. McCracken ha invece sostenuto che, anziché parlare di “gocciolamento” dall’alto verso il basso dei beni, occorrerebbe sostenere che esiste un processo di “inseguimento e fuga”. Infatti, le classi inferiori tentano costantemente di emergere e inseguono quelle superiori, che se imitate sono costrette a cambiare. Pertanto, la dinamica derivante muove dal basso verso l’alto. Un’altra critica è di Fred Davis per il quale il concetto di consumo ostentativo è inconciliabile con la realtà odierna, in cui la moda è in una situazione di policentrismo. Inoltre, l’approccio di V. tende secondo Davis a trascurare l’importante ruolo di orientamento e mediazione svolto nella creazione e nella diffusione dei fenomeni di moda dalle strutture istituzionali, industriali, organizzative e di mercato. John Brooks, in Showing off in America ha invece tentato di aggiornare la teoria di V. Secondo lui il concetto di consumo vistoso dovrebbe essere sostituito da quello di “ostentazione parodistica”. Le strategie di tipo ostentativo dei soggetti, infatti, dovrebbero essere dirette sempre meno contro le altre classi e sempre più verso la propria classe. Sarebbero inoltre non più ristrette ad un’élite sociale come la classe agiata, ma adottate dalla maggioranza della popolazione. Per la classe media, pertanto, tali strategie sono di tipo vistoso come quelle di V. Presso la classe sociale agiata, invece, sono più complesse, ironiche e basate sull’ostentazione del proprio stile personale. Enzensberger ha sostenuto che oggi a diventare simboli di status non sono più automobili potenti e orologi d’oro, ma presupposti di vita elementari come il tempo, lo spazio, la tranquillità, l’ambiente naturale e la sicurezza. Un sec. dopo V. il consumo ostentativo sembra essersi trasformato nel suo contrario: il minimalismo e la rinuncia ai beni ostentativi. MAX WEBER Ha attribuito al consumo una funzione fond. nel definire l’appartenenza di ceto dell’individuo e ha sostenuto che il controllo del controllo dall’etica protestante ha prodotto quel processo di adozione di un principio di razionalità che riguardati negli ultimi sec. le società capitalistiche W. ha ripreso l’impostazione di Marx e ha tentato di qualificarla evidenziando il ruolo degli aspetti culturali e simbolici, complementari rispetto agli aspetti economici enfatizzati da M. Pertanto, in Economia e società, W. ha considerato il consumo come uno degli indicatori per definire l’individuo sul piano del ceto sociale. Inoltre ha detto che nell’etica protestante i comportamenti di 9 spesa erano riprovevoli. L’individuo, attraverso il suo impegno lavorativo, può dimostrare di poter salvare la propria anima se ottiene il successo sul piano economico. E’ necessario perciò che riduca i consumi a favore del risparmio da investire nell’attività d’impresa. Per Weber il controllo del consumo comportato dall’etica protestante rientra in quella progressiva adozione di un principio di razionalità che ha coinvolto lo sviluppo delle società capitalistiche. In anni recenti, Ritzer ha ripreso le idee di W. parlando di “mcdonaldizzazione della società” Processo di razzionalizzaizone della società capitalistica - Mukerji però mette in evidenza i limiti di questa tesi dal punto di vista della capacità di spiegare l’evoluzione storica dei consumi. Rimane cmq una tesi imp. xkè sottolinea come il controllo del consumo (comportato dall’etica protestante) abbia prodotto quel processo di adozione di un principio di razionalità che ha coinvolto negli ultimi sec. le società capitalistiche (es. burocrazia) Motivazioni dell’agire sociale - ha sostenuto che può essere motivato da diversi tipi di atteggiam. ualsiasi agire umano che prenda posizione rispetto ad un oggetto. In particolare i tipi ideali di attegg. individuati da W. Sono 4: tradizionale, affettivo, razionale rispetto al valor e allo scopo Riprendendo la posizione di Tonnies ha fatto corrispondere i primi due tipi alla comunità e gli altri due (quelli propriamente razionali) alla società DAVID RIESMAN Noto per la ricerca dal titolo La folla solitaria ’59 dove ha rintracciato la presenza nella popolazione usa di tre forme di personalità: diretta dalla tradizione, autodiretta (autonoma e stabile simile cons. vistoso di Veblen) ed eterodiretta (cerca di unifor. ai comp. degli altri individui, incerta e confusa dalla molteciplità degli stimoli che riceve) Ha introdotto i concetti di standard package, socializzazione anticipatoria e sottoconsumo stentativo per spiegare altri aspetti dei comportamenti di consumo Ha avuto il privilegio di osservare la realtà dei consumi in un periodo di grande espansione eco US ’40-’50 che gli ha stimolato riflessioni raccolte nel volume”A che serve l’abbondanza?”. Ha definito alcuni concetti relativi al consumo. Il primo dei concetti messi a punto da R. è quello di “standard package” che indica la quantità di spese di routine vissute come obbligate per sentirsi parte del sistema sociale (articoli domestici) Anni ’50 possederlo comportava di poter com. di essere parte della classe media. Poteva avere variazioni che consentivano al singolo di qualificarsi come possessore di uno stile di vita specifico, definito dalla regione, dalla sottoclasse, dall’etnia o dal ruolo lavorativo. Erano però variazioni marginali: il crescente benessere e la comparsa di nuovi beni modificavano lo standard package ma soltanto collettivamente. Alberoni ’60, ha ritenuto che fosse opportuno adattare in Ita il concetto di standard package: “beni di cittadinanza” che indica i nuovi beni immessi sul mercato, i quali consentivano a chi proveniva da una cultura rurale e arcaica di comunicare l’appartenenza alla nuova società urbana e moderna. Oggi, non esiste una sola comunità a cui si sentono di appartenere tutti gli italiani, come negli anni ’60, per cui bisogna anche individuare il diverso gruppo di riferimento dei soggetti. Dall’altro lato, non esistono oggetti che siano di per sé dei beni di cittadinanza o che lo restino dopo un tempo iniziale brevissimo in cui non sono ancora abbordabili dalla massa. Il concetto di “beni di cittadinanza” resta comunque valido. Per quanto riguarda lo standard package, anche tale concetto resta efficace. Alberoni ritiene che oggi entrambe le espressioni vengono usate per indicare dei transiti da un ambiente sociale o da un ciclo di vita ad un altro. 10 Da R. proviene anche la nozione di “socializzazione anticipatoria” ripresa dagli psicologi sociali e vuole indicare l’atto di immaginarsi in un ruolo mentalmente in un ruolo che non è proprio. Il che comporta di adottare comportamenti e consumo relativi a status superiori e non ancora raggiunti. Ciò avveniva per R. sop. nei bambini, che si vivono come adulti e tendono perciò ad imitare i loro comportamenti di consumo. Nello stesso tempo, i genitori tendono ad adottare una “socializzazione retroattiva”, cioè a riflettere nelle loro scelte i gusti dei bambini. Nei comportamenti di consumo possono esserci anche casi di “trickle effect” alla rovescia o “sottoconsumo ostentativo”. Cioè la scelta snobistica di prodotti poco costosi da parte di individui con un alto reddito. Ma in grado però di differenziare segnalando il possesso di un gusto raffinato e personale. In tal modo, la classe superiore cerca di imporre i suoi limiti a coloro che vorrebbero elevarsi allo stesso livello socioeconomico. TALCOTT PARSONS Ha adottato nel suo lavoro di ricerca un impianto teorico struttural - funzionalista. Per P. cioè, ogni sistema sociale è costituito da tanti “sottosistemi”, tra i quali si attivano specifiche relazioni di interdipendenza. Ciascuno di essi svolge determinate funzioni necessarie alla sopravvivenza del sistema stesso. Tali funzioni sono: - adattamento: ogni sistema ha la necessità di adattarsi all’ambiente in cui agisce; funzione svolta dal sottosistema dell’economia - conseguimento dei fini: riguarda le modalità con cui la società stabilisce dei fini specifici, legittimati dai valori dominanti e mobilita la popolazione per raggiungerli; funzione svolta dal governo e dalla società - integrazione: riguarda i conflitti da risolvere e la promozione della solidarietà; i sottosistemi coinvolti sono il giuridico e il religioso - conservazione latente del modello e gestione latente del sistema: riguarda la conservazione dei valori e delle credenze che sono strumenti di legittimazione e sostegno per le istituzioni sociali e modelli di comportamento; è svolta dalla scienza, dalla famiglia e dalla scuola. Nel volume “Eco e società”, ‘56 (con Smelser), ha considerato la relazione di scambio la più imp. di quelle operanti tra i vari sottosistemi della società. A ogni sottosistema è associato, uno degli strumenti che devono facilitare gli scambi: la ricchezza per l’economia, il potere per il governo, l’influenza per la religione e il sistema giuridico, l’adesione ai valori per la famiglia e la scuola. Soprattutto, in “Economia e società” è presente un modello che traduce in termini di comportamenti di consumo il modello più generale di P. sulle diverse funzioni dei sottosistemi sociali. Ne derivano 4 fondamentali aree di aspettative di ruolo alla base di altrettanti modelli di spesa. Sono: - il risparmio e la liquidità accantonati in vista dell’adattamento a possibili esigenze future e la spesa per la continuità fisica e culturale della famiglia (educazione, sanità, ecc.) - i beni indispensabili perché la famiglia si senta parte della cultura sociale e dei suoi valori (standard package, “beni di cittadinanza”) - i prodotti di prestigio che qualificano sul piano sociale il nucleo familiare e lo integrano all’interno della struttura sociale (automobili, abbigliamento, abitazione, ecc.) - i prodotti che consentono il mantenimento dei modelli latenti e il governo delle tensioni presenti all’interno della famiglia (vacanze, tempo libero, divertimenti, regali, ecc.). Il principale limite di questa visione del consumo sta nell’eccessiva importanza attribuita alla famiglia. Infatti, la famiglia svolge un ruolo significativo, ma oggi i modelli di consumo si formano soprattutto nel sociale, attraverso l’influenza esercitata dalle relazioni interpersonali, dalle imprese e dai media. La visione teorica di P. e S. è stata criticata anche per la sua astrattezza e per l’incapacità di generare ipotesi e spiegazioni specifiche su specifiche società storiche. 