CAP. I
LE TEORIE SULLE ORIGINI
Principali teorie sull’origine della cultura moderna e contemporanea del consumo, ciascuna delle
quali ha collocato tale evento in un preciso contesto sociale e culturale
DAL COMMERCIO: CHANDRA MUKERJI
La cultura del consumo risale alla riv. commerciale del XV-XVI sec. quando si resero disponibili
una vasta serie di prodotti nuovi, sconosciuti e si iniziò a produrre una vera cultura materialistica
È nel Rinascimento che sono nati i modelli culturali di tipo materialistico che si trovano anche
dietro i comportamenti di consumo attuali. La riv. industriale segna certamente un punto di
passaggio tra due epoche ma ai modelli di consumo utilizzati dalla nuova economia provengono
dall’epoca precedente della riv. commerciale così come la figura del consumatore
Lo sviluppo dell’industrializzazione del XVIII sec. è dovuto non solo all’etica protestante (concetto
di Weber), ma anche ai modelli materialistici di consumo del XV e XVI secolo. Entrambe le epoche
sono cioè caratterizzate da un consumo di tipo edonistico e ostentativo, indispensabile per lo
sviluppo economico perché assicura continuità nel collocamento dei beni
L’analisi dello storico Fernand Braudel mostra come la nascita nel Rinascimento di una cultura del
consumo abbia esercitato un ruolo fondamentale nel determinare lo sviluppo eco/sociale degli
ultimi secoli. I consumi non hanno portato solo la produzione di nuove merci ma hanno favorito lo
svilupparsi di una nuova cultura sociale. Anche la moda ha esercitato un ruolo importante in questi
processi di trasformazione spingendo le persone ad una ricerca costante di innovazioni
DALLA POLITICA: GRANT MCCRACKEN
Ha collocato la nascita della cultura materialistica nell’Inghilterra della II meta del XVI sec. alla
corte di Elisabetta I. Tale sovrana costrinse i nobili a trasferirsi a corte per far ricever loro i propri
doni direttamente a mano senza bisogno di intermediari. In questo modo, ottenne di far pagare ai
nobili una parte delle spese necessarie per mantenere lo sfarzo indispensabile per com. al mondo il
suo potere politico. Ma una volta a corte ciascun politico, non godendo più dei propri possedimenti,
si trovava uguale ad un altro. Così per farsi notare agli occhi della regina ogni nobile alimentò una
spirale competitiva che portò alla necessità di un elevato impiego di consumi di prestigio
Mukerji e Braudel sostengono però che il consumo di beni di lusso era già molto diffuso presso i
ricchi signori dell’Italia del XIV sec. Ma il fatto più significativo è che (dai nobili italiani oppure
dalla corte elisabettiana) le nuove modalità di consumo, inizialmente per un’élite, si sono sempre
più diffuse. La questione su cui gli autori divergono è quando esattamente ciò sia avvenuto
E’ certo però che in precedenza i nobili acquistavano i beni di lusso per affermare sia il prestigio e la
reputazione dei famigliari, che quelli dei discendenti futuri. Ma poi incominciarono a spendere per se
anziché per le generazioni future, spinti dal bisogno di affermare la propria personalità. Nel modello
precedente i beni erano considerati più rispettabili quanto più a lungo restavano in famiglia, ma con
il nuovo modello si affermò il valore del nuovo e del moderno
Nell’analisi di McCracken c’è anche l’idea che in precedenza la “patina” fosse fondamentale nella
trasmissione della ricchezza tra le generazioni. Storicamente, gli strati superiori della società hanno
utilizzato anche altri sistemi per difendersi, ma nessuno ha avuto l’efficacia della patina.Un esempio
possono essere le “leggi suntuarie” (che prescrivevano l’abbigliamento per i diversi strati sociali e
punivano chi indossava abiti per uno status sociale superiore al proprio).
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Nel tempo la patina è stata sempre più sopravanzata dalla moda e ciò ha avuto delle conseguenze:
- è diventato quasi impossibile distinguere la nuova ricchezza da quella vecchia
- le classi inferiori hanno potuto imitare più facilmente quelle superiori.
DALL’ECONOMIA: MCKENDRICK, BREWER, PLUMB
Hanno spostato la nascita della cultura del consumo al XVIII sec. ma sono concordi nel collocarla
in Inghilterra. Sostengono infatti che è con l’arrivo dell’industrializzazione il consumo è diventato
un fenomeno sociale significativo perché realmente riservato a grandi masse di persone costrette a
dover scegliere autonomamente i prodotti. Ma soprattutto la nascita della cultura di consumo in
Inghilterra è dimostrata dalla comparsa di un nuovo soggetto sociale, l’impresa che con i suoi
strumenti di promozione, marketing e pubblicità può esercitare un ruolo dirompente
A sostegno della loro tesi è il caso di Wedgwood, creatore di una famosa industria omonima di
ceramiche che ha utilizzato strategie di marketing per la promozione dei propri prodotti come:
- presentazione dei propri prodotti in case di nobili importanti
- apertura di negozi monomarca per esporre i propri prodotti
- lancio di vasi etruschi per rispondere all’interesse per l’archeologia
- ha inoltre ha piegato per primo una strategia basata sul desig (rispondono specifico mercato)
Secondo molti, W. ha addirittura creato anche la nozione di design o disegno industriale, cioè di
produzione industriale di manufatti artistici per rispondere alle richieste del mercato
Ma in questo periodo molte altre imprese attraverso l’impiego dei nuovi strumenti hanno
progressivamente indebolito i modelli di consumo tradizionali e locali in favore di modelli nuovi
estesi su un ampio territorio geografico
Un altro importante segnale è il fatto che in questo periodo le donne hanno incominciato ad essere le
protagoniste del consumo andando per la I volta a lavorare e disponendo così di un proprio reddito
Ma perché questo reddito potesse innescare un incremento della domanda fu necessario che si
affermassero dei valori sociali favorevoli al consumo (come ad es. idea che i beni materiali/lusso
aumentando la domanda di prodotti contribuisse al benessere comune)
DAL LUSSO: WERNER SOMBART
Ha ricondotto le origini della cultura del consumo alla richiesta da parte degli aristocratici dei beni di
lusso ed ha inoltre sostenuto che storicamente il capitalismo ha attraversato due fasi:
Prima fase del capitalismo (1200-1750): il consumo di beni di lusso ha stimolato la sviluppo del
capitalismo perché soltanto un’organizzazione di tipo capitalistico può soddisfare una domanda di
beni raffinati come quelli di lusso. Nei secoli iniziali della prima fase il consumo di beni di lusso era
riservato agli aristocratici e alle corte principesche ma è progressivamente diventato un modello da
imitare per la borghesia che aveva bisogno di legittimarsi socialmente
In questa fase le tendenze generali di sviluppo del mercato dei beni di lusso sono state:
- privatizzazione (progressiva penetrazione nelle mura domestiche)
- oggettivazione (spersonalizzazione e concretizzazione dell’individuo nei beni materiali)
- raffinamento (incremento della quantità di lavoro necessario al perfezionamento del bene)
- concentrazione nel tempo (consumo più regolare e più rapido dei beni)
- tendenza al mutamento (crescente dominio esercitato dalla moda)
Sul piano storico è avvenuto un passaggio dalla comunità alla società che ha comportato la
progressiva scomparsa dei legami collettivi della vita comunitaria che ha prodotto una perdita di
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quella rassicurante sensazione di “immortalità” determinata dall’appartenere ad un qualcosa che
sopravvive alla morte, come la comunità. L’individuo tenta di placare la sensazione di angoscia
dovuta dalla morta con l’acquisto di beni materiali.
Seconda fase del “capitalismo maturo” (1750-∞): tale fase è caratterizzata dall’impoverimento del
gusto che si esprime attraverso una crescente povertà stilistica. A ciò corrisponde la nascita
ottocentesca del design, cioè l’applicazione dell’estetica sofisticata dell’arte del consumo alle nuove
masse borghesi
Sombart ha condiviso con Ferdinand Tönnies l’idea che è avvenuto un passaggio dalla comunità
(gemeinschaft) alla società (gesellschaft). Tale passaggio ha comportato la crisi dei legami collettivi
caratteristici della vita comunitaria. Vi ha però aggiunto che ciò ha prodotto anche una perdita di
quella rassicurante sensazione di “immortalità” data dall’appartenere alla comunità, che sopravvive
alla morte dell’individuo. Pertanto, secondo S. l’individuo tenta di placare quell’angoscioso senso
di morte che ne deriva cercando gratificazioni nella vita materiale e soprattutto nel consumo di beni.
Ciò si è intensificato con la seconda fase di evoluzi del capitalismo, sviluppatasi a partire dall’800
DALLO SPETTACOLO DELLE MERCI: VANNI CODELUPPI
Nel XVIII sec. si modificò in maniera radicale il rapporto esistente da secoli tra la bottega e la
strada. Lo sviluppo demografico e commerciale della città sostituì una clientela conosciuta ed
abituale con clienti anonimi, frettolosi che dovettero essere persuasi ad entrare nelle botteghe
Ciò fu possibile grazie alle vetrine, che consentirono di esporre le merci per strada. La vetrina iniziò
a svolgere una funzione di spettacolarizzazione delle merci. Nacque così il negozio moderno, che
perse il laboratorio per realizzare i prodotti, trasferito fuori città, e cercò di attirare i clienti sul piano
visivo. Lo spazio interno del negozio andò sempre più allentando il suo legame con lo spazio esterno
dove in precedenza si poteva anche svolgere un’attività relazionale e di contrattazione. La vendita si
trasferì infatti all’interno e cambiò la funzione delle merci, non più nascoste in cassetti e armadi da
cui il venditore le prelevava quando voleva magnificarle. Le merci, invece, erano ora esposte nella
bottega per catturare lo sguardo e il desiderio dei clienti. Il consumatore, dal canto suo, si emancip
dal rapporto individuale di fiducia nel venditore, e sviluppò un’autonoma competenza di acquisto.
A partire dal 1850 fu possibile produrre lastre di vetro di grandi dimensioni che fecero diventare i
colori delle merci più brillanti. Fu estremamente importante il ruolo svolto dalla combinazione delle
nuove lastre di vetro con l’illuminazione artificiale interna, amplificata dalla presenza di numerosi
specchi all’interno della vetrina. I negozianti cominciarono così ad attirare i passanti con spettacolari
giochi di luce. Le vetrine divennero un teatro la strada la platea e i passanti il pubblico
Non è un caso pertanto se l’illuminazione delle vetrine ricalcò le orme dell’illuminazione teatrale. Le
fonti di luce inizialmente erano deboli e venivano poste nella vetrina e in mezzo alle merci. Con luce
a gas ed elettrica aumentò la luminosità e le fonti di luce scomparvero dal campo visivo. Con la luce
elettrica, che non dovette più essere installata all’esterno per il pericolo d’incendi, fu anche possibile
riprodurre gli effetti del teatro
Ma nell’800 la produzione in grande quantità delle merci resa possibile dalla II riv industriale e
l’intensità dei processi di “metropolizzazione” del sociale moltiplicarono i luoghi di acquisto e i
consumi (Parigi). Nacque l’esigenza di creare nel centro delle città degli spazi di vendita accessibili
a tutti sebbene lussuosi e confortevoli come quelli privati nel quale la funzione commerciale si
potesse fondere con quelle ludiche, di relazioni sociali e affari. E’ questa la nuova tipologia della
galleria commerciale o passage
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Con il procedere dei processi di industrializzazione della società i luoghi di consumo dovettero
modificare la loro natura, si necessitava di luoghi di acquisto adeguati, più ampi, seducenti
come i grandi magazzini luoghi su più piani per sfruttare lo spazio e che potevano essere raggiunti
grazie allo sviluppo delle ferrovie e del trasporto pubblico urbano
L’opera di seduzione, convincimento fu esercitata dalle merci e dalla capacità del g. magazzino di
mettersi in scena. La capacità del luogo (grande magazzino) di farsi teatro, di trasformare le merci in
uno spettacolo permanente
Dunque, la logica comunicativa della vetrina, basata sulla messa in scena spettacolare dei prodotti, si
è estesa all’intera superficie dei luoghi di vendita e a luoghi sempre più grandi. Ne è derivata una
progressiva “vetrinizzazione” della società dove anche l’ogg più banale diventa desiderabile (Crystal
Palace 1995). Ed è in questo periodo che nella sfera sociale che nasce la cultura del consumo
Ma è stato soprattutto durante il sec successivo che tutti i nuovi spazi di vendita adottarono la logica
comunic della vetrina diventando strumenti efficaci per spettacolarizzare i prodotti. E’ la cultura
della democrazia borghese che comporta la necessità di visibilità sociale in quanto la visione
dell’altro rende possibile un controllo tra gli individui
Tale processo ebbe all’interno della pubblicità uno sviluppo parallelo e complementare a quello dei
luoghi di vendita e venne ad intensificarsi con l’arrivo delle grandi esposizioni universali
Nel XX sec con il modello statunitense del centro commerciale il processo di vetrinizzazione della
società si è completato diffondendosi progressivamente a tutte le tipologie di spazi d’acquisto
DALLA CULTURA ROMANTICA: COLIN CAMPBELL
Come McKendrick, Brewer e Plumb anche per lui l’origine della cultura materialistica della società
dei consumi è nella cultura romantica dell’Inghilterra del XVIII e XIX sec.
C. si è chiesto come mai in precedenza le persone consideravano pericoloso chi consumava oltre i
confini stabiliti dalla tradizione, mentre la civiltà industriale ha fatto nascere un desiderio di
consumare che è sempre operante, in ogni momento le persone vogliono consumare sempre di più.
Non si desidera un oggetto particolare, sebbene a volte possa accadere, ma si desidera desiderare e
si desiderano cose sempre nuove e diverse in una girandola continua d’insoddisfazione.
La risposta di C. alla questione della nascita della cultura del consumo risiede in una riabilitazione
del ruolo svolto dall’etica protestante. Weber aveva considerato l’etica protestante la molla della
produzione perché spingeva gli individui a negare se stessi per produrre e accumulare denaro come
se si trattasse di un dovere verso Dio. Secondo C. c’è una complementarietà tra l’etica protestante
(che si occupa del lavoro) e quella romantica (che si occupa del consumo). Ciò può sembrare
paradossale, perché il Romanticismo nacque come una forma di reazione degli individui alla società
industriale e alla sua cultura illuminista basata sulla razionalità scientifica e sul materialismo.
Opponeva l’immaginazione all’uso dell’intelletto, l’esperienza sensoriale alla conoscenza razionale,
il mondo interiore a quello esteriore. Ciò che è importante però nel Romanticismo è soprattutto il
culto dell’individuo singolo. Quest’ultimo è visto per la prima volta come un essere autonomo
rispetto alla società e con il dovere morale di sviluppare la sua specificità. Prima, gli individui erano
visti come soggetti che condividevano la stessa condizione. Per i romantici, pertanto, gli individui
devono fare tutte le esperienze possibili e ricercare tutte le forme di gratificazione esistenti, anche a
costo di trasgredire i tabù e le regole della società. Soltanto così possono realizzare la propria
specificità, cioè esprimere la propria personalità. Questa concezione contiene dunque al suo interno
la scoperta del concetto di sé.
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C. spiega ciò con la figura dell’artista moderno che con la scomparsa dei mecenati e dei
committenti, aveva dovuto scegliere se negare la propria personalità adeguandosi al mercato o
esprimere liberamente tutta la propria creatività individuale, ma con il rischio di morire di fame.
Trova così la soluzione di questo problema con la “teoria espressiva dell’arte”. Secondo la quale
egli non era un esecutore cui commissionare qualcosa, ma un genio eccezionale che con le sue
opere poteva dimostrare di avere una sensibilità superiore alle persone comuni. Anche il
consumatore di opere d’arte è ora libero di sperimentare delle esperienze.
