L’Europa romano-barbarica
Le invasioni barbariche costituirono un periodo ininterrotto (dal 166 al 476 d.C.) di scorrerie
all'interno dei confini dell'Impero Romano fino alla caduta della sua parte occidentale, condotte inizialmente
per fini di saccheggio e bottino da genti armate appartenenti alle popolazioni che gravitavano lungo le
frontiere settentrionali: Pitti, Caledoni e Sassoni in Britannia; le tribù germaniche di Frisi, Sassoni, Franchi,
Alemanni, Burgundi, Marcomanni, Quadi, Lugi, Vandali, Iutungi, Gepidi e Goti, le tribù daciche dei Carpi,
quelle sarmatiche di Iazigi, Roxolani ed Alani, oltre a Bastarni, Sciti, Borani, Eruli,ed Unni lungo i fiumi
Reno-Danubio ed il Mar Nero. A partire dalla seconda metà del IV secolo si trasformarono da semplici
scorrerie in vere e proprie migrazioni di intere popolazioni.
Alla morte di Antonino Pio, l'Impero Romano, ormai in pace da lungo tempo, subì una serie di
attacchi contemporanei lungo molti dei suoi fronti. I Pitti nella Scozia premevano contro il vallo di Antonino,
la Spagna subiva le continue scorrerie dei pirati Mauri, mentre in Germania, tra l’alto Danubio ed il Reno, i
Catti e i Cauci penetravano oltre le frontiere e lungo le coste, invadendo la Gallia Belgica e gli Agri
Decumates. Il nuovo sovrano partico Vologese III, divenuto re nel 148, occupava l’Armenia, ponendo sul
suo trono il fratello Pacoro, per poi invadere la vicina provincia romana di Siria (161).
Sembrava di essere tornati al periodo delle grandi guerre dell'epoca di Traiano o di Augusto, mentre
nell'Europa Centro-Orientale il mondo barbaro era scosso da forti agitazioni interne e da movimenti
migratori tra le sue popolazioni che tendevano a modificare gli equilibri con il vicino mondo romano.
All’interno e ai margini della massa germanica si erano verificati, infatti, movimenti e mescolanze di
popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica, con l’avvento di un fenomeno nuovo tra i
Germani: interi popoli (come Marcomanni, Quadi e Naristi, Vandali, Cotini, Iazigi, Buri ecc.), si
raggrupparono in coalizioni di natura più che altro militare, imprimendo una maggior pressione sul vicino
limes danubiano. Vi è da aggiungere che certamente, la spinta dei Germani Orientali (su tutti i Goti),
contribuì ad alimentare questa spinta, ed i popoli confinanti con l'Impero Romano, non disponendo di ampi
spazi di fronte a loro, decisero di dare per primi l’assalto alle province renano-danubiane.
L'aver dovuto sguarnire, inoltre, buona parte del settore di limes danubiano, con il trasferimento in
Oriente (per la guerra partica del 162-166) di una parte dei contingenti militari che difendevano i confini
reno-danubiano, facilitò l’offensiva barbarica di questi anni. Fu così che appena terminata la guerra partica,
cominciava lungo la frontiera europea una nuova guerra contro le popolazioni germano-sarmatiche
dell'Europa continentale, nota col nome di Guerre Marcomanniche.
Le invasioni barbariche di Angli, Sassoni, Franchi, Goti, Visigoti, Ostrogoti, Unni e Vandali tra il IV e V secolo
Nel 166/167, avvenne il primo scontro lungo le frontiere della Pannonia, ad opera di poche bande di
predoni Longobardi e Osii, che, grazie al pronto intervento delle truppe di confine, furono prontamente
respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a Nord del Danubio fu gestita
direttamente dagli stessi imperatori, Marco Aurelio e Lucio Vero, ormai diffidenti nei confronti dei barbari
aggressori e recatisi per questi motivi fino nella lontana Carnuntum (nel 168).
La morte prematura del fratello Lucio (nel 169) ed il venir meno ai patti da parte dei barbari portò una
massa mai vista prima di allora a riversarsi in modo devastante nell'Italia Settentrionale fin sotto le mura di
Aquileia, il cuore della Venetia. Enorme fu l'impressione provocata: era dai tempi di Mario che una
popolazione barbara non assediava dei centri del Nord Italia.
Marco Aurelio combatté una lunga ed estenuante guerra contro le popolazioni barbariche, prima
respingendole e "ripulendo" i territori della Gallia Cisalpina, Norico e Rezia (170-171), poi contrattaccando
con una massiccia offensiva in territorio germanico, che richiese diversi anni di scontri, fino al 175. Questi
avvenimenti costrinsero lo stesso imperatore a risiedere per numerosi anni lungo il fronte pannonico, senza
mai far ritorno a Roma. La tregua apparentemente sottoscritta con queste popolazioni, in particolare
Marcomanni, Quadi e Iazigi, durò però solo un paio d'anni. Alla fine del 178 l'imperatore Marco Aurelio era
costretto a fare ritorno nel castrum di Brigetio da dove, nella successiva primavera del 179, fu condotta
l'ultima campagna. La morte dell'imperatore romano nel 180 pose presto fine ai piani espansionistici romani
e determinò l'abbandono dei territori occupati della Marcomannia.
La crescente propensione bellica da parte di Germani e Sarmati era dovuta principalmente alla
struttura tribale della loro società: la popolazione, in costante crescita e sospinta dai popoli orientali,
necessitava di nuovi territori per espandersi, pena l'estinzione delle tribù più deboli. Da qui la necessità di
aggregarsi in federazioni etniche di grandi dimensioni, come quelle di Alemanni, Franchi e Goti, per meglio
aggredire il vicino Impero: Roma provava ad impedirne l'espansione trincerandosi dietro una linea continua
di fortificazioni, estesa tra il Reno e il Danubio e costruita proprio per contenerne la pressione.
Le invasioni del III secolo, secondo tradizione, ebbero inizio con la prima incursione condotta della
confederazione germanica degli Alemanni nel 212 sotto l'imperatore Caracalla, per terminare con
l'abdicazione di Diocleziano a vantaggio del nuovo sistema tetrarchico nel 305.
Nel corso di questo secolo, il III, l'Impero attraversò un periodo di grande instabilità interna dello
Stato causata dal continuo alternarsi di imperatori ed usurpatori in un clims di anarchia militare. Le guerre
interne non solo consumarono inutilmente importanti risorse negli scontri tra i vari contendenti, ma - cosa
ben più grave - sguarnirono le frontiere, consentendo lo sfondamento da parte delle popolazioni barbariche
che si trovavano lungo il Limes.
Fu grazie anche alla successiva divisione, interna e provvisoria, dello Stato romano in tre parti (ad
occidente l'impero delle Gallie, al centro Italia, Illirico e province africane, ad oriente il Regno di Palmira)
che l'Impero riuscì a salvarsi da un definitivo tracollo e smembramento. Ma fu solo dopo la morte di Gallieno
(268), che un gruppo di imperatori-soldati di origine illirica (Claudio il Gotico, Aureliano e Marco Aurelio
Probo) riuscì infine a riunificare l'impero in un unico blocco, pur avendo dovuto rinunciare, nel corso delle
guerre civili che si erano susseguite per circa un quarantennio, sia alla regione degli Agri decumates (260
circa), sia alla provincia di Dacia (256-271).
Lo sforzo intrapreso dagli augusti che si erano susseguiti già nel corso del III secolo e poi nel IV
secolo, vuoi a causa della mancanza di un progetto a lungo termine, vuoi per la crisi economica che aveva
investito il sistema tributario romano, non riuscì a salvare l'integrità dell'Impero. Era ormai chiaro che
qualsiasi sforzo per il mantenimento dello status quo non avrebbe prodotto i risultati sperati. Diocleziano e
la sua tetrarchia, Costantino I e la sua dinastia, poterono solo rallentare questo processo. Dopo la terribile
disfatta di Adrianopoli del 378, gli imperatori romani furono infatti costretti a "subire" la presenza dei barbari
sia all'interno sia all'esterno dei confini imperiali, una delle principali cause della disgregazione ed
allontanamento tra la parte occidentale ed orientale dell'impero. Teodosio, infatti, chiamato alla guida
dell’impero d’Oriente da Graziano dopo la morte di Valente, ed i suoi successori adottarono una nuova
strategia di contenimento nei confronti dei barbari. Dopo quell’evento infatti gli imperatori, incapaci di
fermare le invasioni militarmente, cominciarono ad adottare una politica basata sui sistemi della hospitalitas
e della foederatio.
