La storia basso Abruzzo, e dell'alta Lucania (Basilicata). Parlavano la lingua osca, una lingua indoeuropea del gruppo italico. I Sanniti si suddividevano in quattro dei Sanniti I Sanniti furono un antico popolo italico stanziato in un territorio, detto Sannio, corrispondente agli attuali territori della Campania, dell'alta Puglia, del Molise, del gruppi: Caudini, Irpini, Pentri e Carricini. Le loro attività economiche ruotavano principalmente intorno alla caccia, alla pastorizia e al commercio, ma sappiamo che anche la guerra era una attività molto importante, tanto che i sanniti vennero spesso scelti come mercenari poiché ritenuti combattenti di grande valore. L'organizzazione e l'addestramento militare era particolarmente curato: di fatto alcune innovazioni come lo scudo quadrato e la disposizione a scacchiera delle truppe sul campo di battaglia, furono introdotte originariamente dai sanniti e solo successivamente adottate anche dagli eserciti avversari. Recenti studi mostrano in realtà anche una società civile molto più avanzata di quanto si pensasse: lo stato era organizzato in una forma repubblicano-confederata tra i vari gruppi, ed esistevano figure come quella di questore e magistrato a cui probabilmente gli stessi romani si ispirarono. Il territorio occupato dalla loro confederazione si espanse progressivamente, ma giunti a toccare il basso Lazio e la zona di Napoli dovettero confrontarsi con i Romani, con i quali stipularono in primo luogo un patto di amicizia nel 354 a.C., ma 11 anni dopo (343 A.C.) la città etrusca di Capua, sentendosi minacciata dai Sanniti chiese aiuto al Senato di Roma, etrusca per metà. Il Senato accettò la richiesta e i Sanniti vennero a Sconfissero i romani soltanto nel secondo dei tre conflitti, costringendo l'esercito a sfilare disarmato sotto ad un giogo formato da tre lance incrociate dette "forche caudine". (Battaglia delle Forche Caudine). Alla fine, nel 290 a.C. furono sconfitti e integrati forzatamente nel sistema capitolino anche mediante deportazioni di massa e distruzioni di interi villaggi. Prova di questa integrazione è l'inserimento di sanniti nella classe dirigente romana: uno dei più famosi fu, probabilmente, Ponzio Pilato, Prefetto della Giudea ai tempi di Cristo. Tuttavia ciò avvenne molto lentamente, poiché essi conservarono sempre una fiera ostilità nei confronti del dominio romano e non persero occasione di dimostrare il loro spirito di rivolta nei confronti degli oppressori: appoggiarono le guerre di Pirro, l'avanzata di Annibale, fino ricomparire sulla scena politica con Spartaco nel 71 a.C. e con Catilina nel 63 a.C. Soltanto a distanza di qualche secolo si ottenne una relativa pacificazione poiché i romani, per garantire la stabilità dei territori assoggettati nonché una valvola di sfogo contro ulteriori ribellioni, concessero lentamente la cittadinanza a tutte le popolazioni italiche. Praticavano lotte rituali di tipo gladiatorio e secondo alcuni fonti che questa usanza fu esportata a Roma proprio dai Sanniti e non dagli Etruschi, come altri ritengono; un particolare tipo di gladiatore era detto appunto Sannita. D'altronde, molti fra i più rinomati gladiatori provenivano proprio dal Sannio e dalla Marsica. I Sanniti furono, insieme ad Annibale, le uniche figure storiche che misero realmente in dubbio il cammino romano verso la costruzione dell'impero. Le guerre sannitiche Il territorio occupato dalla confederazione sannita si espanse progressivamente, ma giunti a toccare il Basso Lazio e la zona di Napoli i Sanniti dovettero confrontarsi con i Romani, con i quali stipularono in primo luogo un patto di amicizia nel 354 a.C.