Ciò è valido anche per le opere letterarie. Il grande successo ottenuto all’epoca dai romanzi è stato
un importante strumento per la diffusione delle idee dei romantici. Sono state soprattutto le donne
della classe media le maggiori consumatrici di romanzi e dunque le responsabili della diffusione
dell’etica romantica. In precedenza, si consumava per elevarsi moralmente, mentre ora si cercavano
le stesse esperienze sperimentate dal romanziere. Mutò così la concezione del romanzo, letto per
divertirsi o per evadere dalle preoccupazioni e non più per istruirsi o elevarsi sul piano morale.
Progressivamente, la concezione romantica del consumo si è diffusa anche ai beni non culturali.
Ne “L’etica romantica e lo spirito del consumismo moderno” (1992), C. si è chiesto xò come mai la
riv. dei consumi si verificò in quella parte della società inglese dove più viva era la tradizione
protestante, cioè le classi medie, o del commercio, gli artigiani e i piccoli proprietari terrieri.
La risposta è stata che la ricerca aristocratica del piacere era basata sulle sensazioni. Ma la ricerca
del piacere, via via che si è allargata, è andata sempre più a riguardare le emozioni, che possono
fornire uno stimolo edonistico prolungato. Per poter ottenere tale stimolo, però, è necessario saper
prendere le distanze dalle proprie emozioni. A tale scopo, è stato particolarmente utile l’avvento
dell’etica protestante, che ha insegnato a sopprimere le emozioni in pubblico e a esprimerle in
maniera controllata e consapevole. Il controllo delle emozioni appreso dall’etica protestante ha
prodotto una nuova concezione della ricerca del piacere. E’ l“edonismo moderno”, diverso da
quello tradizionale perché, mentre il secondo ricerca il piacere cercando di controllare oggetti ed
eventi, il primo lo fa attraverso il controllo dei significati degli stessi oggetti ed eventi. L’edonista
moderno, perciò, è in grado di trarre piacere da ogni esperienza praticabile e non più soltanto da
attività specificamente finalizzate a questo: mangiare, bere, ecc. L’edonista moderno gode, per
esempio, delle immagini che rappresentano i prodotti (vede vetrine, sfoglia riviste, ecc.) e che gli
consentono di sognare, immaginando il risultato ottenibile con il possesso di tali prodotti.
Il consumo ha preso dal romanticismo il modello del “sogno ad occhi aperti”, e dunque è necessario
per esso produrre continuamente delle novità. Il sogno, infatti, una volta realizzato, perde il suo
incanto e svanisce il piacere che offre. Pertanto, dall’acquisto sorge un sentimento di delusione, che
produce la nascita di nuovi desideri.
Paola Parmiggiani ‘97 ha criticato C. sostenendo che riduce un fenomeno sociale e relazionale
come il consumo ad una dimensione individualistica, lasciando in ombra il carattere sociale delle
fantasie individuali. Tale posizione è condivisibile alla luce della sempre più evidente natura
relazionale del consumo
DALL’ETICA: T. J. JACKSON LEARS
Il consumo è nato tra la fine del XIX sec. e l’inizio del sec. successivo attraverso la sostituzione
dell’etica protestante con un nuovo tipo du etica che spinge gli individui a ricercare la propria
soddisfazione e realizzazione personale nel mondo terreno: etica terapeutica dell’autorealizzazione
Secondo J.L. alla fine del XIX sec. si è sviluppato negli SU un clima sociale favorevole al consumo
in conseguenza di un processo di secolarizzazione della religione e dell’etica protestante diffusosi
tra i seguaci della religione protestante appartenenti alle classi medio - superiori e più scolarizzate.
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La risposta delle élites sociali più avanzate alle strategie attuate dal sistema capitalistico per
esercitare un controllo su quel processo di trasformazione economico-sociale da esso stesso avviato
è avvenuta principalmente sul piano etico.
All’inizio del XX sec. è avvenuto così l’abbandono, diffusosi sempre più presso la classe media, di
quell’etica protestante che prometteva la salvezza attraverso un’altruistica negazione del proprio sé.
Il suo posto viene occupato da un nuovo tipo di etica che in seguito si rivelerà come interamente
consumistica. Spinge, infatti, gli individui a ricercare la propria soddisfazione e la propria
realizzazione personale nel mondo terreno e per questo, è stata denominata da L. “etica terapeutica
dell’auto-realizzazione”. L’aggettivo terapeutica deriva a tale etica dal fatto che è caratterizzata da
un’elevata preoccupazione dell’individuo per la sua salute e il suo benessere fisico e psichico.
Il consumatore, sempre più isolato dai gruppi sociali tradizionali e solo di fronte alla crescente
moltitudine di merci, ha risposto all’isolamento in cui si trovava creandosi questa nuova etica
personale centrata sull’autovalorizzazione del sé.Tale etica è stata sfruttata a proprio vantaggio dal
sistema industriale, il quale ha adottato nuovi e sofisticati strumenti d’interpretazione e d’influenza
dei consumatori (psicologia, marketing). Ha superato così la sua primitiva e ingenua concezione
utilitaristica dei beni e ha spinto nel contempo gli individui a ricercare nel consumo quelle
soddisfazioni psicologiche che non riuscivano più a trovare nel lavoro.
L’avvento dell’etica terapeutica dell’auto-realizzazione non è molto differente da quello dell’etica
romantica di cui parlava Campbell. Ma mentre per J.L. l’etica protestante ha ridimensionato il suo
ruolo sociale, per C. ha continuato ad operare anche nella cultura del consumo contemporanea.
CAP. II
LE TEORIE CLASSICHE
Principali teorie elaborate dai sociologi attivi nelle società moderne per cercare di spiegare le
motivazioni che portano le persone a consumare i beni
KARL MARX
Ha elaborato il concetto di alienazione e la teroa del feticismo per analizzare il ruolo delle merci
nelle società capitalistiche. Fu influenzato dalle idee sul denaro di Hegel e della sinistra hegeliana.
Nel 1806 Hegel ha sostenuto nella Filosofia dello spirito jenese che lo scambio nella società
mercantile moderna si è reso autonomo ed è divenuto un fine in sé, del tutto separato dal lavoro dei
produttori e dai bisogni che i prodotti devono soddisfare. Nel saggio “La questione ebraica” 1884
scrisse che “Il denaro è l’essenza, fatta estranea all’uomo, del suo lavoro e della sua esistenza, e
questa essenza estranea lo domina, ed egli l’adora”. Nel “Capitale”, il consumo è visto anche come
forma autentica di godimento, che si contrappone allo spirito del capitalismo. Però il consumo è
generalmente interpretato come una forma di alienazione. E’ cioè la modalità principale attraverso
cui le persone vengono allontanate dalla loro umanità, dunque alienate dalla dimensione più
specifica.
Da ciò Marx ha sviluppato la “teoria del feticismo”, secondo la quale le merci sono dei feticci
perché sembrano essere soggetti autonomi, dotati di vita propria e in grado di intrattenere relazioni.
Nascondono, cioè, la loro umanità, il fatto di essere il frutto del lavoro degli uomini. Per M. nel
feudalesimo i rapporti sociali apparivano come rapporti tra individui dotati della loro umanità.
Nel capitalismo, invece, i rapporti sociali sono alienati, perché assumono la forma di rapporti tra
cose, prodotte dagli uomini, ma resesi via via indipendenti da essi. Le cose vi possono però essere
scambiate mediante il denaro perché sono diverse manifestazioni della stessa entità: la forza lavoro
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degli uomini che le producono. La quale è la base su cui si fonda il “valore di scambio” che
acquisiscono le cose quando diventano merci scambiate sul mercato, cioè quel valore che rende
possibile stabilire delle equivalenze tra merci con differenti valori d’uso.
Uno scambio tra merci diverse è dunque uno scambio tra quantità equivalenti di forza lavoro
necessaria a realizzarle. Da ciò deriva che per Marx tutte le cose diventano inevitabilmente merci, le
quali costituiscono la sua categoria interpretativa centrale, perché dietro la loro natura apparente
celano quei particolari rapporti sociali che caratterizzano il capitalismo. Tale capacità non riguarda
il valore d’uso delle merci, in quanto questo tipo di valore non rimanda a nessun rapporto sociale.
E’ inf. specifico per ogni merce e non rende possibile perciò effettuare uno scambio sul mercato.
La particolare visione di M. della società e della storia è stata definita “materialismo dialettico”,
perché la motivazione primaria che spiega il divenire storico della società si trova nei differenti
rapporti di produzione esistenti tra due classi in contrapposizione: la borghesia e il proletariato.
Perciò il funzionamento della sovrastruttura ideologica della società (norme, valori, istituzioni) è
condizionato dagli interessi economici espressi dalla struttura materiale ed economica (i rapporti di
produzione). Dunque, la produzione materiale ha assunto un potere tale da dominare la vita
dell’uomo, il quale viene ad essere pertanto alienato dalla sua vera essenza, dalla sua vera umanità.
L’analisi di M. può spiegare il funzionamento dello scambio di merci, anche se non spiega cosa
avviene alle merci quando sono acquistate e sono quindi sottratte allo scambio. Non spiega cioè
come si sviluppa dopo l’acquisto il rapporto tra merci e consumatore.
Anche se, come ha detto Alberto Abruzzese, Marx considerava centrale il ruolo del consumatore
nell’attribuire alla merce il suo carattere di “finish”, di conclusione necessaria alla continuazione del
ciclo economico di valorizzazione del capitale. Anche per Ragone Marx si distinse dagli altri
economisti classici perché considerava importante la figura del consumatore.
GEORG SIMMEL
Si è occupato della dialettica tra imitazione e differenziazione che da origine alla moda e dei
meccanismi di diffusione delle mode e dei beni nella piramide sociale
Il più importante contributo teorico alla comprensione dei fenomeni di consumo è il saggio “La
moda” del 1895. Vi si sostiene che la causa della variabilità della moda risiede nel confronto che si
manifesta tra due spinte contrapposte dell’animo umano: l’imitazione (o uguaglianza) e la
differenziazione (o mutamento). Ciò avviene perché l’individuo si sente rassicurato dal fatto di
appartenere, grazie alla moda, ad una collettività sociale che si comporta nello stesso modo e
condivide gli stessi obiettivi e ideali. Nel medesimo tempo, egli è anche gratificato quando riesce a
sperimentare gli aspetti originali e sorprendenti che la moda può assumere.
Lo sviluppo delle mode, per S. rappresenta una conseguenza dell’articolarsi della società in una
struttura gerarchica con le diverse classi in cui ogni classe tende a chiudersi all’interno e a
differenziarsi dalle classi inferiori. Ogni individuo consuma beni di prestigio per apparire superiore
agli appartenenti agli status inferiori o per simulare il raggiungimento di una posizione sociale più
elevata della propria. Ma una volta che un bene di consumo della classe superiore è stato acquistato
dagli status inferiori, si banalizza perché non riesce più a segnalare un livello sociale agiato e viene
perciò abbandonato. Sorge allora l’esigenza di introdurre un nuovo bene che permetta alla classe
superiore di continuare a differenziarsi e di mantenere viva l’invidia emulativa degli altri individui.
Negli anni ’50, Fallers ha denominato “trickle effect” questo meccanismo di diffusione della moda e
dei beni, vedendolo anch’egli come una perenne lotta simbolica in atto tra gli individui.
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S. pubblicando nel 1900 Filosofia del denaro ha tentato anche un’ampia analisi del ruolo sociale
ricoperto dal denaro che è fortemente influenzata dal pensiero di Hegel e Marx. Anche per S. infatti,
l’economia basata sul denaro separa quello che dovrebbe essere unito: gli uomini fra loro e rispetto
ai prodotti del loro lavoro. Egli condivideva cioè con H. e M. l’idea che il denaro crea un processo
di oggettivazione dello spirito degli uomini, i quali possono prendere coscienza di se stessi proprio
creando degli oggetti in cui si esternalizzano. Tale oggettivazione è necessaria, poiché senza di essa
non ci sarebbe civiltà; ma produce anche uno scarto fra spirito soggettivo e spirito oggettivo, in
quanto il secondo si rende indipendente dal primo. S. parla perciò di oggettivazione e M. parlava di
alienazione, ma la differenza è minima.
Da M. S. ha ripreso anche il concetto di “reificazione” (o feticismo), per cui i rapporti tra gli uomini
non sono più diretti, ma mediati dalle cose (prodotte dagli uomini, ma resesi indipendenti da essi e
dunque deificati). A differenza però di M. che considerava il superamento dell’alienazione come un
risultato garantito dalla imminente rivoluzione proletaria, la visione di S. è più pessimistica.
THORSTEIN VEBLEN
Ha concentrato la sua attenzione sul consumo ostentativo e su come esso venga impiegato dagli
appartenenti alle diverse classi sociali nella lotta alla competizione di status
Ha individuato per primo che, alla fine dell’800, con la comparsa dei nuovi ceti borghesi, il
consumo era diventato “vistoso” e “ostentativo”. Ciò significa che i consumatori sarebbero mossi da
una volontà di ostentare la quantità di prestigio e di onore insita nella propria posizione sociale (o
status), la quale è a sua volta dipendente dalla ricchezza monetaria posseduta. Addirittura, per V. il
consumo deve essere uno spreco, un consumo di cose superflue.
La situazione descritta è tipica di una società integrata e senza classi sociali, ma stratificata in
differenti status e con un’elevata mobilità individuale al suo interno. E’ la situazione degli S.U. alla
fine dell’800. Secondo V. al vertice della piramide sociale si trova la “classe agiata”, la quale può
dimostrare il proprio status sociale prestigioso attraverso due differenti strategie esibitive:
- l’“agiatezza vistosa” uno spreco di tempo, in quanto la classe agiata deve dimostrare di non
dover lavorare, il lavoro diventa così disdicevole e le occupazioni onorevoli improduttive
- il “consumo vistoso” uno spreco di beni di lusso, praticato attraverso l’acquisto di nuovi beni
di lusso, è riservato alle classi elevate, che possono permettersi di consumare per motivi non
legati alla sopravvivenza, mentre è impossibile per le classi inferiori, che consumano
soprattutto per la loro riproduzione. Il c. vistoso è coerente con la visione della diffusione
verticale: una discesa verso la parte inferiore della piramide sociale, in un processo di
differenziazione dove ciascuno degli status si pone come riferimento per quello sottostante.
Ma per V.la classe agiata diffonde nella parte bassa della piramide anche il modello culturale del
consumo vistoso. Per V. il consumo ostentativo diventa sempre più importante socialmente e ciò è
evidente anche ad uno sguardo di tipo storico. Infatti, il passaggio dalla società feudale a quella
capitalistica ha comportato anche il passaggio da una società con piccole comunità e dominata
dall’agiatezza vistosa ad un’altra in cui prevalgono le grandi città e il consumo vistoso. Perché
l’ozio può servire a conquistare onore in società di piccole dimensioni nelle quali tutti si conoscono.
L’esibizione del consumo interviene invece nelle società di grandi dimensioni, in cui è impossibile
conoscersi, perché in tali società è un mezzo più efficiente per comunicare lo status finanziario. Era
anche in atto nella società dei suoi tempi un passaggio dalla morale puritana - che prescriveva agli
individui l’astensione dai consumi e dall’edonismo connaturato ad essi - ad un’etica che invece
persegue il piacere nei consumi. Egli, infatti, era critico verso il modello di consumo della classe
agiata e auspicava l’evoluzione della società da una condizione pre-razionale, basata su principi
barbarici, ad una condizione razionale.
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Il limite della teoria di V. risiede nel voler esaurire nell’unico significato di prestigio e di
competizione sociale le molteplici motivazioni che sono alla base dei comportamenti di consumo.
