Vandali, il cui nome prima della sua romanizzazione era Wandili, era una popolazione originaria della Norvegia e della Scania, aree geografiche da cui provenivano anche i Burgundi (poi insediatisi in Francia), i Goti e i Winili, cioè i Longobardi. Dopo una migrazione sul continente nei territori attualmente polacchi, sotto la pressione di altre tribù e dopo aver combattuto, vinto e sottomesso i Galli poi, si stanziarono nel territorio oggi occupato dalla Slesia dalla Boemia creando una lega di tribù comprendenti Burgundi, Rugi e Silingi, detta dei Lugi (compagni). II secolo La popolazione vandala era divisa fra due etnie principali: I Vandali Asdingi (dal nome della casata principale) e i Silingi. Il II Secolo vede i Vandali Asdingi muovere verso sud est guidati dai re Raus e Rapt. Dopo aver attaccato i Romani e aver stipulato un trattato di pace, si stanziarono fra la Dacia (Romania) e la Pannonia (Ungheria) diventando alleati dei romani nelle incessanti guerre a est del limes della Pannonia contro i Sarmanti e i Daci. Nel 180, un tentativo di penetrazione entro il limes li vede sconfitti, assieme ai Marcomanni, dalle legioni di Marco Aurelio che proprio in quell'occasione ebbe a morire, a Vindobona. La sconfitta segnò una svolta nella storia dei Vandali che dovettero così fornire armati all‘Impero Romano (e un'unità di cavalleria vandala viene inviata in Egitto). La gioventù vandala iniziò a frequentare sempre più le terre romane assorbendone conoscenze e informazioni. Fra questi giovani, duecento anni dopo, si troverà il padre di Stilicone il generale romano dell'imperatore Onorio che sarà costretto a combatterli. Con l'ascesa di Costantino il Grande nel 335 riuscirono a entrare nei territori dell'impero, sulla riva destra del Danubio, come foederati mantenendo la loro mansione di cuscinetto fra l'impero e le altre tribù barbare della pianura Sarmatica. Ancora gli Asdingi, sotto la pressione degli Unni, cercarono la sicurezza all'interno dei territori dell'Impero. Dalla Pannonia riuscirono a giungere in Rezia dove si stanziarono, sempre in qualità di foederati, con il permesso di Stilicone. Questi fu obbligato a concedere il permesso a causa delle difficoltà che incontrava in Italia con i Goti guidati da Radagaiso. Nel 406 I Vandali iniziarono a spostarsi lungo il limes a nord delle Alpi vicino Augusta in direzione della Gallia. In una battaglia con i Franchi , già stanziatisi in quelle terre, rimase ucciso il loro re Godigisel. A Godigisel successe il figlio Gunderico che riuscì a portare le tribù vandale nel territorio della Gallia attraversando il Reno all'altezza di Magnza. Gallia L'avanzata divenne un'invasione scatenando il caos. Assieme alle tribù vandale degli Asdingi e di parte del Silingi (il resto dei Silingi era rimasto nelle terre ancestrali della Pannonia e della Slesia finendo per fondersi con gli Slavi) si scatenarono sul territorio gallico anche Svevi, Alani, seguiti da Burgundi e Alamanni. Mentre questi ultimi si stanziavano in Galli, i Vandali con Alani e Svevi proseguirono verso i Pirenei e, superatili, in breve tempo (409) eliminarono i presidi romani. Quindi, forti del controllo armato dell'intera Penisola Iberica si stanziarono dividendosi il territorio: gli Svevi in Galizia, e gli Alani scelsero la Lusitania e la parte meridionale della Spagna. I Vandali si appropriarono della Betica che chiamarono Vandalicia (oggi Andalusia). La Battaglia La Battaglia di Ad Decimum fu combattuta il 13 Settembre 533 tra l'esercito dei Vandali, comandato da Re Gelimero, e l'Impero Romano d’Oriente (più tardi conosciuto come Impero Bizantino), sotto il comando del Generale Belisario. Questo episodio e gli eventi che si verificarono negli anni seguenti sono a volte ricordati anche come la "Battaglia di Cartagine". L'esito di questo scontro segnò l'inizio del declino dei Vandali e il primo passo della "Riconquista" dei territori occidentali da parte dell'Imperatore Giustiniano. Ad Decimum (traducibile dal latino come "a dieci miglia"), è semplicemente un'indicazione del luogo ove si è verificata la battaglia, posto appunto dieci miglia a sud di Cartagine. Gelimero, con 11.000 uomini sotto il suo comando, inizialmente avanzò con decisione per posizionarsi in un punto favorevole posto sulla strada per Cartagine e da lì affrontare i 15.000 uomini di Belisario. Divise quindi le proprie forze inviando 2.000 uomini sotto il comando del nipote Gibamondo nel tentativo di attaccare il fianco sinistro dell'esercito di Belisario, che in quel punto della strada era costretto ad avanzare in una stretta e lunga colonna. Un altro reparto formato da altrettanti uomini venne invece affidato al fratello di Gelimero, Ammata, con il compito di contenere l'esercito nemico in una gola presso Ad Decimium. Se tutto fosse stato eseguito secondo i piani, il corpo centrale dell'esercito di Gelimero, composto da 7.000 uomini, avrebbe seguito l'azione di Gimabondo sul fianco sinistro, impedendo la ritirata