Radiazione del corpo nero
λpeak=5,27 x 10-7nm
λpeakT=b
λpeak=5,8 x 10-7nm
λpeak=6,4 x 10-7nm
λpeak=7,2 x 10-7nm
λpeak=8,3 x 10-7nm
Contrasto con la teoria di Maxwell
Catastrofe
dell’ultravioletto
Oscillatori armonici
Scoperta di di Planck  E/f =nh
L’energia contenuta in un segnale monocromatico,
rapportata alla sua frequenza specifica permetteva di
ottenere un valore sempre multiplo intero di h=6,6 x10-34 Jxs
E=hf  pacchetto minimo di energia
quantum
Soluzione del problema del corpo nero
Dato che ogni colore può essere emesso solo con un numero
intero di pacchetti specifici (nhf) l’energia totale contenuta
in un corpo nero, assegnata casualmente a tutti i colori,
vedrà una distribuzione di tipo statistico, gaussiano.
Einstein e l’effetto fotoelettrico
Studiando l’effetto fotoelettrico, Einstein dimostra che un onda luminosa è costituita da «pacchetti di energia»
pari a E=hf cui è associata una quantità di moto q=h/λ (h=costante di Planck) .
A tali «pacchetti» fu assegnato il nome di fotoni.
La scoperta di Einstein mise in «luce» ha natura dualistica dell’elettromagnetismo:
1.La luce ha proprietà ondulatorie (descritte dalla teoria di Maxwell)
2.La luce ha proprietà particellari (descritte dalla teoria di Planck-Einstein)
Analisi spettrale
Emissione
continuo
Corpo nero
Gas rarefatto
incandescente
Gas rarefatto
freddo
Corpo nero
Emissione a
righe
Assorbimento
Emissione / Assorbimento da parte di un gas rarefatto
Accumulo delle righe
Spettro dell’idrogeno
Serie di
Paschen
n1=3
Serie di
Balmer
n1=2
Serie di
Lyman
n1=1
Le righe non sono disposte a caso!
Equazione di Rydberg
Permette di ottenere tutte le lunghezze
d’onda delle righe dell’idrogeno
Le righe non sono disposte a caso, ma
ubbidiscono ad una legge matematica!
 R =costante di Rydberg)
n1= numero d’ordine di zona spettrale
 n2= numero d’ordine di riga

Partendo dalle equazioni di Maxwell non si riusciva a spiegare l’equazione di di Rydberg!
Anche in questo caso la teoria classica dell’elettromagnetismo non funzionava!
Occorreva ancora una volta una intuizione come quella di Planck.
Le ben definite righe spettrali suggerirono a Bohr l’idea della «quantizzazione»… ma di cosa?
Bohr, come Planck, pazientemente lavorò con formule e calcoli fino a giungere ad una conclusione:
Ponendo il momento angolare dell’elettrone che ruota attorno al nucleo 
Riprendendo le formule di Rutherford per l’energia
dell’elettrone, combinandole l’equazione di Planck e con la
formula imposta mvr= nh/2π , riuscì a «giustificare»
l’equazione di Rydberg.
Questo significò ammettere che le orbite dell’elettrone
sono «quantizzate».
Sono permesse solo quelle che hanno un momento
angolare multiplo intero n del valore h/2π
Dato che ad ogni orbita è associato un valore di energia,
anche le energie saranno quantizzate
mvr= nh/2π
n=numero intero
La teoria di Bohr si può riassumere nei seguenti postulati:
1. L’elettrone in un atomo si muove secondo un’orbita circolare intorno al nucleo ed il suo moto è regolato dalla
forza elettrica di Coulomb tra l’elettrone carico negativamente e il nucleo carico positivamente e dalla forza
centrifuga.
2. Il moto dell’elettrone è descritto dalle leggi di Newton, ma non tutte le orbite sono permesse: solo quelle di
raggio r tale che il momento angolare mvr dell’elettrone sia multiplo intero di h/2π essendo h la costante di
Planck ovvero: mvr = nh/2π
3. Se l’elettrone permane in un’orbita, non emette una radiazione elettromagnetica e pertanto la sua energia è
costante: l’orbita viene detta orbita stazionaria.
4. Una radiazione elettromagnetica viene assorbita o emessa solo quando un elettrone salta da un’orbita all’altra:
L’energia assorbita o emessa è «quantizzata», vale un quantum ΔE = hν . Il salto di orbita è definito «salto
quantico».
In pratica Bohr giunse alla formula empirica di Rydberg partendo
da leggi di Newton-Maxwell ma imponendo una condizione: i
valori del momento angolare mvr sono multipli interi n di una
quantità minima h/2π.
Questo, ovviamente, comporta l’esistenza di specifiche e
determinate orbite permesse all’elettrone  quantizzazione
delle orbite.
