Paradigmi di riferimento nello sviluppo del software educativo

Paradigmi di riferimento nello sviluppo del software
educativo
(Gabriele Scascighini, direttore del Centro Informatica Disabilità, CH 6903
Lugano)
Responsabilità degli educatori di fronte alle nuove tecnologie
La cultura dei giovani di oggi è cultura visiva, forgiata e creata dal linguaggio
cinematografico-televisivo, così come quella della generazione precedente era cultura nata
dalle pagine dei giornali, rotocalchi, fumetti, libri, romanzi o testi filosofici che fossero. E la
cultura dei bambini di oggi? E’ sotto il segno del computer e delle reti di computers, luoghi
deputati per giocare o studiare poco importa.
Conta il fatto che hanno allargato il mondo del ragazzino di oggi come la televisione allargava
quello del ragazzino di trent’anni fa.
E lo hanno allargato tanto che il pedagogo non può sottrarsi da una seria riflessione su quale
debba essere il suo compito di fronte a questo fenomeno. Un compito di grande
responsabilità. Il suo intento deve permettere ai giovani di dotarsi di quegli strumenti che
consentono di usare le macchine senza esserne passivamente usati.
Incertezza: fra entusiasmo o apocalisse
L’uso di strumenti informatici nella scuola e nella rieducazione, come del resto é già avvenuto
anche in relazione ai mezzi audiovisivi, é accompagnato da un dibattito assai vivace. Da un
lato l’ottimismo più acritico, idilliaco che immagina che il fatto pure e semplice di usare
computer e tecnologie moderne possa apportare, quasi spontaneamente, grandi ed utili
cambiamenti e benefici nel campo della pedagogia. Dall’altro un pessimismo catastrofico:
l’avvento dei computers rovinerebbe le relazioni interpersonali, i computer sarebbero
disastrosamente impiegati come come giocattoli o come alibi per nascondere i veri problemi,
le inquetudini dei giovani e degli insegnanti e le contraddizioni della scuola.
Ciò di cui si deve prendere coscienza é che l'uso della tecnologia non è neutrale rispetto al
sapere in gioco, (cioè un mero strumento, e quindi utile per risolvere un dato problema
applicativo). La tecnologia di per sé non può portare a un mutamento educativo. Spesso
l'assunto alla base dell'impiego di una certa tecnologia per scopi educativi é quello che se la
tecnologia che si usa é "buona" l'educazione cambierà necessariamente in meglio. Questo
modo di vedere le cose spesso porta a presentare una tecnologia come semplice, comoda,
interessante da usare, e non mette in luce che un certo ambiente di apprendimento basato
sul calcolatore possa essere complesso, necessiti di un tempo considerevole per essere
appreso ed utilizzato in modo proficuo, implichi la ridefinizione dei contenuti e dei metodi
stessi di insegnamento e del ruolo dell'insegnante.
Questa impostazione di solito genera entusiasmo iniziale per un certo sistema e quindi un
successivo discredito. Il problema è che questi ambienti vengono spesso valutati sulla base
di aspettative impossibili, non ben definite o troppo generali.
Per una considerazione attenta delle incertezze e dei timori
Ai team che si dedicano allo sviluppo vale però la pena considerare attentamente quali sono i
timori associati all’uso dei computer nella scuola e quali errori si sono o si stanno
commettendo.
La maggior parte delle ricerche sottolineano questi aspetti:
- il pericolo dell’isolamento sociale
- il rischio della deresponsabilizzazione
- la preoccupazione della perdita o della mancanza di creatività e di impoverimento dell’
immaginazione
- il rischio della passività dell’allievo
Insegnare, ma anche imparare sono compiti “faticosi”. Un principio rigoroso che è
sicuramente anche in netta opposizione a quella logica di mercato che punta, spesso, al
consumo facile ed immediato.
E' sicuramente molto pericoloso banalizzare processi di per sé complessi (comunicazione,
autonomia, socializzazione e apprendimento, creatività, e differenziazione), al contrario
occorreranno, nel futuro immensi e approfonditi sforzi di formazione indirizzata ai rieducatori,
ai docenti delle scuole specializzate ed ai pedagogisti che, nello svolgimento della loro
attività dovranno servirsi degli strumenti che le moderne tecnologie dell'informazione oggi
mettono a disposizione.
