LA NARRATIVA PSICOLOGICA O D’ANALISI
La narrativa psicologica non è stata inventata dai moderni. Già i Greci e i Latini hanno indagato a fondo l'animo dell'uomo e lo hanno fatto nel
teatro, nella poesia, nel romanzo, nei testi filosofici. L’esplorazione della psicologia del personaggio è un tratto caratteristico sia della narrativa
dell’Ottocento che del Novecento, ma è diversa la prospettiva con cui tale ricerca è eseguita. Per la cultura dell’Ottocento la sfera psichica è
costituita essenzialmente dall’intreccio dei sentimenti i quali, buoni o cattivi che siano, sono tanto forti da mettere in crisi la razionalità e da
sconvolgere abitudini moralmente accettate e socialmente consolidate. Nell’opera dei Naturalisti, l’indagine della psicologia si rivolge alle
motivazioni dei comportamenti e delle scelte individuali prodotte dall’intreccio tra gli impulsi soggettivi e i condizionamenti socio-culturali. Fra
la fine del secolo XIX e l'inizio del XX lo fiducia nel progresso dell'umanità e dello scienza entra in crisi. Lo crescente complessità dello vita
sociale e le nuove frontiere dello ricerca scientifica evidenziano l'inadeguatezza del Positivismo e delle sue certezze. Nel contempo gli studi di
filosofi (Henry Bergson), di scienziati (Albert Einstein), di medici (Sigmund Freud) determinano un nuovo modo di intendere lo realtà. In questo
momento il problema non è tanto chiarire il rapporto fra l'uomo e lo storia, tra l'uomo e lo società, ma piuttosto chiarire se esiste per l'uomo lo
possibilità di assumere, nel perenne fluire delle forme, coscienza della propria identità, capire da dove affiorano il senso di solitudine e di
incomunicabilità, di casualità per cui l'uomo si sente in balia del divenire. In questo situazione culturale anche il romanzo si trasforma: da
romanzo di fatti; come era il romanzo naturalista o il romanzo storico, diviene romanzi “di analisi” rinnovando tutte le sue strutture.
Al centro della narrazione non sta più il rapporto tra il personaggio e l’ambiente, ma lo scavo interiore che mette a nudo tutte le sfaccettature
del sentimento e le pulsioni dell’inconscio. L’attenzione ai moti dell’animo è presente anche in opere di taglio realistico: basti pensare alle
finissime indagini psicologiche di Manzoni. Ma in questo tipo di narrativa essa è solo una delle componenti del romanzo, mentre nella narrativa
di analisi diviene l’elemento fondamentale su cui poggia l’intero impianto dell’opera. Vengono ora portati in primo piano i riflessi prodotti sulla
particolare sensibilità del personaggio dagli eventi normali e quotidiani, in sé insignificanti, che acquistano valore solo per la loro capacità di
agire sugli strati profondi dell’animo. La narrativa del primo Novecento si confronta con le teorie di Freud sulla psicanalisi, che impongono un
rinnovamento anche nella maniera di scrivere e raccontare. Oggetto della narrazione diventano avvenimenti minimi, come lo
sconvolgimento che il fischio di un treno porta nella vita di Belluca ne Il treno ha fischiato di Pirandello o l’influenza che il suono dell’organetto
ha nell’esistenza di una ragazza, come in Eveline. L'autore di racconti o romanzi psicologici descrive i fatti con cura, ma appare interessato a
quello che non si vede, all'interiorità dei personaggi analizzati, ai loro pensieri, ai loro stati d'animo e al modo in cui essi si pongono davanti alla
realtà. Il suo obiettivo è dunque quello di analizzare il mondo interiore degli individui, che non sono qualcosa di immodificabile come il
colore degli occhi, ma cambiano giorno dopo giorno. Lo scrittore registra e interpreta questi mutamenti a volte impercettibili dell'animo. Nella
narrativa psicologica moderna e contemporanea la realtà assume volti e aspetti diversi; essa varia infatti a seconda del punto di vista da cui i
personaggi rappresentati la osservano e ne riflette la sensibilità, la cultura, e i mutamenti degli stati d'animo nel tempo.