L’elettrone passando da un’orbita all’altra assorbe o emette solo
determinate quantità di energia, multipli interi del quantum di
Planck  ΔE=nhf (differenza di energia tra le due orbite) e quindi
ben precise righe spettrali.
Lo stesso elettrone potrà fare salti differenti (ad es dall’orbita 1
alla 2 o direttamente alla 5, per poi scendere alla 4, risalire alla 6,
ridiscendere alla 1 ecc). Per questo il singolo elettrone
dell’idrogeno assorbe ed emette numerose righe spettrali (ma
sempre le stesse).
Bohr chiama le orbite  Livelli energetici cui assegna un numero
quantico intero n=1,2,3,4,5,6,7
Per chi vuole approfondire, ecco come Bohr dimostra la sua teoria!
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All’elettrone, in quanto oggetto che ruota, è associato un momento angolare L=mvr
Data la stabilità dell’atomo, il momento angolare si conserva nel tempo  mvr=cost. Da cui r=cost/mv
Il raggio atomico dell’idrogeno H, da varie sperimentazioni, è risultato 0,5 angstrom
Conoscendo la massa m dell’elettrone (da Thomson-Millikan) e la sua velocità v (da Rutherford) è possibile ricavare il
valore della costante cost
Tale valore risultò pari alla costante h di Planck divisa per 2π  cost=h/2π. Quindi, per l’H allo stato fondamentale,
posso scrivere mvr0=h/2π
Se eccitato, l’elettrone certamente cambia orbita (si allontana dal nucleo) per acquistare un nuovo momento
angolare mvr1 con un altro valore della costante. Posso ora ipotizzare che il nuovo valore non sia qualsiasi, ma
multiplo intero di quello iniziale  mvr1= nh/2π (dove n= 1,2,3,4… numero intero).
Da questa formula ricavo la velocità v=nh/2πmr1
Da Rutherford sappiamo che in una determinata orbita, per l’equilibrio tra forza centrifuga Fc e forza elettrostatica di
Coulomb Fel,  mv2/r=Kelq2/r2. In questa formula sostituisco la velocità v2 come nel punto 7. ottengo
mn2h2/4π2m2r13=Kelq2/r12
Semplifico e trovo il raggio  r1=n2h2/Kelq24π2m
10. Sappiamo anche da Rutherford che ad una determinata orbita corrisponde una specifica energia totale dell’elettrone
 E= -1/2 x Kelq2/r
11. Tra due orbite esisterà una differenza di energia dE= E2 – E1 = -1/2 x Kelq2/r2 + 1/2 x Kelq2/r1
12. Sostituisco i due raggi con la formula del punto 9.  dE= 2Kel2 q4 m π2/n12h2 (1/n22 – 1/n22)
13. Ma dE è una radiazione elettromagnetica quindi dE=hf dove f=C/ λ. Sostituisco  1/ λ = R(1/n1 – 1/n2)
14. Si arriva, cioè, alla formula empirica delle righe spettrali
Dalle orbite circolari alle orbite ellittiche
Le righe impreviste
H
Il modello atomico di Bohr spiega bene il comportamento spettroscopico dell'idrogeno
e, in parte, quello di alcuni metalli alcalini come il litio ed il sodio, ma si rileva del tutto
inadeguato per l'interpretazione degli spettri di altri elementi.
Lo spettro dell'elio, per esempio, non si accorda con le previsioni del modello di Bohr in
quanto, accanto a righe previste, vi si trovano delle righe non previste (non ottenibili, cioè,
da formule analoghe a quella di Rydberg).
He
?
Righe non previste
Il numero quantico secondario l
Sommerfeld cercò di «aggiustare» il modello di Bohr proponendo l’idea che le orbite
potessero avere forma non solo circolare ma anche ellittica con differente eccentricità.
Così il numero del livello energetico di Bohr fu indicato come numero quantico
principale n (con valore da 1 a 7). Ad ogni forma dell’orbitale, invece, fu assegnato un
valore intero indicante l’eccentricità (0 compreso), gli fu assegnata la lettera l e fu
definita numero quantico secondario (o semplicemente sottolivello energetico).
Orbite possibili nel terzo livello
Dall’analisi spettrale Sommerfeld ricavò i seguenti sottolivelli l, nei rispettivi livelli n:
1)
2)
3)
4)
l=0
l=0, l=1
l=0, l=1, l=2
l=0, l=1, l=2, l=3
Per i livelli superiori non riscontrò orbite con l>3
Come si può notare: più alto è il livello energetico n (più lontano dal nucleo), più sono i sottolivelli possibili (le forme delle
orbite). Questo risulta facilmente comprensibile: l’elettrone ha più spazio a disposizione, si può muovere con maggiore
libertà!