L'estrema agonia di Roma iniziò quando, intorno al 395, i Visigoti si ribellarono. La morte di Teodosio
I e la divisione definitiva dell'impero romano d'Occidente e d'Oriente tra i due suoi figli Onorio I e Arcadio,
portò il generale visigoto Alarico a rompere l'alleanza con l'impero ed a penetrare attraverso la Tracia fino
ad accamparsi sotto le mura di Costantinopoli. Contemporaneamente gli Unni invasero la Tracia e l'Asia
Minore mentre i Marcomanni la Pannonia. Fu solo grazie all'intervento del generale Stilicone, che, seppur
bloccato dall'autorità di Arcadio, poté fermare sul nascere un possibile assedio della capitale d'Oriente.
Nel 402 sempre i Visigoti tentarono un nuovo colpo di mano assediando Mediolanum, l'altra capitale
imperiale (questa volta della parte occidentale) dove si era rifugiato Onorio. Fu solo grazie ad un nuovo
intervneto di Stilicone che la città fu salvata, ed Alarico fu costretto a togliere l'assedio.
Pochi anni più tardi, nel 410, i tentativi di Alarico ottennero un importante successo. Grazie
soprattutto alla morte di Stilicone, unico baluardo della romanità, egli riuscì a penetrare in Italia ed mettere a
sacco la stessa Roma.
Divisione dell’impero in tre parti: Imperium Romanum, Imperium Galliarum, Regnum Palmyrae
A quella data, già da alcuni anni, la capitale imperiale si era trasferita a Ravenna, ma qualche storico
indica il 410 quale possibile data della la vera caduta dell'impero romano. Privato di Roma e di molte delle
sue precedenti province, con un'impronta germanica sempre più marcata, l'impero romano degli anni
successivi al 410 aveva davvero poco in comune con quello dei secoli passati. Nel 410, la Britannia era
ormai andata perduta definitivamente, come pure grossa parte dell'Europa occidentale fu messa alle strette
da ogni genere di calamità e disastri, finendo in mano a regni romano-barbarici formatisi all'interno dei suoi
originari confini e comandati da Vandali, Svevi, Visigoti e Burgundi.
Vi fu solo un timido tentativo di ripristinare l'antico splendore di Roma da parte del magister militum
Ezio, che riuscì a fronteggiare provvisoriamente i barbari fino al 451, quando batté gli Unni di Attila grazie
ad una coalizione di genti germaniche federate nella battaglia dei Campi Catalaunici. La morte di Ezio nel
454 portò alla successiva fine nell'arco di un venticinquennio ed a un nuovo sacco di Roma nel 455.
Il 476 sancì infatti la fine formale dell'Impero romano d'Occidente. In quell'anno, Flavio Oreste rifiutò
di pagare i mercenari germanici al suo servizio. I mercenari insoddisfatti, inclusi gli Eruli, si rivoltarono. La
rivolta era capeggiata dal barbaro Odoacre. Odoacre e i suoi uomini catturarono e uccisero Oreste. Poche
settimane dopo, Ravenna, la capitale dell'Impero, cadde e l'ultimo imperatore Romolo Augusto venne
deposto. Questo evento viene tradizionalmente considerato la caduta dell'Impero romano, almeno in
Occidente. Tutta l'Italia era in mano a Odoacre, il quale mandò le insegne Imperiali all' imperatore d'Oriente
Zenone.
Odoacre passò così alla storia come colui che mise fine all'Impero romano d'Occidente, rompendo
pertanto la consuetudine degli imperatori fantoccio asserragliati a Ravenna, che la storiografia moderna ha
scelto come confine tra Evo antico e Medioevo. A Odoacre toccò la parte dell'Impero che comprendeva
l'Italia e le zone confinanti, mentre su altre porzioni regnarono Visigoti, gli Ostrogoti, i Franchi gli Alani, ecc.
L'impero romano d'Occidente era caduto, e le sue vestigia italiane avevano ormai ben poco della loro
originaria natura romana.
Il periodo successivo alla deposizione dell'ultimo imperatore romano Romolo Augustolo e alla fine
dell'Impero romano d'Occidente del 476 vide lo stabilizzarsi di nuovi regni romano-barbarici, che si erano
andati formando nelle ex province romane a partire dal V secolo e che, inizialmente, facevano parte e ne
erano stati formalmente dipendenti dall'impero. Contemporaneamente l'impero bizantino e i Goti
continuarono per molti anni a contendersi Roma e le aree circostanti, sebbene l'importanza della città fosse
divenuta ormai trascurabile. Dopo anni di guerre laceranti, negli anni intorno al 540 la città fu praticamente
abbandonata e avviata alla desolazione, con molti dei suoi dintorni trasformati in paludi insalubri, una fine
ingloriosa per il caput mundi che aveva dominato su molta parte del mondo conosciuto. Si giunse così ad
un'epoca in cui rimase in piedi il solo Impero romano d'Oriente.
Ostrogoti
Gli Ostrogoti (in latino Ostrogothi o Austrogothi) erano la branca orientale dei Goti, una tribù
germanica che influenzò gli eventi politici del tardo Impero Romano.
Sconfissero Odoacre, che aveva deposto Romolo Augustolo, ultimo Imperatore Romano
d'Occidente, e si insediarono in Italia. Furono poi sconfitti dai Bizantini.
La divisione dei Goti viene attestata la prima volta nel 291. La prima citazione dei Grutungi si ha in
uno scritto di Ammiano Marcellino non precedente al 392, probabilmente successivo al 395. Egli basò la
sua descrizione sulle parole di un capo Tervingio del 376. Gli Ostrogoti vengono citati la prima volta in un
documento del settembre 392 di Milano. Claudiano li cita assieme ai Grutungi che abitavano la Frigia.
Il termine "Grutungi" era un identificativo geografico usato dai Tervingi per descrivere un popolo che
si autodefiniva Ostrogoti.
Grutungi ed Ostrogoti indicarono più o meno lo stesso popolo.
Che i Grutungi fossero gli Ostrogoti era anche il parere dello storico Giordane.
Egli identificò i re Ostrogoti da Teodorico il Grande a Teodato come gli eredi del re Grutungio
Ermanarico. Questa interpretazione, nonostante sia condivisa da molti odierni studiosi, non è
universalmente condivisa. La nomenclatura di Grutungi e Tervingi cadde in disuso poco dopo il 400. In
generale, la terminologia di una tribù gotica divisa dagli altri scomparve gradatamente dopo l'assorbimento
fatto dall'impero romano.
Secondo le loro stesse tradizioni gli Ostrogoti erano originari dell'attuale isola svedese di Gotland e
la regione di Götaland.
Nel 250 si divisero dai Goti e nacque appunto il regno ostrogoto. Il primo re si chiamava Ostrogota
ed era della stirpe degli Amali.
Nel 251 gli Ostrogoti uccisero l'imperatore Decio, più tardi saccheggiarono alcune isole dell'Egeo e
conquistarono la Tracia e la Mesia.
La prima menzione di Ostrogoti si ha nel 269, quando l'imperatore Claudio II li riconobbe fra i barbari
sciti. In quell'anno Claudio II riuscì a fermare l'avanzata degli Ostrogoti.
Nelle prime fasi della loro migrazione dalla Scandinavia, gli Ostrogoti, o goti d'Oriente fondarono un
regno a nord del Mar Nero, dal III al IV secolo.
Ma nel 340 ricominciarono le scorrerie e conquistarono il regno vandalo (che prima della conquista
del nord Africa si trovava in Dacia) e presero questa popolosa regione. Dopo queste vittorie assoggettarono
popoli slavi ed arrivarono fino al Baltico, ed alcuni storici paragonarono le loro imprese a quelle di
Alessandro Magno, perché avevano creato un regno che partiva dalla Grecia ed arrivava fino al mar
Baltico.
Incalzati dagli Unni che li avevano scacciati dalla loro regione d'insediamento tra il Danubio e il Mar
Nero, gli Ostrogoti chiesero pressantemente asilo a Valente, accalcandosi ai confini dell'Impero,
precisamente lungo il Danubio. L'imperatore romano Valente accettò di accogliere le popolazioni barbare
come foederati, allo scopo di rafforzare il proprio esercito e per aumentare la base imponibile del fisco. Gli
Ostrogoti si stabilirono così nel territorio della Mesia e della Dacia.