delle forze di Belisario. Gimabondo fallì tuttavia nel porre a termine la sua missione: una forza di Romani e di mercenari Unni respinse i suoi 2.000 uomini, respingendoli fino alle porte di Cartagine. Gimabondo fu ucciso nel combattimento. Il grosso delle truppe di Gelimero inflisse comunque serie perdite alle truppe di Belisario: i mercenari di quest'ultimo furono infatti messi in rotta dai Vandali che, anche se inferiori sul piano numerico, combattevano in maniera più efficace. tutto faceva propendere per una vittoria vandala. Quando tuttavia Gelimero raggiunse le posizioni di Ammata e scoprì che il proprio fratello era stato ucciso, si perse d'animo e, perdendo tempo prezioso nel seppelire il corpo del parente nel campo di battaglia, non diede l'ordine finale d'assalto, che avrebbe probabilmente distrutto le fiaccate truppe romane e impedito ai mercenari Unni che poco prima avevano sconfitto Ammata e Gibamondo di ricongiungersi con l'esercito di Belisario. Guadagnato del tempo prezioso, Belisario fu abile nel raggruppare le proprie forze a sud di Ad Decimium e a lanciare il contrattacco, che respinse i Vandali e li mise in fuga. Gelimero fu costretto allora ad abbandonare Cartagine. Belisario si accampò vicino al campo di battaglia, non volendo avicinarsi troppo alla città durante la notte. Il mattino dopo marciò su Cartagine, ordinando ai propri uomini di non uccidere o ridurre in schiavitù la sua popolazione (com'era normale pratica di quel periodo) poiché riteneva i suoi abitanti cittadini romani sottoposti al giogo vandalo. Trovando i cancelli della città aperti e la popolazione che lo acclamava, il generale bizantino si diresse immediatamente a l palazzo reale sedendosi sul trono dei Re Vandali. Decise inoltre di ricostruire le fortificazioni intorno a Cartagine. Dopo una seconda sconfitta nella Battaglia di Ticameron nel dicembre dello stesso anno, il Regno Vandalo cessò definitivamente di esistere. La Battaglia di Ticameron fu combattuta il 15 dicembre 533 tra le armate vandale, guidate dal Re Gelimero e da suo fratello Zano, e quelle dell’Impero Romano d’Oriente (più tardi conosciuto come Impero Bizantino), sotto il comando del Generale Belisario. Questo scontro fu diretta conseguenza della sconfitta di Gelimero nella Battaglia ad Decimum ed ebbe come esito la definitiva scomparsa del Regno dei Vandali, determinando conseguentemente la conquista dell'intero NordAfrica da parte di Giustiniano I. Dopo essere stato cacciato da Cartagine, Gelimero si stabilì a Bulla Regia in Numidia (le cui rovine sono poste oggi lungo il confine occidentale della moderna Tunisia), all'incirca 100 miglia a Ovest dalla capitale del Regno. Consapevole di non potere far fronte da solo alle preponderanti forze di Belisario, inviò dei messaggeri al fratello Zano, impegnato con le proprie truppe in una campagna militare in Sardegna. Non appena ricevuto il messaggio, quest'ultimo si affrettò a ritornare in Africa per unire le proprie truppe a quelle del fratello. Nel frattempo Gelimero cercava con tutti i mezzi di dividere le forze alleate a Belisario. Offrì ricompense alle tribù barbare e puniche locali per ogni testa di soldato romano che queste gli avessero portato e inviò dei messaggeri a Cartagine cercando di portare nei propri ranghi con forti offerte di denaro ai mercenari Unni al seguito del condottiero bizantino, decisivi nella battaglia di Ad Decimum. Zano e le sue truppe si unirono a Gelimero nel dicembre. Ritenendo il suo esercito abbastanza forte per sconfiggere il nemico, il Re Vandalo passò dunque all'offensiva distruggendo il grande acquedotto che riforniva di acqua potabile la città di Cartagine. Nelle 12 settimane che erano trascorse da Ad Decimum Belisario aveva intanto fortificato la città ma, venuto a conoscenza dei piani di Gelimero e ritenendo di non potersi affidare per lungo tempo ai mercenari Unni, invece di aspettare un probabile assedio, uscì da Cartagine con il proprio esercito e con gli Unni in coda alla colonna. Le due forze si incontrarono appena fuori la città e la cavalleria romana immediatamente ruppe le linee Vandale attaccando e ritirandosi per tre volte. Durante la terza carica Zano fu ucciso sotto gli occhi di Gelimero che, come era già successo ad Ad Decium, si perse d'animo e fece arreterare le truppe che in breve si diedero ad una fuga scomposta. Gelimero tronò in Numidia con quello che rimaneva della sua armata, perdendo oltre 3.000 uomini, uccisi o fatti prigionieri dai bizantini. Belisario marciò allora su Hippo Regius, che aprì al condottiero i propri cancelli. Gelimero capì allora di avere perduto il proprio regno e si apprestò a dirigersi in Spagna, dove erano rimaste alcune tribù barbare che avevano deciso di anni prima di non seguire Genserico alcuni decenni prima. I Romani vennero a conoscenza del piano e lo sventarono, costringendo Gelimero a rifugiarsi coi Berberi sulle montagne presso Tunisi. L'anno seguente fu trovato e catturato dalle