Il 3° numero quantico: l’orientamento magnetico m
Altra «stranezza» degli spettri atomici (già conosciuta nel 1800 come effetto Zeeman) è quella
che, in vicinanza di campi magnetici, molte righe spettrali si moltiplicano.
Per spiegare quest’effetto si propose un terzo numero quantico definito numero quantico
magnetico m. Tale numero indicherebbe l’orientamento possibile nello spazio di una
determinata orbita ellittica (un’orbita circolare non ha orientamento).
A causa dell’orbita ellittica, infatti, l’elettrone genera un leggero campo magnetico con un
orientamento dipendente dall’orientamento nello spazio dell’asse maggiore dell’orbita stessa. In
assenza di campi magnetici esterni questo fenomeno non si nota. Tuttavia, avvicinando per
esempio una calamita, il suo campo magnetico interagisce con quello generato dall’elettrone
provocando una modifica dell’orbita che assumerà momentaneamente un altro valore di energia
(spostamento delle righe spettrali).
La comparsa di più righe spettrali (al posto di una originale) è segno della compresenza di più orbite
aventi la medesima forma ellittica (quindi stessa energia iniziale  stessa riga spettrale) ma
orientamento nello spazio differente: questo farà sì che l’interazione con il campo magnetico
esterno sia differente e porti a modifiche di orbita e di energia parimenti differenti (moltiplicazione
delle righe)
Sommerfeld calcolò che più «schiacciata» è l’ellisse, più orientamenti essa poteva assumere. Per
l’orbita circolare fu trovato numero quantico magnetico m=0 (ed è unico); per l’orbita l=1 tre numeri
quantici m=(-1 , 0, +1); all’orbita l=2 cinque numeri quantici m=(-2 , -1, 0, +1, +2), per l’orbita con l=3,
sette numeri quantici m=(-3 , -2 , -1, 0, +1, +2 , +3).
Effetto Zeeman
Il 4° numero quantico lo spin s
Altri «effetti magnetici» portarono a ipotizzare un ulteriore numero quantico, quello di spin s indicante il verso di rotazione
dell’elettrone attorno al proprio asse (orario o antiorario). A tale numero s furono dati due valori s= +1/2 h ed s=-1/2 h
dove h=costante di Planck
Nel 1925 l’italiano Pauli dimostrò che nella
stessa orbita possono muoversi due elettroni
purchè abbiano gli spin antiparalleli. Un terzo
elettrone ne sarebbe escluso  principio di
esclusione di Pauli.
La spiegazione è da ricercare nelle interazioni
elettromagnetiche degli elettroni…
Essendo di carica uguale due elettroni si respingerebbero per la forza elettrostatica di Coulomb, ma ruotando in senso
inverso (spin antiparalleli) generano intorno campi magnetici aventi orientamento Nord-Sud
che tendono a far
attrarre gli elettroni stessi. Forza elettrica e forza magnetica, così, trovano un equilibrio mantenendo gli elettroni sulla stessa
orbita, ma a debita distanza l’uno dall’altro.
Un terzo elettrone, oltre ad avere carica elettrica uguale agli altri due, si trova ad avere uno spin parallelo ad uno di essi. La
situazione vedrebbe la repulsione da parte di due campi elettrici e di uno magnetico e l’attrazione solo da parte di un campo
magnetico  la sommatoria delle interazioni risulterà una forza repulsiva (esclusione dall’orbita).
Riassumendo
Atomo di Sommerfeld-Bohr
 L’elettrone percorre orbite stazionarie con momento angolare mvr=nh/2π che si possono trovare su uno dei 7 livelli
energetici dell’elettrone numero quantico principale n (valori : 1,2,3,4,5,6,7)
 All’interno di ogni livello l’orbita può essere circolare oppure ellittica con specifica eccentricità  Sottolivello energetico
o numero quantico secondario l (valori da l=0 a l=n-1)
 Per le orbite ellittiche esistono diversi orientamenti nello spazio  numero quantico magnetico m (valori da m= - l a
m= + l, compreso m=0)
 In ogni orbita l’elettrone può avere rotazione attorno al proprio asse in senso orario o antiorario  numero quantico
magnetico di spin s (valori +1/2 h e -1/2 h).
Dalle orbite alle… onde!
De Broglie: un’altra idea rivoluzionaria
Le continue modifiche e integrazioni miglioravano sempre di più il modello atomico di Bohr,
ma non riuscivano a raggiungere la perfezione (corrispondenza perfetta tra equazioni e
righe spettrali dei vari elementi). Si cercavano perciò nuove teorie, nuove spiegazioni, nuovi
modelli per l’atomo quantistico.
Fortunata, a tal proposito, fu l’intuizione di De Broglie il quale propose di assegnare a
particelle piccolissime in movimento, come gli elettroni, analoga doppia natura della luce:
onda e particella.
Supponendo vera questa idea, se ad un’onda, avente una determinata lunghezza d’onda,
è possibile associare una quantità di moto….