In Italia, nel 476 il barbaro Odoacre depose l'ultimo imperatore romano Romolo, detto Augustolo, e
non osando proclamarsi imperatore si proclamò re di un misto di popoli barbari (Eruli, Sciri, Rugi, Gepidi,
Turcilingi). Egli riscattò dai Vandali con un tributo la Sicilia, che rimase dunque unita all'Italia e ne seguì le
sorti.
Caduto l'Impero Romano d'Occidente, era rimasto in piedi quello d'Oriente, il cui imperatore Zenone
intendeva riconquistare l'Occidente, in mano ai barbari. L'imperatore era preoccupato dall'intraprendenza di
Odoacre, che aveva saputo governare in modo da non urtare la suscettibilità dei Latini e da estendere i
confini del suo regno. Altra circostanza che preoccupava l'imperatore d'Oriente era la vicinanza di un
popolo bellicoso, quello degli Ostrogoti, che, guidati da Teodorico, si erano stanziati nella valle del basso
Danubio a ridosso di Costantinopoli. Zenone pensò di risolvere con una sola mossa i due problemi
indirizzando in Italia contro Odoacre l'ambizioso Teodorico, barbaro vissuto alla corte bizantina, il quale nel
493 sconfisse Odoacre e si proclamò re degli Ostrogoti, ottenendo il riconoscimento dell'imperatore
Anastasio.
Il regno ostrogoto
In numero forse di 250.000 tra uomini, donne e bambini, da Nouae risalirono la Sava condotti da
Teodorico loro re, si scontrarono con Odoacre ad Aquileia e lo batterono a Verona (489). Odoacre scese
invano nell'Italia centrale per ottener aiuti da Roma. Riguadagnata Ravenna riuscì a battere l'avversario e a
chiuderlo in Pavia: ma i Visigoti, giunti dalla Spagna in aiuto dei loro consanguinei, ruppero il blocco;
Odoacre, battuto una volta sull'Adda (agosto 490) e chiuso in Ravenna, si arrese nel febbraio del 493.
Venne infine pugnalato durante un banchetto (marzo 493).
Gli Ostrogoti costituirono un nuovo regno romano-barbarico in Italia, che si estendeva fino alla
Pannonia a nord est e alla Prouincia (l'odierna Provenza) a nord ovest. Il regno sopravvisse fino
all'intervento diretto in Italia dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I e alla susseguente guerra goto-bizantina.
I Visigoti
I Visigoti, popolo di origine germanica, appartenente alla Tribù dei Goti, furono tra quei popoli
barbari, che, con le loro migrazioni, contribuirono alla crisi e alla caduta dell'Impero romano. Dopo la fine
dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 (data canonica), i Visigoti giocarono un ruolo molto importante
nello scacchiere europeo per altri due secoli e mezzo.
Il nome Visigoti fu dato loro da Cassiodoro e letteralmente vuol dire “Goti nobili” ("Wisi" in gotico vuol
dire degni o nobili); comunque furono anche citati come Goti dell’Ovest (dal tedesco "Westgoten"), mentre i
Goti che si erano stanziati tra le foci dei fiumi Don e Dnepr furono detti Ostrogoti (Goti dell’Est, dal tedesco
"Ostgoten").
I Visigoti, alla fine del III secolo, si erano stabiliti sul confine dell’Impero Romano, sulla sponda destra
del Danubio, in quella regione che era stata parte dell’Impero ed era conosciuta come Dacia. In seguito
all’invasione degli Unni, furono ammessi in territorio romano nella provincia della Mesia, cominciarono a
servire nell'esercito romano ed ottennero un trattato che li definiva alleati di Roma e concedeva alla nazione
dei Visigoti una notevole autonomia.
Nel 395 i Visigoti, proclamato re Alarico invasero la Tracia, la Macedonia, e poi la Tessaglia,
iniziando una migrazione che li porterà in Italia, dove furono fermati da Stilicone. Alla morte di Stilicone
(408) rientrarono in Italia e nel 410, saccheggiarono Roma (Sacco di Roma), per tre giorni. Lasciata Roma
tentarono invano di raggiungere il Nordafrica, risalirono la penisola e passarono in Gallia (412), dove, dopo
un iniziale contrasto con il generale Flavio Costanzo, si stabilirono e fondarono un regno nella Gallia
meridionale (tra l’Aquitania e la Provenza), stabilendo la propria capitale a Tolosa.
Durante il V secolo i possedimenti dei Visigoti oltre all’Aquitania e alla Provenza si estesero anche
alla parte settentrionale della Penisola Iberica. Tra il 466 e il 480, re Eurico emanò infatti un codice che da
lui prende il nome, seguito pochi anni dopo dalla Lex Romana Visigothorum promulgata da Alarico II.
All'inizio del VI secolo i Visigoti furono sospinti dalla pressione dei Franchi fuori della Gallia (dove
mantennero solo la fascia costiera mediterranea, chiamata Settimania) verso la penisola Iberica, dove
diedero vita ad una società multietnica e dove era forte l'eredità politico-amministrativa romana: Toledo ne
era capitale. In seguito, dopo la metà del VI secolo, riuscirono ad espandersi a danni dei Suebi e del loro
regno, ma subirono il tentativo di conquista da parte di Giustiniano I, che per breve tempo strappò loro la
costa mediterranea. Il popolo visigoto, seguendo come di consueto la decisione del re, in questo caso
Recaredo, si convertì dall'arianesimo al credo niceno nel 589 in occasione del Concilio di Toledo.
Nel corso del VII secolo il potere regale lottò per rafforzarsi ed imporre una successione dinastica in
opposizione al sistema elettivo.
Infine all’inizio del VII secolo iniziarono le persecuzioni antiebraiche, che nel corso del secolo si
intensificarono, facendo in modo che gli Ebrei (il 10% della popolazione della Penisola Iberica durante
l’invasione araba del 711, si schierassero a fianco degli invasori.
Il regno dei Visigoti cadde a seguito della conquista effettuata dai Mori guidati dagli Arabi tra il 711 ed
713. I Visigoti resistettero, per poco, solo nella provincia Tarraconense (l'ultimo baluardo, Barcino, cadde
nel 717) ed in Settimania, che comunque fu occupata dai musulmani, tra il 720 ed il 725.
I Visigoti accettarono la tradizione giuridica romana, inizialmente l'applicazione della legge era quella
della nationes: ai Romani si applicava la legge romana, ai Visigoti la legge visigota. Nel 475 vi è
l'emanazione del Codice Visigoto di Eurico, redatto con diretta assistenza dei giuristi romani. Questo codice
fu più tardi affiancato dalla Lex Romana Visigothorum, che verrà emanata nel 506 da Alarico II. La
legislazione visigota fu la più complessa tra le legislazioni barbare e postromane, venne distrutta nel 711
con la conquista musulmana dell'intera Spagna.
Gli Unni
Gli Unni erano un popolo guerriero nomade probabilmente di stirpe turco-mongola proveniente dall'Asia
Centrale che giunse in Europa nel IV secolo. Secondo fonti locali della loro zona d'origine, gli Unni sarebbero stati
padroni incontrastati di tutta l'Asia Centrale dal tardo I secolo alla metà del V secolo.
Il nucleo originario forse risale a una tribù della Cina occidentale nota col nome di Xiongnu che durante la
dinastia Han (206 a.C.-220 d.C.), fondò un regno nelle regioni a nord dell'impero cinese sconfiggendo nel 162 a.C.
gli Yuezhi Il potere degli Xiongnu, si indebolì durante i secoli seguenti e alla fine si scisse in due gruppi, uno dei
quali, i Xiongnu Meridionali, migrò verso occidente attraverso la valle dell'Ili dopo essere stato sconfitto dai cinesi,
stabilendosi lungo il corso del Volga, invadendo i territori degli Alani, degli Ostrogoti e dei Visigoti. I Xiongnu
Occidentali invece rimasero sotto l'influenza politica dell'impero cinese.
Recenti ricerche hanno mostrato che nessuna delle grandi confederazioni di guerrieri della steppa era
etnicamente pura e, a rendere le cose più difficili, molti clan affermavano di essere Unni basandosi semplicemente
sul prestigio del loro nome; o era attribuito da estranei che li descrivevano con comuni caratteristiche, presunti
luoghi d'origine o reputazione. Sebbene sia molto difficile risalire ad un luogo di origine degli Unni, sembra che
all'inizio il nome designasse un prestigioso gruppo di guerrieri della steppa la cui origine etnica è sconosciuta.