11 JEAN BAUDRILLARD L’insieme dei beni è articolato in un sistema di oggetti che consente una classificazione e gerarchizzazione degli individui e dei gruppi nella società Negli anni ’60, via via che l’industr. rendeva possibili forme di consumo di massa, l’insieme delle merci ha messo in luce la sua natura di sistema comunicativo unitario. Cioè il risultato dell’unione e dell’interazione tra gli specifici significati posseduti dalle singole merci. Anche gli studiosi sono dovuti passare dalla considerazione della capacità di significare della singola merce a quella delle relazioni di natura sintattica che le merci stabiliscono tra di loro. E’ quello che B. all’epoca ha definito come “sistema degli oggetti” ‘72. in tale sistema, gli individui consumano non degli oggetti in grado di soddisfare specifici obiettivi di natura utilitaristica, ma dei segni che permettono di conseguire degli obiettivi generali. Segni che costituiscono cioè un sistema culturale in grado di comunicare le posizioni e le differenze tra le persone e i gruppi nella società. Viene così smontata, grazie all’adozione delle idee di Lévi-Strauss e dello strutturalismo, la mitologia del bisogno e della ricerca di soddisfazione perseguita dal consumatore attraverso i beni. L’economia aveva infatti dipinto il consumatore come un soggetto trascinato dai bisogni verso beni capaci di soddisfarli (con un valore d’uso). Per B. i bisogni non sono innati, perché se lo fossero non si spiegherebbe come mai crescono e diventano più ricchi e articolati. La loro origine deve risiedere pertanto al di fuori dell’individuo e non può che trovarsi nelle attività di marketing e di pubblicità delle aziende. Dunque, il valore d’uso, come quello di scambio, è un concetto ideologico che serve a facilitare gli scambi, perché un oggetto per poter essere scambiato deve essere prima riconosciuto come utile. Serve inoltre a mascherare la realtà delle cose: l’esistenza di un sistema sociale che crea il bisogno di determinati beni. I bisogni, inoltre, non sono creati dalle aziende come bisogni relativi a prodotti specifici. perlomeno, ciò a volte può anche avvenire, ma di solito l’intero “sistema di produzione” crea il “sistema dei bisogni”, cioè una disponibilità generale a consumare, un desiderio di desiderare. L’antropologia strutturalista ritiene che nelle diverse forme di società esistano delle strutture culturali e dei sistemi di opposizioni concettuali e di significato latenti. Ciò ha portato B. a considerare l’insieme delle merci come un sistema comunicativo coerente e strutturato, al pari di una lingua. Ma dagli strutturalisti ha ricevuto anche lo stimolo a rintracciare nelle loro ricerche sul dono una via d’uscita dal capitalismo.Nello scambio di doni, infatti, gli oggetti assumono un altro tipo di valore: il “valore di scambio simbolico” che comunica il rapporto che lega ricevente e donatore dello scambio. L’oggetto donato, cioè, non ha senso se considerato indipendentemente dalla relazione che rappresenta. Nella logica del consumo, invece, gli oggetti traggono il senso dalle relazioni con altri oggetti. Il pensiero di B. è soprattutto influenzato dalle ideologie marxiste e critiche verso il sistema industriale che dominavano negli anni ’60 e ’70. Voleva infatti scoprire i meccanismi che (a partire dai significati delle merci di una società apparentemente omologata dai consumi di massa) producevano le nuove differenze sociali. Differenze di cui spesso non siamo consapevoli, come accadeva invece nella competizione intrapresa dagli appartenenti a differenti status di Simmel e Veblen. Infatti, quella struttura culturale latente evidenziata nella società da Lévi-Strauss è una dimensione che condiziona il comportamento degli individui senza che essi ne siano coscienti. Il marxismo di B., in realtà, è critico verso Marx accusato di essersi troppo concentrato sul potere del denaro nel capitalismo e di avere trascurato il potere dei simboli culturali. Ha cercato, inoltre, di prendere le distanze rispetto alla Scuola di Francoforte e alla tradizione del pensiero critico verso i consumi.Tale scuola aveva impiegato il concetto di alienazione per denunciare la manipolazione delle coscienze operata dal sistema industriale. Ma per B. la funzione 12 ideologica del consumo risiede nel creare regole di combinazione e uso dei beni specifiche per ogni classe. Regole grazie a cui le classi dominanti possono mantenere il loro prestigio e il loro controllo. Fanno infatti interiorizzare inconsciamente le differenze tra le classi sociali e i codici di impiego dei beni di queste ultime. Ma restano pregiudizi ideologici, che lo hanno portato a studiare soprattutto i significati incorporati nelle merci dal sistema industriale nella produzione e nella commercializzazione. In realtà, la vera significazione della merce non è da rintracciare dentro la merce stessa, perché si produce soltanto all’interno di una specifica situazione sociale: le relazioni sociali intersoggettive le concrete pratiche d’uso. Il progetto perseguito tendeva a mettere in luce l’insieme delle merci come un sistema unitario, con regole e meccanismi di funzionamento comuni. Proprio per perseguire tale scopo ha dovuto lavorare soprattutto sui significati interni alle merci, trascurando la molteplicità delle pratiche di natura sociale delle merci stesse. Si spiega così perché B. abbia ripreso alcuni dei principali aspetti della teoria di Veblen. In particolare il ruolo ostentativo e vistoso del consumo è reso possibile dall’esistenza di un “valore/segno” delle merci, che va ad aggiungersi al valore d’uso e al valore di scambio. Tale valore segnalerebbe sia l’appartenenza del consumatore ad un certo status sociale, che il suo grado di differenziazione rispetto agli altri status.Ma le nuove forme di differenziazione sono collocate su un piano più qualitativo e discreto rispetto a quello dello status agiato vebleniano. Così, gli oggetti di design sono realizzati per non essere compresi dalla maggioranza.La loro funzione sociale è di essere oggetti che distingueranno coloro che sanno distinguerli. Ne deriva che rimangono attive le barriere sociali che separano le classi superiori dalle restanti classi, ostacolando un’effettiva mobilità sociale. B. intuiva lo sviluppo di un processo avviatosi dalla metà degli anni ’70 in tutti i Paesi avanzati: la personalizzazione delle scelte. Tale processo ha portato la società da una struttura stratificata ad una struttura differenziata basata sulla frammentazione in tante diverse subculture, e, di conseguenza, ad una struttura sociale non più orientata in senso verticale.Anche il sistema degli oggetti, pertanto, si è frammentato, disgregandosi progressivamente. Ed è andato ad essere tenuto insieme, più che dalla combinazione dei significati delle merci, da una logica esterna alle merci stesse e propria dei nuovi stili di vita che andavano via via formandosi. Il significato veniva attribuito dall’individuo alla merce e non risiedeva più in questa, che si sottometteva pertanto ai criteri di aggregazione tra merci decisi dagli stili di vita attivi nel sociale. Proprio perché il suo senso era definito esternamente ad essa, ogni merce poteva dunque combinarsi con insiemi diversi di merci. Dagli anni ’80, il mondo delle imprese ha accelerato questo processo, indirizzando le sue strategie e le sue comunicazioni verso gruppi specifici di consumatori. PIERRE BOURDIEU Ha specificato che è la differente disponibilità di tre tipi di capitale (eco-soc-cul) a consentire alle persone e ai gruppi di trovare una particolare posizione nella società Le scelte di consumo si basano quindi su tre fondamentali variabili, il capitale : - economico che dipendente dal livello del reddito e dal tipo di professione - culturale che dipendente dal livello di istruzione, che deriva a sua volta dalla cultura trasmessa dalla famiglia di provenienza e dalla scuola - sociale che dipendente dalle relazioni che determinano il prestigio e la reputazione. Le diverse combinazioni del capitale economico, di quello culturale e di quello sociale definiscono l’identità sociale dell’individuo. I tre tipi di capitale possono essere convertiti l’uno nell’altro, ma possono anche essere in una situazione di contrapposizione. 13 Basandosi sul possesso del capitale economico e di quello culturale, B. ha costruito una mappa dello spazio sociale ai cui quattro estremi ci sono: - molto capitale economico e molto capitale culturale - molto capitale economico e poco capitale culturale - poco capitale economico e poco capitale culturale - poco capitale economico e molto capitale culturale Il capitale culturale può essere distinto in alto e basso e ciò corrisponde alla tradizionale distinzione tra cultura alta e cultura bassa. Ciò dipende dall’esistenza di due forme di estetica in continua lotta simbolica tra loro: quella kantiana e quella anti-kantiana. Cioè: un’estetica élitaria, che prevede la rinuncia al piacere immediato per favorire la distanza dalle cose e un atteggiamento contemplativo che consente la valutazione e la comprensione, un’estetica popolare che predilige invece il divertimento immediato, le sensazioni istintive e il piacere fisico e sensuale. B. però ha principalmente cercato di andare al di là delle motivazioni coscienti espresse in termini di “preferenze”, per analizzare la logica non-cosciente del processo psichico che influisce sui gusti individuali. Così ha mostrato come il gusto alimentare dipenda soprattutto dall’idea che ogni classe sociale si fa del corpo e degli effetti del cibo su quest’ultimo. Più in generale, il gusto dipende dall’habitus, che è definito dal possesso di due capacità: produrre pratiche ed opere classificabili e distinguere e valutare queste pratiche e questi prodotti. E’ questa seconda capacità che B.considera propriamente come “gusto”, uno dei fondamenti più profondi della vita sociale. Ritiene, infatti, che il gusto costituisca la formula generatrice, che sta all’origine dello stile di vita, cioè di un insieme unitario di preferenze distintive. Da questo punto di vista, è vicino a Baudrillard. Secondo B., è in atto un conflitto permanente tra due componenti della classe più elevata nella società: la componente dominante, il cui potere è basato sul capitale economico, quella dominata, il cui potere è invece basato sul capitale culturale. Ciascuna componente cerca di legittimare la propria situazione e si spiega così, per esempio, come mai gli artisti e gli intellettuali disprezzino spesso il gusto di coloro che hanno solo denaro. Ma tale lotta cerca anche di influenzare i criteri di convertibilità dei diversi tipi di capitale, cioè quale principio di dominio debba predominare Nella teoria di B. non è accettabile l’idea che gli individui siano condizionati nelle scelte dalla loro specifica morale di classe. Oggi la morale di classe, sebbene esista ancora, si è indebolita e, soprattutto, impone sempre meno di giudicare i comportamenti di consumo altrui.Ciò non solo perché è cresciuta la disponibilità personale di reddito, ma anche perché un processo di omogeneizzazione culturale ha smussato le differenze tra le varie classi. Pertanto, per analizzare i fenomeni di consumo, occorre analizzare non più solo la cultura di classe, ma anche l’intero immaginario collettivo odierno. Perché il sistema integrato consumo-mass media modifica in senso interclassista il capitale culturale di classe acquisito nella famiglia e nella scuola. Pertanto, per analizzare i fenomeni di consumo, occorre analizzare non più solo la cultura di classe, ma anche l’intero immaginario collettivo odierno. Perché il sistema integrato consumo-mass media modifica in senso interclassista il capitale culturale di classe acquisito nella famiglia e nella scuola. Lo dimostra, ad esempio, con il concetto di “strategie di riconversione”. Attraverso tale concetto riconosce a coloro che possiedono capitale economico una maggiore capacità di accesso al capitale culturale e al capitale sociale e la possibilità di riconvertire questi ultimi in capitale economico. B. è stato criticato da De Certeau, per il quale il concetto di habitus implica una sottovalutazione della creatività insita nelle pratiche sociali degli individui. E per il quale, poi, non è accettabile la condizione di incoscienza che secondo B. caratterizza il funzionamento dell’habitus e delle strategie dei soggetti. 