Dunque, di fronte alla ricchezza comunicativa manifestata dai beni odierni, le possibilità di
funzionamento del “trickle effect” ostentativo appaiono piuttosto limitate. Riguardano soprattutto:
- quei beni che si vedono facilmente
- alcuni soggetti appartenenti agli strati non-elevati della popolazione, mobili perché attratti di
continuo da obiettivi di mobilità ascendente
- dei soggetti che sperimentano una situazione di squilibrio tra le diverse dimensioni del
proprio status e tendono perciò a riequilibrarla.
Altre critiche sono state mosse alla sua interpretazione del consumo, ma la maggior parte di esse ha
concordato nel ritenerla troppo legata alla sua realtà storica e sociale. Alberoni, in particolare, ha
sostenuto in Consumi e società (1964), che il modello non è applicabile ai Paesi europei, e sop.
all’Ita in quanto questi sono segmentati in classi sociali separate da valori morali inconciliabili. In
Europa cioè l’equazione di V. tra ricchezza e valore non è adottata da tutte le classi, ma solo dalla
classe dominante, proprio a causa della sua vicinanza culturale alla classe al potere. Tale idea è stata
però invalidata dal processo di omogeneizzazione della società e delle diverse etiche di classe
verificatosi negli ultimi decenni in Europa.
McCracken ha invece sostenuto che, anziché parlare di “gocciolamento” dall’alto verso il basso dei
beni, occorrerebbe sostenere che esiste un processo di “inseguimento e fuga”. Infatti, le classi
inferiori tentano costantemente di emergere e inseguono quelle superiori, che se imitate sono
costrette a cambiare. Pertanto, la dinamica derivante muove dal basso verso l’alto.
Un’altra critica è di Fred Davis per il quale il concetto di consumo ostentativo è inconciliabile con
la realtà odierna, in cui la moda è in una situazione di policentrismo. Inoltre, l’approccio di V. tende
secondo Davis a trascurare l’importante ruolo di orientamento e mediazione svolto nella creazione e
nella diffusione dei fenomeni di moda dalle strutture istituzionali, industriali, organizzative e di
mercato.
John Brooks, in Showing off in America ha invece tentato di aggiornare la teoria di V. Secondo lui il
concetto di consumo vistoso dovrebbe essere sostituito da quello di “ostentazione parodistica”. Le
strategie di tipo ostentativo dei soggetti, infatti, dovrebbero essere dirette sempre meno contro le
altre classi e sempre più verso la propria classe. Sarebbero inoltre non più ristrette ad un’élite sociale
come la classe agiata, ma adottate dalla maggioranza della popolazione. Per la classe media,
pertanto, tali strategie sono di tipo vistoso come quelle di V. Presso la classe sociale agiata, invece,
sono più complesse, ironiche e basate sull’ostentazione del proprio stile personale.
Enzensberger ha sostenuto che oggi a diventare simboli di status non sono più automobili potenti e
orologi d’oro, ma presupposti di vita elementari come il tempo, lo spazio, la tranquillità, l’ambiente
naturale e la sicurezza. Un sec. dopo V. il consumo ostentativo sembra essersi trasformato nel suo
contrario: il minimalismo e la rinuncia ai beni ostentativi.
MAX WEBER
Ha attribuito al consumo una funzione fond. nel definire l’appartenenza di ceto dell’individuo e ha
sostenuto che il controllo del controllo dall’etica protestante ha prodotto quel processo di adozione
di un principio di razionalità che riguardati negli ultimi sec. le società capitalistiche
W. ha ripreso l’impostazione di Marx e ha tentato di qualificarla evidenziando il ruolo degli aspetti
culturali e simbolici, complementari rispetto agli aspetti economici enfatizzati da M. Pertanto, in
Economia e società, W. ha considerato il consumo come uno degli indicatori per definire
l’individuo sul piano del ceto sociale. Inoltre ha detto che nell’etica protestante i comportamenti di
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spesa erano riprovevoli. L’individuo, attraverso il suo impegno lavorativo, può dimostrare di poter
salvare la propria anima se ottiene il successo sul piano economico. E’ necessario perciò che riduca
i consumi a favore del risparmio da investire nell’attività d’impresa. Per Weber il controllo del
consumo comportato dall’etica protestante rientra in quella progressiva adozione di un principio di
razionalità che ha coinvolto lo sviluppo delle società capitalistiche. In anni recenti, Ritzer ha ripreso
le idee di W. parlando di “mcdonaldizzazione della società”
Processo di razzionalizzaizone della società capitalistica - Mukerji però mette in evidenza i limiti
di questa tesi dal punto di vista della capacità di spiegare l’evoluzione storica dei consumi. Rimane
cmq una tesi imp. xkè sottolinea come il controllo del consumo (comportato dall’etica protestante)
abbia prodotto quel processo di adozione di un principio di razionalità che ha coinvolto negli ultimi
sec. le società capitalistiche (es. burocrazia)
Motivazioni dell’agire sociale - ha sostenuto che può essere motivato da diversi tipi di atteggiam.
ualsiasi agire umano che prenda posizione rispetto ad un oggetto. In particolare i tipi ideali di
attegg. individuati da W. Sono 4: tradizionale, affettivo, razionale rispetto al valor e allo scopo
Riprendendo la posizione di Tonnies ha fatto corrispondere i primi due tipi alla comunità e gli altri
due (quelli propriamente razionali) alla società
DAVID RIESMAN
Noto per la ricerca dal titolo La folla solitaria ’59 dove ha rintracciato la presenza nella popolazione
usa di tre forme di personalità: diretta dalla tradizione, autodiretta (autonoma e stabile simile cons.
vistoso di Veblen) ed eterodiretta (cerca di unifor. ai comp. degli altri individui, incerta e confusa
dalla molteciplità degli stimoli che riceve)
Ha introdotto i concetti di standard package, socializzazione anticipatoria e sottoconsumo stentativo
per spiegare altri aspetti dei comportamenti di consumo
Ha avuto il privilegio di osservare la realtà dei consumi in un periodo di grande espansione eco US
’40-’50 che gli ha stimolato riflessioni raccolte nel volume”A che serve l’abbondanza?”. Ha
definito alcuni concetti relativi al consumo. Il primo dei concetti messi a punto da R. è quello di
“standard package” che indica la quantità di spese di routine vissute come obbligate per sentirsi
parte del sistema sociale (articoli domestici)
Anni ’50 possederlo comportava di poter com. di essere parte della classe media. Poteva avere
variazioni che consentivano al singolo di qualificarsi come possessore di uno stile di vita specifico,
definito dalla regione, dalla sottoclasse, dall’etnia o dal ruolo lavorativo. Erano però variazioni
marginali: il crescente benessere e la comparsa di nuovi beni modificavano lo standard package ma
soltanto collettivamente.
Alberoni ’60, ha ritenuto che fosse opportuno adattare in Ita il concetto di standard package: “beni
di cittadinanza” che indica i nuovi beni immessi sul mercato, i quali consentivano a chi proveniva
da una cultura rurale e arcaica di comunicare l’appartenenza alla nuova società urbana e moderna.
Oggi, non esiste una sola comunità a cui si sentono di appartenere tutti gli italiani, come negli anni
’60, per cui bisogna anche individuare il diverso gruppo di riferimento dei soggetti. Dall’altro lato,
non esistono oggetti che siano di per sé dei beni di cittadinanza o che lo restino dopo un tempo
iniziale brevissimo in cui non sono ancora abbordabili dalla massa. Il concetto di “beni di
cittadinanza” resta comunque valido. Per quanto riguarda lo standard package, anche tale concetto
resta efficace. Alberoni ritiene che oggi entrambe le espressioni vengono usate per indicare dei
transiti da un ambiente sociale o da un ciclo di vita ad un altro.
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Da R. proviene anche la nozione di “socializzazione anticipatoria” ripresa dagli psicologi sociali e
vuole indicare l’atto di immaginarsi in un ruolo mentalmente in un ruolo che non è proprio. Il che
comporta di adottare comportamenti e consumo relativi a status superiori e non ancora raggiunti.
Ciò avveniva per R. sop. nei bambini, che si vivono come adulti e tendono perciò ad imitare i loro
comportamenti di consumo. Nello stesso tempo, i genitori tendono ad adottare una “socializzazione
retroattiva”, cioè a riflettere nelle loro scelte i gusti dei bambini.
Nei comportamenti di consumo possono esserci anche casi di “trickle effect” alla rovescia o
“sottoconsumo ostentativo”. Cioè la scelta snobistica di prodotti poco costosi da parte di individui
con un alto reddito. Ma in grado però di differenziare segnalando il possesso di un gusto raffinato e
personale. In tal modo, la classe superiore cerca di imporre i suoi limiti a coloro che vorrebbero
elevarsi allo stesso livello socioeconomico.
TALCOTT PARSONS
Ha adottato nel suo lavoro di ricerca un impianto teorico struttural - funzionalista. Per P. cioè, ogni
sistema sociale è costituito da tanti “sottosistemi”, tra i quali si attivano specifiche relazioni di
interdipendenza. Ciascuno di essi svolge determinate funzioni necessarie alla sopravvivenza del
sistema stesso. Tali funzioni sono:
- adattamento: ogni sistema ha la necessità di adattarsi all’ambiente in cui agisce; funzione
svolta dal sottosistema dell’economia
- conseguimento dei fini: riguarda le modalità con cui la società stabilisce dei fini specifici,
legittimati dai valori dominanti e mobilita la popolazione per raggiungerli; funzione svolta
dal governo e dalla società
- integrazione: riguarda i conflitti da risolvere e la promozione della solidarietà; i sottosistemi
coinvolti sono il giuridico e il religioso
- conservazione latente del modello e gestione latente del sistema: riguarda la conservazione
dei valori e delle credenze che sono strumenti di legittimazione e sostegno per le istituzioni
sociali e modelli di comportamento; è svolta dalla scienza, dalla famiglia e dalla scuola.
Nel volume “Eco e società”, ‘56 (con Smelser), ha considerato la relazione di scambio la più imp. di
quelle operanti tra i vari sottosistemi della società. A ogni sottosistema è associato, uno degli
strumenti che devono facilitare gli scambi: la ricchezza per l’economia, il potere per il governo,
l’influenza per la religione e il sistema giuridico, l’adesione ai valori per la famiglia e la scuola.
Soprattutto, in “Economia e società” è presente un modello che traduce in termini di comportamenti
di consumo il modello più generale di P. sulle diverse funzioni dei sottosistemi sociali. Ne derivano
4 fondamentali aree di aspettative di ruolo alla base di altrettanti modelli di spesa. Sono:
- il risparmio e la liquidità accantonati in vista dell’adattamento a possibili esigenze future e la
spesa per la continuità fisica e culturale della famiglia (educazione, sanità, ecc.)
- i beni indispensabili perché la famiglia si senta parte della cultura sociale e dei suoi valori
(standard package, “beni di cittadinanza”)
- i prodotti di prestigio che qualificano sul piano sociale il nucleo familiare e lo integrano
all’interno della struttura sociale (automobili, abbigliamento, abitazione, ecc.)
- i prodotti che consentono il mantenimento dei modelli latenti e il governo delle tensioni
presenti all’interno della famiglia (vacanze, tempo libero, divertimenti, regali, ecc.).
Il principale limite di questa visione del consumo sta nell’eccessiva importanza attribuita alla
famiglia. Infatti, la famiglia svolge un ruolo significativo, ma oggi i modelli di consumo si formano
soprattutto nel sociale, attraverso l’influenza esercitata dalle relazioni interpersonali, dalle imprese e
dai media. La visione teorica di P. e S. è stata criticata anche per la sua astrattezza e per l’incapacità
di generare ipotesi e spiegazioni specifiche su specifiche società storiche.
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JEAN BAUDRILLARD
L’insieme dei beni è articolato in un sistema di oggetti che consente una classificazione e
gerarchizzazione degli individui e dei gruppi nella società
Negli anni ’60, via via che l’industr. rendeva possibili forme di consumo di massa, l’insieme delle
merci ha messo in luce la sua natura di sistema comunicativo unitario. Cioè il risultato dell’unione e
dell’interazione tra gli specifici significati posseduti dalle singole merci.
Anche gli studiosi sono dovuti passare dalla considerazione della capacità di significare della
singola merce a quella delle relazioni di natura sintattica che le merci stabiliscono tra di loro. E’
quello che B. all’epoca ha definito come “sistema degli oggetti” ‘72. in tale sistema, gli individui
consumano non degli oggetti in grado di soddisfare specifici obiettivi di natura utilitaristica, ma dei
segni che permettono di conseguire degli obiettivi generali. Segni che costituiscono cioè un sistema
culturale in grado di comunicare le posizioni e le differenze tra le persone e i gruppi nella società.
Viene così smontata, grazie all’adozione delle idee di Lévi-Strauss e dello strutturalismo, la
mitologia del bisogno e della ricerca di soddisfazione perseguita dal consumatore attraverso i beni.
L’economia aveva infatti dipinto il consumatore come un soggetto trascinato dai bisogni verso beni
capaci di soddisfarli (con un valore d’uso).
Per B. i bisogni non sono innati, perché se lo fossero non si spiegherebbe come mai crescono e
diventano più ricchi e articolati. La loro origine deve risiedere pertanto al di fuori dell’individuo e
non può che trovarsi nelle attività di marketing e di pubblicità delle aziende. Dunque, il valore
d’uso, come quello di scambio, è un concetto ideologico che serve a facilitare gli scambi, perché un
oggetto per poter essere scambiato deve essere prima riconosciuto come utile.
Serve inoltre a mascherare la realtà delle cose: l’esistenza di un sistema sociale che crea il bisogno
di determinati beni. I bisogni, inoltre, non sono creati dalle aziende come bisogni relativi a prodotti
specifici. perlomeno, ciò a volte può anche avvenire, ma di solito l’intero “sistema di produzione”
crea il “sistema dei bisogni”, cioè una disponibilità generale a consumare, un desiderio di
desiderare. L’antropologia strutturalista ritiene che nelle diverse forme di società esistano delle
strutture culturali e dei sistemi di opposizioni concettuali e di significato latenti. Ciò ha portato B. a
considerare l’insieme delle merci come un sistema comunicativo coerente e strutturato, al pari di
una lingua. Ma dagli strutturalisti ha ricevuto anche lo stimolo a rintracciare nelle loro ricerche sul
dono una via d’uscita dal capitalismo.Nello scambio di doni, infatti, gli oggetti assumono un altro
tipo di valore: il “valore di scambio simbolico” che comunica il rapporto che lega ricevente e
donatore dello scambio. L’oggetto donato, cioè, non ha senso se considerato indipendentemente
dalla relazione che rappresenta.
Nella logica del consumo, invece, gli oggetti traggono il senso dalle relazioni con altri oggetti.
Il pensiero di B. è soprattutto influenzato dalle ideologie marxiste e critiche verso il sistema
industriale che dominavano negli anni ’60 e ’70. Voleva infatti scoprire i meccanismi che (a partire
dai significati delle merci di una società apparentemente omologata dai consumi di massa)
producevano le nuove differenze sociali. Differenze di cui spesso non siamo consapevoli, come
accadeva invece nella competizione intrapresa dagli appartenenti a differenti status di Simmel e
Veblen. Infatti, quella struttura culturale latente evidenziata nella società da Lévi-Strauss è una
dimensione che condiziona il comportamento degli individui senza che essi ne siano coscienti.
Il marxismo di B., in realtà, è critico verso Marx accusato di essersi troppo concentrato sul potere
del denaro nel capitalismo e di avere trascurato il potere dei simboli culturali.