truppe romane, condotte nell'occasione da Phara l’Erulo. Anche se inizialmente aveva rifiutato la resa fu costretto ad accettarla da un rigido inverno che quell'anno si era abbattuto sulla regione. Il regno Vandalo cessò di esistere e le sue province di Sardegna, Corsica e Baleari e finirono sotto il controllo di Giustiniano. I Vandali a Roma I vandali guidati da Genserico – ormai padroni di buona parte dell’Africa romana – si spinsero in Sicilia, Sardegna, Corsica e persino a Roma, occupandola. Gettate le ancore alla foce del Tevere, il re vandali raggiunse la città il 2 giugno del 455, abbandonandola per bel quattordici giorni al saccheggio delle sue truppe germaniche e africane. Quando Genserico ripartì – racconta lo storico Procopio di Cesarea – le sue navi erano cariche di tesori immensi: metalli preziosi, opere d’arte e schiavi. Anche la moglie e le figlie dell’imperatore Valentiniano furono deportate. Per nessun altro motivo che per la speranza di ricavarne grandi ricchezze, Genserico salpò per l’Italia con una potente flotta. Giunto a Roma, senza che nessuno glielo impedisse, si insediò nel palazzo reale. Massimo cercò di fuggire, ma i cittadini gli lanciarono delle pietre e lo uccisero; poi gli mozzarono il capo e ne fecero a pezzi tutte le membra del corpo, dividendole tra loro. Genserico prese prigioniere allora Eudossia e le due figlie che essa aveva avuto da Valentiniano, Eudocia e Placidia, e caricata sulla nave una grande quantità d’oro e di altri tesori imperiali, fece vela per Cartagine, senza trascurare né il bronzo né qualunque altra cosa di valore che vi fosse nella reggia. Spogliò anche il tempio di Giove Capitolino e si portò via metà del tetto, che era fatto di bronzo della miglior qualità e per di più rivestito di uno spesso strato d’oro, tanto da presentarsi alla vista come qualcosa di veramente stupendo e prezioso. Invero, una delle navi di Genserico, che trasportava statue, si dice abbia fatto naufragio, ma con tutte le altre i Vandali raggiunsero il porto di Cartagine. Godigisel (359-406) fu re della tribù dei Vandali Asdingi fino alla sua morte, avvenuta nel 406. Sotto la sua guida i Vandali lasciarono la Pannonia intorno al 406, spinti alla colonizzazione di nuove terre dall'avanzata delle truppe unne. Fu ucciso in battaglia il 313 dicembre del 406 poco prima che la sua tribù, con l'aiuto degli Alani, sconfisse i Franchi presso la città di Treviri, oltrepassando il Reno e invadendo la Gallia. Si sposò con una nobile di origine vandala di nome Flora nel 374. Dalla loro unione naquero il primogenito Gunderico, che condusse i Vandali in Gallia e Spagna e Gelmer. Da una relazione con una serva nacque invece Genserico che, dopo la morte del fratellastro, condusse i Vandali alla conquista dei territori del Nordafrica. Predecessore: Miecislao I Re dei Vandali 359-406 Successore: Gunderico Gunderico (379 – Siviglia, 428) è stato un sovrano vandalo. Fu il re dei Vandali (407-428) e degli Alnni (419 - 428), nella penisola Iberica. Fu il re che condusse i Vandali, popolazione germanica originariamente stanziata lungo le rive dell‘Oder, nell'odierna Polnia, a prendere parte alle invasioni barbarice che sconvolsero l'Impero romano d'occidente durante il V secolo. Biografia Era figlio di Godigisel, il re dei Vandali Asdingi e di una nobile vandala, Flora. Suo padre portò la tribù degli Asdingi a stanziarsi presso il fiume Reno, frontiera naturale dell'impero romano. Nel 406 i Vandali entrarono in guerra contro i Franchi, che cercarono inutilmente di respingere la loro avanzata. Durante uno di questi scontri, nel 407, Godigisel fu colpito a morte. A questi successe Gunderico. Guidati da lui i Vandali della tribù degli asdingi attraversarono rapidamente la Gallia, razziando i villaggi e le città che incontravano lungo il loro cammino, superando nel 410 i Pirenei e stabilendosi nella penisola Iberica, nella regione nominata Betica e oggi nota come Andalusia. Dall'arrivo delle truppe di Gunderico venne infatti chiamata "Vandalusia". Quel che sappiamo sulla storia della penisola iberica in questo periodo ci è stato tramandato dal Chronicon del vescovo asturiano Idazio Lemico (morto nel 470). Per due anni le popolazioni barbare che erano giunte nella penisola iberica, tre di origine germanica, i Vandali asdingi, i Vandali silingi ed i Suebi, e una non germanica, gli Alani, si aggirarono per le fiorenti campagne iberiche, abbandonandosi al saccheggio ed alle devastazioni. Dopo aver adottato un atteggiamento più pacifico trovarono un accordo con l'imperatore onorio: ottennero da Roma lo status di foederati, in cambio del giuramento di fedeltà all'imperatore (410). Nel 411, l'imperatore assegnò loro delle terre, tramite sorteggio; ai Suebi ed ai Vandali asdingi toccò la Gallaecia, ai Vandali silingi la Betica ed agli Alani, la fazione più numerosa, la Lusitania e la Chartaginensis (con capitale Cartagena). La pace durò solo pochi anni e già nel 416, il re dei Visigoti, Walia