…sarà possibile ad una particella, avente una determinata quantità di moto, associare
una lunghezza d’onda.
I passaggi matematici per ricavare il valore di questa lunghezza d’onda sono semplici:
Considerando che Einstein, dato l’effetto fotoelettrico, aveva associato alla luce una quantità di moto mc=h/λ e
considerando v la velocità elettrone (al posto di c) avrò λel= h/mv che rappresenta la lunghezza d’onda associata al
all’elettrone in movimento ondulatorio.
Naturalmente era solo un’idea. Occorrevano prove sperimentali
certe, per ammettere che l’elettrone si comporti davvero come
un’onda.
La strada era una sola: Young nel 1801 aveva dimostrato il
comportamento ondulatorio della luce grazie al fenomeno della
diffrazione della luce e dell’interferenza a bande alternate dei
fasci provenienti da due fenditure.
Occorreva osservare fenomeni analoghi per i raggi catodici
(elettroni).
Eseguiti gli esperimenti, i risultati furono
sorprendenti: i raggi catodici davano diffrazioni e
interferenze paragonabili a quelle della luce! Gli
elettroni si comportano come i fotoni!
Interferenza da due fessure
Diffrazioni da un foro su un
foglietto di alluminio
Raggi X
Raggi catodici
Significato dell’idea di De Broglie
Partiamo dallo studio del comportamento di onde più alla nostra «portata».
Quando diamo uno scossone ad una corda libera, si genera un’onda che «viaggia»
lungo la corda fino all’altro estremo libero per poi «scomparire».
Se lo facciamo su una corda fissata all’estremità, l’onda non scomparirà, ma
rimbalzando, tornerà verso la mano.
Se diamo una serie di scossoni con una determinata frequenza, le onde di «andata»
si incontreranno con quelle di «ritorno». Si avranno punti in cui l’interferenza sarà
costruttiva (in fase) alternati a punti dove sarà distruttiva (opposizione di fase).
NODI
Se la frequenza e l’ampiezza degli «scossoni» si mantengono costanti, data la loro uguaglianza, le onde si incontreranno negli
stessi punti e negli stessi modi: si generano onde stazionarie. Oscillazioni, cioè, che non si propagano sulla corda, ma
mantengono la stessa posizione. In particolare ci saranno punti, detti nodi (oltre agli estremi) assolutamente fermi e ventri
oscillanti.
Se fissiamo e tendiamo una corda tra due estremi fissi (ad es. la corda di una chitarra)
avremo un risultato migliore: «pizzicando» la corda, data la sua elasticità, si genera una
serie di onde che, rimbalzando da un’estremo all’altro, produrranno, per interferenza
reciproca, onde stazionarie.
C’è un altro aspetto importantissimo, legato alla velocità delle onde generate dalla
«pizzicata». Se questa ha un valore basso, l’onda stazionaria avrà una grande lunghezza
d’onda, al massimo, però, λ=Lc con assenza di nodi intermedi.
Se la velocità delle onde della «pizzicata» aumenta, la λ dell’onda stazionaria
diminuisce e, di pari passo, compaiono e aumentano i nodi intermedi che si
dispongono sempre a distanze tra loro uguali
In tal modo un’onda stazionaria può avere lunghezze d’onda sempre e solo
sottomultiple di quella più grande (dipendente, a sua volta, dalla lunghezza della
corda su cui è generata)  λn=Lc/n
La serie di onde stazionarie così ottenute viene definita serie delle
armoniche.
Torniamo al nostro atomo
Se consideriamo l’elettrone «vincolato» su una corda circolare (orbita), la cui lunghezza sarà Lc =2πr, il suo presunto
movimento ondulatorio produrrà onde stazionarie aventi λn= 2πr/n. Come per il discorso delle armoniche, quindi, le
lunghezze d’onda possibili saranno solo e sempre sottomultiple.
Ora, assegnando al moto ondulatorio dell’elettrone λ n = h/mvn , confrontando le due equazioni
𝒉
ottengo h/mv=2πr/n. Da questa ricavo mvr= 𝒏 2π
Ma questa equazione è quella posta come condizione da Bohr per spiegare le righe spettrali dell’idrogeno!
Conclusione All’elettrone sono permessi ben definite (quantizzate) orbite con
𝒉
momenti angolari mvr= 𝒏 2π perché si muove come onda attorno al nucleo e genera
onde stazionarie le quali, per loro natura, possono avere lunghezze d’onda precise: tutte
sottomultiple della lunghezza dell’orbita  λn= 2πr/n
Dalle onde agli… orbitali
L’imprevedibilità del comportamento dell’elettrone.
Riprendiamo le esperienze sui raggi catodici:
Le figure di diffrazione attraverso fori piccolissimi si
ottengono sia proiettando fasci di elettroni, sia
proiettandoli uno ad uno sequenzialmente.