Ha cercato, inoltre, di prendere le distanze rispetto alla Scuola di Francoforte e alla tradizione del
pensiero critico verso i consumi.Tale scuola aveva impiegato il concetto di alienazione per
denunciare la manipolazione delle coscienze operata dal sistema industriale. Ma per B. la funzione
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ideologica del consumo risiede nel creare regole di combinazione e uso dei beni specifiche per ogni
classe. Regole grazie a cui le classi dominanti possono mantenere il loro prestigio e il loro controllo.
Fanno infatti interiorizzare inconsciamente le differenze tra le classi sociali e i codici di impiego dei
beni di queste ultime. Ma restano pregiudizi ideologici, che lo hanno portato a studiare soprattutto i
significati incorporati nelle merci dal sistema industriale nella produzione e nella
commercializzazione. In realtà, la vera significazione della merce non è da rintracciare dentro la
merce stessa, perché si produce soltanto all’interno di una specifica situazione sociale:
le relazioni sociali intersoggettive le concrete pratiche d’uso.
Il progetto perseguito tendeva a mettere in luce l’insieme delle merci come un sistema unitario, con
regole e meccanismi di funzionamento comuni. Proprio per perseguire tale scopo ha dovuto
lavorare soprattutto sui significati interni alle merci, trascurando la molteplicità delle pratiche di
natura sociale delle merci stesse. Si spiega così perché B. abbia ripreso alcuni dei principali aspetti
della teoria di Veblen. In particolare il ruolo ostentativo e vistoso del consumo è reso possibile
dall’esistenza di un “valore/segno” delle merci, che va ad aggiungersi al valore d’uso e al valore di
scambio. Tale valore segnalerebbe sia l’appartenenza del consumatore ad un certo status sociale,
che il suo grado di differenziazione rispetto agli altri status.Ma le nuove forme di differenziazione
sono collocate su un piano più qualitativo e discreto rispetto a quello dello status agiato vebleniano.
Così, gli oggetti di design sono realizzati per non essere compresi dalla maggioranza.La loro
funzione sociale è di essere oggetti che distingueranno coloro che sanno distinguerli. Ne deriva che
rimangono attive le barriere sociali che separano le classi superiori dalle restanti classi, ostacolando
un’effettiva mobilità sociale.
B. intuiva lo sviluppo di un processo avviatosi dalla metà degli anni ’70 in tutti i Paesi avanzati: la
personalizzazione delle scelte. Tale processo ha portato la società da una struttura stratificata ad una
struttura differenziata basata sulla frammentazione in tante diverse subculture, e, di conseguenza, ad
una struttura sociale non più orientata in senso verticale.Anche il sistema degli oggetti, pertanto, si è
frammentato, disgregandosi progressivamente. Ed è andato ad essere tenuto insieme, più che dalla
combinazione dei significati delle merci, da una logica esterna alle merci stesse e propria dei nuovi
stili di vita che andavano via via formandosi. Il significato veniva attribuito dall’individuo alla
merce e non risiedeva più in questa, che si sottometteva pertanto ai criteri di aggregazione tra merci
decisi dagli stili di vita attivi nel sociale. Proprio perché il suo senso era definito esternamente ad
essa, ogni merce poteva dunque combinarsi con insiemi diversi di merci.
Dagli anni ’80, il mondo delle imprese ha accelerato questo processo, indirizzando le sue strategie e
le sue comunicazioni verso gruppi specifici di consumatori.
PIERRE BOURDIEU
Ha specificato che è la differente disponibilità di tre tipi di capitale (eco-soc-cul) a consentire alle
persone e ai gruppi di trovare una particolare posizione nella società
Le scelte di consumo si basano quindi su tre fondamentali variabili, il capitale :
- economico che dipendente dal livello del reddito e dal tipo di professione
- culturale che dipendente dal livello di istruzione, che deriva a sua volta dalla cultura
trasmessa dalla famiglia di provenienza e dalla scuola
- sociale che dipendente dalle relazioni che determinano il prestigio e la reputazione.
Le diverse combinazioni del capitale economico, di quello culturale e di quello sociale definiscono
l’identità sociale dell’individuo. I tre tipi di capitale possono essere convertiti l’uno nell’altro, ma
possono anche essere in una situazione di contrapposizione.
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Basandosi sul possesso del capitale economico e di quello culturale, B. ha costruito una mappa
dello spazio sociale ai cui quattro estremi ci sono:
- molto capitale economico e molto capitale culturale
- molto capitale economico e poco capitale culturale
- poco capitale economico e poco capitale culturale
- poco capitale economico e molto capitale culturale
Il capitale culturale può essere distinto in alto e basso e ciò corrisponde alla tradizionale distinzione
tra cultura alta e cultura bassa. Ciò dipende dall’esistenza di due forme di estetica in continua lotta
simbolica tra loro: quella kantiana e quella anti-kantiana. Cioè: un’estetica élitaria, che prevede la
rinuncia al piacere immediato per favorire la distanza dalle cose e un atteggiamento contemplativo
che consente la valutazione e la comprensione, un’estetica popolare che predilige invece il
divertimento immediato, le sensazioni istintive e il piacere fisico e sensuale.
B. però ha principalmente cercato di andare al di là delle motivazioni coscienti espresse in termini
di “preferenze”, per analizzare la logica non-cosciente del processo psichico che influisce sui gusti
individuali. Così ha mostrato come il gusto alimentare dipenda soprattutto dall’idea che ogni classe
sociale si fa del corpo e degli effetti del cibo su quest’ultimo.
Più in generale, il gusto dipende dall’habitus, che è definito dal possesso di due capacità: produrre
pratiche ed opere classificabili e distinguere e valutare queste pratiche e questi prodotti. E’ questa
seconda capacità che B.considera propriamente come “gusto”, uno dei fondamenti più profondi
della vita sociale. Ritiene, infatti, che il gusto costituisca la formula generatrice, che sta all’origine
dello stile di vita, cioè di un insieme unitario di preferenze distintive. Da questo punto di vista, è
vicino a Baudrillard.
Secondo B., è in atto un conflitto permanente tra due componenti della classe più elevata nella
società: la componente dominante, il cui potere è basato sul capitale economico, quella dominata, il
cui potere è invece basato sul capitale culturale. Ciascuna componente cerca di legittimare la
propria situazione e si spiega così, per esempio, come mai gli artisti e gli intellettuali disprezzino
spesso il gusto di coloro che hanno solo denaro. Ma tale lotta cerca anche di influenzare i criteri di
convertibilità dei diversi tipi di capitale, cioè quale principio di dominio debba predominare
Nella teoria di B. non è accettabile l’idea che gli individui siano condizionati nelle scelte dalla loro
specifica morale di classe. Oggi la morale di classe, sebbene esista ancora, si è indebolita e,
soprattutto, impone sempre meno di giudicare i comportamenti di consumo altrui.Ciò non solo
perché è cresciuta la disponibilità personale di reddito, ma anche perché un processo di
omogeneizzazione culturale ha smussato le differenze tra le varie classi. Pertanto, per analizzare i
fenomeni di consumo, occorre analizzare non più solo la cultura di classe, ma anche l’intero
immaginario collettivo odierno. Perché il sistema integrato consumo-mass media modifica in senso
interclassista il capitale culturale di classe acquisito nella famiglia e nella scuola.
Pertanto, per analizzare i fenomeni di consumo, occorre analizzare non più solo la cultura di classe,
ma anche l’intero immaginario collettivo odierno. Perché il sistema integrato consumo-mass media
modifica in senso interclassista il capitale culturale di classe acquisito nella famiglia e nella scuola.
Lo dimostra, ad esempio, con il concetto di “strategie di riconversione”. Attraverso tale concetto
riconosce a coloro che possiedono capitale economico una maggiore capacità di accesso al capitale
culturale e al capitale sociale e la possibilità di riconvertire questi ultimi in capitale economico.
B. è stato criticato da De Certeau, per il quale il concetto di habitus implica una sottovalutazione
della creatività insita nelle pratiche sociali degli individui. E per il quale, poi, non è accettabile la
condizione di incoscienza che secondo B. caratterizza il funzionamento dell’habitus e delle
strategie dei soggetti.
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CAP. III
LE TEORIE CONTEMPORANEE
Si sono osservati i cambiamenti che hanno fatto entrare negli ultimi decenni le società moderne in
una nuova fase evolutiva
LA SCUOLA DI BIRMINGHAM
E’ stata la prima ad attribuire ’60 un valore alla cultura di massa e a considerare attivo il ruolo svolto
dai consumatori e dai destinatari dei messaggi
Gli autori di questa scuola si sono occupati di mettere in luce la natura e l’importanza della cultura di
massa. Grazie al loro lavoro, si è modificata la concezione tradizionalmente riservata alla cultura di
massa che ha cessato di essere considerata un’accozzaglia di “micro-culture” incomprensibili e prive
di valore e ha cominciato ad esser vista come un insieme di forme espressive sintomatiche dei reali
interessi e delle aspirazioni delle persone. L’individuo non è più ritenuto un soggetto passivo e
facilmente manipolabile, ma un attivo costruttore del senso dei prodotti. Il senso delle merci è da
attribuire ad un processo sociale di costruzione in cui rientra anche il ruolo della produzione stessa.
Fondamentale è la funzione svolta dall’eredità culturale di Gramsci, secondo il quale la cultura
popolare è in grado di esercitare un ruolo paragonabile a quello della cultura delle classi dominanti
ed è addirittura in grado di lottare con questa per il controllo dell’egemonia culturale della società.
Negli anni ’70 l’influenza del pensiero gramsciano e l’’imp. rivestita all’epoca dall’ideologia
marxista hanno portato la Scuola di B. all’esasperazione della teoria adottata a causa della quale il
alcuni casi si è attribuito un peso eccessivo alle manif. di protesta e ribellione. Negli anni ’80 tale
esasp. si è ridimensionata e il lavoro svolto dal centro ha potuto rivoluzionare il modo di pensare alla
relazione tra individuo-messaggi, originando quell’imp. filone anglosassone di ricerca sulla cultura
di massa e sui consumi denominato “cultural studies” .
In un celebre saggio Stuart Hall ha sostenuto che il processo di significazione è un processo
interattivo, ovvero possono esserci tante possibili letture. Esiste per H. un ordine culturale dominante
che tende a imporre la propria classificazione del mondo. Ma ci sono tre differenti modalità di
decodifica del messaggio:
- dominante-egemonica: chi riceve il messaggio lo interpreta atrtraverso il codice con il quale
è stato codificato dall’emittente
- negoziata: non pone in discussione la legittimità del sistema di valori a cui il codice
dominante rimanda ma elabora delle proprie definizioni
- di opposizione: ridefinisce il messaggio
MICHEAL DE CERTEAU
E’ stato lui a sostenere con più decisione che i consumatori non sono passivi perché svolgono
un’incessante lavoro di produzione di senso
Secondo De Certeau i consumatori utilizzano qualsiasi cosa venga proposta sul mercato secondo
modalità proprio e nel farlo svolgono un incessante lavoro di “fabbricazione”, si tratta di
rielaborazioni che rimangono generalmente nascoste ma svolgono comunque un ruolo importante.
Quelle che ritiene più significative sono i giochi linguistici, i proverbi e i “lavori di straforo”.
Anch’esso ha dunque proposto di considerare il processo di ricezione come un processo attivo. Il
consumatore tende ad interpretare qualsiasi cosa attraverso la sua memoria, mettendovi l’insieme
delle cose imparate nel corso della vita. De Certeau ha anche distinto le pratiche del quotidiano in:
-Strategie: comportano l’occupazione di un territorio, sono i giochi che vengono praticati dai
soggetti potenti
-Tattiche: si basano sull’impiego di un luogo altrui, sono le attività praticate dai soggetti deboli.
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Per De Certeau la cultura di massa è “un modo di fare”, cioè un insieme di pratiche della vita
quotidiana prive di un luogo proprio.
GEORGE RITZER
Ha ripreso da Weber i concetti di razzionalizzaione che ha definito “mcdonaldizzazione” e di
disincantamento del mondo e ha cercato di attualizzarli
Voleva indicare l’adozione da parte delle principali istituzioni sociali (scuola, sport, politica, ecc.)
del principio di razionalizzazione e standardizzazione nella gestione delle risorse della McDonald’s.
W. aveva trovato tale principio nella società del suo tempo e nella burocrazia, con quella rigida
organizzazione dei comportamenti che comporta. Ma si trattava, appunto, di un principio adeguato
alla società industriale e capitalistica che andava dispiegando tutta la sua forza all’inizio del ’900.
Ritzer l’ha applicato alle società contemporanee, sostenendo che il funzionamento di queste ultime
è simile a quello di McDonald’s, che dipende dall’uso di 4 variabili con i clienti e i dipendenti: Tali
variabili sono: efficienza, calcolabilità, prevedibilità, controllo. Per Ritzer esiste anche una quinta
variabile paradossale: l’irrazionalità della razionalità.
“Mcdonaldizzazione” della società: intendeva indicare l’adozione nei paesi avanzati da parte delle
più importanti istituzioni sociali di quel principio di razionalizzazione e standardizzazione nella
gestione delle risorse umane ed economiche che la Mc Donald’s adotta quotidianamente nella suo
offerta di servizi al consumatore. Questa azienda infatti opera attraverso un impiego sapiente di
quattro variabili, applicabili sia a clienti che a dipendenti;
-Efficienza: capacità di offrire un metodo ottimale per soddisfare rapidamente l’appetito dei clienti
attraverso un’efficace organizzazione delle mansioni lavorative dei dipendenti
-Calcolabilità: un’elevata attenzione agli aspetti quantitativi del prodotto venduto
-Prevedibilità: garanzia per il consumatore che i prodotti e i servizi offerti da Mc Donald’s
consentano di ottenere quel piacere insito nella rassicurante mancanza di sorprese, perché saranno
sempre gli stessi ovunque; la prevedibilità riguarda anche la programmazione dei comportamenti dei
dipendenti
-Controllo: i clienti del fast food sono soggetti a controlli. Le file, la limitazione del menu, le sedie
scomode, tutto porta a fare quello che i gestori desiderano: consumare in fretta e andarsene; riguarda
anche i dipendenti perché vengono addestrati per compiere un numero limitato di interventi
Nonostante ciò, anche la Mc Donald’s è stata costretta a raggiungere un compromesso con le scelte
individuali e con le specificità delle diverse culture.
Esiste anche una quinta variabile, l’irrazionalità della razionalità, che secondo Alan Aldridge, è
suddivisibile in tre aspetti:
-Illusione: si applica all’interno dell’efficienza e della calcolabilità
-Esternalità: processi di trasferimento all’esterno dei costi aziendali interni
-Deumanizzazione: si imputa all’irrazionalità della razionalità, indica la deumanizzazione che
subiscono i dipendenti
Per Ritzer i luoghi del consumo sono caratterizzati da una “perdita del senso del tempo”, il che fa
ottenere un disorientamento del consumatore, che perde il senso del tempo e di ogni legame con la
realtà sociale, diventando vulnerabile ma conservando comunque una minima autonomia
decisionale.
L‘atto d consumo non è un atto di natura individuale, ma un vero e proprio atto sociale.