[2]. Undici anni dopo, nel 343 a.C., la città etrusca di Capua fu occupata dai Sanniti e chiese aiuto al Senato romano, che accolse la supplica. La prima guerra sannitica fu breve e i Romani prevalsero, nonostante alcune difficoltà iniziali, grazie alla Battaglia di Suessula (341 a.C.) Le tensioni sociali interne e la preoccupazione per la possibile infedeltà di altri popoli italici appena sottomessi indussero però il Senato a stipulare un trattato di pace assai mite con i Sanniti[3]. La Battaglia delle Forche Caudine (321 a.C.), dove i Sanniti si imposero duramente sui Romani, in un dipinto romano Casus belli della seconda guerra sannitica fu la fondazione della colonia romana di Fregellae, in territorio sannitico; il conflitto divampò nel 326 a.C. e i Sanniti poterono contare sull'appoggio di altri popoli recentemente sottomessi ai Romani e che mal ne tolleravano il giogo. Inizialmente la guerra fu favorevole ai Sanniti: guidati da Gaio Ponzio, umiliarono i Romani nelle Forche Caudine (321 a.C.), nei pressi di Caudium, che impose al Senato una tregua. Le ostilità ripresero nel 316 a.C. e i Sanniti ebbero di nuovo inizialmente la meglio, espandendosi verso il Lazio grazie all'appoggio della Lega Ernica; Roma tuttavia riuscì ad imporsi nei pressi di Maleventum (odierna Benevento), grazie alle truppe guidate da le legioni di Papirio Cursore e di Bibulco, e quindi ad avere la meglio sulla Lega ed infine, nella battaglia di Boviano (305 a.C.), sugli stessi Sanniti, che l'anno seguente accettarono un trattato di pace i cui termini ricalcavano formalmente quello precedente, ma che di fatto aprì la strada a una sempre maggiore presenza romana nel Sannio[4]. La definitiva sottomissione dei Sanniti a Roma fu sancita dalla terza guerra sannitica (298-290 a.C.). Preoccupati dall'espansionismo romano, i Sanniti riunirono in una nuova coalizione Etruschi e Umbri, ma i Romani ne vennero a capo con la battaglia di Sentino (295 a.C.); rimasti isolati, subirono la sconfitta definitiva nella battaglia di Aquilonia del 293 a.C. I Sanniti si videro confinati in un territorio ristretto e non furono più in grado di mettere seriamente in discussione l'egemonia romana, anche se conservarono un certo grado di autonomia e di identità. Le ultime rivolte e la romanizzazione[modifica | modifica wikitesto] Arte e architettura Le prime forme d’arte rintracciabili nel Sannio sono quelle di una cultura dell’età del ferro, nel VII secolo ancora agli inizi in quella zona d’Italia. I prodotti locali, ceramiche a impasto, ornamenti e armi di bronzo e di ferro, continuarono a venir fabbricati senza grossi mutamenti nei due secoli successivi, durante i quali i Sanniti andarono consolidando i loro stati tribali. Caratteristica di questo periodo è il fatto che non venne realmente assimilato alcun influsso significativo proveniente dall’esterno. Dal 400 a.C. in poi l’assimilazione di influssi greci diventa sempre più evidente. In tutta l’Italia sabella si ritrova lo stesso fenomeno predominante: i modelli greci perdono le loro qualità essenziali per acquistare una individualità rustica, aspra ed espressiva tipicamente italica, caratteristica evidente negli oggetti di terracotta, pietra e bronzo. Pochi sono gli esemplari di arte figurativa del Sannio attribuibili al periodo precedente la fine del V secolo; a quel periodo viene fatta risalire la testa di terracotta proveniente da Triflisco conservata nel museo di Santa Maria di Capua Vetere, testa inghirlandata di un uomo col barba, a grandezza naturale. La terracotta continuò a venire usata molto a lungo nei secoli seguenti. Pochissime sono le sculture in pietra provenienti dal Sannio che ci siano pervenute. Gli oggetti di bronzo sono più numerosi, soprattutto statuette di guerrieri, rappresentanti di solito il dio Mamerte o Ercole. Per ciò che riguarda la pittura, il Sannio non offre nulla, tuttavia le pitture tombali dei vicini popoli sabelli sono le più notevoli manifestazioni artistiche tra i popoli di lingua osca: le loro scene gettano luce sulla vita e sul costume sannitico. I temi sono in larga misura greci, la tecnica etrusca. Sembra che i Sanniti ignorassero l’arte di dipingere i vasi. Nonostante le ripetute distruzioni perpetrate dai Romani e da altri dopo di loro, resti di architettura sannita esistono ancora. Le fortificazioni poligonali erette in cima ai monti sono i più antichi monumenti degni di nota del Sannio, costruite nel cosiddetto stile “ciclopico”. Massi grezzi o approssimativamente lavorati, in roccia calcarea, di moderate dimensioni, venivano sovrapposti senza cemento, tenuti insieme dal loro stesso peso. Nonostante i loro limiti, queste mura servirono forse da prototipi per i poligonali di tipo più perfezionato che segnano i progressi dell’espansione romana. Poco