La nascita del capitalismo diffonde una mentalità ispirata alla ricerca dell’utile personale, all’egoismo, al rifiuto di qualsiasi sentimento
disinteressato, in particolare dei valori di solidarietà e uguaglianza che avevano guidato la borghesia del primo Ottocento. L’intellettuale non si
sente più integrato in questa società, anzi ne rifiuta la logica dell’utile e l’ipocrisia. A sua volta la società lo respinge perché lo ritiene inutile:
l’artista non è infatti inserito nel ritmo produttivo e l’opera d’arte non è un guadagno. Ecco allora nascere la figura dell’inetto, incapace di
integrarsi nella società borghese, ma allo stesso tempo dotato di un’acuta capacità di penetrazione che gli consente di intuire le contraddizioni e
i mali che si annidano sotto le sane apparenze borghesi. Le tecniche narrative vengono rivoluzionate.
Fissare delle regole valide per la narrativa psicologica risulta impossibile. Alcuni elementi comuni a questo tipo di narrazione sono:
1. La realtà è rappresentata in modo soggettivo, in quanto viene filtrata e interpretata dal personaggio che la osserva e reagisce a essa.
2. Il mondo interiore del personaggio, con i suoi chiaroscuri e i suoi mutamenti, è il protagonista indiscusso del racconto psicologico.
3. L'autore fa parlare il personaggio, ne registra i pensieri attraverso la tecnica del discorso indiretto libero e del monologo interiore.
4. Il racconto psicologico è spesso in prima persona: narratore e protagonista s'identificano.
5. L'ambiente in cui il personaggio si muove ne accompagna e commenta lo stato d'animo.
Fabula - Assume una funzione molto marginale. L'attenzione si sposta dagli eventi ai personaggi; le vicende narrate sono grigie, quotidiane,
senza storia. Si assiste a un indebolimento dell'intreccio, inteso come narrazione continua, portata avanti da un narratore che tiene in mano i
fili della vicenda, muove i personaggi, organizza gli eventi. La materia del racconto tende sempre più a coagularsi in blocchi tematici che non
si dispongono in successione logico-temporale, ma appaiono staccati l'uno dall'altro, dando cosi l'impressione della frammentarietà del reale.
I contenuti - Per quanto riguarda i contenuti, il romanzo testimonia la dissoluzione delle certezze di fronte a una realtà indecifrabile,
l’interesse si rivolge quindi sempre più all'interiorità, alle ripercussioni di vicende quotidiane sulla coscienza di personaggi che non hanno
nulla di eroico. Il racconto della vicenda non si basa più sul rispetto delle norme narrative fissate dalla tradizione, che prevedeva un esordio di
quiete, un momento di rottura dell'equilibrio iniziale, un succedersi di peripezie e, infine, una conclusione. Soprattutto sparisce la coerenza fra le
varie parti, sostituita dal succedersi discontinuo degli episodi, fra i quali si inseriscono continui riferimenti a situazioni precedenti (flash-back) e
continui flussi di coscienza che riportano in superficie pensieri, ricordi, annotazioni privi di una logica concatenazione.