si presentò, a nome dell'imperatore, nella penisola iberica con un possente esercito per liberarla dai barbari; attaccò, per primi, i vandali silingi che, dopo diversi scontri, nel 418, furono annientati ed il loro re, Fredbal, fu inviato prigioniero a Ravenna, dall'imperatore. Quindi furono presi di mira gli Alani, e sempre nel 418, Attaco, re degli Alani, morì in una sanguinosa battaglia contro i Visigoti, guidati da Walia. Gli Alani, gravemente sconfitti, rinunciarono ad eleggere un nuovo re e molti dei sopravvisuti chiesero protezione a Gunderico il quale, essendo, al momento, uscito indenne da questa guerra tra barbari, che aveva visto lo sterminio della tribù dei Vandali silingi, accettò la loro corona, diventando da allora re dei Vandali e degli Alani. Walia, alla fine del 418, fu richiamato in Gallia dal generale Flavio Costanzo, e fu la salvezza per Suebi e Vandali asdingi, che, scampato il pericolo, attaccarono i loro vicini Suebi, che si dovettero ritirare verso i monti cantabrici. Praticamente Gunderico aveva messo sotto assedio il re dei Suebi, Ermerico, arroccato con i propri guerrieri sui monti Nerbase. La guerra si concluse, nel 419, con l'intervento delle milizie romane, in soccorso dei foederati Svevi, e la ritirata dei Vandali di Gunderico nella Betica, loro assegnata. Alcuni anni dopo, sia nel 421 che nel 422, le orde vandale, guidate da Gunderico, riportarono una grande vittoria, grazie alla slealtà dei visigoti nei confronti dei Romani, contro un esercito romanogotico guidato da Castino: molti porti iberici furono catturati, le galee requisite dai barbari. I Vandali diventarono così la prima popolazione teutonica a sviluppare una propria marina con la quale arrivarono poco dopo, nel 425, a sbarcare in Mauritania e sulle Baleari. In quegli stessi anni caddero anche gli ultimi due baluardi romani nel sud della penisola iberica: Cartagena e Siviglia. Dopo la morte di Gunderico, avvenuta intorno al 428 a Siviglia, venne eletto nuovo sovrano il fratellastro Genserico il quale, lasciando la Spagna in mano ai Visigoti, si volse alla conquista dell'Africa romana. Predecessore: Re dei Vandali e degli AlaniSuccessore: Godigisel 407–428 Genserico Genserico di Godigisel (Balaton, 389 – Cartagine, 477) è stato un sovrano vandalo. Fu il re dei Vandali e degli Alani (428 477), prima nella nella penisola iberica e poi in Africa. Fu una delle figure chiave dell'ultimo e tumultuoso periodo di vita dell'Impero romano d'Occidente (V secolo). Condusse i Vandali, gli Alani ed una parte di Visigoti sbandati dalla penisola iberica al Nordafrica, fondando un regno che in pochi anni trasformò un "insignificante" popolo germanico in una delle maggiori potenze mediterranee; nel 455 guidò i Vandali nel Sacco di Roma. Ascesa al trono e conquista dell'Africa Era figlio illegittimo di Godigisel, il re dei Vandali Asdingi. Dopo la morte del padre, nel 406, Genserico divenne il secondo uomo più potente tra i Vandali, dopo il nuovo sovrano, il fratellastro Gunderico.Alla morte di quest'ultimo (428), Genserico divenne re. Versato nell'arte militare, iniziò subito ad accrescere il potere e la ricchezza del suo popolo, che all'epoca risiedeva nella Betica, nel sud della penisola iberica. Dato che i Vandali avevano subito numerosi attacchi da parte dei Visigoti, Genserico, poco dopo essere salito al trono, decise di lasciare loro la Spagna. Infatti, sembra che avesse iniziato a costruire una flotta ancora prima di aver preso il potere. Nel 429 Genserico guidò il suo popolo (circa 80.000 persone, di cui 15000 in armi) nell'Africa, richiamatovi dalla situazione di caos venutosi a creare per la rivolta dei Mauri, che l'autorità imperiale non riusciva a controllare e forse chiamato dal generale romano Bonifacio caduto in sospetto presso la corte romana e vicino alla resa dei conti con il generale Ezio e l'imperatore Valentiniano III. Mentre la popolazione si radunava al porto di imbarco di Julia Traducta, sulla punta più meridionale della penisola iberica, Genserico si volse contro i Suebi che, approfittando della partenza dei rivali, avevano invaso la Lusitania, e li sbaragliò. Portata a termine la traversata (di circa 15 km) i Vandali si riversarono in Mauritania (l'odierno Marocco e l'attuale Algeria nordoccidentale), dove conquistarono Caesarea (l'attuale Cherchel, vicino ad Algeri) e l'attraversarono tutta. Giunto in Numidia Cirtensis o Cirtana (l'odierna Algeria orientale), Genserico vinse molte battaglie contro i romani, conquistandola, nel 430. I Romani si erano però asserragliati nelle città, in particolare a Cirta ed Ippona; Bonifacio si era chiuso in Ippona, cui Genserico pose l'assediò (durante l'assedio, il 28 agosto 430, morì sant'Agostino), ma, mancandogli le tecniche ed i macchinari per l'assedio, non riusciva a prenderla; nel frattempo, inviato dall'imperatore d'Oriente, Teodosio II, era giunto, guidato da Aspar, un contingente militare che unitosi alle truppe di Bonifacio, attaccò