Gli orientamenti psicopedagogici alla base
Informatica Disabilità
dei progetti del Centro
Molto spesso, affrontando le problematiche connesse con l’integrazione educativa e sociale
degli allievi, l’attenzione viene posta su ciò che manca e il supporto della tecnologia viene
concepito come “ausilio”, come “protesi” che dovrebbe porre rimedio a tale mancanza. Se un
bambino scrive commettendo molti errori oppure non conosce la tecnica del calcolo in
colonna allora il software indicato dovrà avere la caratteristica di correggere, emendare
queste specifiche difficoltà.
Con questa impostazione si rischia di perdere di vista i bisogni complessivi dell’individuo,
concentrando l’attenzione sugli aspetti mancanti. Da questa impostazione deriva che se la
mancanza è nell’area cognitiva la tecnologia viene concepita come facilitatore o come
strumento per lo sviluppo di abilità di base, se essa è nell’area motoria o sensoriale come
strumento sostitutivo o come strumento alternativo ai canali sensoriali mancanti. A nostro
avviso la tecnologia deve essere messa in relazione non a ciò che manca ma alla persona
considerata nel complesso dei suoi bisogni che sono comunicativi, relazionali oltre
che di rapporto con le abilità, le conoscenze e i saperi.
Nella nostra ricerca la comunicazione non è lo strumento attraverso il quale si intende
sviluppare abilità ma l’aspetto principale dell’attività mediata dal calcolatore.
“Conoscere è progettare”. Cioè conoscere è possibilità di fare, di costruire di realizzare e di
verificare cammin facendo le proprie ipotesi. Il pensiero si costituisce interiorizzando,
progressivamente l’azione.
Numerose ricerche degli ultimi decenni riconoscono che i processi di apprendimento dei
bambini sono molto simili ai procedimenti scientifici caratterizzati dall’approssimazione
continua all’oggetto, dove ogni acquisizione richiede la negazione delle precedenti.
L’epistemologia genetica fornisce agli sperimentatori e ai docenti le basi per osservare nel
campo specifico dell’apprendimento l’unicità e l’individualità del processo conoscitivo
infantile.
Nel campo degli apprendimenti della lettura e della scrittura, ma ci sono grandi analogie
anche nel campo degli apprendimenti matematici si constata che in un primo momento il
bambino deve imparare a capire che il linguaggio scritto può essere trattato come un oggetto
di riflessione. Il bambino si appropria solo successivamente e progressivamente del sistema
alfabetico procedendo per ipotesi successive. Il bambino scopre via via che il disegno é
diverso dalla scrittura poi analizza il segno grafico in base ad ipotesi relative alla lunghezza o
alla grandezza delle parole per giungere poi alle ipotesi sillabiche e alfabetiche.
Per poter passare dalla fase presillabica alla fase alfabetica il giovane lettore deve avvertire
la natura metalinguistica del linguaggio scritto.
E’ importante non identificare la lettura con la decifrazione, l’apprendimento non é
affrontabile come un meccanismo di messa in corrispondenza tra l’orale e lo scritto né
tantomeno identificare la scrittura con la copia di un modello, il bambino quando comincia a
scrivere mette in gioco le sue ipotesi circa il significato della rappresentazione grafica.
Al centro dell’apprendimento sta il soggetto che agisce, sperimenta, ipotizza ed impara con le
sue teorie spontanee e “primitive” che si osservano molto prima dell’inizio della scuola.
I metodi di insegnamento, le idee ispiratrici alla base dello sviluppo di software per
l‘educazione, non possono ignorare tutto questo, devono essere al servizio del
bambino, della costruzione delle sue conoscenze e non viceversa.
I nuovi software devono puntare a dare la possiblità di fare, di costruire crativamente idee i
ipotesi in un mondo virtuale e di sperimentare nel mondo reale.
Molti dei sistemi che, in base a verifiche essenzialmente sperimentali, sono attualmente
giudicati efficaci per favorire l'apprendimento in diversi campi, in particolare in quello
matematico, sono basati su micromondi o ambienti esplorativi.
Sebbene non ci sia una definizione precisa di che cosa si intenda per micromondo,
attualmente c'è un sostanziale convergere fra ricercatori su un insieme di caratteristiche che
sono considerate necessarie per qualificare un determinato ambiente come micromondo:
- fornire un insieme di primitive (oggetti e attività) che possono essere combinate al fine di
produrre determinati effetti (computazionali, grafici...); a questo si affianca il concetto di
estensibilità: le primitive possono essere combinate in modo da formare nuove primitive;
- incorporare un dominio astratto descritto in un modello;
- offrire una varietà di modi per raggiungere un obiettivo;
- permettere la diretta manipolazione degli oggetti.