I personaggi - Si assiste alla dissoluzione dell' autonomia e dell'univocità del personaggio, che soleva trovare espressione nel ritratto diretto,
attraverso il quale l'autore ne fissava i tratti fisici, morali, intellettuali, ponendolo in relazione con il contesto storico-sociale. Nel romanzo
d'analisi il personaggio non viene presentato «dal di fuori», ma «dal di dentro». Non ne conosciamo quasi mai le fattezze fisiche,
l'abbigliamento, l'estrazione sociale; lo scrittore preferisce penetrare nella mente delle sue creature, descriverne le sensazioni, i pensieri, le
reazioni che vengono provocate dal rapporto con il mondo esterno, i tentativi compiuti per giungere alla conoscenza e alla comprensione della
realtà. Il personaggio inoltre non è mai uguale a se stesso, ma muta a seconda del tempo, delle situazioni in cui si trova e soprattutto in relazione
alla molteplicità dei punti di vista attraverso i quali viene presentato. Si passa dunque dalla caratterizzazione fisica, sociale, psicologica alla rappresentazione della dinamica della coscienza. Fa inoltre la sua comparsa in questi romanzi la figura dell' inetto, un individuo caratterizzato da
una vera e propria sfasatura tra il piano della coscienza e quello dell' azione: egli elabora nella sua mente mille progetti, si propone di assumere
determinati comportamenti, ma non riesce a tradurre in atto nessuno dei suoi propositi. Tipici inetti sono i protagonisti dei romanzi sveviani:
Zeno Cosini, protagonista della Coscienza di Zeno, ne riassume tutti i più tipici connotati, arricchendoli con il filo sottile dell' autoironia. I
personaggi non sono più figure con un'identità precisa e per questo capaci di esprimere un proprio definito e costante
punto di vista. All'eroe si contrappone l'antieroe, che non possiede sicurezze ma vive e riflette la crisi della coscienza, le ansie e i dubbi
dell'uomo contemporaneo. Il 'modello' che più frequentemente compare in questi romanzi e ne diviene il protagonista è quello dell’inetto, dello
sconfitto, che viene da tutti giudicato incapace di inserirsi nel lavoro, nei rapporti affettivi, perché “diverso”, in quanto privo di quella carica
aggressiva che porta gli efficienti al successo. Gli autori che hanno scelto questo tipo di narrativa esprimono, attraverso figure esemplari, la
propria denuncia nei confronti della società moderna industrializzata, che, stimolando gli uomini a produrre e a possedere premia le apparenze e
riduce gli esseri ad automi senza una libera volontà, senza valori ideali. Proprio coloro che con spirito critico analizzano questa dolorosa
situazione e con il loro atteggiamento rifiutano di adattarsi, di essere cioè dei mediocri conformisti, vengono giudicati dei falliti dalla pubblica
opinione affascinata dall'avere. In realtà essi privilegiano l'essere, cioè la sostanza profonda dell'uomo e per questo cercano di rimanere liberi.
Perciò nella loro prospettiva di estraneità che è il risultato di una libera scelta, sono gli unici rimasti vivi, cioè autentici in una folla di vuoti
manichini. Ciò non significa che non siano esposti ad ogni sorta di sofferenze, ma essi le affrontano consapevolmente, esponendosi ad indagare
sul destino dell'uomo e sulla sua più vera natura. Una conferma della loro lucida coscienza è data dall'ironia con la quale molti di questi
personaggi analizzano se stessi e la propria inefficienza.
La loro forza sta proprio nell'indagare dentro di sé, ne portare alla luce i problemi dell'umana esistenza: la difficoltà di conoscere la propria
identità, di comunicare con gli altri, di dare e ricevere amore, di trovare un senso per la propria vita.
Lo spazio e il tempo - L’interesse del narratore viene rivolto sia al mondo interno che al mondo esterno, ma lo spazio in cui si svolge l'azione,
in genere, non è descritto in modo diretto e oggettivo, bensì attraverso i riflessi che esso provoca nella 'coscienza' dell'individuo che ne ha conoscenza attraverso le proprie percezioni. Perciò l’attenzione si ferma magari su particolari, che in sé potrebbero apparire insignificanti piuttosto
che su dei quadri di sintesi generale. È spesso uno spazio vuoto, privo di quegli oggetti e arredi che nel romanzo realista servivano a ricostruire
l'ambiente.