La “fase formativa” degli Unni sembra fosse avvenuta in un’area collocabile tra il lago d’Aral e il Mar Caspio;
poi essi avrebbero aggirato il Caspio a settentrione restando a nord della catena del Caucaso per occupare un
immenso territorio fino alla palude Meotide intorno al Mar d’Azov, ricordata anche dallo storico Ammiano
Marcellino.
Gli Unni non devono essere confusi con gli Aparni ("Unni Bianchi") di cui parla Procopio, in quanto si tratta
di un ramo culturale e fisico completamente diverso, né con i Chioniti (gli Unni rossi, probabilmente i Kian-yun dei
cinesi) che comparvero sulla scena in Transoxiana nel 320, guidati dal re Kidara.
Lo storico Dioniso Periegete parla di popoli che potrebbero essere gli Unni che vivevano lungo il Mar
Caspio attorno al 200,
Non fu improvvisa la comparsa degli Unni in Europa nel Quarto Secolo, e loro non sembravano interessati
al continente finché nel 361 i Romani li invitarono a stabilirsi in Pannonia.
La calata delle orde nomadi degli Unni sulle pianure dell'Ucraina e della Bielorussia avvenne tra il 374 ed il
376 e si concretizzò come un effetto domino: vennero travolti dapprima Sarmati, Alani, Ostrogoti, Sciri, Rugi
(Battaglia del fiume Erac) e, quindi, Visigoti, Eruli, Gepidi, Burgundi, Franchi, Svevi, Vandali ed Alamanni, i quali
tra il 378 ed il 406 si abbatterono in massa sull' Impero Romano d'Occidente, disintegrandolo nel giro d'una
settantina d'anni e creando, al suo posto, i Regni Romano - Barbarici.. Nel frattempo un gruppo di Unni misto ad
Avari, a Turchi e a Bulgari, staccatosi dall'orda principale, aveva messo a ferro e fuoco l'Impero Sasanide di
Persia, stanziandosi nelle regioni comprese tra il Lago Balkash ed il Fiume Indo, ed invadendo l'India stessa.
Nel V secolo gli Unni costituirono un regno nell'Europa centrorientale incorporarono gruppi di popolazioni
tributarie. Nel caso europeo, Alani, Gepidi, Sciri, Rugi, Sarmati, Slavi e specialmente le tribù gotiche, vennero tutti
uniti sotto la supremazia militare della famiglia degli Unni. Guidati dai re Rua, Attila e Bleda, gli Unni si
rafforzarono molto. Attila (406-453) apparteneva alla famiglia reale. Nel 432 gli Unni avevano un tale potere che lo
zio di Attila, il re Rua, riceveva un consistente tributo dall'impero. Ottennero la supremazia sui loro rivali, molti dei
quali altamente civilizzati, grazie alla loro abilità militare, mobilità e ad armi come l'arco unno.
Attila, che succedette allo zio, dapprima regnò con il fratello Bleda, ma nel 445 lo fece uccidere, unificò le
tribù unne e, ponendosi alla loro guida, nel 447 avanzò nell'Illiria devastando gran parte dei territori tra il mar Nero
e il mar Mediterraneo e costringendo gli abitanti a prestare servizio nel suo esercito. Nel 447 sconfisse l'imperatore
bizantino Teodosio II, ma non riuscì a espugnare Costantinopoli poiché il suo esercito non era esperto nelle
tecniche d'assedio. Tuttavia, Teodosio fu costretto a cedere parte del territorio a sud del Danubio e a pagare agli
Unni un tributo annuale.
Un contingente di Ostrogoti (goti orientali) fu costretto ad arruolarsi nell'esercito unno e nel 451 Attila invase
la Gallia insieme a Genserico, re dei Vandali. Nella battaglia dei Campi Catalaunici (situati tra Châlons e le
Argonne) subì una sconfitta da parte dell'esercito romano guidato dal generale Flavio Ezio che, alleato con i
Visigoti (goti occidentali), a loro volta guidati da Teodorico I (419-451), costrinsero gli Unni a ritirarsi fino al Reno.
Nel 452, Attila, ancora sotto gli effetti della pesante sconfitta, invase l'Italia saccheggiando e distruggendo
Aquileia, Milano, Padova e altre città, il suo esercito era però decimato da fame e malattie. In Italia, infatti, stava
infuriando un'epidemia di colera e di malaria e la Pianura Padana non era in grado di dar sostentamento all'orda
barbarica. Attila, a sua volta debilitato e temendo l'arrivo di aiuti dall'Impero di Oriente, accettò la tregua
propostagli da un'ambasceria di Valentiniano III, guidata dal Papa Leone I che gli andò incontro presso il Mincio.
Attila morì nel 453 mentre stava preparando una nuova invasione dell'Italia.
Venne sepolto un paio di giorni dopo non lontano dalla capitale del suo regno (in realtà un campo trincerato
in legno) nella pianura ungherese. Il suo corpo venne posto in tre sarcofagi: il più interno in legno, racchiuso da un
secondo in argento puro e da un terzo in oro massiccio. Lo seguirono nella tomba tutte le sue ricchezze, il suo
cavallo, le mogli, i servi ed anche gli schiavi che scavarono la fossa, per precauzione, dimodoché nessuno fosse
in grado di rivelare il luogo esatto della sepoltura.
Durante l'invasione dell'Italia gli abitanti di Aquileia si rifugiarono sulle isole, paludi e lagune affacciate
sull'Adriatico dando luogo all'insediamento che divenne in seguito la città di Venezia.
Le lotte per la successione, seguite alla morte di Attila, dissolsero la potenza degli Unni. I Gepidi guidati da
re Ardarico, spezzarono infine il potere degli Unni nella Battaglia del fiume Nedao (454).
La memoria dell'invasione degli Unni è stata trasmessa oralmente fra le tribù germaniche, ed è una
componente importante nella Völsunga Saga e Hervarar Saga, in norvegese antico, e nel Nibelungenlied, in antico
germanico. Tutte ritraggono gli eventi di questo periodo di migrazioni, avvenute circa un millennio prima della loro
trascrizione. Nella Hervar Saga, i Goti hanno i loro primi contatti con gli arcieri unni, e si incontrano in un'epica
battaglia sulle rive del Danubio. Nella Völsunga Saga e in Nibelungenlied, re Attila (Atli in Norvegese e Etzel in
Germanico) sconfigge il re franco Sigisberto I (Sigurðr o Siegfried) e il re burgundo Gontran I (Gunnar or Gunther)
ma è successivamente assassinato dalla regina Crimilde (Gudrun o Kriemhild), sorella di quest'ultimo e moglie di
Attila.
I Vandali
I Vandali (Wandili) erano una popolazione germanica orientale come i Burgundi, i Goti, i Winili ed i
Longobardi. Dopo una prima migrazione nei territori dell'attuale Polonia (tra il bacino dell'Oder e della Vistola),
sotto la pressione di altre tribù germaniche, si spostarono più a sud, dove combatterono e sottomisero la
popolazione celtica dei Boi. Si stanziarono quindi nei territori dell'attuale Slesia e Boemia, creando una
federazione di tribù comprendente Burgundi, Rugi e Silingi, detta dei Lugi (compagni).
Migrazioni dei Vandali
Nel suo Germania, scritto nel 98, lo storico latino Tacito cita i Vandali fra le genti di origine germanica. Altra
citazione interessante proviene da Paolo Diacono, il longobardo storico del suo popolo, il quale nella sua Historia
Langobardorum, scritta verso la fine dell'VIII secolo, narra di come i Vandali e gli scandinavi Winili (Longobardi)
vennero in contatto.
Sempre secondo Paolo Diacono fu proprio in questa occasione che ai Winili venne fatto cambiare il nome
in Longobardi.
Nel II secolo d.C., all'interno e ai margini della massa germanica si erano verificati movimenti e mescolanze
di popoli, tanto da portare a trasformazioni di natura politica: intere popolazioni (come Marcomanni, Quadi, Naristi,
Cotini, Iazigi, Buri ecc.), sotto la pressione dei Germani orientali (sorattutto i Goti), furono costrette a riorganizzarsi
in sistemi sociali più evoluti e permanenti, ovvero si raggrupparono in coalizioni ("confederazioni") di natura
soprattutto militare, con la conseguenza che il limes renano-danubiano finì per essere sottoposto ad una costante
e maggiore pressione. Tale trasformazione fu anche indotta dalla vicinanza e dal confronto con la civiltà imperiale
romana, le sue ricchezze, la sua lingua, le sue armi, la sua organizzazione. Alla fine la violenta pressione di altri
popoli migranti (Goti, Vandali e Sarmati) finì per costringere queste confederazioni di popoli confinanti con l'Impero
Romano, che di fronte a loro non disponevano di ampi spazi su cui trasferirsi, a decidere di dare l'assalto
direttamente alle province renano-danubiane. E fu così che anche gli stessi Vandali, parteciparono a questa
iniziale fase di sfondamento delle frontiere romane.