Diffrazione attraverso un foro su foglio di alluminio
Raggi X
Raggi catodici
(1) Interfaccia,
(2) alimentatore per alta tensione
(3) tubo per diffrazione degli elettroni
(4) webcam
Nel caso dell’interferenza la situazione ha addirittura
dell’incredibile: ogni elettrone sembra «sdoppiarsi»,
passare da entrambe le fessure per poi ricombinarsi.
Solo in questo modo è possibile spiegare le figure di
interferenze a bande alternate, come quelle delle onde
elettromagnetiche.
Approfondiamo e cerchiamo di capire meglio.
Agendo sulla tensione elettrica (voltaggio) del circuito, è possibile variare la velocità di emissione degli elettroni.
Con velocità opportunamente bassa si può seguire nel tempo cosa succede su uno schermo sensibile, man mano che vi
giungono gli elettroni. (La cosa risulta molto più difficile con la luce, data la sua altissima velocità)
tempo
- +
A determinati intervalli di tempo,
si potrà osservare qualcosa come
nelle seguenti figure
V
Ripetendo l’esperienza, le posizioni degli elettroni cambiano, ma non
cambierà il risultato finale: zone più dense alternate a zone meno
dense.
Stesso risultato si osserva se gli elettroni si proiettano a fasci,
anziché singolarmente.
t1
10 e-
t2
200 e-
t3
6000 e-
t4
40000 e-
t5
140000 e-
Il trucco svelato
Le figure ottenute si spiegano come il risultato della diversa posizione assunta dai vari elettroni via via che giungono (uno alla
volta) sullo schermo: non c’è nessuno «sdoppiamento»!
C’è un fatto strano, però: la posizione di ogni elettrone risulta casuale, imprevedibile, diversa ogni volta che si ripete
l’esperienza, impossibile da conoscere, prima del suo arrivo sullo schermo stesso. Risulta persino impossibile sapere quale
delle due fessure possa attraversare, quindi fare previsioni esatte sulle traiettorie.
Tuttavia, osservando meglio le figure… qualcosa è possibile determinare!  la
distribuzione delle «posizioni» sullo schermo non sembra, poi, del tutto casuale:
esistono zone più dense e zone meno dense.
Allora possiamo parlare di probabilità maggiori o minori di trovare l’elettrone,
una volta «sparato», in determinate zone o punti dello schermo e, quindi, di
traiettorie più e meno probabili che esso può seguire.
Rappresenta i risultati della
diffrazione attraverso una
fenditura
La disposizione di tali zone, inoltre, ricalca fedelmente la posizione delle bande
alternate delle onde elettromagnetiche quindi  tale disposizione può essere
«matematizzata» attraverso funzioni d’onda.
Una funzione d’onda, relativa alla distribuzione degli elettroni sullo schermo dopo diffrazione o interferenza, descrive
matematicamente la disposizione sullo schermo di moltissimi elettroni, quindi rappresenta un fenomeno collettivo…
Ma quale significato può avere una funzione d’onda per il singolo elettrone?
Esistono diverse interpretazioni:
Interpretazione statistica (Max Born e Einstein) La funzione d’onda è applicabile ad un insieme di particelle e ne
rappresenta l’andamento statistico, collettivo. É perfettamente inutile, insignificante riferire la funzione alla singola
particella.
Interpretazione di Copenaghen o probabilistica (Bohr e Heisemberg) La funzione d’onda rappresenta tutte le
possibilità (traiettorie e posizioni) di ogni singola particella. Tuttavia l’atto della rilevazione (misura) in un determinato
istante mi permette di conoscere una sola di queste possibilità.
Per capire  Quando “sparo” un elettrone, posso prevedere che arriverà sullo schermo in una delle numerose possibili
posizioni ricavate dallo sviluppo della funzione d’onda, posso indicare dove ha più probabilità di giungere, ma non posso
sapere esattamente, con certezza assoluta il punto d’arrivo.
Ancora  se, dopo averlo sparato, rilevo una posizione sullo schermo e ne traccio la traiettoria seguita, non è detto che,
ripetendo l’esperienza, alle stesse condizioni, venga seguita la stessa traiettoria per ritrovare l’elettrone nella medesima
posizione sullo schermo. Potrebbe benissimo percorrere, in modo del tutto casuale e indipendente, un’altra traiettoria,
pur tra quelle rispettanti la funzione d’onda (e sono molto numerose!)
Queste ed altre interpretazioni, alternative o discendenti dalle prime due, concordano sul fatto che:
Non è possibile «localizzare» il singolo elettrone che, per tal motivo, viene definito un’entità
delocalizzata (o Non-localizzata) non ha, o non è possibile individuare per esso, un
«luogo» fisico di esistenza definito.