possiamo dire degli edifici pubblici sanniti, non essendo sopravvissuta nessuna costruzione che si possa identificare con certezza come la sede di un consiglio o di un altro organismo governativo sannita. È presumibile che i loro edifici fossero costruiti con i semplici materiali locali, e non con costosi materiali d’importazione, e che non avessero caratteristiche monumentali. Probabilmente gli edifici pubblici più importanti erano i templi e i teatri, dei quali alcuni esemplari si sono salvati. Le case dei Sanniti rispecchiavano inevitabilmente la loro povertà: la parola osca che significava casa era triibon (cfr. il latino trabem, “trave”) e ciò fa pensare che le case dei Sanniti fossero di legno, come è normale in una società contadina. La maggior parte della popolazione doveva vivere in abitazioni semplici, primitive, presumibilmente composte da una sola stanza. Molte di esse erano semplicemente dei ricoveri provvisori, adatti alle esigenze dei pastori che si spostavano coi loro greggi La lingua I Sanniti parlavano l'osco, una lingua indoeuropea del gruppo osco-umbro diffusa tra numerosi popoli italici ad essi affini, come i loro vicini meridionali Osci, assorbiti dai Sanniti nel V secolo a.C. Tra graffiti rinvenuti negli scavi archeologici di Pompei sono state rinvenute iscrizioni in osco, ancora vivo quindi nel I secolo a.C.[7]. La lingua osca è una delle più attestate tra le osco-umbre, testimoniata da oltre 250 iscrizioni in caratteri greci, etruschi adattati e latini. Considerata il più conservativo tra le lingue osco-umbre, l'osco era parlato anche, in varietà dialettali più o meno differenziate, dai popoli affini Marrucini, Peligni, Osci e Sabini[7]. Un’ottima testimonianza della vitalità della lingua osca è costituita dalle fabulae Atellane, che acquistarono e conservarono una grande popolarità a Roma. Gli interpreti indossavano delle maschere, i personaggi erano rozzi e il dialogo punteggiato da indovinelli salaci. A Roma venivano messe in scena da giovani dilettanti, non da attori professionisti, e per molti anni furono costituite semplicemente da improvvisazioni estemporanee. I Sanniti cominciarono a servirsi della scrittura non per le atellane bensì per scopi ufficiali, come gli scambi e i trattati con i Romani. Nel IV secolo a.C. la percentuale di Sanniti in grado di leggere e scrivere doveva essere molto bassa, limitata probabilmente a pochi sacerdoti e scrivani. Uno sviluppo maggiore ebbe luogo nel III secolo a.C. I Romani iniziarono a scolpire iscrizioni sulle pietre tombali e a mostrare maggiore interesse per la scrittura, alla quale cominciarono a ricorrere maggiormente anche i Sanniti, specie per fini religiosi, come dimostra la tavoletta di Agnone, un testo sacro. La capacità di leggere e scrivere si andò lentamente diffondendo nel corso del II e I secolo a.C., contemporaneamente al consolidamento della supremazia romana sull’Italia e al nascere a Roma dell’interesse per la produzione letteraria. Verso il I secolo a.C. la capacità di leggere e scrivere doveva essere comunemente diffusa non soltanto a Roma ma anche presso i popoli sabelli. Ma in quel momento la supremazia del latino, adottato dopo la guerra sociale come lingua ufficiale dell’Italia peninsulare, si era affermata in modo irreversibile. La religione La religione svolgeva un ruolo importante nella vita dei Sanniti. Per essi l’esistenza e l’attività nel loro complesso erano connesse con l’attività divina e ne costituivano il risultato. Nella religione dei Sanniti si intrecciavano vari filoni. Gli elementi greci ed etruschi si combinano con animismo, e dunque anche feticismo e magia, antropomorfismo e personificazione di astrazioni, nonché teriomorfismo (l’animale-guida del Ver Sacrum). Caratteristica della religione sannita è la polilatria: i Sanniti, al pari di altri popoli italici, usavano lo stesso luogo per il culto contemporaneamente di due o più dei. Tali dei erano inoltre fortemente specializzati. I Sanniti, popolo di agricoltori, concepivano il proprio mondo come popolato di poteri e spiriti misteriosi che ispiravano timore reverenziale e con cui era necessario instaurare buone relazioni. Questi numina non erano necessariamente privi di