La nozione di micromondo ha avuto una forte evoluzione da quando per la prima volta
questo termine venne utilizzato da Minsky e Papert in un rapporto del MIT. Essa è cambiata
da nozione utile per insegnare al calcolatore a risolvere problemi in certi contesti circoscritti e
vincolati a nozione utile per la progettazione di ambienti di apprendimento che possano
essere favorevoli all'appropriazione di conoscenze.
Secondo quest’ultimo punto di vista assume un ruolo centrale l'analisi degli oggetti che
vengono messi a disposizione dell'utente nel micromondo (oggetti transizionali, come sono
stati definiti da Papert, cioè oggetti che stanno in mezzo fra il concreto e direttamente
manipolabile e il formale e l'astratto).
Il quadro di riferimento teorico delle ricerche che hanno alla base l'analisi del ruolo dei
micromondi nell'apprendimento matematico può essere schematicamente descritto dalle
parole principali a cui fanno riferimento molti autori nel descrivere e nel situare il loro lavoro:
"costruttivismo", "sistemi basati su chi apprende (learner centered)", "problem-based".
Alla base c’è l'idea che l'apprendimento migliori se lo studente (colui che apprende) è
'immerso' in un argomento ed é motivato a cercare nuova conoscenza e ad acquisire nuove
capacità dalle necessità poste dal problema a cui sta lavorando. L'obiettivo è un
apprendimento basato sull'esplorazione attiva e la costruzione personale piuttosto che
basato su un modello di insegnamento di tipo trasmissivo. L'approccio è quello di realizzare
un apprendimento per problemi. Problemi che l'insegnante struttura in modo tale che nella
loro soluzione lo studente possa in modo naturale affrontare le tematiche pertinenti.
Si auspica che il processo d’apprendimento sia un momento di attività e non di passività. Un
obiettivo alto, forse difficile da raggiungere, perseguendo il quale comunque il bambino
viene sempre tenuto al centro del progettualità del CID. Da lui deve partire l’impulso. Il
software che il nell’ambito del programma di ricerca del CID verranno sviluppati non vogliono
però riprodurre con il computer il reale per analogia (un po’ quello che succedeva con i primi
esperimenti cinematografici, in cui si tendeva a filmare pièces teatrali, invece di cercare di
sviluppare un linguaggio autonomo) ma piuttosto dare la possibilità al bambino di creare il
suo scenario informatico e, soprattutto, il linguaggio per apprendere a comunicare con quello
scenario. Ciò che si vuole ottenere è proporre al fanciullo un' attività globale interessante,
complessa che ne stimoli la creatività e le capacità di sviluppo interne e autonome, offrirgli
dei software che gli permettano di sedere di fronte ad un computer che non lo programma,
ma anzi di essere lui l’artefice della programmazione del suo computer. Tra le due
correnti pedagogiche istruzionismo e costruttivismo i programmi del CID si svilupperanno
decisamente in questa seconda direzione, e infatti grosso peso hanno nell’elaborazione
teorica le teorie pedagogiche di Piaget in particolare nell’elaborazione di Seymour Papert.
Alla base delle ricerche del CID vi è un’altra idea guida: accessibilità e individualizzazione
per ogni singolo utente. Fortunatamente non si costruiscono più software destinati
esclusivamente ad una categoria specifica di bambini. Si sviluppano invece programmi
altamente versatili e configurabili: adattabili cioé anche alle più impensate abilità o
disabilità che bambini o giovani possono presentare.
L’insegnamento individualizzato viene definito come un adeguamento alle caratteristiche,
ai bisogni della persona di ogni azione o intervento educativi.
Opposto all’insegnamento collettivo tiene conto dell’età di sviluppo, delle abilità e delle
disabilità presenti in ogni soggetto e di differenti stili di apprendimento. L’insegnamento
collettivo é dispensato, simultaneamente ad un gruppo facendo riferimento ad un programma
costituito a priori.
L’individualizzazione é l’azione di considerare una persona, in quanto tale, in seno ad
un gruppo.
I progetti del CID cercano di concretizzare utilizzando le moderne tecnologie
dell’informazione, di materializzare queste, apparentemente semplici idee nate da Dottrens,
Montessori, messe in atto, nella storia della pedagogia in famose esperienze (piano di
Dalton, esperienze di Winnetka).
Robert Dottrens sosteneva che “on n’utilise bien que le materiel qu’on a fait soi-mème” .
Il CID ha raccolto questa sfida e propone una serie di strumenti con i quali gli allievi potranno
costruire e comunicare la propria conoscenza e gli insegnanti continueranno ad essere i
principali autori dei loro progetti educativi.
Lugano 1.9.04