14 CAP. III LE TEORIE CONTEMPORANEE Si sono osservati i cambiamenti che hanno fatto entrare negli ultimi decenni le società moderne in una nuova fase evolutiva LA SCUOLA DI BIRMINGHAM E’ stata la prima ad attribuire ’60 un valore alla cultura di massa e a considerare attivo il ruolo svolto dai consumatori e dai destinatari dei messaggi Gli autori di questa scuola si sono occupati di mettere in luce la natura e l’importanza della cultura di massa. Grazie al loro lavoro, si è modificata la concezione tradizionalmente riservata alla cultura di massa che ha cessato di essere considerata un’accozzaglia di “micro-culture” incomprensibili e prive di valore e ha cominciato ad esser vista come un insieme di forme espressive sintomatiche dei reali interessi e delle aspirazioni delle persone. L’individuo non è più ritenuto un soggetto passivo e facilmente manipolabile, ma un attivo costruttore del senso dei prodotti. Il senso delle merci è da attribuire ad un processo sociale di costruzione in cui rientra anche il ruolo della produzione stessa. Fondamentale è la funzione svolta dall’eredità culturale di Gramsci, secondo il quale la cultura popolare è in grado di esercitare un ruolo paragonabile a quello della cultura delle classi dominanti ed è addirittura in grado di lottare con questa per il controllo dell’egemonia culturale della società. Negli anni ’70 l’influenza del pensiero gramsciano e l’’imp. rivestita all’epoca dall’ideologia marxista hanno portato la Scuola di B. all’esasperazione della teoria adottata a causa della quale il alcuni casi si è attribuito un peso eccessivo alle manif. di protesta e ribellione. Negli anni ’80 tale esasp. si è ridimensionata e il lavoro svolto dal centro ha potuto rivoluzionare il modo di pensare alla relazione tra individuo-messaggi, originando quell’imp. filone anglosassone di ricerca sulla cultura di massa e sui consumi denominato “cultural studies” . In un celebre saggio Stuart Hall ha sostenuto che il processo di significazione è un processo interattivo, ovvero possono esserci tante possibili letture. Esiste per H. un ordine culturale dominante che tende a imporre la propria classificazione del mondo. Ma ci sono tre differenti modalità di decodifica del messaggio: - dominante-egemonica: chi riceve il messaggio lo interpreta atrtraverso il codice con il quale è stato codificato dall’emittente - negoziata: non pone in discussione la legittimità del sistema di valori a cui il codice dominante rimanda ma elabora delle proprie definizioni - di opposizione: ridefinisce il messaggio MICHEAL DE CERTEAU E’ stato lui a sostenere con più decisione che i consumatori non sono passivi perché svolgono un’incessante lavoro di produzione di senso Secondo De Certeau i consumatori utilizzano qualsiasi cosa venga proposta sul mercato secondo modalità proprio e nel farlo svolgono un incessante lavoro di “fabbricazione”, si tratta di rielaborazioni che rimangono generalmente nascoste ma svolgono comunque un ruolo importante. Quelle che ritiene più significative sono i giochi linguistici, i proverbi e i “lavori di straforo”. Anch’esso ha dunque proposto di considerare il processo di ricezione come un processo attivo. Il consumatore tende ad interpretare qualsiasi cosa attraverso la sua memoria, mettendovi l’insieme delle cose imparate nel corso della vita. De Certeau ha anche distinto le pratiche del quotidiano in: -Strategie: comportano l’occupazione di un territorio, sono i giochi che vengono praticati dai soggetti potenti -Tattiche: si basano sull’impiego di un luogo altrui, sono le attività praticate dai soggetti deboli. 15 Per De Certeau la cultura di massa è “un modo di fare”, cioè un insieme di pratiche della vita quotidiana prive di un luogo proprio. GEORGE RITZER Ha ripreso da Weber i concetti di razzionalizzaione che ha definito “mcdonaldizzazione” e di disincantamento del mondo e ha cercato di attualizzarli Voleva indicare l’adozione da parte delle principali istituzioni sociali (scuola, sport, politica, ecc.) del principio di razionalizzazione e standardizzazione nella gestione delle risorse della McDonald’s. W. aveva trovato tale principio nella società del suo tempo e nella burocrazia, con quella rigida organizzazione dei comportamenti che comporta. Ma si trattava, appunto, di un principio adeguato alla società industriale e capitalistica che andava dispiegando tutta la sua forza all’inizio del ’900. Ritzer l’ha applicato alle società contemporanee, sostenendo che il funzionamento di queste ultime è simile a quello di McDonald’s, che dipende dall’uso di 4 variabili con i clienti e i dipendenti: Tali variabili sono: efficienza, calcolabilità, prevedibilità, controllo. Per Ritzer esiste anche una quinta variabile paradossale: l’irrazionalità della razionalità. “Mcdonaldizzazione” della società: intendeva indicare l’adozione nei paesi avanzati da parte delle più importanti istituzioni sociali di quel principio di razionalizzazione e standardizzazione nella gestione delle risorse umane ed economiche che la Mc Donald’s adotta quotidianamente nella suo offerta di servizi al consumatore. Questa azienda infatti opera attraverso un impiego sapiente di quattro variabili, applicabili sia a clienti che a dipendenti; -Efficienza: capacità di offrire un metodo ottimale per soddisfare rapidamente l’appetito dei clienti attraverso un’efficace organizzazione delle mansioni lavorative dei dipendenti -Calcolabilità: un’elevata attenzione agli aspetti quantitativi del prodotto venduto -Prevedibilità: garanzia per il consumatore che i prodotti e i servizi offerti da Mc Donald’s consentano di ottenere quel piacere insito nella rassicurante mancanza di sorprese, perché saranno sempre gli stessi ovunque; la prevedibilità riguarda anche la programmazione dei comportamenti dei dipendenti -Controllo: i clienti del fast food sono soggetti a controlli. Le file, la limitazione del menu, le sedie scomode, tutto porta a fare quello che i gestori desiderano: consumare in fretta e andarsene; riguarda anche i dipendenti perché vengono addestrati per compiere un numero limitato di interventi Nonostante ciò, anche la Mc Donald’s è stata costretta a raggiungere un compromesso con le scelte individuali e con le specificità delle diverse culture. Esiste anche una quinta variabile, l’irrazionalità della razionalità, che secondo Alan Aldridge, è suddivisibile in tre aspetti: -Illusione: si applica all’interno dell’efficienza e della calcolabilità -Esternalità: processi di trasferimento all’esterno dei costi aziendali interni -Deumanizzazione: si imputa all’irrazionalità della razionalità, indica la deumanizzazione che subiscono i dipendenti Per Ritzer i luoghi del consumo sono caratterizzati da una “perdita del senso del tempo”, il che fa ottenere un disorientamento del consumatore, che perde il senso del tempo e di ogni legame con la realtà sociale, diventando vulnerabile ma conservando comunque una minima autonomia decisionale. L‘atto d consumo non è un atto di natura individuale, ma un vero e proprio atto sociale. EGERIA DI NALLO Ha enfatizzato le capacità del consumo di essere autonomo rispetto alla produzione sino al punto di riuscire a funzionare come un vero e proprio linguaggio 16 Secondo questa autrice l’oggetto del consumo ha perso la valenza di merce per diventare modo di esprimere l’affetto, la nostalgia, la cultura, l’amore. Nei diversi secoli di storia dell’epoca industriale gli individui si sono rapportati con il mondo solo attraverso una ragione di tipo strumentale, basata sui principi di: -Causalità e Funzionalità: le azioni del soggetto sono interpretate come funzionali a uno scopo o come effetto di un’azione precedente -Non Contraddizione: il soggetto organizza la propria vita sociale in tanti segmenti o ruoli, ciascuno dei quali è non contraddittorio al proprio interno e rispetto agli altri -Valutazione del tempo in cui prevale il Non Presente: il presente è visto come risultato del passato o proiettato nel futuro Anche il consumo ha adottato nell’epoca industriale una razionalità di tipo strumentale, strettamente legata al consumo che ha assunto nella società un’importanza crescente, che lo ha portato a sostituire progressivamente la produzione come elemento portate della realtà sociale, la lo ha portato anche a diffondere un nuovo tipo di razionalità. Ciò che avviene è un duplice processo di cambiamento che agisce a livello strutturale e culturale. A livello strutturale sono attive quattro dinamiche fondamentali: -Imputazione del bisogno e del consumo: diritto alla “qualità della vita” -Titolo del soddisfacimento del bisogno e del consumo: si esprime sempre più come acquisto di funzioni di un bene per un certo lasso di tempo -Contenuto dei bisogni da soddisfare: crescita dei bisogni culturali -Natura pubblica e privata del consumo: crisi della distinzione tra consumi privati e pubblici A livello culturale le tre variabili sopra descritte (Causalità…) vengono sostituite da: -Analogia: il consumo ha valenze eminentemente simboliche -Contraddizione: la vita sociale viene organizzata in tanti ruoli, ciascuno dei quali può essere contraddittorio -Dilatazione del Presente: il presente tende ad essere l’unica dimensione temporale Al “valore d’uso” e al successivo “valore di scambio” si sostituisce progressivamente il “valore di consumo”, che implica che il consumo assuma un valore autonomo e che disponga di una propria razionalità interna. Importante proposta teorica della Di Nallo è di considerare il consumo come “forma di linguaggio”. Al consumo va attribuita una funzione comunicativa, il che comporta che il consumo diviene un linguaggio e come tale, attraverso la sua autonomia strutturale, gli consente di essere universale e comprensibile. Questa analisi porta a considerare il consumo come un fenomeno sociale caratterizzato da tre dimensioni primarie: -Cognitiva: i motivi che spingono gli individui verso il consumo dei beni devono essere ricercati nella necessità di dare un ordine al caos -Normativa: i beni sono organizzati in base a precise regole che normano i rapporti sia tra beni diversi che combinabili -Produttiva: nonostante il sistema del consumo presenti delle regolarità sintattiche non gli deve essere attribuito un determinismo Nel sistema di consumo, dunque, non esistono dei significati univoci per i beni perché i significati non sono dati una volta per tutte, ma continuamente ricostruiti. GILLES LIPOVETSKY Ha sostenuto che è in atto una progressiva diffusione della “forma moda” (crescita dell’imp. della moda) che tende a rimodellare a sua immagine l’intera società Ha sostenuto che la società dei consumi è caratterizzata da una progressiva diffusione della “formamoda”, ovvero da una crescente capacità della moda di rimodellare a sua immagine l’intera società. La moda si è sviluppata grazie a due vettori centrali della modernizzazione: -Idealizzazione del nuovo, del futuro e del mito del progresso sociale 17 -Possibilità per l’individuo di liberarsi dai vincoli sociali tradizionali e sentirsi libero di esprimere la propria autonomia e capacità di scelta La moda ha potuto imporre socialmente i suoi criteri centrali del rinnovamento frenetico e della diversificazione dei modelli. Le aziende sono perciò condannate a produrre innovazioni e al tempo stesso il consumatore deve sviluppare con i prodotti un rapporto di tipo ludico, perché ciò che importa nei beni è soprattutto il carattere di novità posseduto ma nonostante ciò il consumatore non diviene insensibile alla qualità del prodotto stesso. Il consumo ha assunto una natura paradossale ed ha contribuito alla nascita di un nuovo tipo di personalità individuale. Non ci si lega più intensamente alle cose come accadeva in precedenza, più i beni diventano efficaci ed indispensabili più si indebolisce la possibilità di sedurre i consumatori. Vengono vissuti con distacco e quindi si può liberarsene senza nessun problema. Il consumo, come già detto, viene quindi visto come paradossale da Lipovetsky, in quanto genera un atteggiamento positivo nei confronti delle innovazioni ma gela la duttilità del sociale. La “forma-pubblicità” tende sempre più ad inglobare la “forma-moda” e la moda è variazione continua soprattutto perché la sua natura mondana la porta ad inscriversi all’interno della comunicazione. MIKE FEATHERSTONE Ha individuato con precisione i tratti caratteristici della nuova fase evolutiva della modernità nella