genere e di rapporti di parentela, benché la concezione di alcuni di essi fosse notevolmente vaga. Probabilmente non venivano immaginati in forma umana, e il loro nome, numero e sesso sono talora incerti. Di questi spiriti, sia benevoli che malevoli, si doveva conquistare il favore ed evitare l’inimicizia. Nella casa era necessario mantenere la benevolenza delle forze immanenti a zone cruciali come la porta, il focolare e la dispensa; nei campi, quella degli spiriti dei confini, delle sommità, delle caverne, dei boschi, dei ruscelli, delle sorgenti e dei luoghi di sepoltura. Documento preziosissimo per ciò che riguarda gli elementi della religione sannita è costituito dalla Tabula Agnonensis, una tavoletta di bronzo, risalente al 250 a.C. circa, perfettamente conservata, che misura 27x15 centimetri e che si trova al British Museum. Entrambi i lati recano iscrizioni in osco. Sono qui menzionate 17 divinità, se si contano i due aspetti di Giove, tutte connesse con l’agricoltura, i cui altari si trovavano nell’hortus, uno di quei boschetti sacri molto comuni nell’Italia arcaica. Di seguito vengono elencate le divinità nominate sulla tavoletta Kerres - Cerere (la dea greca Demetra), la divinità cui era dedicata l'area sacra; Vezkeí – Non sembra possibile ricavare un nominativo certo di questo dativo osco; Evklúí Patereí – Mercurio, nel suo aspetto di psychopompos; Futreí Kerríiaí - Persefone figlia di Cerere; Anter Stataí - Stata Mater, la levatrice che “sta in mezzo” durante il parto; Ammaí Kerríiaí - Maia, dea italica della primavera; Diumpaís Kerríiaís - Le Ninfee delle sorgenti; Liganakdíkei Entraí - Divinità legata alla vegetazione ed ai frutti; Anafríss Kerríiuís - Le Ninfee delle piogge; Maatúís Kerríiúís - Dea italica le cui funzioni erano connesse con il parto e l’allattamento, nonché dispensatrice di rugiada per i raccolti; Diúveí Verehasiúí - Giove Virgator, che presiedeva all’alternarsi delle stagioni; Diúveí Regatureí - Giove Pluvio; Hereklúí Kerríiuí - Ercole; Patanaí Piístíaí - Dea della vinificazione, e che faceva aprire le spighe per la trebbiatura; Deívaí Genetaí - Mana Geneta; Pernaí Kerríiaí - Pales, la dea dei pastori; forse era la dea del parto felice. Fluusaí – Flora, protettrice dei germogli. Un dio a cui i Sanniti erano particolarmente devoti era Marte, Mamerte col nome sannita. Resta in dubbio se questi fosse in primo luogo un dio della guerra o dell’agricoltura. Era connesso con la primavera e la fecondità e proteggeva i campi, il raccolto e il bestiame, tuttavia era anche il dio della giovinezza e in quanto tale era dotato di forza e abilità nel combattere: fu forse grazie ai Sanniti che in Italia la sua immagine guerriera finì per predominare. Altre divinità care ai Sanniti erano Diana, le cui caratteristiche marziali ben si identificavano le virtù guerriere sannite; la dea Terra; Angitia, dea della guarigione e della sicurezza. Dalla tavoletta di Agnone appare chiaro che la religione sannita comprendeva, oltre a divinità originarie italiche, anche dei greci: Ercole, Castore e Polluce, le Ninfe, Apollo, Ermes e Dioniso. Verso il tardo II secolo a.C. l’applicazione della mitologia greca agli dei italici causò una metamorfosi del concetto sannita di divinità. Inoltre, a quel punto anche gli influssi romani avevano cominciato a farsi sentire. Quando la civiltà osca ricevette il colpo di grazia a Porta Collina nell’82 a.C. la religione olimpica finì a quel punto per predominare tra i sanniti. I meddices, in particolare il meddix tuticus avevano un ruolo nella vita religiosa dello stato: essi erano ufficialmente a talune cerimonie per garantire che tutti i particolari del rituale venissero osservati scrupolosamente. Dovevano anche esserci dei sacerdoti ufficiali e altri funzionari incaricati di sorvegliare e regolamentare lo svolgimento delle celebrazioni di stato, di fissare quando dovesse cadere il periodo intercalare, di definire i confini dei santuari, di prendersi cura delle più antiche testimonianze e, verosimilmente, di adattare la vita religiosa dei loro stati ai mutamenti provocati dalla dominazione romana. FATTO DA: Solimine Angelica, De Vito Rosa, Carbonara Mariantonietta, Milanese Sara e Capobianco Roberta.