EGERIA DI NALLO
Ha enfatizzato le capacità del consumo di essere autonomo rispetto alla produzione sino al punto di
riuscire a funzionare come un vero e proprio linguaggio
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Secondo questa autrice l’oggetto del consumo ha perso la valenza di merce per diventare modo di
esprimere l’affetto, la nostalgia, la cultura, l’amore. Nei diversi secoli di storia dell’epoca industriale
gli individui si sono rapportati con il mondo solo attraverso una ragione di tipo strumentale, basata
sui principi di:
-Causalità e Funzionalità: le azioni del soggetto sono interpretate come funzionali a uno scopo o
come effetto di un’azione precedente
-Non Contraddizione: il soggetto organizza la propria vita sociale in tanti segmenti o ruoli, ciascuno
dei quali è non contraddittorio al proprio interno e rispetto agli altri
-Valutazione del tempo in cui prevale il Non Presente: il presente è visto come risultato del passato o
proiettato nel futuro
Anche il consumo ha adottato nell’epoca industriale una razionalità di tipo strumentale, strettamente
legata al consumo che ha assunto nella società un’importanza crescente, che lo ha portato a sostituire
progressivamente la produzione come elemento portate della realtà sociale, la lo ha portato anche a
diffondere un nuovo tipo di razionalità. Ciò che avviene è un duplice processo di cambiamento che
agisce a livello strutturale e culturale. A livello strutturale sono attive quattro dinamiche
fondamentali:
-Imputazione del bisogno e del consumo: diritto alla “qualità della vita”
-Titolo del soddisfacimento del bisogno e del consumo: si esprime sempre più come acquisto di
funzioni di un bene per un certo lasso di tempo
-Contenuto dei bisogni da soddisfare: crescita dei bisogni culturali
-Natura pubblica e privata del consumo: crisi della distinzione tra consumi privati e pubblici
A livello culturale le tre variabili sopra descritte (Causalità…) vengono sostituite da:
-Analogia: il consumo ha valenze eminentemente simboliche
-Contraddizione: la vita sociale viene organizzata in tanti ruoli, ciascuno dei quali può essere
contraddittorio
-Dilatazione del Presente: il presente tende ad essere l’unica dimensione temporale
Al “valore d’uso” e al successivo “valore di scambio” si sostituisce progressivamente il “valore di
consumo”, che implica che il consumo assuma un valore autonomo e che disponga di una propria
razionalità interna.
Importante proposta teorica della Di Nallo è di considerare il consumo come “forma di linguaggio”.
Al consumo va attribuita una funzione comunicativa, il che comporta che il consumo diviene un
linguaggio e come tale, attraverso la sua autonomia strutturale, gli consente di essere universale e
comprensibile. Questa analisi porta a considerare il consumo come un fenomeno sociale
caratterizzato da tre dimensioni primarie:
-Cognitiva: i motivi che spingono gli individui verso il consumo dei beni devono essere ricercati
nella necessità di dare un ordine al caos
-Normativa: i beni sono organizzati in base a precise regole che normano i rapporti sia tra beni
diversi che combinabili
-Produttiva: nonostante il sistema del consumo presenti delle regolarità sintattiche non gli deve
essere attribuito un determinismo
Nel sistema di consumo, dunque, non esistono dei significati univoci per i beni perché i significati
non sono dati una volta per tutte, ma continuamente ricostruiti.
GILLES LIPOVETSKY
Ha sostenuto che è in atto una progressiva diffusione della “forma moda” (crescita dell’imp. della
moda) che tende a rimodellare a sua immagine l’intera società
Ha sostenuto che la società dei consumi è caratterizzata da una progressiva diffusione della “formamoda”, ovvero da una crescente capacità della moda di rimodellare a sua immagine l’intera società.
La moda si è sviluppata grazie a due vettori centrali della modernizzazione:
-Idealizzazione del nuovo, del futuro e del mito del progresso sociale
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-Possibilità per l’individuo di liberarsi dai vincoli sociali tradizionali e sentirsi libero di esprimere la
propria autonomia e capacità di scelta
La moda ha potuto imporre socialmente i suoi criteri centrali del rinnovamento frenetico e della
diversificazione dei modelli. Le aziende sono perciò condannate a produrre innovazioni e al tempo
stesso il consumatore deve sviluppare con i prodotti un rapporto di tipo ludico, perché ciò che
importa nei beni è soprattutto il carattere di novità posseduto ma nonostante ciò il consumatore non
diviene insensibile alla qualità del prodotto stesso. Il consumo ha assunto una natura paradossale ed
ha contribuito alla nascita di un nuovo tipo di personalità individuale. Non ci si lega più
intensamente alle cose come accadeva in precedenza, più i beni diventano efficaci ed indispensabili
più si indebolisce la possibilità di sedurre i consumatori. Vengono vissuti con distacco e quindi si
può liberarsene senza nessun problema. Il consumo, come già detto, viene quindi visto come
paradossale da Lipovetsky, in quanto genera un atteggiamento positivo nei confronti delle
innovazioni ma gela la duttilità del sociale.
La “forma-pubblicità” tende sempre più ad inglobare la “forma-moda” e la moda è variazione
continua soprattutto perché la sua natura mondana la porta ad inscriversi all’interno della
comunicazione.
MIKE FEATHERSTONE
Ha individuato con precisione i tratti caratteristici della nuova fase evolutiva della modernità nella
quale predominano intensi processi di estetizzazione delle società e dei consumi
Ha mostrato come all’interno delle numerose teorie sociologiche relative al post-moderno sia
possibile individuare cinque tratti caratteristici di tale fase evolutiva dei sistemi sociali occidentali:
-Messa in discussione della concezione romantica dell’arte: crolla il mito dell’unicità del lavoro
dell’artista
-Sviluppo di un’Estetica della Sensazione: cerca di stimolare il corpo sfruttando l’immediatezza dei
suoi processi primari
-Critica verso i “Piccoli Racconti”: presuppongono una conoscenza locale
-Sovraccarico dell’immaginario e della simulazione: conduce ad una perdita del senso della realtà
-Estetizzazione della vita quotidiana: l’esperienza artistica diventa il paradigma fondamentale
I nuovi luoghi del consumo offrono un’esperienza di disordine culturale; il processo di civilizzazione
impone comunque alle nuove classi medie un controllo fisico ed emozionale.
Gli abitanti delle città diventano consumatori sempre più voraci di segni, di “merci simboliche”,
l’arte si sposta progressivamente verso l’industria, attraverso il design, la moda e la pubblicità.
La nuova classe media è composta da intellettuali, i “nuovi intermediatori culturali”, professionisti
che operano principalmente nei settori dei media, del design, della moda e della pubblicità. Ciò ha
portato ad una crescete rivalutazione nella società di ciò che è sempre stato caratterizzato come
“cultura popolare”: la confusione, il disordine, l’immediatezza, l’istintività, la fisicità.
“Contro-Cultura”: un gruppo che era costituito da giovani appartenenti ai più alti livelli di istruzione
e che ha proposto un modello di vita rilassato e informale negli stili di abbigliamento e
presentazione. Dalla società era bollato come pericoloso perché proponeva un’inaccettabile
liberazione delle emozioni.
MARTYN LEE
Ha focalizzato la sua attenzione sul processo di dematerializzazione progressiva delle merci,
sostenendo che esso comporta che l’atto di scambio tenda a diventare relativo a merci caratterizzate
dal tempo della fruizione più che dalla sostanza fisica (merci esperenziali)
Lee vede il consumo come il luogo in cui pratiche economiche e pratiche culturali si combinano fra
loro. Il consumo appare sempre più caratterizzato da un processo di “fluidizzazione”, i beni di
consumo perdono le caratteristiche del “fordismo” (rigidità, standardizzazione, massificazione) per
18
assumere le caratteristiche del “postfordismo” (flessibilità, innovazione, personalizzazione). In
particolare, secondo Lee, il consumo è attualmente contraddistinto dai seguenti aspetti:
-Cresce la mobilità spaziale e temporale: la capacità di consumare e impiegare beni in tempi e luoghi
molto variabili
-Compressione temporale: la durata fisica del consumo viene ridotta
-Compressione spaziale: la dimensione fisica dei beni viene sempre più ridotta per creare all’interno
dello spazio domestico un nuovo spazio fisico da occupare per nuovi beni
-Diffusione delle merci composte: il fondersi di due o più merci in una
-Scambio continuo: crescita di quelle merci che comportano un processo di rinnovamento continuo
-Obsolescenza estetica: fenomeno di rinnovamento continuo dell’estetica delle merci
Ma per Lee ciò che oggi soprattutto avviene è un processo di “dematerializzazione progressiva delle
merci”, che comporta che l’atto di scambio tenda a diventare relativo a merci caratterizzate dal
tempo della funzione più che dalla sostanza fisica: le merci esperienziali.
ALAN BRYMAN
Ha parlato di “disneyzzazione” ritenendo che i principali regolanti di funzionamento dei parchi a
tema disneyani vengano progressivamente adottati dakke società avanzate
“Disneyzzazione” della società: i principi regolanti il funzionamento dei parchi a tema disneyani
vengono sempre più adottati dalle società occidentali e dai loro principi settori d’azione. Secondo
Bryman la disneyzzazione è caratterizzata da quattro principali aspetti:
-Tematizzazione: opera un’attrazione che procura un’esperienza piacevole rendendo più probabili gli
atti d’acquisto
-Consumo ibrido: le diverse forme di consumo sono sempre più connessa fra loro
-Merchandising: promozione e vendita di una vasta gamma di prodotti legati all’immagine di una
determinata marca
-Lavoro performativo: i lavoratori offrono un servizio come una vera e propria performance
spettacolare nella quale devono esprimere emozioni e dimostrare partecipazione al divertimento dei
consumatori
I concetti di “disneyzzazione” e “mcdonaldizzazione” in apparenza si assomigliano molto ma,
sebbene Bryman si sia ispirato a Ritzer, rifiuta però l’idea che le realtà “mcdonaldizzate” possano
impiegare il merchandising e il consumo ibrido.
La “disneizzazione” si caratterizza per la sua capacità di stimolare la varietà, la “mcdonaldizzazione”
stimola eguaglianza e somiglianza mentre la sineyzzazione stimola varietà e differenza. Il concetto
di “disneyzzazione” è più adatto a spiegare il funzionamento delle società ipermoderne,
caratterizzate dalla personalizzazione e da una grande varietà di scelte per il consumatore.
ZYGMUNT BAUMAN
Ha messo in evidenza come il consumo consenta oggi un controllo sociale sofisticato, stimolando in
continuazione il consumatore non più a possedere beni e ricchezze materiali, ma a ricercarne nuove
sensazioni
Per Bauman la modernità ha attraversato due fasi. Nella prima l’obiettivo sociale era di forgiare gli
individui come produttori, ma nella seconda, detta “modernità liquida” gli individui vengono formati
per svolgere il ruolo di consumatori. Nei sistemi sociali più moderni la libertà dell’individuo dipende
dalla sua libertà di consumatore.
La lotta simbolica giocata dagli individui attraverso i consumi non è mai risolutiva, non consente
cioè di avvicinarsi ad un successo che possa essere considerato definitivo. Per Bauman è come se nel
capitalismo ci fossero due differenti modelli. Nel primo continua la lotta tradizionale per la gestione
della ricchezza, nel secondo gli individui si possono scatenare liberamente. Ciò rafforza la stabilità
del capitalismo. Nel capitalismo della “modernità liquida” il controllo sociale dei beni di consumo
19
sostituisce la repressione propria della prima fase con una nuova strategia chiamata da Bauman
“seduzione”. Questo compito è solitamente svolto dalla pubblicità, la quale presenta a tale scopo i
beni assieme a testimonial adeguati o in determinate situazioni sociali. Il risultato è una
“naturalizzazione” del bene. I consumatori della modernità liquida sono sempre in movimento, in
perenne stato di eccitazione, per essi il capriccio prende il posto del desiderio perché l’individuo
ritiene sia meglio consumare subito qualcosa che sicuramente svanirà presto. Il godimento però per
il consumatore sta soprattutto nell’attesa di una soddisfazione più che nella soddisfazione stessa. Lo
scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere quanto l’eccitazione per
sensazioni nuove: i consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni. Ciò viene praticato
attraverso il corpo, che diviene dunque un vero e proprio recettore di sensazioni. Per Bauman
dunque i luoghi del consumo sono spazi in cui l’individuo vuole vivere un’esperienza non collettiva
ma individuale.
CAP. IV
IL GRUPPO SOCIALE
L’ANALISI ECONOMICA DELLA FAMIGLIA
E’ nella famiglia che vengono elaborate gran parte delle scelte d’acquisto e vengono fisicamente
consumati molti beni. In Italia è stato a partire dal secondo dopoguerra che si è riusciti a dar vita ad
una vera e propria contabilità nazionale. Il limite principale dell’analisi statistico-quantitativa dei
consumi delle famiglie è che i risultati da essa provenienti sono generalmente presentati in vasti
aggregati merceologici scarsamente analitici. Visto così il consumo appare come un insieme di dati
in continuo cambiamento, ma in realtà assai poco utili per la comprensione dei fenomeni in oggetto.
“Legge principale del consumo” (Ernst Engels, 1895): tale legge sostiene che la quota percentuale di
spesa per l’alimentazione di una famiglia o di una popolazione, rispetto alla spesa complessiva, è
tanto più ridotta quanto più elevato è il reddito di quella famiglia o di quella popolazione e viceversa.
L’approccio statistico-quantitativo è in realtà assai poco efficace nello spiegare l’agire di consumo a
causa della sua eccessiva astrattezza rispetto ai comportamenti concreti dei consumatori. Qualcosa in
più è possibile conoscere attraverso gli studi sui bilanci familiari. Pierre Frèdèric Le Play (1879) è
stato il vero pioniere degli studi sui bilanci familiari, in quanto ha dato inizio alla raccolta e allo
studio sistematico dei dati relativi al reddito e alle spese delle famiglie in diversi paesi europei. Ha
dimostrato come i modelli di consumo non siano qualcosa di fisso, ma dipendano dal contesto
sociale in cui operano. A parità di reddito, infatti, i consumi delle famiglie differiscono notevolmente
in base all’occupazione del capofamiglia, allo status sociale, alla zona di residenza.
Maurice Halbwachs (1913) sosteneva che i consumi sono nella maggior parte dei casi relativi alla
posizione che gli individui occupano nella società, sosteneva anche che la coscienza di classe nasce
dalle diversità presenti nei modelli di consumo. Successivamente Halbwachs riscontrò che nella fase
espansiva dell’economia aumentano sia i prezzi che i salari, ma quest’ultimi in misura maggiore dei
prezzi e vi è addirittura una fase in cui i prezzi diminuiscono progressivamente mentre i salari sono
ancora in aumento. In questa fase nascono e si sviluppano i nuovi bisogni di consumo della classe
operaia. E gli operai prendono coscienza di questi bisogni, che prima non esistevano per la
mancanza del reddito necessario, ma ora tendono a fissarsi come modelli di consumo solidalmente
condivisi dall’intera classe.
Ciò che prima era considerato inessenziale è divenuto essenziale.
ANALISI SOCIOLOGICA DELLA FAMIGLIA
Dagli studi effettuati è emerso innanzitutto che per quanto riguarda gli acquisti la casalinga detiene
in famiglia una effettiva leadership, ma anche che i suoi comportamenti sembrano guidati da una
sorta di “progetto morale”, dall’obiettivo cioè di tradurre in beni acquistati sul mercato le relazioni
ed i valori che emergono all’interno della sfera familiare e domestica.
20
Negli scorsi decenni il potere decisionale sui consumi è direttamente proporzionale al livello di
reddito posseduto da ciascun membro di una famiglia. Il marito pertanto era il leader indiscusso,
mentre la moglie acquistava potere sui consumi solo se contribuiva al reddito familiare mediante un
impiego extradomestico. La moglie inoltre si sentiva meno legittimata del marito a spendere denaro
e viceversa i mariti spendevano più delle mogli i propri guadagni nel tempo libero.
Secondo Pahl (1983) vi sono cinque modelli di gestione delle risorse familiari:
-Stipendio completo femminile: il marito consegna tutto lo stipendio alla moglie tranne la parte per
le spese personali
-Stipendio completo maschile: il marito mantiene la responsabilità della gestione delle finanze
familiari
-Assegnazione periodica: suddivisione della gestione della spesa, il marito dà alla moglie una somma
fissa per le spese familiari e gestisce autonomamente il resto
-Indipendente: entrambi i partner hanno un proprio reddito e nessuno dei due accede a tutto il denaro
della famiglia perché mantenuto diviso
Uomini e donne sono guidati nelle loro scelte da modelli di consumo differenti sul piano culturale.