Genserico che ripetutamente, nel 431, li sconfisse, costringendo Aspar a rientrare a Bisanzio e Bonifacio a rinchiudersi nuovamente a Ippona, che, intensificato l'assedio, finalmente cadde e fu conquistata da Genserico. Dato che Bonifacio era stato richiamato in Italia (432), Genserico invase la Numidia proconsolare (le province di Zeugitana e di Byzacena). La guerra cominciava a pesare perché i Vandali avevano subito molte perdite e, a parte Ippona, non avevano conquistato le città ed infine si profilava una nuova spedizione imperiale guidata da Aspar, per cui furono intavolate trattative con l'imperatore Valentiniano III; il trattato di pace fu firmato ad Ippona l'11 febbraio 435 che riconobbe i Vandali al servizio dell'impero romano, come foederati, per il proconsolato di Numidia Cirtana, con capitale Ippona, senza cessione formale di alcun territorio. Consolidamento del regno dei Vandali Genserico, radunate le sue forze, cominciò a comportarsi come un sovrano autonomo, destituendo sacerdoti ortodossi, che si opponevano all'arianesimo, e, dal 437, cominciò ad esercitare la pirateria; pirati vandali, in quell'anno, razziarono le coste siciliane. Il 19 ottobre 439 prese Cartagine, senza colpo ferire; ci fu saccheggio con atti di violenza, ma, stando alle cronache dell'epoca, nessun edificio fu deliberatamente distrutto o danneggiato; il clero cattolico e la nobiltà vissero il dramma della schiavitù o dell'esilio e tutte le proprietà ecclesiastiche vennero trasferite al clero ariano. Essendosi impadronito di una parte della flotta navale romana d'occidente, ormeggiata nel porto di Cartagine, nel 440, organizzò incursioni in tutto il Mar Mediterraneo, sopratutto in Sicilia e Sardegna, i due granai dell'impero d'occidente, e Corsica e le isole Baleari. Nel 441, essendo la flotta romana d'occidente incapace di difendersi dagli attacchi dei Vandali, arrivò nelle acque siciliane una flotta orientale, inviata da Teodosio II; i suoi navarchi però indugiarono senza agire, e quando i Persiani e gli Unni, sembra entrambi pagati da Genserico, attaccarono l'impero d'oriente, la flotta rientrò a Costantinopoli. L'imperatore d'occidente Valentiniano III, nel 442, venne a patti con Genserico riconoscendogli l'indipendenza e la sovranità sulle terre e sui popoli da lui conquistati, cioè la Mauretania Tingitana (attuale Marocco, donde si controllava lo stretto di Gibilterra), la Numidia Cirtensis, la Zeugitana e la Byzacena (l'insieme delle tre costituisce l'Algeria orientale e la Tunisia attuali). In questo modo fu raggiunta la pace. Nel 455, il 16 marzo, l'imperatore Valentiniano III, responsabile dell'uccisione di Ezio, fu a sua volta assassinato dai seguaci di Ezio. Genserico,non riconoscendo l'usurpatore Petronio Massimo (che sembra fosse coinvolto in entrambi gli omicidi) ritenne decaduto il precedente trattato stipulato con Valentiniano. Da qui il pretesto per salpere alla volta dell'Italia (una leggenda narra che fosse l'imperatrice, Licinia Eudossia, a chiamarlo); sbarcati a Porto, i Vandali affiancati da guerrieri Mauri marciarono su Roma, i cui abitanti si diedero alla fuga; Massimo, invece di combattere, si preparava anche lui alla fuga, ma fu ucciso da un soldato della sua guardia. Alla porta Portuense papa Leone I si fece incontro a Genserico e lo implorò di risparmiare la città e la sua popolazione. Genserico accettò e venne quindi accolto con il suo esercito. Sebbene la storia parli del violento saccheggio della città eterna da parte dei vandali (da qui la parola 'vandalismo'), in realtà Genserico onorò il suo giuramento: non vi furono né eccidi, né incendi, né dissennate distruzioni e i suoi uomini non devastarono Roma, rispettando le chiese cristiane. Comunque portarono via denaro e tesori (furono spogliati il palazzo imperiale, il tempio di Giove Capitolino, col suo tetto aureo ed altri) e Genserico condusse con sé la vedova di Valentiniano, Licinia Eudossia, e le sue figlie, Eudocia (che, giunta a Cartagine, fu data in moglie a Unerico) e Placidia ed il figlio di Ezio, Gaudenzio e molti notabili romani, che al rientro a Cartagine furono divisi, come schiavi, tra i partecipanti alla spedizione. Guerre con l'Impero romano Avito, nuovo imperatore d'occidente dal 9 luglio 455, cercò, senza risultati, l'adesione dell'imperatore d'oriente, Marciano, per un'offensiva comune contro i Vandali; anzi Genserico occupò le restanti province della Mauretania (l'attuale Algeria centrooccidentale), con i Mauri pronti a riconoscere l'autorità vandalica. All'inizio del 456, concluse un'alleanza con i Suebi di Rechiaro, che, rotto il trattato con l'impero, invase i territori della provincia Tarraconense, da cui si era ritirato pochi anni prima; nello stesso tempo Genserico attaccò le coste calabresi e siciliane. Sbarcati ad Agrigento, però i Vandali vennero sconfitti dal generale Ricimero, che, preso il mare incrociò la flotta vandala in Corsica e la sconfisse, sempre nel 456. Il regno dei Vandali e