quale predominano intensi processi di estetizzazione delle società e dei consumi Ha mostrato come all’interno delle numerose teorie sociologiche relative al post-moderno sia possibile individuare cinque tratti caratteristici di tale fase evolutiva dei sistemi sociali occidentali: -Messa in discussione della concezione romantica dell’arte: crolla il mito dell’unicità del lavoro dell’artista -Sviluppo di un’Estetica della Sensazione: cerca di stimolare il corpo sfruttando l’immediatezza dei suoi processi primari -Critica verso i “Piccoli Racconti”: presuppongono una conoscenza locale -Sovraccarico dell’immaginario e della simulazione: conduce ad una perdita del senso della realtà -Estetizzazione della vita quotidiana: l’esperienza artistica diventa il paradigma fondamentale I nuovi luoghi del consumo offrono un’esperienza di disordine culturale; il processo di civilizzazione impone comunque alle nuove classi medie un controllo fisico ed emozionale. Gli abitanti delle città diventano consumatori sempre più voraci di segni, di “merci simboliche”, l’arte si sposta progressivamente verso l’industria, attraverso il design, la moda e la pubblicità. La nuova classe media è composta da intellettuali, i “nuovi intermediatori culturali”, professionisti che operano principalmente nei settori dei media, del design, della moda e della pubblicità. Ciò ha portato ad una crescete rivalutazione nella società di ciò che è sempre stato caratterizzato come “cultura popolare”: la confusione, il disordine, l’immediatezza, l’istintività, la fisicità. “Contro-Cultura”: un gruppo che era costituito da giovani appartenenti ai più alti livelli di istruzione e che ha proposto un modello di vita rilassato e informale negli stili di abbigliamento e presentazione. Dalla società era bollato come pericoloso perché proponeva un’inaccettabile liberazione delle emozioni. MARTYN LEE Ha focalizzato la sua attenzione sul processo di dematerializzazione progressiva delle merci, sostenendo che esso comporta che l’atto di scambio tenda a diventare relativo a merci caratterizzate dal tempo della fruizione più che dalla sostanza fisica (merci esperenziali) Lee vede il consumo come il luogo in cui pratiche economiche e pratiche culturali si combinano fra loro. Il consumo appare sempre più caratterizzato da un processo di “fluidizzazione”, i beni di consumo perdono le caratteristiche del “fordismo” (rigidità, standardizzazione, massificazione) per 18 assumere le caratteristiche del “postfordismo” (flessibilità, innovazione, personalizzazione). In particolare, secondo Lee, il consumo è attualmente contraddistinto dai seguenti aspetti: -Cresce la mobilità spaziale e temporale: la capacità di consumare e impiegare beni in tempi e luoghi molto variabili -Compressione temporale: la durata fisica del consumo viene ridotta -Compressione spaziale: la dimensione fisica dei beni viene sempre più ridotta per creare all’interno dello spazio domestico un nuovo spazio fisico da occupare per nuovi beni -Diffusione delle merci composte: il fondersi di due o più merci in una -Scambio continuo: crescita di quelle merci che comportano un processo di rinnovamento continuo -Obsolescenza estetica: fenomeno di rinnovamento continuo dell’estetica delle merci Ma per Lee ciò che oggi soprattutto avviene è un processo di “dematerializzazione progressiva delle merci”, che comporta che l’atto di scambio tenda a diventare relativo a merci caratterizzate dal tempo della funzione più che dalla sostanza fisica: le merci esperienziali. ALAN BRYMAN Ha parlato di “disneyzzazione” ritenendo che i principali regolanti di funzionamento dei parchi a tema disneyani vengano progressivamente adottati dakke società avanzate “Disneyzzazione” della società: i principi regolanti il funzionamento dei parchi a tema disneyani vengono sempre più adottati dalle società occidentali e dai loro principi settori d’azione. Secondo Bryman la disneyzzazione è caratterizzata da quattro principali aspetti: -Tematizzazione: opera un’attrazione che procura un’esperienza piacevole rendendo più probabili gli atti d’acquisto -Consumo ibrido: le diverse forme di consumo sono sempre più connessa fra loro -Merchandising: promozione e vendita di una vasta gamma di prodotti legati all’immagine di una determinata marca -Lavoro performativo: i lavoratori offrono un servizio come una vera e propria performance spettacolare nella quale devono esprimere emozioni e dimostrare partecipazione al divertimento dei consumatori I concetti di “disneyzzazione” e “mcdonaldizzazione” in apparenza si assomigliano molto ma, sebbene Bryman si sia ispirato a Ritzer, rifiuta però l’idea che le realtà “mcdonaldizzate” possano impiegare il merchandising e il consumo ibrido. La “disneizzazione” si caratterizza per la sua capacità di stimolare la varietà, la “mcdonaldizzazione” stimola eguaglianza e somiglianza mentre la sineyzzazione stimola varietà e differenza. Il concetto di “disneyzzazione” è più adatto a spiegare il funzionamento delle società ipermoderne, caratterizzate dalla personalizzazione e da una grande varietà di scelte per il consumatore. ZYGMUNT BAUMAN Ha messo in evidenza come il consumo consenta oggi un controllo sociale sofisticato, stimolando in continuazione il consumatore non più a possedere beni e ricchezze materiali, ma a ricercarne nuove sensazioni Per Bauman la modernità ha attraversato due fasi. Nella prima l’obiettivo sociale era di forgiare gli individui come produttori, ma nella seconda, detta “modernità liquida” gli individui vengono formati per svolgere il ruolo di consumatori. Nei sistemi sociali più moderni la libertà dell’individuo dipende dalla sua libertà di consumatore. La lotta simbolica giocata dagli individui attraverso i consumi non è mai risolutiva, non consente cioè di avvicinarsi ad un successo che possa essere considerato definitivo. Per Bauman è come se nel capitalismo ci fossero due differenti modelli. Nel primo continua la lotta tradizionale per la gestione della ricchezza, nel secondo gli individui si possono scatenare liberamente. Ciò rafforza la stabilità del capitalismo. Nel capitalismo della “modernità liquida” il controllo sociale dei beni di consumo 19 sostituisce la repressione propria della prima fase con una nuova strategia chiamata da Bauman “seduzione”. Questo compito è solitamente svolto dalla pubblicità, la quale presenta a tale scopo i beni assieme a testimonial adeguati o in determinate situazioni sociali. Il risultato è una “naturalizzazione” del bene. I consumatori della modernità liquida sono sempre in movimento, in perenne stato di eccitazione, per essi il capriccio prende il posto del desiderio perché l’individuo ritiene sia meglio consumare subito qualcosa che sicuramente svanirà presto. Il godimento però per il consumatore sta soprattutto nell’attesa di una soddisfazione più che nella soddisfazione stessa. Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere quanto l’eccitazione per sensazioni nuove: i consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni. Ciò viene praticato attraverso il corpo, che diviene dunque un vero e proprio recettore di sensazioni. Per Bauman dunque i luoghi del consumo sono spazi in cui l’individuo vuole vivere un’esperienza non collettiva ma individuale. CAP. IV IL GRUPPO SOCIALE L’ANALISI ECONOMICA DELLA FAMIGLIA E’ nella famiglia che vengono elaborate gran parte delle scelte d’acquisto e vengono fisicamente consumati molti beni. In Italia è stato a partire dal secondo dopoguerra che si è riusciti a dar vita ad una vera e propria contabilità nazionale. Il limite principale dell’analisi statistico-quantitativa dei consumi delle famiglie è che i risultati da essa provenienti sono generalmente presentati in vasti aggregati merceologici scarsamente analitici. Visto così il consumo appare come un insieme di dati in continuo cambiamento, ma in realtà assai poco utili per la comprensione dei fenomeni in oggetto. “Legge principale del consumo” (Ernst Engels, 1895): tale legge sostiene che la quota percentuale di spesa per l’alimentazione di una famiglia o di una popolazione, rispetto alla spesa complessiva, è tanto più ridotta quanto più elevato è il reddito di quella famiglia o di quella popolazione e viceversa. L’approccio statistico-quantitativo è in realtà assai poco efficace nello spiegare l’agire di consumo a causa della sua eccessiva astrattezza rispetto ai comportamenti concreti dei consumatori. Qualcosa in più è possibile conoscere attraverso gli studi sui bilanci familiari. Pierre Frèdèric Le Play (1879) è stato il vero pioniere degli studi sui bilanci familiari, in quanto ha dato inizio alla raccolta e allo studio sistematico dei dati relativi al reddito e alle spese delle famiglie in diversi paesi europei. Ha dimostrato come i modelli di consumo non siano qualcosa di fisso, ma dipendano dal contesto sociale in cui operano. A parità di reddito, infatti, i consumi delle famiglie differiscono notevolmente in base all’occupazione del capofamiglia, allo status sociale, alla zona di residenza. Maurice Halbwachs (1913) sosteneva che i consumi sono nella maggior parte dei casi relativi alla posizione che gli individui occupano nella società, sosteneva anche che la coscienza di classe nasce dalle diversità presenti nei modelli di consumo. Successivamente Halbwachs riscontrò che nella fase espansiva dell’economia aumentano sia i prezzi che i salari, ma quest’ultimi in misura maggiore dei prezzi e vi è addirittura una fase in cui i prezzi diminuiscono progressivamente mentre i salari sono ancora in aumento. In questa fase nascono e si sviluppano i nuovi bisogni di consumo della classe operaia. E gli operai prendono coscienza di questi bisogni, che prima non esistevano per la mancanza del reddito necessario, ma ora tendono a fissarsi come modelli di consumo solidalmente condivisi dall’intera classe. Ciò che prima era considerato inessenziale è divenuto essenziale. ANALISI SOCIOLOGICA DELLA FAMIGLIA Dagli studi effettuati è emerso innanzitutto che per quanto riguarda gli acquisti la casalinga detiene in famiglia una effettiva leadership, ma anche che i suoi comportamenti sembrano guidati da una sorta di “progetto morale”, dall’obiettivo cioè di tradurre in beni acquistati sul mercato le relazioni ed i valori che emergono all’interno della sfera familiare e domestica. 