Il tempo non scorre più in un'unica direzione, in quanto i fatti non vengono narrati secondo il loro cronologico dipanarsi. Si assiste a un
continuo trapassare dal presente al passato, da un ricordo all' altro; gli episodi rievocati inoltre non sono generalmente vicini nel tempo, ma sono
separati da una distanza di anni. È quanto accade nella Coscienza di Zeno di Italo Svevo, il cui protagonista rievoca, nelle varie sezioni del
romanzo, eventi, situazioni, sensazioni che, pur accomunati da uno stesso tema (il vizio del fumo, i rapporti con il padre, il matrimonio ecc.),
risalgono a momenti diversi e spesso lontani tra loro. Anche nella monumentale opera di Marcel Proust il ricordo svolge una funzione
predominante. Lo scrittore francese distingue tra la «memoria volontaria», che per mezzo di un processo logico e razionale consente di ricordare
con una certa completezza eventi e persone, ma non può restituire l'atmosfera del passato, e la «memoria involontaria» che, suscitata
improvvisamente da una sensazione (un profumo, un sapore), ci rituffa immediatamente nel passato e ci fa recuperare stati d'animo che si
credevano perduti e che solo attraverso il ricordo vengono rivissuti in tutta la loro intensità. Deriva da ciò un rapporto ambiguo e complesso tra
presente e passato: i due piani temporali non si succedono l'uno all' altro, ma coesistono in una specie di «tempo interiore» o «tempo misto»,
cioè in una dimensione che non è esterna e oggettiva, ma soggettiva e tutta interna al personaggio. Si viene inoltre a creare una sfasatura fra
tempo della storia e tempo del racconto: sensazioni, ricordi, pensieri, che in pochi attimi si accavallano nella mente del personaggio, vengono
analizzati e descritti a rallentatore, con una forza analitica che arresta il flusso del tempo.
Le tecniche narrative - Nel nuovo romanzo cambia soprattutto il modo di narrare, che coincide con la prospettiva frammentaria e mutevole
con la quale l'autore osserva e ricostruisce realtà. Sparisce il narratore esterno onnisciente, che con sicurezza organizza la trama romanzesca. La
narrazione, per lo più, è affidata alla prima persona, che analizza la propria crisi e le proprie insicurezze, utilizzando tecniche stilistiche
diverse: alcune già sperimentate nel secondo Ottocento (il discorso indiretto libero), altre nuove (il monologo interiore, il flusso di coscienza)
che scardinano la sintassi del romanzo tradizionale e naturalista.
Anche i temi prescelti dai vari autori del romanzo di analisi coincidono con la loro visione del mondo frantumata e lacerata. Nel romanzo i 'fatti'
passano in secondo piano, a vantaggio dei flussi della coscienza, delle indagini nei labirinti della psiche. Le nuove tematiche corrispondono al
senso della casualità degli eventi, all'assurdità e alla perdita del significato dell'esistenza. Questo non significa che il romanzo divenga del
tutto staccato nei confronti della società. Pur partendo dal sondaggio della coscienza individuale, il narratore legge la realtà e la dimensione
sociale, ricostruendo la crisi di un'intera epoca. Magari si può notare che la rappresentazione si ferma alla critica, alla polemica e non approda a
proporre soluzioni alternative e quindi ipotesi di rinnovamento.
Focalizzazione - Naturalmente in romanzi di questo tipo prevale la focalizzazione interna. I fatti narrati, cioè, sono filtrati attraverso le
percezioni e i pensieri del protagonista grazie all' adozione della cosiddetta restrizione di campo: il lettore è informato soltanto di ciò che ricade
nell' ottica del personaggio o che accade nella sua mente. Il punto di vista inoltre non è unico, ma si frantuma in una miriade di ottiche diverse
se l'autore mette in campo più personaggi, o si modifica con il trascorrere del tempo. La narrazione è spesso condotta in prima persona.
PIRANDELLO E L’AMBIGUITA’
Per la profondità con cui rappresenta la crisi dei valori della società borghese del tempo, l’opera di Pirandello (1867-1936) viene considerata
uno dei vertici del Decadentismo europeo: egli fu innovatore del romanzo, compositore di novelle capaci di comunicare la sua concezione della
vita, iniziatore di una nuova forma di teatro. La prima idea su cui si basa la sua concezione della vita è la netta opposizione - chiamata
antinomia, o dicotomia - tra vita e forma. La vita è flusso continuo, movimento incessante grazie al quale l'individuo, che pure mantiene
un'identità di fondo dalla nascita alla morte, tuttavia varia atteggiamenti, idee, comportamenti. La forma, al contrario, è l'insieme delle
convenzioni sociali che paralizzano il flusso della vita, imponendo rapporti e atteggiamenti stereotipati, accettati dalla collettività in cui uno è
inserito. L’uomo risulta pertanto inguainato dalla forma, impossibilitato a esprimere se stesso, a manifestare le sue esigenze più profonde.