le operazioni militari dell'imperatore Maggioriano Nel 458, il tentativo di Genserico di formare in Gallia una coalizione anti-imperiale con Burgundi e Visigoti, fallì perché l'imperatore, Maggioriano, recandosi nel mese di novembre in Gallia la sventò, e poi passati i Pirenei, avanzò su Saragozza e poi sul porto di Cartagena. Da qui, nel maggio del 460, passò in Mauretania, mettendo paura a Genserico che inviò emissari per poter ottenere la pace; al rifiuto di Maggioriano, Genserico devastò la provincia e ne avvelenò i pozzi, per rallentarne l'avanzata; non solo raggiunse lo scopo, ma con l'aiuto di alcuni traditori si impadronì della flotta romana, ancorata a Illici Augusta a sud dell'odierna Alicante. Maggioriano allora venne a patti, concordò un armistizio e al suo rientro in Italia, a Tortona, perse la vita in una battaglia contro Ricimero il 7 agosto 461; in quello stesso anno sembra che Licinia Eudossia e la figlia Placidia furono liberate dietro riscatto. Tra la fine del 463 ed il 464, essendo ancora in guerra con l'impero perché non riconosceva il nuovo imperatore, Libio Severo, e poi perché non veniva accolta la sua richiesta di elevare al trono imperiale Anicio Olibrio, che, avendo nel frattempo sposato Placidia, era genero di suo figlio Unerico, fece un accordo col titolare del comando indipendente della Gallia del nord, Egidio, per attaccare contemporaneamente l'Italia; ma la cosa sfumò per l'improvvisa morte di Egidio. Comunque la situazione tra Vandali ed impero rimase tesa. Nel 467, l'imperatore d'oriente, Leone I, nominò il nuovo imperatore d'occidente, Antemio e lo fece scortare a Roma dal governatore indipendente dell' Illyricum, Marcellino, che avrebbe poi dovuto proseguire ed attaccare Cartagine; ma la mancanza di venti favorevoli abortì il tentativo; Genserico, seccato, sia per la mancata nomina ad imperatore d'occidente di Olibrio, che per l'ordine di Leone I di aggredire il suo regno, cominciò da qull'anno ad attaccare anche le coste dell'Illiria, dell'Epiro e della Grecia, non risparmiando neppure Alessandria. Nel 468 il regno di Genserico fu l'obiettivo dell'ultimo sforzo militare congiunto delle due parti dell'Impero, teso a sottomettere i vandali. Ma mentre i vandali, venivano sconfitti dai generali bizantini, in Tripolitania, e perdevano la Sardegna ad opera di marcellino con parte della flotta, Genserico, sorprese ed incendiò il grosso della flotta nemica al comando del generale romano d'Oriente Basilisco a Capo Bon; meno della metà delle navi scamparono in Sicilia. Mentre Marcellino, riunite le due flotte, si accingeva a salpare per Cartagine, nell'agosto dello stesso anno, fu assassinato da un suo subalterno (forse sicario di Ricimero). Genserico rimase signore incontrastato del Mediterraneo occidentale fino alla sua morte, regnando dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania. Nel 474 stipulò la pace perpetua con l'Impero romano d'Oriente, anzi permise a Severo, rappresentante dell'imperatore, Zenone, di riscattare quanti più prigionieri e schiavi romani avesse potuto (quelli della sua famiglia li affrancò gratuitamente), concesse completa libertà di culto agli ortodossi e permise la nomina di un nuovo titolare alla carica vescovile di Cartagine (vacante dal 457). Da parte sua, Zenone, nel 476, confermò a Genserico il possesso di tutta la provincia d'Africa (dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania), le isole Baleari (comprese le isole Pitiuse), la Corsica, la Sardegna e la Sicilia (quest'ultima, eccettuata la città di Lilibeo, di interesse strategico, fu ceduta ad Odoacre in cambio di un tributo annuo). Morì il 25 gennaio del 477, all'età di 87 anni (77 secondo alcune fonti), a Cartagine. In politica interna egli dette libertà di religione ai cattolici, ma volle che tutti i suoi stretti collaboratori si convertissero all'arianesimo. Durante il suo regno le tasse gravarono soprattutto sulle spalle delle ricche famiglie romane e del clero cattolico. Predecessore: Gunderico Re dei Vandali e degli Alani 428-477 Successore: Unerico Unerico (... - 23 dicembre 484) fu Re dei Vandali e degli Alani (477– 484) e il primogenito di Genserico. Sposò Eudocia, figlia dell'imperatore romano d'occidente Valentiniano III (419–455), ma la ripudiò nel 472. Interruppe la politica espansionistica del padre concentrandosi più specificatamente sugli affari interni al proprio regno. Appena salito al trono, temendo una congiura nei suoi confronti, inaugurò il proprio regno facendo uccidere due dei suoi sei fratelli, Teudorico e Teodorico, insieme ai loro figli e alle loro mogli. Nonostante la sua fede ariana si dimostrò all'inizio del suo regno tollerante con coloro che professavano la religione cattolica arrivando a permettere l'elezione di un nuovo vescovo di Cartagine nel 481, su richiesta dell'imperatore Zenone. Perseguitò inoltre gli adepti dell'eresia manichea. Presto iniziò tuttavia a perseguitare anche i cattolici punendo tutti coloro