20 Negli scorsi decenni il potere decisionale sui consumi è direttamente proporzionale al livello di reddito posseduto da ciascun membro di una famiglia. Il marito pertanto era il leader indiscusso, mentre la moglie acquistava potere sui consumi solo se contribuiva al reddito familiare mediante un impiego extradomestico. La moglie inoltre si sentiva meno legittimata del marito a spendere denaro e viceversa i mariti spendevano più delle mogli i propri guadagni nel tempo libero. Secondo Pahl (1983) vi sono cinque modelli di gestione delle risorse familiari: -Stipendio completo femminile: il marito consegna tutto lo stipendio alla moglie tranne la parte per le spese personali -Stipendio completo maschile: il marito mantiene la responsabilità della gestione delle finanze familiari -Assegnazione periodica: suddivisione della gestione della spesa, il marito dà alla moglie una somma fissa per le spese familiari e gestisce autonomamente il resto -Indipendente: entrambi i partner hanno un proprio reddito e nessuno dei due accede a tutto il denaro della famiglia perché mantenuto diviso Uomini e donne sono guidati nelle loro scelte da modelli di consumo differenti sul piano culturale. Gli uomini tendono a vivere l’acquisto come un’attività razionale mente le donne come una fonte di piacere. Dagli anni ottanta si indebolisce quel rapporto di proporzionalità diretta che è sempre esistito tra dominio finanziario e scelte d’acquisto. Nelle coppie dove entrambi i coniugi lavorano fuori casa i meccanismi di scelta diventano più egualitari. Va considerata anche la sempre più influenza esercitata dai bambini che stanno diventando consumatori sempre più competenti e quanto più le loro richieste si innalzano tanto più i genitori cercano di soddisfarle. Da ciò ne deriva un progressivo moltiplicarsi dei modelli di consumo: -Influenzatore: esercita un ruolo nell’indirizzare la scelta d’acquisto mettendo a disposizione le informazioni di cui dispone -Gatekeeper: controlla le informazioni che passano dalla famiglia -Decisore: è in grado di prendere in via definitiva la scelta -Acquirente: compie materialmente l’acquisto -Utilizzatore: impiega effettivamente il prodotto -Eliminatore: si occupa dell’eliminazione fisica del prodotto usato GRUPPI SOCIALI L’individuo appartiene nello stesso momento a diversi gruppi sociali definiti “gruppi d’appartenenza” che possono essersi formati attraverso modalità estremamente differenti (colleghi, vicini di casa, gruppi etnici, parentali, familiari…) ma, come ha messo in evidenza Robert Merton, è sempre possibile riconoscere in essi delle specifiche caratteristiche: - la presenza di un certo numero di perone che interagiscono fra loro con continuità e secondo modelli stabiliti - l’autoidentificazione da parte degli individui membri, caratterizzata da aspettative definite sulle forme di interazione interna - il riconoscimento da parte di altri dell’appartenenza al gruppo Questi gruppi svolgono per l’individuo delle funzioni particolarmente importanti, consentono: - lo sviluppo del processo di socializzazione - di sviluppare il concetto di Sé Spesso perciò un individuo ha la necessità di sentirsi partecipe di un determinato gruppo sociale, questo senso di partecipazione svolge per lui una funzione di rassicurazione. Il singolo individuo deve adattarsi al ruolo stabilito per lui nel gruppo, ruolo che gli altri si aspettano rivesta Il consumo, quindi, in questo caso, deve conformarsi agli standards stabiliti dai gruppi d’appartenenza sia per paura delle sanzioni sia perché si sono interiorizzate le norme del gruppo con 21 le quali ci so identifica totalmente. Ma questo adattarsi ad un ruolo già stabilito non impedisce al singolo individuo di differenziarsi socialmente attraverso il consumo (Simmel limitaz-differenz) I gruppi d’appartenenza si distinguono in: - primari: quelli dove i membri si conoscono e si frequentano, caratterizzati da limitate dimensioni, relativa durata, rapporti informali, fini comuni. Hanno un’influenza immediata e diretta sui modelli di consumo (Fabris) - secondari: composti da individui che non sono normalmente in un rapporto di interazione, anche se condividono particolari norme. Si tratta delle associazioni professionali, religiosa, i sindacati. Esercitano anch’essi un influenza sui modelli di consumo ma meno potente I gruppi d’appartenenza di un individuo possono diventare per altri individui dei gruppi di tipo “comparativo”: offrono la possibilità di confrontare le proprie scelte. Se nono giudicanti vincenti tali gruppi possono trasformarsi in “gruppi di riferimento” I “gruppi di riferimento” sono gruppi che gli individui, pur non appartenendovi, scelgono come modello per le proprie scelte perché aspirano ad entrarvi. La scelta di gruppi di riferimento esterni può essere frutto di un atteggiamento di rifiuto delle norme dei gruppi d’appartenenza Nei sistemi sociali occidentali caratterizzati da un elevato tasso di mobilità (molti ruoli sociali) l’adozione di gruppi di riferimento avviene abbastanza frequentemente Esiste anche il caso in cui il legame tra consumatore e gruppi d’appartenenza diventa molto stretto. Il processo di frammentazione che caratterizza da tempo le società occidentali sviluppa il bisogno di nuovi legami sociali, nuove comunità o tribù (micro-gruppi composti da individui eterogenei tra loro ma uniti dalla condivisione di una passione, emozione, momenti intensi) La rinascita delle tribù nelle società più avanzate comporta il riemergere di valori “quasi-arcaici”: identificazione nel locale, senso di religiosità, sincretismo culturale (Maffesoli). Tali tribù tentano di far rivivere l’archetipo del villaggio (Internet), per esistere hanno bisogno di qualcosa che permetta loro di consolidarsi e affermarsi Vi sono però anche altri gruppi che si formano basandosi sulla base della fedeltà di tutti gli appartenenti ad una certa marca (“comunità di marca”). Ad es. fedeltà verso le automobili Saab o i computer Apple esemplari di questa capacità di dar vita a comunità caratterizzate dalla condivisione di esperienza, rituali, modelli di comportamento La prospettiva del marketing tribale è stata sostenuta soprattutto da Bernard Cova e presuppone che lo studio del consumo debba considerare quest’ultimo come qualcuno che cerca di costruire delle esperienze e, attraverso queste, delle relazioni sociali fondamentali per la sua esistenza Anche nei prodotti/servizi tali tribù cercano, più che il valore d’uso, il valore di legame (linking value) che corrisponde al valore del prodotto stesso nella costruzione o potenziamento dei legami fra gli individui Le ricerche condotte da C. hanno messo in luce la presenza di una scala relativa all’intensità dei legami di tipo comunitario. Ne derivano quattro tipi di legami: - legami flash: desiderio di entrare in relazione con un altro senza volerla far durare - piccoli mondi: desiderio di contribuire o partecipare a poche relazioni interconnesse senza strutturazione né rigidità di ruoli - tribù/clan: desiderio di partecipare ad un gruppo organizzato attorno ad un oggetto di culto 22 - immaginario comunitario: desiderio di sentirsi in un insieme immaginario di persone che condividono la stessa identità attraverso il consumo dello stesso prodotto mitico Dunque dalla classificazione di C. risulta che nelle società contemporanee si manifesta più l’emergenza di un desiderio di comunità che il ritorno effettivo a comunità praticate Barman → forme di socialità nelle quali è facile entrare e uscire più deboli e di breve durata rispetto alle comunità tradizionali dove i legami erano più intensi (contatto fisico). Ma ciò non impedisce al desiderio di comunità di svolgere un ruolo importante in termini di consumo GLI OPINION LEADERS E I DIVI All’interno di qualsiasi gruppo sociale è fondamentale l’influenza esercitata dagli opinion leaders, individui che si differenziano per il maggior prestigio e quindi per il maggior potere d’influenza. Essi sono di solito importanti solo nel loro specifico territorio in quanto possiedono una maggior competenza rispetto ai beni di un determinato settore di mercato. Gli opinion leaders sono dunque degli individui che diventano oggetto di forte identificazione e come tali possono far parte sia di un determinato gruppo sociale che dell’intera collettività “Two.step flow of comunication” (Flusso di comunicazione a due livelli): secondo tale teoria, fra le comunicazioni emesse dai media e la comunicazione interpersonale, non esiste antagonismo ma una pacifica interazione. Il messaggio proveniente dai media (primo livello del flusso di comunicazione) viene infatti “filtrato” dai rapporti che si instaurano tra le persone (e tra esse e gli opinion leaders) e viene perciò trasposto ad un secondo livello. Va considerato che esistono due tipi di opinion leaders: -Market Maven: ovvero un “esperto di mercato” -Consumatore Innovativo: ovvero un individuo propenso ad acquistare nuove marche e prodotti appena compaiono sul mercato e comunque il prima possibile rispetto agli altri L’acquisto dei beni di consumo che si considerano fruiti dai divi e l’imitazione dei loro modi di vestirsi e di impiegare tali beni sono strumenti che permettono di evadere fantasticamente dalla povertà del proprio mondo quotidiano. Nella società odierna la televisione ha creato molti divi, subendo ciascuno di questi la conseguenza di essere “quotidianizzato” e reso così meno potente rispetto ai grandi divi del passato. Va considerato infatti che rispetto all’epoca d’oro dello star system hollywoodiano (anni trenta), con l’avvento della televisione e di un sistema comunicativo di massa il divo si progressivamente “mondanizzato”; il divo ha perso quindi quella natura specifica di “essere ibrido”. Tra pubblico e divo si stabilisce comunque un processo dialettico per cui un divo ha successo perché incarna un modello che riassume in sé desideri più o meno diffusi presso il proprio pubblico ed impersonandoli li amplifica e li promuove per il pubblico stesso. CAP. V LO STILE DI VITA E’ stato analizzato il ruolo svolto dalle diverse variabili sociali che sono in grado di influenzare i comportamenti di acquisto e fruizione dei beni e servizi praticati dagli individui I PRIMA TENTATIVI DI SEGMENTAZIONE La segmentazione consente alle imprese di semplificare la complessità dei mercati odierni, suddividendo i consumatori in segmenti. Segmenti che devono essere il più possibile omogenei al loro interno e il più possibile differenti dagli altri segmenti. I metodi a disposizione per segmentare i mercati possono essere raggruppati in quattro categorie: geografici, sociodemografici, 23 comportamentali, psicografici. Quello adottato più spesso è basato sulle variabili sociodemografiche (sesso, età, scolarità, reddito), grazie alla semplicità, alla facilità di reperimento, all’elevata capacità descrittiva e alla popolarità presso i pianificatori. Nato nel corso degli anni ’50, tale approccio è oggi largamente insoddisfacente. Se utilizzate a se stanti le sue variabili interagiscono costantemente e non sono in grado di produrre segmenti di mercato differenziati. E va considerata la scarsa capacità discriminante rispetto ai comportamenti di scelta dei prodotti e delle marche. Si pensi, per esempio, agli stili di vita “giovanili”, praticati oggi da fasce crescenti di anziani. Con le segmentazioni basate sui comportamenti c’è il passaggio dall’analisi delle caratteristiche generali degli individui a quella della loro specifica condotta verso un particolare prodotto/marca. Le origini di tali segmentazioni sono fatte risalire alla teoria della heavy half di Dik Twedt (1964), per il quale circa l’80% del consumo di un prodotto è attribuibile a metà dei consumatori. Ne consegue che è utile effettuare una segmentazione per trovare i forti consumatori, allo scopo di concentrare su questi gli sforzi aziendali. Ma tale approccio, basandosi su una dimensione quantitativa, trascura quelle di tipo qualitativo. Così mette insieme consumatori che acquistano con motivazioni diverse. La segmentazione per comportamenti si può suddividere in tre tipologie basate: sullo status dell’utilizzatore, sulla fedeltà alla marca sulla situazione d’uso. Ma tutti e tre questi metodi hanno dimostrato la loro efficacia solo in contesti specifici e delimitati e sono scarsamente esplicativi. La segmentazione psicografica La segmentazione “psicografica” è nata poco dopo la II guerra mondiale, con l’applicazione delle tecniche della psicologia ai comportamenti di consumo attraverso le “ricerche motivazionali”. Il metodo psicografico basa la sua individuazione dei diversi segmenti di mercato sull’analisi delle caratteristiche delle personalità individuali. Ha utilizzato in origine a tale scopo i “test di personalità”, che sono stati però abbandonati per la loro mancanza di correlazione diretta con gli specifici comportamenti di consumo. Mancanza determinata dalla loro origine clinica e dalla conseguente tendenza alla generalizzazione dei fenomeni. Russel Haley ha fatto rientrare tra i metodi psicografici la “segmentazione per vantaggi”. Raggruppa i consumatori