Gli uomini tendono a vivere l’acquisto come un’attività razionale mente le donne come una fonte di
piacere.
Dagli anni ottanta si indebolisce quel rapporto di proporzionalità diretta che è sempre esistito tra
dominio finanziario e scelte d’acquisto. Nelle coppie dove entrambi i coniugi lavorano fuori casa i
meccanismi di scelta diventano più egualitari.
Va considerata anche la sempre più influenza esercitata dai bambini che stanno diventando
consumatori sempre più competenti e quanto più le loro richieste si innalzano tanto più i genitori
cercano di soddisfarle.
Da ciò ne deriva un progressivo moltiplicarsi dei modelli di consumo:
-Influenzatore: esercita un ruolo nell’indirizzare la scelta d’acquisto mettendo a disposizione le
informazioni di cui dispone
-Gatekeeper: controlla le informazioni che passano dalla famiglia
-Decisore: è in grado di prendere in via definitiva la scelta
-Acquirente: compie materialmente l’acquisto
-Utilizzatore: impiega effettivamente il prodotto
-Eliminatore: si occupa dell’eliminazione fisica del prodotto usato
GRUPPI SOCIALI
L’individuo appartiene nello stesso momento a diversi gruppi sociali definiti “gruppi
d’appartenenza” che possono essersi formati attraverso modalità estremamente differenti (colleghi,
vicini di casa, gruppi etnici, parentali, familiari…) ma, come ha messo in evidenza Robert Merton, è
sempre possibile riconoscere in essi delle specifiche caratteristiche:
- la presenza di un certo numero di perone che interagiscono fra loro con continuità e secondo
modelli stabiliti
- l’autoidentificazione da parte degli individui membri, caratterizzata da aspettative definite
sulle forme di interazione interna
- il riconoscimento da parte di altri dell’appartenenza al gruppo
Questi gruppi svolgono per l’individuo delle funzioni particolarmente importanti, consentono:
- lo sviluppo del processo di socializzazione
- di sviluppare il concetto di Sé
Spesso perciò un individuo ha la necessità di sentirsi partecipe di un determinato gruppo sociale,
questo senso di partecipazione svolge per lui una funzione di rassicurazione. Il singolo individuo
deve adattarsi al ruolo stabilito per lui nel gruppo, ruolo che gli altri si aspettano rivesta
Il consumo, quindi, in questo caso, deve conformarsi agli standards stabiliti dai gruppi
d’appartenenza sia per paura delle sanzioni sia perché si sono interiorizzate le norme del gruppo con
21
le quali ci so identifica totalmente. Ma questo adattarsi ad un ruolo già stabilito non impedisce al
singolo individuo di differenziarsi socialmente attraverso il consumo (Simmel limitaz-differenz)
I gruppi d’appartenenza si distinguono in:
- primari: quelli dove i membri si conoscono e si frequentano, caratterizzati da limitate
dimensioni, relativa durata, rapporti informali, fini comuni. Hanno un’influenza immediata e
diretta sui modelli di consumo (Fabris)
-
secondari: composti da individui che non sono normalmente in un rapporto di interazione,
anche se condividono particolari norme. Si tratta delle associazioni professionali, religiosa, i
sindacati. Esercitano anch’essi un influenza sui modelli di consumo ma meno potente
I gruppi d’appartenenza di un individuo possono diventare per altri individui dei gruppi di tipo
“comparativo”: offrono la possibilità di confrontare le proprie scelte. Se nono giudicanti vincenti
tali gruppi possono trasformarsi in “gruppi di riferimento”
I “gruppi di riferimento” sono gruppi che gli individui, pur non appartenendovi, scelgono come
modello per le proprie scelte perché aspirano ad entrarvi. La scelta di gruppi di riferimento esterni
può essere frutto di un atteggiamento di rifiuto delle norme dei gruppi d’appartenenza
Nei sistemi sociali occidentali caratterizzati da un elevato tasso di mobilità (molti ruoli sociali)
l’adozione di gruppi di riferimento avviene abbastanza frequentemente
Esiste anche il caso in cui il legame tra consumatore e gruppi d’appartenenza diventa molto stretto. Il
processo di frammentazione che caratterizza da tempo le società occidentali sviluppa il bisogno di
nuovi legami sociali, nuove comunità o tribù (micro-gruppi composti da individui eterogenei tra loro
ma uniti dalla condivisione di una passione, emozione, momenti intensi)
La rinascita delle tribù nelle società più avanzate comporta il riemergere di valori “quasi-arcaici”:
identificazione nel locale, senso di religiosità, sincretismo culturale (Maffesoli). Tali tribù tentano di
far rivivere l’archetipo del villaggio (Internet), per esistere hanno bisogno di qualcosa che permetta
loro di consolidarsi e affermarsi
Vi sono però anche altri gruppi che si formano basandosi sulla base della fedeltà di tutti gli
appartenenti ad una certa marca (“comunità di marca”). Ad es. fedeltà verso le automobili Saab o i
computer Apple esemplari di questa capacità di dar vita a comunità caratterizzate dalla condivisione
di esperienza, rituali, modelli di comportamento
La prospettiva del marketing tribale è stata sostenuta soprattutto da Bernard Cova e presuppone che
lo studio del consumo debba considerare quest’ultimo come qualcuno che cerca di costruire delle
esperienze e, attraverso queste, delle relazioni sociali fondamentali per la sua esistenza
Anche nei prodotti/servizi tali tribù cercano, più che il valore d’uso, il valore di legame
(linking value) che corrisponde al valore del prodotto stesso nella costruzione o potenziamento
dei legami fra gli individui
Le ricerche condotte da C. hanno messo in luce la presenza di una scala relativa all’intensità dei
legami di tipo comunitario. Ne derivano quattro tipi di legami:
- legami flash: desiderio di entrare in relazione con un altro senza volerla far durare
- piccoli mondi: desiderio di contribuire o partecipare a poche relazioni interconnesse senza
strutturazione né rigidità di ruoli
- tribù/clan: desiderio di partecipare ad un gruppo organizzato attorno ad un oggetto di culto
22
-
immaginario comunitario: desiderio di sentirsi in un insieme immaginario di persone che
condividono la stessa identità attraverso il consumo dello stesso prodotto mitico
Dunque dalla classificazione di C. risulta che nelle società contemporanee si manifesta più
l’emergenza di un desiderio di comunità che il ritorno effettivo a comunità praticate
Barman → forme di socialità nelle quali è facile entrare e uscire più deboli e di breve durata rispetto
alle comunità tradizionali dove i legami erano più intensi (contatto fisico). Ma ciò non impedisce al
desiderio di comunità di svolgere un ruolo importante in termini di consumo
GLI OPINION LEADERS E I DIVI
All’interno di qualsiasi gruppo sociale è fondamentale l’influenza esercitata dagli opinion leaders,
individui che si differenziano per il maggior prestigio e quindi per il maggior potere d’influenza.
Essi sono di solito importanti solo nel loro specifico territorio in quanto possiedono una maggior
competenza rispetto ai beni di un determinato settore di mercato.
Gli opinion leaders sono dunque degli individui che diventano oggetto di forte identificazione e
come tali possono far parte sia di un determinato gruppo sociale che dell’intera collettività
“Two.step flow of comunication” (Flusso di comunicazione a due livelli): secondo tale teoria, fra le
comunicazioni emesse dai media e la comunicazione interpersonale, non esiste antagonismo ma una
pacifica interazione. Il messaggio proveniente dai media (primo livello del flusso di comunicazione)
viene infatti “filtrato” dai rapporti che si instaurano tra le persone (e tra esse e gli opinion leaders) e
viene perciò trasposto ad un secondo livello.
Va considerato che esistono due tipi di opinion leaders:
-Market Maven: ovvero un “esperto di mercato”
-Consumatore Innovativo: ovvero un individuo propenso ad acquistare nuove marche e prodotti
appena compaiono sul mercato e comunque il prima possibile rispetto agli altri
L’acquisto dei beni di consumo che si considerano fruiti dai divi e l’imitazione dei loro modi di
vestirsi e di impiegare tali beni sono strumenti che permettono di evadere fantasticamente dalla
povertà del proprio mondo quotidiano. Nella società odierna la televisione ha creato molti divi,
subendo ciascuno di questi la conseguenza di essere “quotidianizzato” e reso così meno potente
rispetto ai grandi divi del passato. Va considerato infatti che rispetto all’epoca d’oro dello star
system hollywoodiano (anni trenta), con l’avvento della televisione e di un sistema comunicativo di
massa il divo si progressivamente “mondanizzato”; il divo ha perso quindi quella natura specifica di
“essere ibrido”. Tra pubblico e divo si stabilisce comunque un processo dialettico per cui un divo ha
successo perché incarna un modello che riassume in sé desideri più o meno diffusi presso il proprio
pubblico ed impersonandoli li amplifica e li promuove per il pubblico stesso.
CAP. V
LO STILE DI VITA
E’ stato analizzato il ruolo svolto dalle diverse variabili sociali che sono in grado di influenzare i
comportamenti di acquisto e fruizione dei beni e servizi praticati dagli individui
I PRIMA TENTATIVI DI SEGMENTAZIONE
La segmentazione consente alle imprese di semplificare la complessità dei mercati odierni,
suddividendo i consumatori in segmenti.
Segmenti che devono essere il più possibile omogenei al loro interno e il più possibile differenti
dagli altri segmenti.
I metodi a disposizione per segmentare i mercati possono essere raggruppati in quattro categorie:
 geografici,
 sociodemografici,
23
 comportamentali,
 psicografici.
Quello adottato più spesso è basato sulle variabili sociodemografiche (sesso, età, scolarità, reddito),
grazie alla semplicità, alla facilità di reperimento, all’elevata capacità descrittiva e alla popolarità
presso i pianificatori.
Nato nel corso degli anni ’50, tale approccio è oggi largamente insoddisfacente.
Se utilizzate a se stanti le sue variabili interagiscono costantemente e non sono in grado di produrre
segmenti di mercato differenziati. E va considerata la scarsa capacità discriminante rispetto ai
comportamenti di scelta dei prodotti e delle marche. Si pensi, per esempio, agli stili di vita
“giovanili”, praticati oggi da fasce crescenti di anziani. Con le segmentazioni basate sui
comportamenti c’è il passaggio dall’analisi delle caratteristiche generali degli individui a quella
della loro specifica condotta verso un particolare prodotto/marca. Le origini di tali segmentazioni
sono fatte risalire alla teoria della heavy half di Dik Twedt (1964), per il quale circa l’80% del
consumo di un prodotto è attribuibile a metà dei consumatori. Ne consegue che è utile effettuare
una segmentazione per trovare i forti consumatori, allo scopo di concentrare su questi gli sforzi
aziendali.
Ma tale approccio, basandosi su una dimensione quantitativa, trascura quelle di tipo qualitativo.
Così mette insieme consumatori che acquistano con motivazioni diverse. La segmentazione per
comportamenti si può suddividere in tre tipologie basate:
 sullo status dell’utilizzatore,
 sulla fedeltà alla marca
 sulla situazione d’uso.
Ma tutti e tre questi metodi hanno dimostrato la loro efficacia solo in contesti specifici e delimitati e
sono scarsamente esplicativi.
La segmentazione psicografica
La segmentazione “psicografica” è nata poco dopo la II guerra mondiale, con l’applicazione delle
tecniche della psicologia ai comportamenti di consumo attraverso le “ricerche motivazionali”.
Il metodo psicografico basa la sua individuazione dei diversi segmenti di mercato sull’analisi delle
caratteristiche delle personalità individuali.
Ha utilizzato in origine a tale scopo i “test di personalità”, che sono stati però abbandonati per la
loro mancanza di correlazione diretta con gli specifici comportamenti di consumo.
Mancanza determinata dalla loro origine clinica e dalla conseguente tendenza alla generalizzazione
dei fenomeni.
Russel Haley ha fatto rientrare tra i metodi psicografici la “segmentazione per vantaggi”.
Raggruppa i consumatori utilizzando l’importanza che attribuiscono a determinate combinazioni di
benefici razionali od emozionali attesi dal prodotto.
Tale metodo ha avuto un notevole successo tra le aziende a partire dagli anni ’70.
Va considerato però che i segmenti delineati con i benefici desiderati richiedono descrizioni con
variabili socio-demografiche, ma ciò è reso difficoltoso dalla specificità delle dimensioni di
beneficio considerate. Inoltre, non sempre i benefici ricercati sono rilevanti per la suddivisione della
domanda, perché i desideri dei consumatori possono variare, ad esempio, in relazione alle occasioni
d’uso.
Il primo tentativo sperimentale di “psicografia” si deve ad Arthur Koponen (1960), il quale
effettuava ricerche presso l’agenzia di pubblicità J. Walter Thompson.
Il primo vero tentativo di psicografia si deve però a Emanuel Demby, che nel 1964, in una ricerca
per le riviste Time e Holiday Magazine, ottenne l’identificazione degli acquirenti di nuovi prodotti.
Demby trovò due tipi di consumatori, discriminati non solo al momento dell’acquisto, ma anche
nelle altre attività quotidiane e nei loro interessi:
 i creativi, 40% della popolazione statunitense e alla ricerca costante di nuovi prodotti il cui
consumo possa cambiare la loro vita;
24

i passivi, che tendono ad adottare i nuovi prodotti dopo gli altri, quando cioè il loro
consumo è già diffuso e consolidato.
Per Demby però la psicografia va sempre messa in relazione ad uno scopo specifico. I segmenti
sono quindi relativi, non potendo essere generalizzati in quanto l’assegnazione di ogni soggetto
esaminato a un particolare segmento dipende dal fenomeno considerato.
In seguito, altri studiosi hanno sostenuto che un individuo appartenente ad un segmento di
consumatori apparterrà sempre a quello.
Siamo così al concetto di “stile di vita”. Concetto formulato anche da Simmel nella sua Filosofia del
denaro, ma sviluppato soprattutto da Max Weber in Economia e società. Ma nelle ricerche di
segmentazione il concetto di stile di vita è impiegato in un’accezione differente da quella di Max
Weber. Non si riferisce più solo alla quantità di onore o prestigio di un individuo, ma all’insieme
dei valori, atteggiamenti, opinioni e comportamenti che manifestano l’unicità di un gruppo di
persone.
Fabris considera lo stile di vita come la forma di raggruppamento sociale tipica delle società
industriali avanzate. Sostiene inoltre che si caratterizza per poter essere liberamente scelto da parte
dell’individuo, per la facoltà che offre di passare da uno stile di vita ad un altro e per la mancanza di
dislivelli gerarchici rispetto agli altri stili.
In Italia, solo nel 1976 Gabriele Calvi e l’istituto di ricerca Eurisko hanno introdotto tali strumenti.