della sua etnia che si erano convertiti e cercando di incamerare tutti i loro possedimenti. Desistendo dal suo intento a causa delle proteste dell'imperatore di Bisanzio, arrivò comunque ad esiliare un gran numero di individui a causa del loro credo religioso. La sua politica nei confronti della religione era contradittoria al punto che, dopo aver permesso il 1 febbraio 484 un concilio tra vesvovi ariani e cattolici il 24 febbraio dello stesso arrivò a dichiarare con un editto quest'ultimi eretici qualora non avessero abbracciato la dottrina ariana. Al loro deciso rifiuto migliaia di cattolici furono allora esiliati in Corsica e in veri e prori campi di concentramento nell'entroterra africano, dove morirono a centinaia per le condizioni di vita estreme e per la disidratazione. I più fortunati furono rimossi dagli uffici divini ma fu permesso loro di rimanere presso le precedenti diocesi. Molti, torturati e bruciati vivi sul rogo, subirono il martirio in quella che fu una delle più crudeli persecuzioni della storia della cristianità. Per quel che concerne la politica estera Unerico, anche se non godette della stima e del prestigio del padre, riuscì a far mantenere ai Vandali il controllo delle isole del mediterraneo occidentale, rafforzando ulteriormente la marina. Nell'entroterra africano tuttavia i Berberi iniziarono sotto il suo regno la conquista della regione corrispondente grossomodo all'odierna Algeria, creando ai Vandali non pochi problemi logistici a causa dei loro continui attacchi che minaccivano i collegamenti e le comunicazioni tra i possedimenti di Cartagine e Tangeri. Per quel che riguarda la politica interna dello stato resse il potere in modo sanguinario, arrivando a far assassinare alcuni membri della stessa famiglia reale. Fu il primo Vandalo a fregiarsi del titolo di Re dei Vandali e degli Alani. Colpito alla fine del 484 dalla peste (considerata dai cattolici una punizione divina per le sue persecuzioni) morì dopo pochi giorni il 23 dicembre del medesimo anno. Gli succedette il nipote Gutemondo (che regnò dal 484 al 496). Predecessore: Genserico Re dei Vandali e degli Alani 477-484 Successore: Gutemondo Gutemondo (ca. 450-496), re dei Vandali e degli Alani (484-796), e stato il terzo sovrano del Regno nordafricano dei Vandali. Successe a suo zio Unerico i cui metodi brutali di governo avevano alienato il sostegno di gran parte della popolazione. Fu il secondo figlio di Gento, il quarto e più giovane figlio di Genserico, fondatore del Regno dei Vandali in Africa. Poiché tutti i successori di Genserico morirono giovani, alcuni uccisi dallo stesso Unerico che vedeva in loro un pericolo per il proprio dominio, Guntamondo si trovò infatti ad essere il discentente maschio più anziano della dinastia degli Hastingi, quando lo zio morì nel 484. Nonostante quest'ultimo avesse cercato di far salire al trono il figlio, Guntamondo fu proclamato Re in accordo con le norme di successione introdotte dal nonno.Guntemodo beneficiò per tutto il periodo in cui regnò del fatto che i più potenti rivali dei Vandali, Visigoti, Ostrogoti e Impero Bizantino, erano impegnati in lunghe e sanguinose guerre, che impedirono loro di dedicarsi alla conquista del Regno Vandalo che, dopo aver toccato il suo apogeo sotto Genserico, subiva ora un rapido declino. Guntemodo, pur professando come il suo predecessore la religione ariana, cessò le persecuzioni dei cattolici, riconsegnando al culto cattolico la Basilica di Sant'Agileo e provocando il loro ritorno in massa sulle coste dell'Africa settentrionale. Stabilizzò quindi la situazione economica interna, portata da Unerico sull'orlo del collasso. Morì nel 496, a quarantasei anni, durante una partita di caccia al cervo. A lui successe il fratello Trasamondo, che fu molto meno efficace del suo predecessore nel governo del Regno. Predecessore: Unerico Re dei Vandali e degli Alani 484-496 Successore: Trasamondo Trasamondo (450-523), Re dei Vandali e degli Alani (496-523), è stato il quarto sovrano del Regno Vandalo del Nordafrica e, dopo suo nonno Genserico, fu colui che regnò più a lungo tra i sovrani Vandali d'Africa. Trasamondo fu il terzogenito del quarto figlio di Genserico e salì al trono nel 496 solo perché tutti i figli di questo e il suo stesso fratello, Re Gutemondo, erano morti in età relativamente giovane. Dopo la morte del suo predecessore fu uno degli unici due nipoti di Genserico ancora in vita e come tale salì al trono grazie alla legge sucessoria emessa da quest'ultimo che prevedeva l'incoronazione del più vecchio membro della dinastia degli Hastingi ancora in vita. Viene solitamente considerato un sovrano inadatto al suo ruolo. Sotto la sua guida il Regno dei Vandali subì continui attacchi dalle popolazioni vicine che ne minarono significativamente l'integrità territoriale. Gli attacchi delle popolazioni berbere portarono infatti alla perdita di quasi tutto il territorio che oggi fa parte dell'Algeria. Negli ultimi anni del suo