Solo in rari momenti egli riesce a emergere e a imporsi. Così si determina di necessità una profonda differenza tra l'essere - quanto ciascuno
"sente" di se stesso - e l'apparire - il modo di vivere condizionato dalle consuetudini della società. L’uomo spesso è costretto a portare una
maschera, che toglie autenticità ai suoi gesti, ai suoi comportamenti. Egli così si adegua alla forma che la società gli vuole imporre, ma con
gravissime conseguenze sulla sua dimensione "vitale" più autentica. La problematica dell’ambiguità nasce dall’analisi rigorosa del rapporto tra
l’individuo, che è il risultato di un insieme di passioni, desideri, e cioè un flusso vitale in continuo mutamento (vita), e la dimensione sociale
con cui esso vive e con cui deve confrontarsi per acquisire una propria identità (forma). Tale tematica è presente nei romanzi di Luigi
Pirandello e nelle Novelle per un anno che disegnano un mondo caotico, in cui assume particolare risalto l’inautenticità della vita, la sofferenza
prodotta dalle strutture che limitano la libertà personale (in primo luogo la famiglia, vista come una forma di carcere e di tortura quotidiana).
L’individuo è quindi un flusso d’esistenza in continua trasformazione e perciò non può essere conosciuto non solo dagli altri, ma neppure da se
stesso. Ma per stabilire dei rapporti sociali l’individuo ha bisogno di apparire come punto di riferimento parzialmente stabile e identificabile, di
acquisire cioè una forma che lo rappresenti durevolmente agli occhi degli altri, e questa forma è una maschera fatta di convenzioni sociali, di
ruoli familiari e professionali, ma soprattutto dei giudizi e dei pregiudizi degli altri, spesso senza fondamento, ai quali però l’individuo è
costretto ad adeguarsi per raggiungere una certa riconoscibilità. Con questa operazione egli assume tutte le maschere necessarie che diventano
gabbie dalle quali è impossibile liberarsi. Nelle novelle la trama, realistica e paradossale al tempo stesso, mediante una sottolineatura spesso
crudele di elementi che possono suscitare il riso ma che conducono il lettore a partecipare intensamente alle vicende dei protagonisti, mette in
crisi l’osservazione piatta e scontata della condizione umana, cui si è di solito indotti dalla realtà. Per Pirandello l’individuo è “uno,
nessuno, centomila” ovvero uno per se stesso, centomila per gli altri, poiché ognuno lo vede in maniera diversa, e nessuno quando abbandona
tutte le forme ed è veramente se stesso. In particolare il lavoro e la famiglia sono realtà opprimenti per i personaggi pirandelliani. Pirandello
adotta spesso una focalizzazione interna multipla per mostrare al lettore come la realtà sia soggettiva (ovvero come ognuno vede le cose a
suo modo) e non più oggettiva e univoca come si riteneva nell’Ottocento (basti pensare al Naturalismo che con la tecnica dell’impersonalità
mirava ad analizzare la realtà come si fa con un esperimento scientifico). Nel Novecento sono crollate, con la teoria della relatività, tutte le
certezze del Positivismo e l’uomo si sente sperduto, solo, “non sa più dire chi esso sia”.
Altro elemento cardine del pensiero dell'autore è il concetto di relativismo, ossia la certezza che non esiste una verità universale, ma che ogni
singolo individuo è portatore della "sua" verità, spesso sconosciuta agli altri, che non la possono pertanto comprendere e giudicano
comportamenti e azioni degli uomini solo dal loro limitatissimo punto di vista. Ne deriva il dramma dell'impossibilità di comunicare, in quanto
mancano comuni termini di riferimento. Un individuo spesso non conosce il dramma del suo simile, si limita a vedere un comportamento
esteriore, che pure giudica sulla base di categorie sue, non di quelle dell'altro, a lui sconosciute. Da qui la solitudine che avvolge i personaggi.
L'uomo è solo nell'avventura dolorosa della vita, spesso ritenuto pazzo quando in rari momenti ritrova se stesso, chiuso nelle sue ragioni, esposto
al rischio del ridicolo e dell'incomprensione.