utilizzando l’importanza che attribuiscono a determinate combinazioni di benefici razionali od emozionali attesi dal prodotto. Tale metodo ha avuto un notevole successo tra le aziende a partire dagli anni ’70. Va considerato però che i segmenti delineati con i benefici desiderati richiedono descrizioni con variabili socio-demografiche, ma ciò è reso difficoltoso dalla specificità delle dimensioni di beneficio considerate. Inoltre, non sempre i benefici ricercati sono rilevanti per la suddivisione della domanda, perché i desideri dei consumatori possono variare, ad esempio, in relazione alle occasioni d’uso. Il primo tentativo sperimentale di “psicografia” si deve ad Arthur Koponen (1960), il quale effettuava ricerche presso l’agenzia di pubblicità J. Walter Thompson. Il primo vero tentativo di psicografia si deve però a Emanuel Demby, che nel 1964, in una ricerca per le riviste Time e Holiday Magazine, ottenne l’identificazione degli acquirenti di nuovi prodotti. Demby trovò due tipi di consumatori, discriminati non solo al momento dell’acquisto, ma anche nelle altre attività quotidiane e nei loro interessi: i creativi, 40% della popolazione statunitense e alla ricerca costante di nuovi prodotti il cui consumo possa cambiare la loro vita; 24 i passivi, che tendono ad adottare i nuovi prodotti dopo gli altri, quando cioè il loro consumo è già diffuso e consolidato. Per Demby però la psicografia va sempre messa in relazione ad uno scopo specifico. I segmenti sono quindi relativi, non potendo essere generalizzati in quanto l’assegnazione di ogni soggetto esaminato a un particolare segmento dipende dal fenomeno considerato. In seguito, altri studiosi hanno sostenuto che un individuo appartenente ad un segmento di consumatori apparterrà sempre a quello. Siamo così al concetto di “stile di vita”. Concetto formulato anche da Simmel nella sua Filosofia del denaro, ma sviluppato soprattutto da Max Weber in Economia e società. Ma nelle ricerche di segmentazione il concetto di stile di vita è impiegato in un’accezione differente da quella di Max Weber. Non si riferisce più solo alla quantità di onore o prestigio di un individuo, ma all’insieme dei valori, atteggiamenti, opinioni e comportamenti che manifestano l’unicità di un gruppo di persone. Fabris considera lo stile di vita come la forma di raggruppamento sociale tipica delle società industriali avanzate. Sostiene inoltre che si caratterizza per poter essere liberamente scelto da parte dell’individuo, per la facoltà che offre di passare da uno stile di vita ad un altro e per la mancanza di dislivelli gerarchici rispetto agli altri stili. In Italia, solo nel 1976 Gabriele Calvi e l’istituto di ricerca Eurisko hanno introdotto tali strumenti. La Psicografia Eurisko, che nel 1986 ha cambiato nome diventando Sinottica, viene da allora condotta con periodicità annuale. Per Calvi, i possibili tipi di ricerca psicografica sono riconducibili a due: le ricerche tattiche e le più complesse ricerche strategiche. Le prime sono episodiche, non hanno un modello teorico generale e riguardano delle popolazioni specifiche. Le seconde muovono invece da un sistema generale di ipotesi sul comportamento umano. La maggior parte dei primi tentativi di psicografia, ma anche di quelli che vengono condotti oggi, appartiene al primo tipo. La sinottica appartiene al secondo tipo, perché, pur potendo essere usata per fenomeni di consumo specifici, deriva dalle analisi sociologiche che vedono la presenza in Italia di tre culture: antica (agricolo-patriarcale), moderna (borghese-urbana) e contemporanea (post-industriale). Calvi ha ritenuto opportuno non considerare le motivazioni inconsce dei consumatori, a suo avviso non in grado di spiegare i comportamenti perché troppo lontane da essi. Ha utilizzato a tale scopo una concezione pragmatica dei valori, considerati quindi come né universali, né profondi. Calvi, originariamente, ha individuato 9 tipi di stili di vita differenti. Nel corso del tempo, il numero e la composizione percentuale interna di questi stili di vita sono variati sino a raggiungere l’attuale conformazione. Oggi Sinottica ne conta 14.Da qualche anno, Eurisko ha introdotto in Sinottica la “Grande mappa”, che consente di rappresentare i principali fenomeni sociali e di mercato. I 4 quadranti ottenuti sulla mappa dall’incrocio dei due assi possono essere ulteriormente frazionati, così da ottenere 16 celle. Ma anche queste 16 celle si possono ulteriormente suddividere sino ad ottenere 144 porzioni. Sinottica ha avuto una notevole diffusione in Italia anche perché i suoi stili di vita vengono incrociati con i risultati delle principali ricerche media. Ma il tipo di approccio utilizzato per definire gli stili di vita, che vorrebbe basarsi simultaneamente su caratteri demografici e criteri, norme, abitudini comportamentali, attribuisce un peso elevato alle variabili sociodemografiche e ai comportamenti. Da un lato, utilizza le variabili sociodemografiche, che comportano una semplificazione che impedisce di cogliere la ricchezza delle personalità dei soggetti e dei loro comportamenti. Dall’altro, impiega i comportamenti, che sono sempre più instabili nell’attuale contesto sociale, caratterizzato da consumatori eclettici e orientati verso la sperimentazione. E’ vero, come ha detto Vittorio Meroni, che gli orientamenti comportamentali sono più vicini dei valori ai comportamenti d’acquisto e dunque esprimono i cambiamenti di questi ultimi con una maggiore sensibilità rispetto ai valori. Ma il problema è che sono troppo sensibili, rendendo difficoltosa la comprensione dei segmenti ottenuti. VALS: verso una teoria del comportamento umano 25 La ricerca VALS (Values and Life Styles) appartiene al raggruppamento di tipo strategico. E’ stata sviluppata da Arnold Mitchell presso l’Università di Stanford. Il modello teorico era così potente che ha comportato una forte semplificazione rispetto alla capacità di comprendere la realtà sociale, ma spiega anche le ragioni del vasto successo. La VALS si è basata sui risultati di numerosi studi sul comportamento umano e sullo sviluppo della personalità: Riesman, Glazer e Denney (1956), McClelland (1955, 1961), Fromm (1960), Erikson (1966), Maslow (1943, 1971, 1977). Ma è stata soprattutto la teoria di Maslow sulle “motivazioni dominanti” che determinano i comportamenti umani a fornirle le basi concettuali. Secondo tale teoria gli individui sono “mossi” da molteplici motivazioni, ma in ogni momento esiste sempre una motivazione dominante sulle altre. Tra le possibili motivazioni dominanti si forma anche una gerarchia, composta da 5 tipi di motivazioni o bisogni basici e valida per tutti gli individui. Ognuno di questi bisogni si manifesta soltanto quando sono stati soddisfatti i bisogni collocati ai livelli più bassi. Maslow ha aggiunto poi a questi bisogni, mettendoli prima dell’autorealizzazione, altri due: di conoscenza e soddisfazione estetica. Tale modello è stato criticato per la rigidità e l’automaticità con cui prevede necessariamente il passaggio per tutti gli individui dai livelli più bassi a quelli più alti della gerarchia. Inoltre, questo schema, con i suoi assunti sulla morale degli individui, non regge quando si considerano culture diverse da quella americana. Mitchell ha comunque utilizzato nel 1969 il modello di Maslow, perché riteneva che con esso concordassero gli studiosi di psicologia dello sviluppo, per i quali i diversi livelli della gerarchia dei bisogni corrispondono ad altrettante fasi dello sviluppo della personalità. Per questi studiosi, tale gerarchia può essere interpretata come un percorso a più fasi che va dall’immaturità alla maturità psicologica. Mitchell ha modificato nel 1978 lo schema di Maslow: ogni persona dopo aver soddisfatto i bisogni fisiologici e di sicurezza può scegliere tra due percorsi che si riuniscono al vertice rappresentato dall’autorealizzazione. Si tratta del percorso “eterodiretto” e di quello “autodiretto”, ripresi dalla ricerca di Riesman, Glazer e Denney in La folla solitaria (1959). Rispetto ai metodi psicografici precedenti, che erano specifici e limitati ad un solo prodotto o ad un solo periodo storico, il VALS è stato un notevole passo in avanti. Si tratta però di un metodo che soffre dei problemi opposti: da quella visione globale della società e del comportamento umano che la contraddistingue la ricerca VALS, infatti, difficilmente può passare ad analizzare situazioni di consumo specifiche. Pertanto, negli anni ’80, la ricerca VALS ha incontrato per qualche tempo delle difficoltà sino a che, nel 1989, si è adottata una nuova impostazione teorica, dando vita alla VALS 2.In essa è stata abbandonata l’impostazione teorica di derivazione psicologica, in favore di un approccio sociologico. Le ricerche sul cambiamento sociale e il sistema 3SC Soltanto una ricerca di largo respiro e mirata a sondare i cambiamenti delle società avanzate può analizzare con precisione il contesto socioculturale che influenza l’agire di consumo e osservarne sistematicamente la dinamica. Alain de Vulpian, a Parigi presso la Cofremca, e Daniel Yankelovich, a New York nella Yankelovich, Skelly and White, si sono dedicati dagli anni ’60 allo sviluppo di uno strumento di questo tipo. E stato però Yankelovich a mettere in piedi per primo nel 1971 un sistema permanente di osservazione del cambiamento socioculturale: “The Yankelovich Monitor”. L’informazione principale fornita da tale monitor, dotato di periodicità annuale, consisteva nella lettura continuativa della misura, della direzione e del carattere delle tendenze di cambiamento rilevanti (“social trends”). Successivamente, le ricerche finalizzate allo studio del cambiamento sociale si sono moltiplicate a livello internazionale, ma poche sono state quelle realmente innovative. 26 La ricerca 3SC possiede invece delle qualità specifiche che giustificano un’analisi dettagliata. La 3SC è stata ideata a Parigi nel 1972 da Alain de Vulpian, al quale si sono aggiunti Elizabeth Nelson (Taylor, Nelson & Associates-Londra), Werner Wyss (Scope-Lucerna), Giampaolo Fabris (a Milano con Demoskopea prima e GPF&Associati poi) e altri 14 istituti di ricerca. Tutti questi istituti si sono associati nel 1978 nella RISC (Research Institute on Social Change). Nel 3SC la misurazione del cambiamento viene effettuata attraverso le “correnti socioculturali”, lo strumento principale che caratterizza tale ricerca. Sono degli indicatori astratti che individuano l’esistenza di una parentela in una grande diversità di cambiamenti relativi a individui o gruppi, strutture o istituzioni. Le correnti sono cioè dei “vettori” del cambiamento lungo i quali si ipotizza che si muova, seppure in maniera discontinua, la società. Si collocano pertanto ad un livello intermedio tra i comportamenti e i valori che li ispirano. Il 3SC è presente anche in Italia, dove è da qualche anno denominato “T&T Monitor 3SC” (Trends & Targets e Sistema di Correnti SocioCulturali e Scenari di Cambiamento). E’ condotto dalla GPF & Associati, che l’ha effettuato dal 1977 ogni 18 mesi, sottoponendo ad intervista 2.500 individui di un campione statistico rappresentativo della popolazione italiana adulta. La collocazione spaziale delle correnti sulla mappa socioculturale consente di disporre di una sintesi visiva della società considerata, della sua struttura socioculturale e delle dinamiche operanti in essa. Proprio per questo motivo, la mappa socioculturale rappresenta lo strumento d’analisi più significativo del 3SC e le due principali dimensioni che la definiscono sono anche le più importanti “spaccature” valoriali della società italiana. L’asse orizzontale (o asse di modernizzazione) è il più importante ed è