regno inoltre l'importante città portuale di Leptis Magna, sulla costa mediterranea, fu saccheggiata e distrutta dai Berberi mettendo in risalto l'estrema debolezza in cui si trovava il Regno dei Vandali. Riuscì tuttavia a mantenere e consolidare una forte presa su quello che è considerato il "cuore" del Regno, oggi corrispondente al territorio tunisino e alla parte più orientale dell'Algeria. La definitiva fine delle persecuzioni contro i cattolici, iniziate dallo zio Unerico, gli permise inoltre di far progredire significativamente le relazioni con l'Impero Bizantino. Trasamondo morì nel 523. Gli successe il cugino Ilderico, primogenito di Unerico. Predecessore: Gutemondo Re dei Vandali e degli Alani 496-523 Successore: Ilderico Ilderico (c. 460 - 533), Re dei Vandali e degli Alani (523-530) fu il penultimo sovrano del Regno dei Vandali del Nordafrica. Ebbe un ruolo fondamentale nella scomparsa di quest'ultimo, avvenuta nel 534. Ilderico fu il nipote del leggendario Re Genserico, che fondò il regno dei Vandali in Africa. Suo padre fu il figlio di quest'ultimo, Unerico, e sua madre fu Eudocia, la figlia dell'imperatore romano Valentiniano III. Nonostante i suoi nobili natali già prima della sua salita al trono diventò inviso dalla maggior parte della popolazione poiché, invece di praticare l'arianesimo come i suoi predecessori, Ilderico, così indotto dalla madre, si era da tempo convertito al cattolicesimo, suscitando non poche critiche. A renderlo ulteriormente impopolare di fronte alla propria gente fu la sua omosessualità, considerata dai Vandali come estremamente riprovevole. Il regno di Ilderico viene ricordato per le eccellenti relazioni che vennero a istaurarsi tra questi e l'Impero Bizantino, a quel tempo guidato dagli imperatori Giustino I e Giustiniano I che vedevano in lui un alleato perché cattolico, discendente da una importante famiglia di antica nobiltà romana e poiché, prima di salire sul trono, aveva vissuto per quasi quarant'anni a Costantinopoli, al seguito della ripudiata Eudocia, dove era rimasto in ottimi rapporti con i membri della corte imperiale. Ilderico permise la nomina di un nuovo vescovo cattolico a Cartagine, capitale dello stato, e molti Vandali iniziarono a convertirsi al cattolicesimo. Questo allarmò la nobiltà vandala, strettamente legata alla religione ariana e alle proprie tradizioni.Poiché infine al momento della sua ascesa al trono Ilderico aveva all'incirca sessant'anni ed era poco propenso ad occuparsi di questioni militari, preferendo a queste i libri di filosofia e la compagnia dei giovani efebi, si disinteressò completamente delle operazioni belliche dei Vandali e delegò per esse il proprio fratello Hoamer. Nei suoi sette anni di governo l'esercito Vandalo subì numerose sconfitte da parte dei Berberi che strapparono al Dopo sette anni del suo regno, nel 530, la nobiltà vandala, stanca di questo stato di cose, lo depose con un colpo di stato e instaurò al suo posto il capo della rivolta, Gelimero, cugino di Ilderico e come tale facente parte della casata degli Hastingi, il quale si presentò come il difensore della religione dei padri. Dopo essere stato proclamato Re dei Vandali e degli Alani, reinstaurò l'Arianesimo come religione di stato. Ilderico fu imprigionato ma non venne ucciso. Giustiniano I, che vedeva in Ilderico un alleato e un prezioso interlocutore nel precario equilibrio in cui era venuta a trovarsi il bacino mediterraneo, protestò aspramente contro Gelimero e impose il ritorno al potere di Ilderico. Quando Gelimerò rifiutò dichiarò nel 533 guerra ai Vandali. Ilderico fu allora ucciso per ordine del nuovo Re. Predecessore: Trasamondo Re dei Vandali e degli Alani 523-530 Successore: Gelimero Gelimero (480-553) fu re dei Vandali e degli Alani dal 530 al 534. Fu l'ultimo comandante del Regno nord-africano dei Vandali. Divenne Re nel 530 dopo aver deposto suo cugino Ilderico che aveva irritato la nobiltà vandala a causa della sua conversione al Cattolicesimo. La maggior parte di loro infatti era devota all'Arianesimo. L'imperatore d'oriente Giustiniano I, che appoggiava Ilderico e voleva restaurare l'impero nel Nord Africa, dichiarò guerra ai Vandali. L'esercito vandalo oppose una grande resistenza al generale bizantino Belisario e al suo esercito, ma fu sconfitto due volte nel 533 nella battaglia di Ad Decimum e nella battaglia di Ticameron. Nel 534 cosciente che non avrebbe mai potuto riconquistare il suo regno, si arrese a Belisario accettando le offerte dei Bizantini. Secondo Procopio (La guerra vandalica, II, 9) Belisario portò Gelimero a Costantinopoli per festeggiare il trionfo sui Vandali e questi, giunto sotto la tribuna imperiale, si gettò ai piedi dell'imperatore in atto di riverenza. L'imperatore lo ricompensò donandogli delle terre dove vivere con la famiglia in Galazia. Non poté diventare però un patrizio perché non abiurò la sua fede ariana. Predecessore: Ilderico Re dei Vandali e degli Alani 530-534 Successore: ---