Heisemberg tradusse il concetto di delocalizzazione dell’elettrone nel famoso
Principio di Indeterminazione
Fine modello deterministico
Inizio modello probabilistico
Al di là dell’aspetto matematico, possiamo convincerci di tale principio analizzando la seguente situazione:
Per rilevare un qualsiasi oggetto occorre utilizzare la «luce».
La luce, interagendo con l’oggetto, ne subisce una
(riflessione, rifrazione, diffrazione ecc.)
Raccogliendo e interpretando il segnale «modificato», riusciamo a «
A sua volta anche l’
» l’oggetto e le sue proprietà.
, interagendo con la luce, ne subisce una
Il segnale ricevuto, perciò, mi dà informazioni risultanti dall’impatto, quindi dalla reciproca modificazione:
dire quanto l’informazione sia fedele alla realtà assoluta, immodificata dell’oggetto. Così, ad esempio, non potremo
sapere con assoluta certezza la
nè come essa sia stata modificata. Possiamo solo dichiarare (con una certa
probabilità) che in un dato momento abbiamo «visto»
delle
della particella.
Per ovviare al
connesso all’«
», possiamo pensare di utilizzare segnali di luminosi a
modo da causare un disturbo trascurabile all’oggetto, il che ci garantirà informazioni abbastanza fedeli alla realtà.
in
L’idea è ottima, ma è tutt’altro che facile da realizzare con le particelle!
Consideriamo una palla da basket che rimbalza nel buio
Possiamo disporre di una fotocamera dotata di flash e fare una sequenza di foto in modo da «seguire» il moto della palla
La luce del flash che colpisce ogni volta la palla ha lunghezze d’onda (visibili)
molto più piccole delle dimensioni della palla e, interagendo con essa,
riflette in modo perfetto e torna alla fotocamera in cui è posto il sensore che
rileva e registra il segnale.
Osservando le varie «riprese» possiamo riscostruire le posizioni, la
traiettoria, calcolarne la velocità, la quantità di moto ecc.
Siamo «sicuri» che tutte le caratteristiche individuate siano fedeli praticamente al 100% alla realtà in quanto l’interazione
tra palla e luce è trascurabilissima.
Infatti, l’energia contenuta nei segnali del flash, a confronto con quella della palla, è decisamente trascurabile (basta
pensare a E=mc2 che rappresenta l’energia contenuta nella massa della palla: una quantità davvero enorme).
[Come dire …. la luce non fa nemmeno il solletico alla palla!]
Molto diversa è la situazione per l’elettrone: La sua massa e le sue dimensioni sono molto piccole!
Date le dimensioni dell’elettrone, per «vederlo» non è possibile utilizzare luce con λ dello spettro del visibile come per la
palla (nell’ordine medio dei 500 nanometri). Occorre utilizzare raggi γ (con λ intorno ai picometri) che, per converso,
hanno altissime energie.
Se voglio osservare con precisione la particella, dovrò utilizzare λ piccole in modo da essere riflesse o diffratte dalla particella
ed essere rilevate dagli strumenti. Data la massa piccolissima dell’elettrone, da una parte, e le alte energie di tali onde,
dall’altra  rischio di interagire eccessivamente, quindi di modificarne le proprietà in modo significativo. (basta pensare
all’effetto fotoelettrico in cui la luce visibile è in grado di spostare l’elettrone dalla sua orbita naturale)
Per evitare modifiche all’oggetto, dovrò utilizzare luce a bassissima energia (λ grandi) rischio di non «vedere» la particella
stessa: le onde la oltrepasserebbero senza interagire significativamente (non avrò riflessione o diffrazione apprezzabile)
Occorre giungere ad un compromesso: utilizzare λ che, da una parte, consentano di «vedere» la particella quanto più
nitidamente possibile, dall’altra interagiscano con essa in modo non eccessivo per non cambiarne significativamente le
caratteristiche e il comportamento.
Appare chiaro, ora, che quanta più precisione pretendo nel rilevare la sua posizione in un dato istante, tanto più saranno
l’interazione e la modifica indotta, quindi tanto meno conoscerò il suo reale comportamento (es. la quantità di moto)
Viceversa: quanto più preciso voglio essere nel determinare il comportamento (es. quantità di moto) tanto meno dovrò
interagire con essa, quindi tanto meno nitida è più confusa (diffratta) sarà la sua immagine, incerta la sua posizione.
λ
λ
Dimensione
λ troppo grandi passano
attraverso la particella,
senza «vederla» ne
spostarla.
Dimensione
λ troppo piccole, riflettono
in modo preciso sulla
particella ma ne
«modificano»
eccessivamente la
posizione.