caratterizzato dalle polarità Apertura/Chiusura. Contrappone cioè i valori della cultura post-industriale, più orientati al cambiamento, all’innovazione, alla capacità di gestire la complessità sociale alle espressioni di una cultura di stampo pre-industriale, diffidente al nuovo e arroccata su valori tradizionali. L’asse verticale è caratterizzato invece dalle polarità Privato/Sociale. Contrappone una cultura intessuta di valori materiali, aspirazioni individualistiche e ricerca di distinzione a istanze solidaristiche, valori etici, ecologici, spirituali, orientati alla collettività e alla partecipazione. Le correnti socioculturali, oltre che forze in movimento, costituiscono anche delle variabili attive di segmentazione della popolazione. Il 3SC si basa su una tipologia generale, che in Italia è passata dai 6 tipi iniziali del 1978 a 8 e ha poi dato vita alle “10 Italie”. Al di là dello stile di vita Le ricerche sugli stili di vita sono state sottoposte a numerose critiche. Per esempio, la segmentazione per stili di vita, che sono espressione degli obiettivi di vita di una persona, corre il rischio di generare segmenti che hanno uno scarso legame con il prodotto. Ma la segmentazione per stili di vita ha suscitato delle perplessità anche perché mancherebbe di una solida struttura concettuale e di una base teorica adeguata. Rimangono inoltre seri dubbi rispetto alla validità scientifica dei risultati di ricerche che presentano spesso segmentazioni molto diverse, benché impieghino tecniche molto simili. Ma diversi tentativi effettuati per superare il sempre più insoddisfacente concetto di stile di vita non hanno ottenuto i risultati sperati. Anche le ricerche sul cambiamento sociale sono state criticate, soprattutto perché possiedono un limite che è inerente alla loro stessa natura. Infatti, non esiste nessuna teoria generale del cambiamento sociale ed è impossibile concepirne una, poiché essa sarebbe una teoria generale della storia. Vale a dire che, come nell’andamento della storia esiste comunque sempre un margine di casualità legato all’imprevedibilità del comportamento umano, così lo stesso fenomeno si verifica anche nell’ambito del cambiamento sociale. Le ricerche sugli stili di vita continuano comunque a funzionare perché si sono rivelate per le imprese degli utili strumenti descrittivi ed operativi, forse proprio a causa della loro mancanza di una teoria. 27 Hanno un’efficacia modesta per beni banali o di uso quotidiano, mentre sono preziose quando bisogna definire situazioni di consumo di beni ad alto contenuto emozionale e soprattutto il contesto psicologico in cui quel consumo si inserisce. In futuro, comunque, questi sistemi di ricerca vedranno aumentare le difficoltà per lo sviluppo di un “villaggio planetario” dove da un lato c’è un’omogeneizzazione dei soggetti e delle culture e dall’altro si sviluppano le subculture locali. Nel campo dei consumi, ciò si traduce in un aumento dei modelli e degli stili di consumo, anche in conseguenza dell’accrescersi della flessibilità e della maturità dei consumatori. Tale processo di frammentazione del sociale si ripercuote sulle tipologie prodotte attraverso le tecniche di segmentazione, che tendono a perdere di omogeneità e quindi di efficacia esplicativa. E ovviamente le difficoltà per le ricerche di segmentazione aumentano quando si passa dal livello nazionale a quello internazionale. Egeria di Nallo ha proposto di lavorare non più sul consumatore ma sul consumo. Ovvero cercare di individuare non degli stili di vita, connessi al consumatore, ma degli stili di consumo, aree socioculturali esistenti nella società indipendentemente dalla singola azienda e dal singolo consumatore. Sono infatti esterni al consumatore, che li può assumere per un periodo più o meno lungo e cambiare con la stessa facilità con cui mette e smette un abito. Il consumatore transita dentro ogni bolla o sfera, dove può trovare, inseriti all’interno di un sistema coerente, dei prodotti e flussi comunicativi relativi. Di Nallo chiama anche “meeting point” queste bolle, proprio per sottolineare la loro natura di luogo d’incontro virtuale tra i consumatori e i prodotti. Questi ultimi, naturalmente, possono muoversi anch’essi tra una bolla e l’altra e far parte allo stesso tempo di più bolle, le quali a loro volta possono parzialmente sovrapporsi l’una con l’altra. Periodicamente, qualcuno cerca di dimostrare la superiorità delle variabili sociodemografiche su quelle socioculturali, ma si tratta di un falso problema determinato da resistenze psicologiche all’innovazione. Anche ammettendo la superiorità esplicativa delle variabili sociodemografiche, essa è certamente minima e comunque i risultati migliori si possono ottenere utilizzando tali variabili congiuntamente. Il punto di forza delle variabili socioculturali risiede nella capacità di definire con più precisione ciò che quelle sociodemografiche hanno già chiarito come prerequisito di base. Che cosa significa dire che un consumatore ha un certo livello di reddito? Non molto se non ci fossero le variabili socioculturali a consentire di comprendere il suo specifico comportamento d’acquisto. Anche per l’antropologa Mary Douglas è sbagliato considerare il consumatore un essere incoerente e frammentato, confuso sui propri scopi e appena responsabile delle proprie decisioni. E’ invece corretto considerarlo come un essere coerente e unitario e lo stile di vita, dunque, può essere ancora ritenuto ciò che attribuisce coerenza ai suoi differenti comportamenti. La cultura sociale Marcel Mauss I comportamenti dei consumatori, come tutti i comportamenti degli individui, sono fortemente condizionati dalla cultura in cui prendono forma. Storicamente, è stata l’antropologia a concentrare il suo sforzo interpretativo sulla cultura. Oggi quest’ultima è un oggetto d’analisi comune all’antropologia e alla sociologia. Il primo antropologo ad evidenziare la funzione della cultura sociale nell’attribuire significati agli oggetti è Marcel Mauss (1925). Per tale autore, infatti, gli oggetti sono strumenti per comunicare il valore degli individui. Lo scambio di beni è cioè uno scambio simbolico, perché simboleggia gli scambi fra gli uomini, i sentimenti e le relazioni che li legano. L’oggetto di studio di Mauss è stato l’utilizzo che veniva fatto dei doni in alcune società arcaiche. 28 Ha analizzato, ad esempio, il potlàc, una sorta di banchetto-festa offerto al capo e praticato dalle tribù Tlingit e Haida del Nord-Ovest americano, in cui si arriva a distruggere le ricchezze accumulate per sfidare il capo della tribù rivale. Attraverso il potlàc, dunque, gli oggetti donati divengono simboli del valore sociale, del prestigio e del potere di chi li possiede e stabiliscono o confermano le gerarchie sociali esistenti. Per Mauss gli scambi di doni tra i gruppi sociali sono “fenomeni sociali totali”, perché sembrano scambi liberi di oggetti, ma in realtà comportano un forte senso di obbligatorietà interindividuale. Mauss voleva capire le motivazioni che si trovano alla base della necessità degli individui di restituire i doni ricevuti e della forza che regola tali scambi. Il concetto di hau, o “spirito delle cose”, gli ha consentito di spiegare tale fenomeno. Presso le popolazioni studiate, si pensava che gli oggetti dati in dono possedessero una parte dell’anima del donatore (lo hau appunto) e che, di conseguenza, fosse necessario contraccambiarli per fare ritornare tale anima al suo proprietario. Così come, d’altronde, è sempre necessario accettarli quando li si riceve. Lo scambio comprende pertanto tre obblighi fondamentali: donare, ricevere e ricambiare. Ostacolare tale scambio di doni veniva considerato un rifiuto di instaurare uno scambio sociale, un gesto equivalente ad una dichiarazione di guerra. In sintesi, l’aspetto fondamentale dell’analisi di Mauss è che nella società l’oggetto si carica di valenze simboliche divenendo immagine di una relazione sociale: lo hau è il simbolo della vita associata, delle relazioni tra gli individui. Attraverso lo scambio di doni, perciò, si creano le relazioni tra gli individui, si crea la società. Il dono, certo, si differenzia in parte dai beni di consumo, perché viene offerto e restituito gratuitamente, ma il ruolo simbolico che svolge nel sociale è lo stesso ricoperto anche dai beni. Gli antropologi venuti in seguito hanno confermato la bontà delle idee espresse da Mauss. Fa eccezione Georges Bataille, che ha rifiutato quella componente di obbligatorietà sociale che ha invece un ruolo fondamentale nell’analisi di Mauss. Bataille ha enfatizzato la natura eccessiva e gratuita del dono, considerandola legata alla intrinseca necessità di distruggere e sperperare della produzione capitalistica. L’obiettivo di Bataille, dunque, era soprattutto di criticare il capitalismo e ha trascurato perciò quel ruolo simbolico che veniva svolto dai doni nelle società primitive e che era importante per Mauss. Claude Lévi-Strauss Claude Lévi-Strauss ha ripreso il lavoro di Marcel Mauss, ma ha ritenuto che il sistema dei doni potesse essere considerato come parte di un sistema più vasto: il “sistema delle reciprocità”. A suo avviso, infatti, Mauss ha sbagliato ad isolare il dono, il quale è in realtà integrato nella società. Ha sbagliato, cioè, a separare i fenomeni sociali, anziché porre attenzione alle loro relazioni. Per Lévi-Strauss, la realtà dello scambio degli oggetti va ricercata in quelle “strutture inconsce” che sono la componente profonda della cultura sociale e indipendenti dalle soggettività individuali. Così, per Lévi-Strauss, attraverso gli scambi si crea il mondo della reciprocità, in cui gli oggetti comunicano valori simbolici, in quanto valgono una relazione sociale, simboleggiano sentimenti, sono un tramite tra persone e gruppi. Inoltre, gli oggetti svolgono nella società anche altre due funzioni simboliche. La prima è quella per cui possono assumere il valore di strumenti logici in grado di attribuire un ordine all’esperienza del mondo, per renderla significativa e quindi comunicabile. La seconda è invece quella di tipo comunicativo, per cui possono costituire, mediante scambi con altri oggetti, una sorta di linguaggio, un sistema simbolico di comunicazione per la cultura sociale. Infatti, ogni ordine sociale ha bisogno di codici culturali attraverso cui trasmettere i valori, i significati fondativi della vita sociale. Gli oggetti costituirebbero uno di questi codici, che fa socializzare le categorie principali di una cultura. Gli oggetti, infatti, sono in grado di rendere evidenti le differenze gerarchiche e tra i sessi, l’organizzazione sociale del tempo e dello spazio. La funzione comunicativa degli oggetti va dunque oltre il mero aspetto materiale della cultura, perché ha una portata sociologica più vasta. 