La popolazione vandala era, a sua volta, divisa fra tre principali etnie: Asdingi (dal nome della casata
principale), Silingi e Lacringi. La prima testimonianza storica di un loro scontro con l'Impero romano avvenne,
quindi, secondo quanto ci raccontano lo storico Cassio Dione Cocceiano e la Historia Augusta, durante il periodo
delle cosiddette guerre marcomanniche (dal 166/167 al 188/189), al tempo degli imperatori Marco Aurelio, Lucio
Vero e Commodo. Sappiamo, infatti, che il "ramo" dei Vandali Asdingi mosse verso sud-est e che alla fine
stipularono un trattato di alleanza con i Romani, stanziandosi a nord-est della Dacia, nel bacino dei Carpazi.
I Vandali dovettero fornire armati all'Impero Romano in qualità di alleati, anche in seguito alla morte di
Marco Aurelio nel 180. Con il III secolo, a partire dagli anni 213-214, si ebbero nuove incursioni in Dacia e in
Pannonia inferiore, lungo il tratto danubiano attorno ad Aquincum, da parte dei Vandali. L'Imperatore Caracalla,
costretto ad intervenire di persona, riuscì a chiedere aiuto agli alleati Marcomanni, opponendoli ai vicini Vandali
che si stavano dimostrando da qualche tempo particolarmente ostili,
Nel 248 durante una nuova incursione di Goti, ai quali era stato rifiutato il contributo annuale promesso da
Gordiano III, si associarono anche i Vandali, portando devastazione nella provincia di Mesia inferiore.
L'invasione alla fine fu quindi fermata dal generale Decio Traiano, futuro imperatore, presso la città di
Marcianopoli, che era rimasta sotto assedio per lungo tempo. La resa fu anche possibile grazie all'ignoranza dei
Germani in fatto di macchine d'assedio e probabilmente dalla somma versata loro dagli abitanti.
Nel 270 una nuova invasione generò il panico, questa volta nelle province di Pannonia superiore ed
inferiore, che evidentemente l’imperatore Aureliano aveva sguarnito per recarsi in Italia a respingere l'invasione
degli Iutungi. Si trattava dei Vandali Asdingi, insieme ad alcune bande di Sarmati Iazigi. Ma il pronto intervento
dell'imperatore in persona costrinse queste popolazioni germano-sarmatiche a capitolare ed a chiedere la pace.
Aureliano costrinse i barbari a fornire in ostaggio molti dei loro figli, oltre ad un contingente di cavalleria ausiliaria
di duemila uomini, in cambio del ritorno alle loro terre a nord del Danubio.
Nel 276 i Vandali tornarono ad invadere i territori imperiali, assieme Lugi e Burgundi, lungo il tratto dell'altomedio corso del Danubio. Due anni più tardi, nel 278, l'Imperatore Probo affrontò Burgundi e Vandali, che erano
venuti in soccorso delle altre tribù germaniche e li sconfisse in Rezia. Al termine degli scontri furono accordate le
stesse condizioni concesse ai Lugi (con la restituzione dei prigionieri romani e del bottino razziato nelle province
romane), ma quando i barbari vennero meno alle intese, trattenendo una parte dei prigionieri, l'imperatore li
affrontò nuovamente. La coalizione germanica fu duramente sconfitta e i Romani catturarono anche il loro capo,
Igillo. Sembra che quello stesso anno Probo sconfisse un altro "ramo", più orientale, delle tribù vandaliche lungo il
medio corso del Danubio, alleate con gli Iazigi. Ancora pochi anni più tardi, nel 281, ancora Probo, sulla strada del
ritorno dall'Oriente, dopo una nuova campagna oltre il Danubio, trasferì in territorio romano molte persone delle
popolazioni di Bastarni, Gepidi, Grutungi e anche Vandali che, poco dopo ruppero nuovamente l'alleanza e,
mentre Probo era impegnato a combattere alcuni usurpatori, tornarono a compiere le solite incursioni, depredando
i territori imperiali.
Nel 335, i Vandali, che abitavano la regione compresa tra il fiume Marisus ed il Danubio, sotto la guida di
Visimar, si scontrarono con i Goti di Geberico e furono sconfitti. I superstiti chiesero a Costantino I di essere
ammessi nei territori dell'Impero romano, ottenendone il permesso e stabiliendosi nella Pannonia, dove rimasero
tranquilli per almeno quarant'anni. Essi furono così inglobati come foederati, mantenendo la loro mansione di
cuscinetto fra l'impero e le altre tribù barbare della pianura Sarmatica.
Sappiamo che nel 374l'uccisione a tradimento del capo dei Quadi, Gabiniorese furiosi non solo i Quadi, ma
molte altre popolazioni a loro vicine (come gli Iazigi ed i Vandali), che insieme inviarono squadre di saccheggiatori
oltre il Danubio in territorio romano.
Impero e invasioni barbariche tra il 268 e il 271
I Vandali Asdingi lasciarono la Pannonia intorno al 400, spinti alla colonizzazione di nuove terre
dall'avanzata delle truppe unne. Nel 401, sotto la spinta di altri popoli germanici, gli Asdingi, che già si erano
convertiti all'arianesimo, si spinsero sino alla Rezia, saccheggiandola. Stilicone li fermò temporaneamente, ma
l'avanzata continuò e sembra che l'esercito gotico di Radagaiso, che invase l'Italia nel 405, comprendesse anche
Vandali Asdingi, Alani e Quadi; in ogni modo l'esercito di Radagaiso fu sconfitto da Stilicone nei pressi di Fiesole.
L'anno dopo (406), assieme agli Alani ed ai Suebi o Svevi (probabilmente da identificare coi Quadi) i
Vandali Asdingi iniziarono a spostarsi lungo il limes a nord delle Alpi vicino ad Augusta in direzione del fiume
Meno, dove a loro si unirono i Silingi (Vandali unitisi ai Burgundi nel III secolo) e da qui raggiunsero il Reno, dove i
Vandali furono affrontati dai Franchi, che come federati dei Romani, presidiavano il confine dell'impero; i Franchi
provocarono gravi perdite nelle file dei Vandali, ma sopraggiunsero gli Alani che capovolsero le sorti della
battaglia. Il capo dei Vandali Asdingi, Godigisel perse la vita nel corso della battaglia, avvenuta presso la città di
Treviri, poco prima che la sua tribù, con l'aiuto degli Alani, sconfiggesse i Franchi.
A Godigisel successe il figlio Gunderico che guidò i Vandali della tribù degli Asdingi oltre il Reno, il 31
dicembre del 406, a Magonza, che fu rasa al suolo, e poi attraversarono rapidamente la Gallia, razziando i villaggi
e le città che incontravano lungo il loro cammino, sino ad arrivare ai Pirenei, dove si fermarono di fronte ai passi
fortificati e si riversarono nella Gallia Narbonense.
L'avanzata divenne un'invasione, scatenando il caos. Assieme alle tribù vandale degli Asdingi e di parte dei
Silingi (il resto dei Silingi era rimasto nelle terre ancestrali della Pannonia e della Slesia finendo per fondersi con
gli Slavi) si scatenarono sul territorio gallico anche Svevi, Alani, seguiti da Burgundi e Alemanni.
Mentre questi ultimi si stanziavano in Gallia, i Vandali con Alani e Svevi ritornarono verso i Pirenei per
superarli, nel corso del (409).
Nell'autunno del 409, assieme a Svevi, Alani e Silingi, probabilmente con la complicità del governatore
romano della penisola iberica, Geronzio, che mirava a crearsi uno stato indipendente, attraversarono i Pirenei
dove per circa due anni portarono distruzioni e saccheggi. Per due anni le popolazioni barbare che erano giunte
nella penisola iberica, tre di origine germanica, i Vandali Asdingi, i Vandali Silingi ed i Suebi, e una non germanica,
gli Alani, si aggirarono per le fiorenti campagne iberiche, abbandonandosi al saccheggio ed alle devastazioni:
Secondo la testimonianza del cronista Idazio, nel 411 gli invasori si spartirono le terre occupate:
i Vandali Hasding] si impadronirono della Galizia, gli Svevi di quella parte della Galizia situata lungo la
costa occidentale dell'Oceano. Gli Alani ebbero la Lusitania e la Cartaginense, mentre i Vandali Siling si presero la
Betica.