λ
Dimensione
λ prossime alle dimensioni
della particella, si
diffrangono, riflettono in
modo impreciso sulla
particella e ne provocano
un lieve spostamento
Questa situazione fu esposta matematicamente da Heisemberg con la seguente equazione
Er(x)+Er(v)=1
Er(x)
Er(x) = errore minimo nella misura della posizione (x)
Er(v) = errore minimo nella misura della velocità (v)
Seguendo il grafico osservo che…
abbassando l’errore Er(x) si alza quello
Er(v) e viceversa.
1
1
Er(v)
L’equazione d’onda di Shroedinger
Shroedinger, dalle osservazioni di Heisemberg e dall’idea di De Broglie, riuscì ad ottenere matematicamente
una complessa funzione d’onda per rappresentare tutte le possibili posizioni assunte attorno al nucleo, nel
tempo, da un qualsiasi elettrone tenendo conto di tutti i 4 numeri quantici dell’atomo quantistico di BohrSommerfeld (livelli energetici, sottolivelli, numeri quantici magnetici e di spin) .
Per curiosità, solo per curiosità, si riporta la
formula con la simbologia specifica.
Ciò che è importante è lo sviluppo matematico di tale funzione per il parametro ψ2 (psi al quadrato).
Questo sviluppo (calcolando ψ2 per tutte le combinazioni dei numeri quantici di cui sopra) porta a risultati
rappresentabili graficamente, su un piano tridimensionale, con zone di densità variabile (qualcosa di simile
a nuvole, con parti più dense e parti meno dense). Tali zone furono nominati ORBITALI ATOMICI.
Per Shroedinger ogni orbitale rappresenta la distribuzione della carica elettrica dell’elettrone  zone più
dense=zone più cariche (in linea con la Non-locabilità dell’elettrone)
Per Bohr rappresenta la zona di probabilità di trovare l’elettrone in un dato momento zone più
dense=zone più probabili (in linea con l’idea che l’elettrone sia una particella locabile)
Orbitali atomici
Se facciamo un confronto con l’idea originaria di De Broglie, dovremmo pensare ad un onda stazionaria vibrante non su una
corda circolare, bensì su una sfera (passare da una rappresentazione bidimensionale a quella tridimensionale il «salto» di
immaginazione è davvero arduo!)
Per gli orbitali, risultanti dalla risoluzione della funzione d’onda ψ2 …
la grandezza dipende dal numero quantico principale n
la forma dipende dal numero quantico secondario l
l’orientamento nello spazio dal numero quantico
magnetico m
Molti fisici e chimici anziché i valori numerici, al numero
quantico secondario l preferisco assegnare le lettere s,p,d,f
mentre per i valori del numero quantico m lettere varie
come x,y,z,k,q ecc.
Ogni orbitale possiede una ben
determinata (quantizzata) energia
che dipende solo dai primi due
numeri quantici (n, l) e rispetta
l’ordine seguente:
I valor di energia sono correlati in
modo inverso con le probabilità di
ospitare elettroni.
En. n 1<2<3<4<5<6<7
Prob. n 1>2>3>4>5>6>7
En. l s<p<d<f
Prob. l s>p>d>f
Orbitali atomici considerando il numero quantico secondario l (forma)
e quello magnetico m (orientamento nello spazio)
Orbitali atomici considerando tre numeri quantici (n, l, m)
CONFIGURAZIONE ELETTRONICA
Tenendo conto dei numeri quantici, delle interazioni elettromagnetiche e delle energie, quindi delle probabilità in gioco,
nonchè dello sviluppo dell’equazione di Shroedinger, i vari elettroni tendono a disporsi attorno al nucleo, nei vari orbitali,
secondo una configurazione che segue alcune regole:
Regola dell’aufbau (dal tedesco «a strati»)  Gli elettroni
tendono a sistemarsi negli orbitali a partire da quelli del livello
energetico più basso (più probabile, più vicino al nucleo) a
quello più alto (meno probabile, più lontano dal nucleo). Tale
regola, troppo generale è, però, meglio rappresentata dalla
regola della diagonale la quale, basata sullo sviluppo
dell’equazione di Shroedinger, tiene in considerazione anche di
qualche orbitale di un dato livello che risulta avere più energia,
meno probabilità, di quelli del livello o dei livelli superiori.
Principio di esclusione di Pauli  In un orbitale (sottolivello) con un determinato orientamento (numero quantico
magnetico m) può ospitare al massimo 2 elettroni che devono avere spin antiparallelo
Principio della massima distribuzione di Hund  Gli elettroni all’interno di un sottolivello tendono a sistemarsi
occupando quanti più orbitali degeneri possibili (orbitali degeneri=orbitali aventi stessa probabilità, stessa energia)
Solitamente la configurazione elettronica
di un atomo può essere rappresentata
tramite simboli alfanumerici…
…o con un diagramma a caselle e freccette
Rappresentazione della configurazione elettronica
L’atomo di Shroedinger e i suoi orbitali
I numeri quantici dell’atomo quantistico di Bohr –Sommerfeld ( livello energetico n, sottolivello l, numero quantico
magnetico m, numero quantico di spin s) rimangono validi, ma non si ammettono più orbite (traiettorie) per l’elettrone.