29 Così come avviene anche per le donne e le parole, gli altri due canali che con gli oggetti consentono la comunicazione sociale, gli oggetti, trasmettono l’informazione necessaria affinché i comportamenti individuali possano ordinarsi in forme collettive. Mary Douglas Ne “Il mondo delle cose”, scritto con l’economista Baron Isherwood (1984), Mary Douglas ha tentato di coniugare il suo approccio con la fenomenologia sociale di Alfred Schutz. Per il quale le conoscenze e le rappresentazioni della realtà vengono collettivamente costruite dagli individui durante le loro interazioni. Per Mary Douglas, Lévi-Strauss ha sottovalutato la forza emotiva dell’azione simbolica, ovvero il contenuto psichico dei simboli. Risiede invece nel riconoscimento dell’importanza sociale dei simboli il principio di base che ha guidato il suo lavoro di antropologa. Mary Douglas, nella sua analisi sugli oggetti delle società contemporanee, è arrivata però a risultati vicini a quelli di Lévi-Strauss sulle società primitive. Condivide l’idea che ogni società deve disporre di significati comuni che rendono possibile la comunicazione e la comprensione tra gli individui. I rituali del consumo sono dunque fondamentali, perché consentono, come i rituali delle civiltà primitive, di dare ordine e senso agli eventi. Essi consentono di stabilire visibilmente i significati e le categorie culturali utilizzati nella società. Categorie che rendono possibile agli individui comunicare senza dover nuovamente stabilire, ogni volta i significati degli oggetti e degli eventi. Nella società, secondo Douglas, esiste infatti un continuo processo di scambio tra significati impliciti ed espliciti. Dunque, esistono delle conoscenze sociali che vengono rimosse dal mondo cosciente per evitare delle incoerenze nel sistema di pensiero e dei possibili conflitti con altre conoscenze. E’ infatti attraverso questi canali impliciti di comunicazione che la società prende vita e che gli individui possono comunicare tra loro senza dover ridefinire costantemente i concetti che utilizzano. Chi interagisce, cioè, utilizza un codice che è immediatamente comprensibile dagli altri individui. Questa visione non comporta però che qualsiasi azione o pensiero umano sia necessariamente determinata dal sistema sociale. L’individuo è un soggetto attivo che contribuisce costantemente alla rielaborazione del sistema culturale in cui si trova. Ma è anche influenzato da tale sistema culturale. Anche il consumo viene dunque ad essere un processo attivo, in cui tutte le categorie sociali sono continuamente ridefinite. Ma sebbene tutti i beni siano portatori di significato, nessuno ne possiede uno autonomo. Il significato sta nelle relazioni fra tutti i beni. Da ciò deriva un altro punto di disaccordo con Lévi-Strauss. Per Douglas i significati trasmessi dai beni sono parte integrante dei significati della parentela e della mitologia. E soltanto se li si analizza insieme possono rivelare i loro significati all’antropologia culturale. Lévi-Strauss, invece, non ha saputo cogliere una sintesi tra i diversi sistemi di comunicazione su cui si basa la vita sociale (i beni, le donne e le parole).Perché non ha saputo inglobare tali sistemi all’interno di una teoria del consumo più complessiva. Douglas ha sostenuto inoltre che l’informazione deve essere considerata il bene principale delle società contemporanee. Ci sono tre principali modalità di collegamento del consumatore alle informazioni circolanti nella società: sociale: l’accesso dell’individuo alle informazioni avviene attraverso relazioni intersoggettive; informativa: riguarda le conoscenze acquisite dall’individuo, che comprende la cultura, ma anche i beni e i servizi cui ha accesso; tecnologica: le competenze che consentono una gestione più efficace delle informazioni, e a volte anche un accesso esclusivo. L’accesso all’uso di determinati beni è un fattore indispensabile all’individuo per sentirsi in contatto con gli altri, per evitare la marginalizzazione e dunque possedere le informazioni fondamentali. Per questo le motivazioni che inducono gli individui a volere dei beni possono essere sintetizzate in un problema di controllo sul processo di produzione del significato, cioè un problema di informazione. 30 Il consumo è considerato cioè da Douglas una arena in cui gli individui, con lotte reciproche per il controllo dell’informazione, elaborano delle strategie di inclusione ed esclusione. La ricchezza, perciò, non deriva dai beni posseduti, ma dall’essere in processi di scambio in cui i contatti con gli altri sono facilitati dai beni. Al di là della loro funzionalità materiale, i beni fungono da strumenti per entrare in un gruppo. E’ per questo motivo che per Douglas il consumo possiede un carattere decisamente razionale. Gli individui tendono a scegliere beni che sono in grado di “liberarli” da lavori di routine, inerenti alla gestione familiare, al riordino della casa, ecc. Consentono perciò di avere più tempo da dedicare alla partecipazione ai rituali di consumo collettivi. E’ possibile individuare l’esistenza nella società di tre sfere di consumo basate su: moduli di consumo su piccola scala, dove i vincoli di periodicità legati ai processi domestici sono elevati e vi è un’alta frequenza di lavori domestici di routine; quindi la frequenza ai rituali di consumo è scarsa e tale sfera riserva un’elevata quota di spesa ai beni alimentari; moduli di consumo a media scala, con vincoli di periodicità minori, in quanto aumentano i beni tecnologici, che liberano dall’attività di routine e garantiscono una maggiore possibilità di partecipare ai rituali di consumo; vi permane una scarsa frequenza ai rituali, poiché vi è esclusione dalla circolazione di servizi di identificazione nelle cerchie di consumo su scala più ampia; moduli di consumo a larga scala, dove vi è ampia libertà dai vincoli di periodicità, e quindi un’elevata frequenza ai rituali di consumo; si caratterizza per una elevata quota di spesa riservata ai beni tecnologici e per una quota di spesa più bassa per i generi alimentari. Per Douglas, le classi superiori usano il modulo di consumo su larga scala perché hanno un maggior reddito e quindi, attraverso l’elevata quota per i beni tecnologici, maggiori contatti personali. Questo permette alle classi superiori di mantenere il controllo sul sistema informativo e di escluderne gli altri gruppi. Le sfere non costituiscono dei gruppi chiusi, si può passare tra una sfera e l’altra, perché gli individui cercano di appartenere alle classi superiori, di avere aspettative di guadagni superiori. Douglas ha anche attribuito al consumo la capacità di collocare l’individuo sul piano del reddito e di distribuire il potere economico tra i gruppi sociali. Addirittura, ha sostenuto che lo scopo del possedere informazioni debba essere quello di ottenere l’onore e l’elevamento di rango Ma ciò è in contrasto con la concezione del consumo come sistema di comunicazione sviluppata dalla stessa Douglas. Tale concezione implica una ricchezza espressiva del consumo superiore alla semplice collocazione del soggetto nella scala del reddito, come è implicato dal concetto di onore. Appadurai e Kopytoff Per Arjun Appadurai e Igor Kopytoff (1986) gli oggetti non solo esprimono dei significati simbolici, ma possono anche avere una “vita sociale”. Appadurai e Kopytoff ritengono che sia possibile comprendere i significati degli oggetti ricostruendo i contesti sociali della loro “biografia culturale” oppure le diverse epoche storiche che hanno caratterizzato la loro “storia sociale”. Per Appadurai biografia culturale e storia sociale degli oggetti tendono a confondersi, ma ciò non intacca la validità del metodo proposto. Se si attribuisce una biografia culturale agli oggetti, si modifica la loro concezione, in quanto sono considerati alla stregua di persone, in grado di influenzare le opinioni e i comportamenti. Pertanto, a differenza di quanto detto da Marx, per Appadurai e Kopytoff gli oggetti possono entrare o uscire dalla condizione di merci in base all’uso che ne viene fatto in società. E ciò vale non soltanto per le società capitalistiche, ma per tutte le società, che generalmente si trovano tra la completa mercificazione e la completa de-mercificazione di tutti gli oggetti Grant McCracken 31 Per McCracken, il significato di un bene è mobile, in quanto si sposta socialmente, aiutato dagli sforzi individuali e collettivi di designer, produttori, pubblicitari e consumatori. Più precisamente, la traiettoria seguita va dal mondo culturalmente costituito, attraverso i beni di consumo, per arrivare ai consumatori. Ci sono, cioè, tre possibili collocazioni del significato di un bene: il mondo culturalmente costituito, il bene di consumo e il singolo consumatore. Ma ci sono anche due momenti di trasferimento: dal mondo al bene e dal bene all’individuo. Nel primo caso (dal mondo al bene), il significato arriva al bene grazie a due strumenti: la pubblicità e la moda. Queste, infatti, investono di significati i beni collocandoli in contesti dotati di significati culturali. Individuano, inoltre, le corrispondenze latenti esistenti tra i beni e i nuovi fenomeni che compaiono nella cultura sociale. Dunque, hanno un ruolo importante nel provocare o stimolare il sistema culturale perché sia sempre in movimento e alla ricerca di un proprio equilibrio. Nel secondo caso (dal bene all’individuo), il trasferimento del significato avviene con i rituali: di possesso: sono i più importanti, intrapresi dal proprietario di un bene per appropriarsi dei significati di tale bene; di scambio: è lo scambio di oggetti con un certo significato; l’obiettivo è che il ricevente condivida con chi dona il significato dell’oggetto; di mantenimento: possono mantenere e rafforzare i significati che il consumatore trae dal possesso e dall’uso dei beni; di svestizione: svuotano i beni dal loro significato originario: li praticano quelli che vendono o regalano un oggetto oppure ne entrano in possesso per la prima volta e cercano di cancellare i segni del precedente proprietario. Molto spesso i beni sono vissuti dagli individui come un ponte che conduce ad ideali trasposti. Possono rappresentare qualcosa che il consumatore desidera ma non è in grado di ottenere oppure qualcosa che possiede, ma è solo una parte del “significato trasposto”. Vale a dire un significato sottratto dalla vita di tutti i giorni e trasportato in un altro universo culturale, dove, allo stesso tempo, può essere visto come lontano, ma anche come facilmente raggiungibile. Tale universo può appartenere al passato o al futuro. Ciò che conta è che il desiderio ad esso legato è per McCracken un motore per il consumo. Il desiderio cioè di possedere qualcosa che è lontano ma raggiungibile alimenta un bisogno di consumare che sembra senza limiti. Può presentarsi la remota eventualità che il significato trasposto venga raggiunto e allora è necessario che il consumatore scelga un altro bene che svolga la stessa funzione. Per McCracken, la cultura crea legami tra beni che possono anche essere molto diversi fra loro, ma coerenti all’interno delle “unità Diderot”. Diderot raccontò di aver ricevuto in dono una lussuosa vestaglia di seta e come quest’oggetto fosse incoerente con gli oggetti del suo studio. Perciò decise di sostituire i vecchi mobili con mobili coerenti con la nuova vestaglia. Per McCracken, un bene che è preso isolatamente è privo di significato. Come per Douglas, ogni bene deriva la sua funzione simbolica dal sistema in cui è inserito. L’unità Diderot è in grado di determinare un “effetto Diderot”, che può operare secondo tre modalità: nella maggior parte dei casi, è stabilizzante in sistemi codificati che non abbiano raggiunto un punto di rottura; agisce come una barriera contro l’intrusione di beni che possono destabilizzare i sistemi codificati; quando elementi destabilizzanti sono introdotti in sistemi in equilibrio, come la vestaglia di Diderot, viene minata la coerenza che cementa la varietà dei beni e c’è una ristrutturazione dell’unità Diderot, con conseguenze innovative; l’effetto Diderot può consistere ancora in un cambiamento dell’unità Diderot, ma praticata volontariamente, per rivoluzionare la propria visione e posizione nel mondo Come si è visto, nel modello di McCracken i significati si muovono dall’alto verso il basso della cultura sociale, cioè dal mondo culturalmente costituito ai consumatori. Ciò non è corretto, perché 32 la cultura non è un prodotto dato, ma il risultato di una produzione collettiva e i beni sono sia creazioni che creatori del mondo culturalmente e socialmente costituito. 33