La pace durò solo pochi anni e già nel 416, il re dei Visigoti, Walia si presentò, a nome dell'imperatore, nella
penisola iberica con un possente esercito per liberarla dai barbari: attaccò, per primi, i Vandali Silingi che, dopo
diversi scontri, nel 418, furono annientati ed il loro re, Fredbal, fu inviato prigioniero a Ravenna, dall'imperatore; i
pochi superstiti si unirono ai Vandali Asdingi. Quindi furono presi di mira gli Alani, e sempre nel 418, Attaco, re
degli Alani, morì in una sanguinosa battaglia contro i Visigoti, guidati da Walia. Gli Alani, gravemente sconfitti,
rinunciarono ad eleggere un nuovo re e molti dei sopravvissuti chiesero protezione ed al contempo offrirono la
corona degli Alani al re dei Vandali, Gunderico, che l'accettò, diventando da allora rex Vandalorum et Alanorum, re
dei Vandali e degli Alani.
Prima che Walia, alla fine del 418, si scatenasse contro Suebi e Vandali Asdingi, fu richiamato in Gallia dal
generale romano Flavio Costanzo; consegnò ai Romani le province da lui recuperate di Betica, Lusitania e
Cartaginense, ricevendo in cambio lo stanziamento per il suo popolo nella Valle della Garonna, in Aquitania.
I Vandali, scampato il pericolo, si volsero contro i Suebi, che si ritirarono sui monti asturiani e cantabrici e si
arroccarono sulla Cordigliera Cantabrica (419); intervennero però le milizie romane, in soccorso degli Svevi, che,
nel 420, costrinsero i Vandali ad arretrare sino alla provincia dove in precedenza erano stanziati i Silingi, la Betica.
Alcuni anni dopo, nel 422, le orde vandale, guidate da Gunderico, riportarono una grande vittoria, grazie
alla slealtà dei Visigoti nei confronti dei Romani, contro un esercito romano-gotico
In seguito a queste vittorie, molti porti iberici furono conquistati, e le galee requisite dai vincitori. I Vandali
diventarono così la prima popolazione teutonica a sviluppare una propria marina e a darsi alla pirateria, con la
quale arrivarono poco dopo, nel 425, a sbarcare e razziare in Mauritania e sulle Baleari; in quegli stessi anni
caddero anche gli ultimi due baluardi romani nel sud della penisola iberica: Cartagena e Siviglia.
Dopo la morte di Gunderico, avvenuta intorno al 428 a Siviglia, venne eletto nuovo sovrano il figlio
illegittimo di Godigisel, il re dei Vandali Asdingi, Genserico, che cresciuto all'ombra del fratellastro, Gunderico, e
versato nell'arte militare, iniziò subito ad accrescere il potere e la ricchezza del suo popolo, in Betica, nel sud della
penisola iberica. Dato che i Vandali avevano subito numerosi attacchi da parte dei Visigoti, Genserico, poco dopo
essere salito al trono, decise di volgersi alla conquista dell'Africa romana, un luogo più lontano e sicuro da
eventuali attacchi congiunti romano-visigoti..
Nel 429 Genserico guidò il suo popolo (circa 80.000 persone, di cui 15.000 in armi, i vandali erano valutati
circa 50.000) nell'Africa, richiamatovi dalla situazione di caos venutosi a creare per la rivolta dei Mauri, che
l'autorità imperiale non riusciva a controllare e forse chiamato dal generale romano Bonifacio caduto in sospetto
presso la corte romana.
E mentre la popolazione si radunava al porto di imbarco di Julia Traducta, sulla punta più meridionale della
penisola iberica, Genserico si volse contro i Suebi che, approfittando della partenza dei rivali, avevano invaso la
Lusitania, e li sbaragliò.
Portata a termine la traversata (di circa 15 km) i Vandali si riversarono in Mauretania (l'odierno Marocco e
l'attuale Algeria nordoccidentale) e l'attraversarono tutta. Giunti in Numidia (l'odierna Algeria orientale), sconfissero
i Romani, e la conquistarono, nel 430. I Romani si erano però asserragliati nelle città, in particolare a Cirta ed
Ippona; Bonifacio si era chiuso in Ippona, cui i Vandali posero l'assedio, ma, mancando di tecniche ed i macchinari
per l'assedio, non riuscirono in un primo momento a prenderla; nel frattempo, inviato dall'imperatore d'Oriente,
Teodosio II, era giunto, guidato da Aspar, un contingente militare che unitosi alle truppe di Bonifacio, attaccò i
Vandali, che ripetutamente, nel 431, li sconfissero, costringendo Bonifacio a rinchiudersi nuovamente a Ippona,
che, finalmente cadde e fu conquistata dai Vandali di Genserico.
Genserico invase la Numidia proconsolare. La guerra cominciava a pesare perché i Vandali avevano subito
molte perdite e, a parte Ippona, non avevano conquistato le città. per cui furono intavolate trattative con
l'imperatore Valentiniano III; il trattato di pace fu firmato ad Ippona l'11 febbraio 435 che riconobbe i Vandali al
servizio dell'impero romano, come foederati, per il proconsolato di Numidia Cirtana, con capitale Ippona, senza la
cessione formale di alcun territorio.
Genserico cominciò a comportarsi come un sovrano autonomo, destituendo sacerdoti ortodossi, che si
opponevano all'arianesimo dei Vandali che, dal 437, cominciarono ad esercitare la pirateria; pirati vandali, unitisi ai
pirati Berberi, in quell'anno, razziarono le coste siciliane.
Il 19 ottobre 439 conquistarono Cartagine, senza colpo ferire; ci fu saccheggio con atti di violenza, ma,
stando alle cronache dell'epoca, nessun edificio fu deliberatamente distrutto o danneggiato; il clero cattolico e la
nobiltà vissero il dramma della schiavitù o dell'esilio e tutte le proprietà ecclesiastiche vennero trasferite al clero
ariano.
Essendosi impadroniti di una parte della flotta navale romana d'Occidente, ormeggiata nel porto di
Cartagine, nel 440, organizzarono incursioni in tutto il Mar Mediterraneo, soprattutto in Sicilia e Sardegna, i due
granai dell'Impero d'Occidente, Corsica e le isole Baleari. Nel 441, essendo la flotta romana d'Occidente incapace
di difendersi dagli attacchi dei Vandali, arrivò nelle acque siciliane una flotta orientale, inviata da Teodosio II; i suoi
navarchi però indugiarono senza agire, e quando i Persiani e gli Unni, sembra entrambi pagati da Genserico,
attaccarono l'Impero d'Oriente, la flotta rientrò a Costantinopoli.
L'imperatore d'occidente Valentiniano III, nel 442, venne a patti con Genserico riconoscendo ai Vandali
l'indipendenza e la sovranità sulle terre e sui popoli da loro conquistati, cioè la Numidia Cirtensis, la Zeugitana e la
Byzacena (l'insieme delle tre costituisce l'Algeria orientale e la Tunisia attuali). In cambio i Romani ottenevano la
restituzione delle Mauritanie e della parte di Numidia occupata dai Vandali nel 435. In questo modo fu raggiunta la
pace.
Questo trattato segnò la fine delle migrazioni del popolo vandalo, che si stabilì nelle ricche terre della
Zeugitana, costringendo i precedenti proprietari o a trasferirsi in altre località o a lavorare per i nuovi padroni in
posizione subordinata. La stessa sorte toccò anche ai sacerdoti ortodossi che risiedevano nelle zone della
cosiddetta "assegnazione vandalica".
Cartagine divenne la capitale del regno vandalo e Genserico approvò una nuova datazione che partiva dal
19 ottobre 439, data della presa di Cartagine. Per i successivi trent'anni, i Vandali compirono scorrerie nel
Mediterraneo. Ciò nonostante le relazioni tra Genserico e l'impero si mantennero buone sino al 455.
Nel 455, il 16 marzo, l'imperatore Valentiniano III, responsabile dell'uccisione di Ezio, fu a sua volta
assassinato dai seguaci dello stesso. I Vandali, non riconoscendo l'usurpatore Petronio Massimo ritennero
decaduto il precedente trattato stipulato con Valentiniano. Da qui il pretesto per salpare alla volta dell'Italia;
sbarcati a Porto, i Vandali affiancati da guerrieri Mauri marciarono su Roma, i cui abitanti si diedero alla fuga;
Massimo, invece di combattere, si preparava anche lui alla fuga, ma fu ucciso da un soldato della sua guardia.