La Psicografia Eurisko, che nel 1986 ha cambiato nome diventando Sinottica, viene da allora
condotta con periodicità annuale. Per Calvi, i possibili tipi di ricerca psicografica sono riconducibili
a due: le ricerche tattiche e le più complesse ricerche strategiche. Le prime sono episodiche, non
hanno un modello teorico generale e riguardano delle popolazioni specifiche. Le seconde muovono
invece da un sistema generale di ipotesi sul comportamento umano. La maggior parte dei primi
tentativi di psicografia, ma anche di quelli che vengono condotti oggi, appartiene al primo tipo. La
sinottica appartiene al secondo tipo, perché, pur potendo essere usata per fenomeni di consumo
specifici, deriva dalle analisi sociologiche che vedono la presenza in Italia di tre culture: antica
(agricolo-patriarcale), moderna (borghese-urbana) e contemporanea (post-industriale). Calvi ha
ritenuto opportuno non considerare le motivazioni inconsce dei consumatori, a suo avviso non in
grado di spiegare i comportamenti perché troppo lontane da essi. Ha utilizzato a tale scopo una
concezione pragmatica dei valori, considerati quindi come né universali, né profondi. Calvi,
originariamente, ha individuato 9 tipi di stili di vita differenti. Nel corso del tempo, il numero e la
composizione percentuale interna di questi stili di vita sono variati sino a raggiungere l’attuale
conformazione. Oggi Sinottica ne conta 14.Da qualche anno, Eurisko ha introdotto in Sinottica la
“Grande mappa”, che consente di rappresentare i principali fenomeni sociali e di mercato. I 4
quadranti ottenuti sulla mappa dall’incrocio dei due assi possono essere ulteriormente frazionati,
così da ottenere 16 celle. Ma anche queste 16 celle si possono ulteriormente suddividere sino ad
ottenere 144 porzioni. Sinottica ha avuto una notevole diffusione in Italia anche perché i suoi stili di
vita vengono incrociati con i risultati delle principali ricerche media. Ma il tipo di approccio
utilizzato per definire gli stili di vita, che vorrebbe basarsi simultaneamente su caratteri demografici
e criteri, norme, abitudini comportamentali, attribuisce un peso elevato alle variabili
sociodemografiche e ai comportamenti. Da un lato, utilizza le variabili sociodemografiche, che
comportano una semplificazione che impedisce di cogliere la ricchezza delle personalità dei
soggetti e dei loro comportamenti. Dall’altro, impiega i comportamenti, che sono sempre più
instabili nell’attuale contesto sociale, caratterizzato da consumatori eclettici e orientati verso la
sperimentazione.
E’ vero, come ha detto Vittorio Meroni, che gli orientamenti comportamentali sono più vicini dei
valori ai comportamenti d’acquisto e dunque esprimono i cambiamenti di questi ultimi con una
maggiore sensibilità rispetto ai valori.
Ma il problema è che sono troppo sensibili, rendendo difficoltosa la comprensione dei segmenti
ottenuti.
VALS: verso una teoria del comportamento umano
25
La ricerca VALS (Values and Life Styles) appartiene al raggruppamento di tipo strategico. E’ stata
sviluppata da Arnold Mitchell presso l’Università di Stanford.
Il modello teorico era così potente che ha comportato una forte semplificazione rispetto alla
capacità di comprendere la realtà sociale, ma spiega anche le ragioni del vasto successo. La VALS
si è basata sui risultati di numerosi studi sul comportamento umano e sullo sviluppo della
personalità: Riesman, Glazer e Denney (1956), McClelland (1955, 1961), Fromm (1960), Erikson
(1966), Maslow (1943, 1971, 1977).
Ma è stata soprattutto la teoria di Maslow sulle “motivazioni dominanti” che determinano i
comportamenti umani a fornirle le basi concettuali. Secondo tale teoria gli individui sono “mossi”
da molteplici motivazioni, ma in ogni momento esiste sempre una motivazione dominante sulle
altre. Tra le possibili motivazioni dominanti si forma anche una gerarchia, composta da 5 tipi di
motivazioni o bisogni basici e valida per tutti gli individui. Ognuno di questi bisogni si manifesta
soltanto quando sono stati soddisfatti i bisogni collocati ai livelli più bassi. Maslow ha aggiunto poi
a questi bisogni, mettendoli prima dell’autorealizzazione, altri due: di conoscenza e soddisfazione
estetica.
Tale modello è stato criticato per la rigidità e l’automaticità con cui prevede necessariamente il
passaggio per tutti gli individui dai livelli più bassi a quelli più alti della gerarchia. Inoltre, questo
schema, con i suoi assunti sulla morale degli individui, non regge quando si considerano culture
diverse da quella americana.
Mitchell ha comunque utilizzato nel 1969 il modello di Maslow, perché riteneva che con esso
concordassero gli studiosi di psicologia dello sviluppo, per i quali i diversi livelli della gerarchia dei
bisogni corrispondono ad altrettante fasi dello sviluppo della personalità.
Per questi studiosi, tale gerarchia può essere interpretata come un percorso a più fasi che va
dall’immaturità alla maturità psicologica.
Mitchell ha modificato nel 1978 lo schema di Maslow: ogni persona dopo aver soddisfatto i bisogni
fisiologici e di sicurezza può scegliere tra due percorsi che si riuniscono al vertice rappresentato
dall’autorealizzazione.
Si tratta del percorso “eterodiretto” e di quello “autodiretto”, ripresi dalla ricerca di Riesman, Glazer
e Denney in La folla solitaria (1959).
Rispetto ai metodi psicografici precedenti, che erano specifici e limitati ad un solo prodotto o ad un
solo periodo storico, il VALS è stato un notevole passo in avanti.
Si tratta però di un metodo che soffre dei problemi opposti: da quella visione globale della società e
del comportamento umano che la contraddistingue la ricerca VALS, infatti, difficilmente può
passare ad analizzare situazioni di consumo specifiche.
Pertanto, negli anni ’80, la ricerca VALS ha incontrato per qualche tempo delle difficoltà sino a
che, nel 1989, si è adottata una nuova impostazione teorica, dando vita alla VALS 2.In essa è stata
abbandonata l’impostazione teorica di derivazione psicologica, in favore di un approccio
sociologico.
Le ricerche sul cambiamento sociale e il sistema 3SC
Soltanto una ricerca di largo respiro e mirata a sondare i cambiamenti delle società avanzate può
analizzare con precisione il contesto socioculturale che influenza l’agire di consumo e osservarne
sistematicamente la dinamica.
Alain de Vulpian, a Parigi presso la Cofremca, e Daniel Yankelovich, a New York nella
Yankelovich, Skelly and White, si sono dedicati dagli anni ’60 allo sviluppo di uno strumento di
questo tipo.
E stato però Yankelovich a mettere in piedi per primo nel 1971 un sistema permanente di
osservazione del cambiamento socioculturale: “The Yankelovich Monitor”. L’informazione
principale fornita da tale monitor, dotato di periodicità annuale, consisteva nella lettura continuativa
della misura, della direzione e del carattere delle tendenze di cambiamento rilevanti (“social
trends”).
Successivamente, le ricerche finalizzate allo studio del cambiamento sociale si sono moltiplicate a
livello internazionale, ma poche sono state quelle realmente innovative.
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La ricerca 3SC possiede invece delle qualità specifiche che giustificano un’analisi dettagliata. La
3SC è stata ideata a Parigi nel 1972 da Alain de Vulpian, al quale si sono aggiunti Elizabeth Nelson
(Taylor, Nelson & Associates-Londra), Werner Wyss (Scope-Lucerna), Giampaolo Fabris (a
Milano con Demoskopea prima e GPF&Associati poi) e altri 14 istituti di ricerca. Tutti questi
istituti si sono associati nel 1978 nella RISC (Research Institute on Social Change).
Nel 3SC la misurazione del cambiamento viene effettuata attraverso le “correnti socioculturali”, lo
strumento principale che caratterizza tale ricerca. Sono degli indicatori astratti che individuano
l’esistenza di una parentela in una grande diversità di cambiamenti relativi a individui o gruppi,
strutture o istituzioni. Le correnti sono cioè dei “vettori” del cambiamento lungo i quali si ipotizza
che si muova, seppure in maniera discontinua, la società. Si collocano pertanto ad un livello
intermedio tra i comportamenti e i valori che li ispirano. Il 3SC è presente anche in Italia, dove è da
qualche anno denominato “T&T Monitor 3SC” (Trends & Targets e Sistema di Correnti SocioCulturali e Scenari di Cambiamento). E’ condotto dalla GPF & Associati, che l’ha effettuato dal
1977 ogni 18 mesi, sottoponendo ad intervista 2.500 individui di un campione statistico
rappresentativo della popolazione italiana adulta. La collocazione spaziale delle correnti sulla
mappa socioculturale consente di disporre di una sintesi visiva della società considerata, della sua
struttura socioculturale e delle dinamiche operanti in essa. Proprio per questo motivo, la mappa
socioculturale rappresenta lo strumento d’analisi più significativo del 3SC e le due principali
dimensioni che la definiscono sono anche le più importanti “spaccature” valoriali della società
italiana. L’asse orizzontale (o asse di modernizzazione) è il più importante ed è caratterizzato dalle
polarità Apertura/Chiusura. Contrappone cioè i valori della cultura post-industriale, più orientati al
cambiamento, all’innovazione, alla capacità di gestire la complessità sociale alle espressioni di una
cultura di stampo pre-industriale, diffidente al nuovo e arroccata su valori tradizionali. L’asse
verticale è caratterizzato invece dalle polarità Privato/Sociale. Contrappone una cultura intessuta di
valori materiali, aspirazioni individualistiche e ricerca di distinzione a istanze solidaristiche, valori
etici, ecologici, spirituali, orientati alla collettività e alla partecipazione. Le correnti socioculturali,
oltre che forze in movimento, costituiscono anche delle variabili attive di segmentazione della
popolazione. Il 3SC si basa su una tipologia generale, che in Italia è passata dai 6 tipi iniziali del
1978 a 8 e ha poi dato vita alle “10 Italie”.
Al di là dello stile di vita
Le ricerche sugli stili di vita sono state sottoposte a numerose critiche.
Per esempio, la segmentazione per stili di vita, che sono espressione degli obiettivi di vita di una
persona, corre il rischio di generare segmenti che hanno uno scarso legame con il prodotto.
Ma la segmentazione per stili di vita ha suscitato delle perplessità anche perché mancherebbe di una
solida struttura concettuale e di una base teorica adeguata.
Rimangono inoltre seri dubbi rispetto alla validità scientifica dei risultati di ricerche che presentano
spesso segmentazioni molto diverse, benché impieghino tecniche molto simili.
Ma diversi tentativi effettuati per superare il sempre più insoddisfacente concetto di stile di vita non
hanno ottenuto i risultati sperati.
Anche le ricerche sul cambiamento sociale sono state criticate, soprattutto perché possiedono un
limite che è inerente alla loro stessa natura.
Infatti, non esiste nessuna teoria generale del cambiamento sociale ed è impossibile concepirne una,
poiché essa sarebbe una teoria generale della storia.
Vale a dire che, come nell’andamento della storia esiste comunque sempre un margine di casualità
legato all’imprevedibilità del comportamento umano, così lo stesso fenomeno si verifica anche
nell’ambito del cambiamento sociale.
Le ricerche sugli stili di vita continuano comunque a funzionare perché si sono rivelate per le
imprese degli utili strumenti descrittivi ed operativi, forse proprio a causa della loro mancanza di
una teoria.
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Hanno un’efficacia modesta per beni banali o di uso quotidiano, mentre sono preziose quando
bisogna definire situazioni di consumo di beni ad alto contenuto emozionale e soprattutto il contesto
psicologico in cui quel consumo si inserisce.
In futuro, comunque, questi sistemi di ricerca vedranno aumentare le difficoltà per lo sviluppo di un
“villaggio planetario” dove da un lato c’è un’omogeneizzazione dei soggetti e delle culture e
dall’altro si sviluppano le subculture locali.
Nel campo dei consumi, ciò si traduce in un aumento dei modelli e degli stili di consumo, anche in
conseguenza dell’accrescersi della flessibilità e della maturità dei consumatori.
Tale processo di frammentazione del sociale si ripercuote sulle tipologie prodotte attraverso le
tecniche di segmentazione, che tendono a perdere di omogeneità e quindi di efficacia esplicativa.
E ovviamente le difficoltà per le ricerche di segmentazione aumentano quando si passa dal livello
nazionale a quello internazionale.
Egeria di Nallo ha proposto di lavorare non più sul consumatore ma sul consumo.
Ovvero cercare di individuare non degli stili di vita, connessi al consumatore, ma degli stili di
consumo, aree socioculturali esistenti nella società indipendentemente dalla singola azienda e dal
singolo consumatore.
Sono infatti esterni al consumatore, che li può assumere per un periodo più o meno lungo e
cambiare con la stessa facilità con cui mette e smette un abito.
Il consumatore transita dentro ogni bolla o sfera, dove può trovare, inseriti all’interno di un sistema
coerente, dei prodotti e flussi comunicativi relativi.
Di Nallo chiama anche “meeting point” queste bolle, proprio per sottolineare la loro natura di luogo
d’incontro virtuale tra i consumatori e i prodotti.
Questi ultimi, naturalmente, possono muoversi anch’essi tra una bolla e l’altra e far parte allo stesso
tempo di più bolle, le quali a loro volta possono parzialmente sovrapporsi l’una con l’altra.
Periodicamente, qualcuno cerca di dimostrare la superiorità delle variabili sociodemografiche su
quelle socioculturali, ma si tratta di un falso problema determinato da resistenze psicologiche
all’innovazione.
Anche ammettendo la superiorità esplicativa delle variabili sociodemografiche, essa è certamente
minima e comunque i risultati migliori si possono ottenere utilizzando tali variabili congiuntamente.
Il punto di forza delle variabili socioculturali risiede nella capacità di definire con più precisione ciò
che quelle sociodemografiche hanno già chiarito come prerequisito di base.
Che cosa significa dire che un consumatore ha un certo livello di reddito? Non molto se non ci
fossero le variabili socioculturali a consentire di comprendere il suo specifico comportamento
d’acquisto.
Anche per l’antropologa Mary Douglas è sbagliato considerare il consumatore un essere incoerente
e frammentato, confuso sui propri scopi e appena responsabile delle proprie decisioni.
E’ invece corretto considerarlo come un essere coerente e unitario e lo stile di vita, dunque, può
essere ancora ritenuto ciò che attribuisce coerenza ai suoi differenti comportamenti.
La cultura sociale
Marcel Mauss
I comportamenti dei consumatori, come tutti i comportamenti degli individui, sono fortemente
condizionati dalla cultura in cui prendono forma.
Storicamente, è stata l’antropologia a concentrare il suo sforzo interpretativo sulla cultura. Oggi
quest’ultima è un oggetto d’analisi comune all’antropologia e alla sociologia. Il primo antropologo
ad evidenziare la funzione della cultura sociale nell’attribuire significati agli oggetti è Marcel
Mauss (1925).
Per tale autore, infatti, gli oggetti sono strumenti per comunicare il valore degli individui. Lo
scambio di beni è cioè uno scambio simbolico, perché simboleggia gli scambi fra gli uomini, i
sentimenti e le relazioni che li legano. L’oggetto di studio di Mauss è stato l’utilizzo che veniva
fatto dei doni in alcune società arcaiche.
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Ha analizzato, ad esempio, il potlàc, una sorta di banchetto-festa offerto al capo e praticato dalle
tribù Tlingit e Haida del Nord-Ovest americano, in cui si arriva a distruggere le ricchezze
accumulate per sfidare il capo della tribù rivale. Attraverso il potlàc, dunque, gli oggetti donati
divengono simboli del valore sociale, del prestigio e del potere di chi li possiede e stabiliscono o
confermano le gerarchie sociali esistenti.
Per Mauss gli scambi di doni tra i gruppi sociali sono “fenomeni sociali totali”, perché sembrano
scambi liberi di oggetti, ma in realtà comportano un forte senso di obbligatorietà interindividuale.
Mauss voleva capire le motivazioni che si trovano alla base della necessità degli individui di
restituire i doni ricevuti e della forza che regola tali scambi. Il concetto di hau, o “spirito delle
cose”, gli ha consentito di spiegare tale fenomeno. Presso le popolazioni studiate, si pensava che gli
oggetti dati in dono possedessero una parte dell’anima del donatore (lo hau appunto) e che, di
conseguenza, fosse necessario contraccambiarli per fare ritornare tale anima al suo proprietario.