Al loro posto si parla di orbitali.
Per lo stesso Shroedinger ogni orbitale ψ2 rappresenta semplicemente la distribuzione nello spazio attorno al nucleo
della carica negativa dell’elettrone: più densa è la zona, più concentrata è la carica in tale zona e viceversa.
Per Heisemberg e Bohr ogni orbitale ψ2 rappresenta la distribuzione nello spazio delle probabilità di trovare l’elettrone
in un dato momento attorno al nucleo: nelle parti più dense è maggiore. Ad esempio, che lo sviluppo di ψ2 per l’unico
elettrone dell’idrogeno permette di ottenere risultati moltissimo addensati a formare una sorta di circonferenza attorno
al nucleo con raggio circa 0,5 Angstron. Il dato combacia con il valore del raggio della presunta orbita trovato anni prima
da Bohr. Questo rafforzò l’opinione che a quella distanza è altissima (più del 90%) la probabilità di trovare l’elettrone in
un dato istante o, nell’idea di Shroedinger, è densissima la sua carica negativa.
Relativamente al nucleo e alle altre particelle subatomiche… nessuna novità sostanziale:
Z  numero atomico=numero di protoni (identificativo della specie atomica)
A numero di massa= somma dei protoni e dei neutroni
 I raggi protoni e neutronici manifestavano analoghi comportamenti ondulatori e indeterministici dei raggi catodici.
 Il nucleo mostrava equilibri precari (radioattività) e contenuti energetici enormi (energia nucleare).
 Nessuna ipotesi degna di rilevanza circa l’organizzazione, la struttura e gli equilibri all’interno del nucleo fino al 1964,
quando fu ipotizzata l’esistenza dei quarks  Modello Standard
Dalton 1803
Thomson 1904
Rutherford 1911
Bohr 1913
Sommerfeld 1916
De Broglie 1924
Modello standard 1967/68
Shroedinger 1926
Qualche riflessione…
L’atomo quantistico di Bohr-Sommerfeld ricorre ad una teoria che oggi definiamo semi-classica in quanto le leggi utilizzate
erano in sostanza quelle della meccanica classica, quella cioè di Newton-Maxwell (definita deterministica), con l’aggiunta di
condizioni quantistiche.
L’atomo di De Broglie-Heisemberg-Shroedinger ricorre a leggi nuove: quelle della meccanica quantistica (o ondulatoria o
probalistica) che non è deterministica (pensate alla «delocalizzazione» dell’elettrone …!).
Le teorie della fisica quantistica hanno rivoluzionato il modo di concepire la realtà e risultano sconvolgenti non tanto per la
non applicabilità della meccanica classica di Newton-Maxwell (ritenuta tutt’ora valida per il mondo macroscopico) al mondo
sub-atomico, quanto per le implicazioni della non-locabilità di ciascuna particella e del suo stato fisico inteso come il risultato
di specifiche combinazioni probabilistiche, tra numerose possibili.
• Così, ad esempio, è incomprensibile che un oggetto come una palla, di cui si possono determinare e prevedere, con
assoluta certezza, posizione, velocità, peso, colore ecc… sia completamente costituita da particelle non localizzabili, il cui
stato non è determinato, se non nel solo momento della loro osservazione.
•
E’ anche sconvolgente sapere che un oggetto e il suo stato chimico-fisico siano solo il risultato di una serie di
combinazioni casuali tra le tantissime possibili.
Shroedinger, per far capire a colleghi e studenti la «portata» inquietante di questa rivoluzione scientifica, che prevede
l’indeterminabilità di un evento particellare, ideò un esperimento concettuale (irrealizzabile praticamente)
Sostanza radioattiva: emette 1 particella/ora
Dopo un’ora, il gatto è vivo o è morto?
Dato che non è possibile determinare con
esattezza se la particella sia stata emessa o no,
occorre valutare l’evento in modo statistico: lo
sviluppo del calcolo probabilistico (La funzione ψ)
porta ad affermare che: gatto vivo e gatto morto
non sono condizioni fisiche esistenti allo stato
puro, bensì sono perfettamente miscelati, quindi
la risposta esatta è…
Gatto vivo/morto.
La particella
colpisce la leva che
«scatta» in giù
Cianuro
La leva fa cadere il martello
La fiala si rompe
Einstein non era per niente d’accordo con queste convinzioni indeterministiche della realtà. Di lui rimase una frase storica:
«Dio non gioca a dadi!»
Mentre pare che, avvertendo vicinissima la fine della sua vita, abbia dichiarato che l’unico rammarico era quello di…
non aver avuto abbastanza tempo per capire come Dio abbia creato il mondo!