Alla porta Portuense papa Leone I si fece incontro a Genserico e lo implorò di risparmiare la città e la sua
popolazione. Genserico accettò e venne quindi accolto in città con il suo esercito. Sebbene la storia parli del
violento saccheggio della città eterna da parte dei vandali (da qui la parola vandalismo), in realtà Genserico onorò
il suo giuramento: non vi furono né eccidi, né incendi, né dissennate distruzioni e i suoi uomini non devastarono
Roma, rispettando le chiese cristiane. Comunque il saccheggio iniziò il 2 giugno 455; fu il terzo Sacco di Roma
dopo i Galli di Brenno (390 a.C.) e i Goti di Alarico (410). In questo frangente i Vandali portarono via denaro e
tesori, mentre Genserico condusse con sé la vedova di Valentiniano, Licinia Eudossia, e le sue figlie, Eudocia
(che, giunta a Cartagine, fu data in moglie a Unerico, il figlio di Genserico) e Placidia ed il figlio di Ezio, Gaudenzio
e molti notabili romani, che al rientro a Cartagine furono divisi, come schiavi, tra i partecipanti alla spedizione.
Avito, nuovo imperatore d'occidente dal 9 luglio 455, cercò, senza risultati, l'adesione dell'imperatore
d'oriente, Marciano, per un'offensiva comune contro i Vandali, che nel frattempo, avevano occupato le restanti
province della Mauretania (l'attuale Algeria centro-occidentale), con i Mauri pronti a riconoscere l'autorità
vandalica.
All'inizio del 456, i Vandali conclusero un'alleanza con i Suebi di Rechiaro, che, rotto il trattato con l'impero,
invase i territori della provincia Tarraconense, mentre, nello stesso tempo, Genserico attaccò le coste calabresi e
siciliane. Sbarcati ad Agrigento, però i Vandali vennero sconfitti dal generale Ricimero, che, preso il mare incrociò
la flotta vandala in Corsica e la sconfisse, sempre nel 456.
Nel 458, i Vandali tentarono di formare, in Gallia, una coalizione anti-imperiale con Burgundi e Visigoti, ma
l'imperatore, Maggioriano, recandosi nel mese di novembre in Gallia la fece fallire, e poi passati i Pirenei, avanzò
su Saragozza e poi sul porto di Cartagena. Da qui, nel maggio del 460, raggiunse il regno dei Vandali, sbarcando
in Mauretania, inducendo Genserico ad inviare emissari per poter ottenere la pace; al rifiuto di Maggioriano, i
Vandali devastarono la provincia e ne avvelenarono i pozzi, per rallentarne l'avanzata dell'esercito imperiale; i
Vandali, non solo raggiunsero lo scopo, ma, con l'aiuto di alcuni traditori, si impadronirono della flotta romana,
ancorata a Illici Augusta a sud dell'odierna Alicante. Maggioriano allora venne a patti, concordò un armistizio e al
suo rientro in Italia, a Tortona, perse la vita in una battaglia contro Ricimero il 7 agosto 461; in quello stesso anno
sembra che i Vandali liberarono, dietro il pagamento di un riscatto, Licinia Eudossia e la figlia Placidia.
Nel 467, l'imperatore d'Oriente, Leone I, nominò il nuovo imperatore d'Occidente, Antemio e lo fece scortare
a Roma dal governatore indipendente dell'Illyricum, Marcellino, che avrebbe poi dovuto proseguire ed attaccare
Cartagine; ma la mancanza di venti favorevoli fece fallire il tentativo; Genserico, seccato, sia per la mancata
nomina ad imperatore d'occidente di Olibrio, che per l'ordine di Leone I di aggredire il suo regno, cominciò da
quell'anno ad attaccare anche le coste dell'Illiria, dell'Epiro e della Grecia, non risparmiando neppure Alessandria.
Nel 468 il regno dei Vandali fu l'obiettivo dell'ultimo sforzo militare congiunto delle due parti dell'Impero, teso
a sottometterli. Ma mentre i Vandali, venivano sconfitti dai generali Bizantini, in Tripolitania, e perdevano la
Sardegna ad opera di Marcellino con parte della flotta, Genserico, sorprese ed incendiò il grosso della flotta
nemica al comando del generale romano d'Oriente Basilisco a Capo Bon; meno della metà delle navi imperiali
scamparono in Sicilia. Mentre Marcellino, riunite la sua flotta con quella rifugiatasi in Sicilia, si accingeva a salpare
per Cartagine, nell'agosto dello stesso anno, fu assassinato da un suo subalterno (forse un sicario di Ricimero).
I Vandali rimasero signori incontrastati del Mediterraneo occidentale dallo stretto di Gibilterra alla
Tripolitania.
Nel 474 fu stipulata la pace perpetua con l'imperatore Zenone, dell'Impero romano d'Oriente, i Vandali
concessero completa libertà di culto agli ortodossi e permisero la nomina di un nuovo titolare alla carica vescovile
di Cartagine. Da parte sua, Zenone, nel 476, confermò ai Vandali il possesso di tutta la provincia d'Africa, le isole
Baleari (comprese le isole Pitiuse), la Corsica, la Sardegna e la Sicilia (quest'ultima, eccettuata la città di Lilibeo, di
interesse strategico, fu ceduta ad Odoacre in cambio di un tributo annuo).
In politica interna Genserico dette libertà di religione ai cattolici, ma volle che tutti i suoi stretti collaboratori
si convertissero all'arianesimo. Durante il suo regno le tasse gravarono soprattutto sulle spalle delle ricche famiglie
romane e del clero cattolico.
Sembrava che nulla potesse fermare la potenza dei Vandali, ma con la scomparsa di Genserico sembrò
scomparire la capacità combattiva dei Vandali.
Genserico morì il 25 gennaio del 477, all'età di 87 anni, a Cartagine e, alla sua morte, divenne re il figlio
Unerico.
Nonostante di fede ariana, come la maggior parte dei Vandali, Unerico si dimostrò all'inizio del suo regno
tollerante con coloro che professavano la religione secondo il credo niceno, arrivando a permettere l'elezione di un
nuovo vescovo di Cartagine nel 481, su richiesta dell'imperatore Zenone. Perseguitò inoltre gli adepti dell'eresia
manichea.
Presto però iniziarono le persecuzioni anche contro i cattolici punendo tutti coloro di etnia vandala che si
erano convertiti al cattolicesimo, cercando di incamerare tutti i loro possedimenti. Comunque un gran numero di
individui fu esiliato a causa del loro credo religioso. La politica nei confronti della religione era contraddittoria al
punto che, dopo aver permesso il 1º febbraio 484 un concilio tra vescovi ariani e cattolici il 24 febbraio dello stesso
anno emanò un decreto in cui ai sacerdoti cattolici fu proibito di esercitare qualsiasi funzione e di abitare sia in
città che nei villaggi, tutte le chiese cattoliche e le loro proprietà passavano al clero ariano; i funzionari regi di fede
ortodossa erano privati della loro carica e tutti i cittadini di fede ortodossa erano multati e se perseveravano nella
loro fede, qualora non avessero abbracciato la dottrina ariana, entro il 1º giugno dello stesso anno sarebbero stati
dichiarati eretici, sarebbero stati confiscati i loro beni e sarebbero stati deportati. Al loro deciso rifiuto migliaia di
cattolici furono allora esiliati in Corsica e in veri e propri campi di concentramento nell'entroterra africano, dove
morirono a centinaia per le condizioni di vita estreme e per la disidratazione.
Il decreto del 24 gennaio 484, in cui ai sacerdoti cattolici fu proibito di esercitare qualsiasi funzione e di
abitare sia in città che in campagna, tutte le chiese cattoliche e le loro proprietà passavano al clero ariano. I
funzionari regi di fede ortodossa erano privati della loro carica e tutti i cittadini di fede ortodossa erano multati e se
perseveravano nella loro fede gli venivano confiscati i loro beni e venivano deportati. I più fortunati furono rimossi
dagli uffici divini ma fu permesso loro di rimanere presso le precedenti diocesi, ma molti, torturati e bruciati vivi sul
rogo, subirono il martirio in quella che fu una delle più crudeli persecuzioni della storia della cristianità.