Così come, d’altronde, è sempre necessario accettarli quando li si riceve. Lo scambio comprende
pertanto tre obblighi fondamentali: donare, ricevere e ricambiare. Ostacolare tale scambio di doni
veniva considerato un rifiuto di instaurare uno scambio sociale, un gesto equivalente ad una
dichiarazione di guerra.
In sintesi, l’aspetto fondamentale dell’analisi di Mauss è che nella società l’oggetto si carica di
valenze simboliche divenendo immagine di una relazione sociale: lo hau è il simbolo della vita
associata, delle relazioni tra gli individui. Attraverso lo scambio di doni, perciò, si creano le
relazioni tra gli individui, si crea la società.
Il dono, certo, si differenzia in parte dai beni di consumo, perché viene offerto e restituito
gratuitamente, ma il ruolo simbolico che svolge nel sociale è lo stesso ricoperto anche dai beni.
Gli antropologi venuti in seguito hanno confermato la bontà delle idee espresse da Mauss.
Fa eccezione Georges Bataille, che ha rifiutato quella componente di obbligatorietà sociale che ha
invece un ruolo fondamentale nell’analisi di Mauss. Bataille ha enfatizzato la natura eccessiva e
gratuita del dono, considerandola legata alla intrinseca necessità di distruggere e sperperare della
produzione capitalistica. L’obiettivo di Bataille, dunque, era soprattutto di criticare il capitalismo e
ha trascurato perciò quel ruolo simbolico che veniva svolto dai doni nelle società primitive e che era
importante per Mauss.
Claude Lévi-Strauss
Claude Lévi-Strauss ha ripreso il lavoro di Marcel Mauss, ma ha ritenuto che il sistema dei doni
potesse essere considerato come parte di un sistema più vasto: il “sistema delle reciprocità”.
A suo avviso, infatti, Mauss ha sbagliato ad isolare il dono, il quale è in realtà integrato nella
società. Ha sbagliato, cioè, a separare i fenomeni sociali, anziché porre attenzione alle loro
relazioni.
Per Lévi-Strauss, la realtà dello scambio degli oggetti va ricercata in quelle “strutture inconsce” che
sono la componente profonda della cultura sociale e indipendenti dalle soggettività individuali.
Così, per Lévi-Strauss, attraverso gli scambi si crea il mondo della reciprocità, in cui gli oggetti
comunicano valori simbolici, in quanto valgono una relazione sociale, simboleggiano sentimenti,
sono un tramite tra persone e gruppi. Inoltre, gli oggetti svolgono nella società anche altre due
funzioni simboliche. La prima è quella per cui possono assumere il valore di strumenti logici in
grado di attribuire un ordine all’esperienza del mondo, per renderla significativa e quindi
comunicabile. La seconda è invece quella di tipo comunicativo, per cui possono costituire, mediante
scambi con altri oggetti, una sorta di linguaggio, un sistema simbolico di comunicazione per la
cultura sociale. Infatti, ogni ordine sociale ha bisogno di codici culturali attraverso cui trasmettere i
valori, i significati fondativi della vita sociale.
Gli oggetti costituirebbero uno di questi codici, che fa socializzare le categorie principali di una
cultura. Gli oggetti, infatti, sono in grado di rendere evidenti le differenze gerarchiche e tra i sessi,
l’organizzazione sociale del tempo e dello spazio. La funzione comunicativa degli oggetti va
dunque oltre il mero aspetto materiale della cultura, perché ha una portata sociologica più vasta.
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Così come avviene anche per le donne e le parole, gli altri due canali che con gli oggetti consentono
la comunicazione sociale, gli oggetti, trasmettono l’informazione necessaria affinché i
comportamenti individuali possano ordinarsi in forme collettive.
Mary Douglas
Ne “Il mondo delle cose”, scritto con l’economista Baron Isherwood (1984), Mary Douglas ha
tentato di coniugare il suo approccio con la fenomenologia sociale di Alfred Schutz. Per il quale le
conoscenze e le rappresentazioni della realtà vengono collettivamente costruite dagli individui
durante le loro interazioni.
Per Mary Douglas, Lévi-Strauss ha sottovalutato la forza emotiva dell’azione simbolica, ovvero il
contenuto psichico dei simboli.
Risiede invece nel riconoscimento dell’importanza sociale dei simboli il principio di base che ha
guidato il suo lavoro di antropologa.
Mary Douglas, nella sua analisi sugli oggetti delle società contemporanee, è arrivata però a risultati
vicini a quelli di Lévi-Strauss sulle società primitive. Condivide l’idea che ogni società deve
disporre di significati comuni che rendono possibile la comunicazione e la comprensione tra gli
individui. I rituali del consumo sono dunque fondamentali, perché consentono, come i rituali delle
civiltà primitive, di dare ordine e senso agli eventi. Essi consentono di stabilire visibilmente i
significati e le categorie culturali utilizzati nella società. Categorie che rendono possibile agli
individui comunicare senza dover nuovamente stabilire, ogni volta i significati degli oggetti e degli
eventi. Nella società, secondo Douglas, esiste infatti un continuo processo di scambio tra significati
impliciti ed espliciti. Dunque, esistono delle conoscenze sociali che vengono rimosse dal mondo
cosciente per evitare delle incoerenze nel sistema di pensiero e dei possibili conflitti con altre
conoscenze. E’ infatti attraverso questi canali impliciti di comunicazione che la società prende vita
e che gli individui possono comunicare tra loro senza dover ridefinire costantemente i concetti che
utilizzano.
Chi interagisce, cioè, utilizza un codice che è immediatamente comprensibile dagli altri individui.
Questa visione non comporta però che qualsiasi azione o pensiero umano sia necessariamente
determinata dal sistema sociale. L’individuo è un soggetto attivo che contribuisce costantemente
alla rielaborazione del sistema culturale in cui si trova. Ma è anche influenzato da tale sistema
culturale. Anche il consumo viene dunque ad essere un processo attivo, in cui tutte le categorie
sociali sono continuamente ridefinite. Ma sebbene tutti i beni siano portatori di significato, nessuno
ne possiede uno autonomo. Il significato sta nelle relazioni fra tutti i beni. Da ciò deriva un altro
punto di disaccordo con Lévi-Strauss. Per Douglas i significati trasmessi dai beni sono parte
integrante dei significati della parentela e della mitologia. E soltanto se li si analizza insieme
possono rivelare i loro significati all’antropologia culturale.
Lévi-Strauss, invece, non ha saputo cogliere una sintesi tra i diversi sistemi di comunicazione su cui
si basa la vita sociale (i beni, le donne e le parole).Perché non ha saputo inglobare tali sistemi
all’interno di una teoria del consumo più complessiva. Douglas ha sostenuto inoltre che
l’informazione deve essere considerata il bene principale delle società contemporanee.
Ci sono tre principali modalità di collegamento del consumatore alle informazioni circolanti nella
società:
 sociale: l’accesso dell’individuo alle informazioni avviene attraverso relazioni
intersoggettive;
 informativa: riguarda le conoscenze acquisite dall’individuo, che comprende la cultura, ma
anche i beni e i servizi cui ha accesso;
 tecnologica: le competenze che consentono una gestione più efficace delle informazioni, e a
volte anche un accesso esclusivo.
L’accesso all’uso di determinati beni è un fattore indispensabile all’individuo per sentirsi in contatto
con gli altri, per evitare la marginalizzazione e dunque possedere le informazioni fondamentali. Per
questo le motivazioni che inducono gli individui a volere dei beni possono essere sintetizzate in un
problema di controllo sul processo di produzione del significato, cioè un problema di informazione.
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Il consumo è considerato cioè da Douglas una arena in cui gli individui, con lotte reciproche per il
controllo dell’informazione, elaborano delle strategie di inclusione ed esclusione. La ricchezza,
perciò, non deriva dai beni posseduti, ma dall’essere in processi di scambio in cui i contatti con gli
altri sono facilitati dai beni. Al di là della loro funzionalità materiale, i beni fungono da strumenti
per entrare in un gruppo. E’ per questo motivo che per Douglas il consumo possiede un carattere
decisamente razionale. Gli individui tendono a scegliere beni che sono in grado di “liberarli” da
lavori di routine, inerenti alla gestione familiare, al riordino della casa, ecc. Consentono perciò di
avere più tempo da dedicare alla partecipazione ai rituali di consumo collettivi. E’ possibile
individuare l’esistenza nella società di tre sfere di consumo basate su:
 moduli di consumo su piccola scala, dove i vincoli di periodicità legati ai processi domestici
sono elevati e vi è un’alta frequenza di lavori domestici di routine; quindi la frequenza ai
rituali di consumo è scarsa e tale sfera riserva un’elevata quota di spesa ai beni alimentari;
 moduli di consumo a media scala, con vincoli di periodicità minori, in quanto aumentano i
beni tecnologici, che liberano dall’attività di routine e garantiscono una maggiore
possibilità di partecipare ai rituali di consumo; vi permane una scarsa frequenza ai rituali,
poiché vi è esclusione dalla circolazione di servizi di identificazione nelle cerchie di
consumo su scala più ampia;
 moduli di consumo a larga scala, dove vi è ampia libertà dai vincoli di periodicità, e quindi
un’elevata frequenza ai rituali di consumo; si caratterizza per una elevata quota di spesa
riservata ai beni tecnologici e per una quota di spesa più bassa per i generi alimentari.
Per Douglas, le classi superiori usano il modulo di consumo su larga scala perché hanno un maggior
reddito e quindi, attraverso l’elevata quota per i beni tecnologici, maggiori contatti personali.
Questo permette alle classi superiori di mantenere il controllo sul sistema informativo e di
escluderne gli altri gruppi. Le sfere non costituiscono dei gruppi chiusi, si può passare tra una sfera
e l’altra, perché gli individui cercano di appartenere alle classi superiori, di avere aspettative di
guadagni superiori.
Douglas ha anche attribuito al consumo la capacità di collocare l’individuo sul piano del reddito e di
distribuire il potere economico tra i gruppi sociali.
Addirittura, ha sostenuto che lo scopo del possedere informazioni debba essere quello di ottenere
l’onore e l’elevamento di rango Ma ciò è in contrasto con la concezione del consumo come sistema
di comunicazione sviluppata dalla stessa Douglas. Tale concezione implica una ricchezza espressiva
del consumo superiore alla semplice collocazione del soggetto nella scala del reddito, come è
implicato dal concetto di onore.
Appadurai e Kopytoff
Per Arjun Appadurai e Igor Kopytoff (1986) gli oggetti non solo esprimono dei significati
simbolici, ma possono anche avere una “vita sociale”.
Appadurai e Kopytoff ritengono che sia possibile comprendere i significati degli oggetti
ricostruendo i contesti sociali della loro “biografia culturale” oppure le diverse epoche storiche che
hanno caratterizzato la loro “storia sociale”.
Per Appadurai biografia culturale e storia sociale degli oggetti tendono a confondersi, ma ciò non
intacca la validità del metodo proposto.
Se si attribuisce una biografia culturale agli oggetti, si modifica la loro concezione, in quanto sono
considerati alla stregua di persone, in grado di influenzare le opinioni e i comportamenti.
Pertanto, a differenza di quanto detto da Marx, per Appadurai e Kopytoff gli oggetti possono
entrare o uscire dalla condizione di merci in base all’uso che ne viene fatto in società.
E ciò vale non soltanto per le società capitalistiche, ma per tutte le società, che generalmente si
trovano tra la completa mercificazione e la completa de-mercificazione di tutti gli oggetti
Grant McCracken
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Per McCracken, il significato di un bene è mobile, in quanto si sposta socialmente, aiutato dagli
sforzi individuali e collettivi di designer, produttori, pubblicitari e consumatori.
Più precisamente, la traiettoria seguita va dal mondo culturalmente costituito, attraverso i beni di
consumo, per arrivare ai consumatori.
Ci sono, cioè, tre possibili collocazioni del significato di un bene: il mondo culturalmente costituito,
il bene di consumo e il singolo consumatore.
Ma ci sono anche due momenti di trasferimento: dal mondo al bene e dal bene all’individuo.
Nel primo caso (dal mondo al bene), il significato arriva al bene grazie a due strumenti: la
pubblicità e la moda. Queste, infatti, investono di significati i beni collocandoli in contesti dotati di
significati culturali. Individuano, inoltre, le corrispondenze latenti esistenti tra i beni e i nuovi
fenomeni che compaiono nella cultura sociale. Dunque, hanno un ruolo importante nel provocare o
stimolare il sistema culturale perché sia sempre in movimento e alla ricerca di un proprio equilibrio.
Nel secondo caso (dal bene all’individuo), il trasferimento del significato avviene con i rituali:

di possesso: sono i più importanti, intrapresi dal proprietario di un bene per appropriarsi dei
significati di tale bene;
 di scambio: è lo scambio di oggetti con un certo significato; l’obiettivo è che il ricevente
condivida con chi dona il significato dell’oggetto;
 di mantenimento: possono mantenere e rafforzare i significati che il consumatore trae dal
possesso e dall’uso dei beni;
 di svestizione: svuotano i beni dal loro significato originario: li praticano quelli che
vendono o regalano un oggetto oppure ne entrano in possesso per la prima volta e cercano
di cancellare i segni del precedente proprietario.
Molto spesso i beni sono vissuti dagli individui come un ponte che conduce ad ideali trasposti.
Possono rappresentare qualcosa che il consumatore desidera ma non è in grado di ottenere oppure
qualcosa che possiede, ma è solo una parte del “significato trasposto”. Vale a dire un significato
sottratto dalla vita di tutti i giorni e trasportato in un altro universo culturale, dove, allo stesso
tempo, può essere visto come lontano, ma anche come facilmente raggiungibile. Tale universo può
appartenere al passato o al futuro. Ciò che conta è che il desiderio ad esso legato è per McCracken
un motore per il consumo. Il desiderio cioè di possedere qualcosa che è lontano ma raggiungibile
alimenta un bisogno di consumare che sembra senza limiti.
Può presentarsi la remota eventualità che il significato trasposto venga raggiunto e allora è
necessario che il consumatore scelga un altro bene che svolga la stessa funzione. Per McCracken, la
cultura crea legami tra beni che possono anche essere molto diversi fra loro, ma coerenti all’interno
delle “unità Diderot”.
Diderot raccontò di aver ricevuto in dono una lussuosa vestaglia di seta e come quest’oggetto fosse
incoerente con gli oggetti del suo studio. Perciò decise di sostituire i vecchi mobili con mobili
coerenti con la nuova vestaglia. Per McCracken, un bene che è preso isolatamente è privo di
significato. Come per Douglas, ogni bene deriva la sua funzione simbolica dal sistema in cui è
inserito.
L’unità Diderot è in grado di determinare un “effetto Diderot”, che può operare secondo tre
modalità:
 nella maggior parte dei casi, è stabilizzante in sistemi codificati che non abbiano raggiunto
un punto di rottura; agisce come una barriera contro l’intrusione di beni che possono
destabilizzare i sistemi codificati;
 quando elementi destabilizzanti sono introdotti in sistemi in equilibrio, come la vestaglia di
Diderot, viene minata la coerenza che cementa la varietà dei beni e c’è una ristrutturazione
dell’unità Diderot, con conseguenze innovative;
 l’effetto Diderot può consistere ancora in un cambiamento dell’unità Diderot, ma praticata
volontariamente, per rivoluzionare la propria visione e posizione nel mondo
Come si è visto, nel modello di McCracken i significati si muovono dall’alto verso il basso della
cultura sociale, cioè dal mondo culturalmente costituito ai consumatori. Ciò non è corretto, perché
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la cultura non è un prodotto dato, ma il risultato di una produzione collettiva e i beni sono sia
creazioni che creatori del mondo culturalmente e socialmente costituito.
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