Mentre in quel periodo i Vandali, rafforzando ulteriormente la marina, mantennero il controllo delle isole del
mediterraneo occidentale, nell'entroterra africano i Berberi iniziarono la conquista della regione corrispondente
grossomodo all'odierna Algeria, creando ai Vandali non pochi problemi logistici a causa dei loro continui attacchi
che minacciavano i collegamenti e le comunicazioni tra i possedimenti di Cartagine e Tangeri.
Unerico, che fu il primo Vandalo a fregiarsi del titolo di Re dei Vandali e degli Alani, fu colpito alla fine del
484 dalla peste (considerata dai cattolici una punizione divina per le sue persecuzioni) e morì dopo pochi giorni il
23 dicembre del medesimo anno. Gli successe il nipote Gutemondo.
In quegli anni, i più potenti rivali dei Vandali, cioè Visigoti, Ostrogoti e Impero Bizantino, erano impegnati in
lunghe e sanguinose guerre, che impedirono loro di dedicarsi alla conquista del Regno Vandalo che, dopo aver
toccato il suo apogeo sotto Genserico, iniziava ora un rapido declino. La persecuzione contro i Cattolici fu
attenuata, e, nel 487, la maggior parte delle chiese ortodosse erano riaperte e gli ecclesiastici esiliati stavano
rientrando. Stabilizzò quindi la situazione economica interna, che sotto Unerico era arrivata sull'orlo del collasso.
Approfittando del conflitto tra Odoacre e Teodorico, i Vandali cercarono di riappropriarsi della Sicilia, ma le
truppe spedite sull'isola, nel 491, furono ricacciate dagli Ostrogoti e così fu perso il contributo che Odoacre
versava al re dei Visigoti, dal 476, per il possesso dell'isola.
A Guntemondo successe il fratello, Trasamondo, descritto dagli storici del tempo come un sovrano poco
capace, inadatto al suo ruolo. Sotto la sua guida il Regno dei Vandali subì continui attacchi dalle popolazioni
berbere e dei Mauri che portarono alla perdita di quasi tutto il territorio che oggi fa parte dell'Algeria. Negli ultimi
anni del suo regno inoltre l'importante città portuale di Leptis Magna, sulla costa mediterranea, fu saccheggiata e
distrutta dai Berberi mettendo in risalto l'estrema debolezza in cui si trovava il Regno dei Vandali. Riuscì tuttavia a
mantenere e consolidare una forte presa su quello che è considerato il "cuore" del Regno, oggi corrispondente al
territorio tunisino, alla parte più orientale dell'Algeria e alla Tripolitania; le tribù di Tripoli però, negli ultimi anni di
regno, si resero indipendenti e lo sconfissero duramente.
In politica interna, Trasamondo continuò la politica del fratello che aveva messo fine alle persecuzioni
contro i cattolici, iniziate dallo zio Unerico, pur riprendendo una politica anticattolica, evitando però i metodi
violenti, ripresero gli esili tra il clero cattolico, tra cui il vescovo di Cartagine, usandogli però i dovuti riguardi;
questa politica gli permise di far progredire significativamente le relazioni con l'Impero Bizantino.
I Vandali fecero un'alleanza con gli Ostrogoti, e nel 500, in seconde nozze, Trasamondo sposò la sorella
del loro re, Teodorico, Amalafrida, che portò in dote la città siciliana di Lilibeo ed il suo circondario (l'estremità
occidentale della Sicilia). L'alleanza scricchiolò, tra il 510 ed il 511, quando i Vandali aiutarono il re dei Visigoti,
Gesalico, figlio illegittimo di Alarico II che Teodorico considerava un usurpatore del trono a scapito del figlio
legittimo di Alarico II, Amalarico, che per parte di madre era nipote di Teodorico; abbandonato Gesalico al suo
destino, l'alleanza tra Vandali e Ostrogoti tornò solida.
A Trasamondo successe il cugino Ilderico, di circa sessant'anni, figlio primogenito di Unerico e di Eudocia,
che tra il 484 e il 523, aveva vissuto per quasi quarant'anni a Costantinopoli, al seguito di Eudocia quando fu
ripudiata, e che era rimasto in ottimi rapporti con i membri della corte imperiale, specialmente con Giustiniano I,
che governava per conto dell'imperatore Giustino I. I Vandali non lo amarono poiché, invece di praticare
l'arianesimo come i suoi predecessori, indotto dalla madre, si era da tempo convertito al cattolicesimo. A renderlo
ulteriormente impopolare di fronte alla propria gente fu il suo carattere imbelle e la sua omosessualità, considerata
dai Vandali come estremamente riprovevole.
Ilderico, richiamò gli esuli, restituì le chiese agli ortodossi e permise la nomina di un nuovo vescovo
cattolico a Cartagine, e facilitò la conversione al cattolicesimo di molti Vandali, che allarmò la nobiltà vandala, e
Amalafrida, la vedova del suo predecessore Trasamondo, e la sua guardia ostrogota si ribellarono; i Goti finirono
massacrati e l'ex regina in carcere. Il re degli Ostrogoti, Teodorico, nel 526, allestì una flotta per vendicare
l'affronto, ma, prima di salpare, morì.
Ilderico si disinteressò completamente delle operazioni belliche dei Vandali e delegò per esse il proprio
cugino Hoamer. I Vandali dovettero contrastare la ribellione dei Mauri, iniziata con Trasamondo, che ormai
controllavano la Mauritania Tingitana, la Mauritania Sitifense e la Numidia meridionale e dal 525 anche la
Mauritania Cesariense, esclusa la capitale, Cesarea; inoltre nei suoi sette anni di governo l'esercito Vandalo subì
numerose sconfitte da parte dei Berberi che strapparono al Regno la Tripolitana.
Dopo che, nel 530, un esercito inviato in soccorso a Cesarea fu battuto, un colpo di stato depose Ilderico, lo
incarcerò e al suo posto fu eletto il capo della rivolta, Gelimero, cugino di Ilderico.
L'imperatore d'Oriente Giustiniano I, che appoggiava Ilderico, intimò a Gelimero di esercitare pure il potere
ma di rimettere almeno formalmente sul trono il vecchio re Ilderico. Gelimero rifiutò. Allora Giustiniano, che voleva
restaurare l'impero nel Nord Africa, siglata la pace coi Persiani, nel 532, l'anno dopo, dichiarò guerra ai Vandali,
considerati i tre fattori favorevoli:
• il regno ostrogoto rimase neutrale permettendo ai Bizantini l'approvvigionamento in Sicilia
• il governatore vandalo della Sardegna si era ribellato
• la popolazione romana d'Africa aveva promesso che avrebbe appoggiato i Bizantini.
Nell'estate del 533, al comando di Belisario, l'esercito bizantino sbarcò sul promontorio di Caput Vada.
L'esercito vandalo oppose una grande resistenza, il 13 settembre, nella battaglia di Ad Decimum; dopo un iniziale
vantaggio, alla morte di Gibamondo, nipote di Gelimero, i Vandali si scoraggiarono e furono sconfitti.
Belisario allora marciò su Cartagine che si consegnò ai Bizantini. Il 15 ottobre 533, domenica, Belisario,
accompagnato dalla moglie Antonia, fece il suo formale ingresso a Cartagine risparmiandole saccheggio e
massacro.
I Vandali assediarono la città, anche dal mare, ma dato che i rinforzi dalla Sardegna non arrivarono, tolsero
l'assedio e a metà dicembre vi fu lo scontro decisivo; il 15 dicembre 533 Vandali e Bizantini si scontrarono
nuovamente alla battaglia di Ticameron, a circa 30 chilometri da Cartagine. In questo combattimento morì Tzazo,
fratello di Gelimero e fu il segnale della sconfitta, durante la quale i tesori e la famiglia reale furono catturati dai
Bizantini. Belisario puntò su Ippona, seconda città vandala ed in poco tempo occupò tutte la città del regno dei
Vandali.
Nel marzo del 534, circondato sul monte Pappua, Gelimero si arrese a Belisario.
Secondo Procopio (La guerra vandalica, II, 9) Belisario portò parte della popolazione vandala a
Costantinopoli, dove l'imperatore donò a Gelimero delle terre in Galazia, dove visse come un pensionato
imperiale.
Il regno vandalo d'Africa, incluso le isole, Sardegna, Corsica e Baleari venne riconquistato dai Bizantini. Ma
alla caduta del regno vandalo si erano ribellate le tribù berbere ed i Mauri, che tennero impegnate le truppe
Bizantine per circa quindici anni. La nuova provincia d'Africa si poté considerare definitivamente pacificata solo nel
548.