Hermeneutics di Richard Palmer
Dialogo con l’Autore
di Daniela De Leo
Lo scopo delle pagine che seguono è quello di presentare nelle sue linee essenziali le
argomentazioni esposte nel libro Hermeneutics, un libro che se pur datato – 1969 – costituisce una
articolazione delle questioni sull’ermeneutica che tutt’oggi riemergono prepotentemente
attraversando al fondo tutta la tradizione filosofica.
Ho scelto pertanto di ripercorrere le tappe dell’incontro “telematico”, protrattosi per più di un anno,
con l’Autore Richard Palmer, per permettere attraverso l’esplorazione delle profondità della
memoria, una ermeneutica della genesi del libro. Il tutto nella considerazione che parlare e scrivere
sull’ermeneutica possa avvenire solo con il parlare e scrivere attraverso l’ermeneutica,
condividendo l’impostazione heideggeriana di intendere il comprendere come un “esistenziale”.
Mi sono imbattuta nel nome di Palmer mentre ero intenta a condurre uno studio su Hans George
Gadamer e Emilio Betti, leggendo in alcune note il rimando all’opera Hermeneutics, ne fui subito
sollecitata ad acquistarlo per leggerlo nella sua versione integrale.
Le note che avevano suscitato il mio interesse erano quelle in cui Palmer procedeva ad una acuta
riflessione tra Betti e Gadamer, un’interpretazione puntuale e precisa che andava al di là degli
schematismi storico-filosofici rinvenibili nei manuali.
Quegli schemi in cui le concezioni di Betti e Gadamer risultano essere molto differenti sia
nell’ambito e nelle finalità dell’ermeneutica, nei metodi e nei modi di pensiero ad essa appropriati
che nel carattere essenziale della disciplina come campo di studio. In altre parole con delle
definizioni, fondate su basi filosofiche diverse, i due pensatori formulano una propria ermeneutica
per raggiungere fini del tutto differenti. Betti seguendo Dilthey nella ricerca di una disciplina
fondante per le Geisteswissenschaften, cerca ciò che è pratico ed utile per l’interprete. Gadamer,
seguendo Heidegger, pone domande di questo tipo: quale è il carattere ontologico della
comprensione? Quale incontro con l’Essere è implicito nel processo ermeneutico?
Palmer ne sottolinea, invece, i meriti di entrambi gli studiosi per aver contribuito alla riflessione
sull’ermeneutica e ne evidenzia i punti di possibile contattato tra i due, asserendo che: «le due
posizioni non sono totalmente antitetiche. Piuttosto i due pensatori lavorano su differenti aspetti del
problema ermeneutico. Ovviamente è necessario operare una scelta di fondo fra una prospettiva
realistica ed una fenomenologica; ciononostante, si può ammettere che per l’ermeneutica nel suo
insieme, entrambe le posizioni filosofiche producano importanti approcci al problema
ermeneutico»1.
Nella rilettura data da Palmer il maggior merito di Betti è consistito nel richiamare l’attenzione sul
problema della validità e dei limiti del comprendere, superando le visioni soggettive del processo
interpretativo, orientando la riflessione sul comprendere come quella sull’attività conoscitiva
sottoposta a verifica intersoggettiva. Infatti si sofferma a puntualizzare sulla impostazione teorica
bettiana della ricerca di una fondazione rigorosa dell’attività conoscitiva, sulla quale incisero
notevolmente le riflessioni del realismo critico di Nicolai Hartmann, e dell’etica materiale dei valori
di Max Scheler.
Dall’altro lato, Palmer sottolinea che il processo ermeneutico è per Gadamer, secondo la sua teoria
che la comprensione è sempre un’opera di applicazione, cioè integrazione, sintesi tra il mondo
1
R. PALMER, Hermeneutics, Northwestern University Press, Evanston 1969, p. 60.
1
linguistico dell’interprete e quello dell’opera da interpretare, ricondotto ad una ontologia linguistica:
«l’essere che può venir compreso è il linguaggio»2.
E come lo stesso Betti sostiene nonostante la polemica, il libro di Gadamer, Verità e Metodo, è
«segno eloquente della palpitante attualità di una teoria generale ermeneutica»3.
Nelle due posizioni, quella gadameriana e quella bettiana, è implicito, dunque, secondo tale
impostazione, il riconoscimento della storicità dell’intendere e del fatto che lo stesso sia un compito
inesauribile. Tenendo conto che nell’ermeneutica bettiana le realtà da interpretare “sono già”, prima
della pre-comprensione: «dobbiamo presupporre che i testi abbiano da dirci qualcosa che noi non
sappiamo già per conto nostro e che esiste indipendentemente dalla nostra attribuzione di
significato»4 .
In sintesi, Palmer sostiene che sia Gadamer nel considerare all’opera una fusione di orizzonti per
garantire la riuscita del processo interpretativo, sia Betti nella ricerca di una determinazione del
rapporto ermeneutico che riconosca la distanza tra i due termini pur all’interno di una relazione di
familiarità, ci pongono dinanzi alla consapevolezza della situazione in cui l’incontro con la cosa è
una meta solo possibile, non senza sforzo eticamente da guadagnare. Al di là della questione circa
eventuali complementarietà tra le riflessioni sopra sintetizzate, emerse anche dallo scambio di
opinioni avute tra me e Palmer sull’argomento, da esse possono dipanarsi procedimenti ermeneutici
diversificati a seconda della natura propria dell’interpretandum e della funzione
dell’interpretazione, ma tuttavia unitari nella struttura fondamentale che rende possibile l’intendere.
Inoltre, i due filosofi, avanzano riflessioni sul metodo ermeneutico da considerare come viatico
attraverso cui5, che va nella direzione del superamento della separazione tra spiegare e
comprendere: l’intendere è un risultato che attraversa anche indagini particolari che si avvalgono di
una pluralità di dati e competenze specifiche, analisi strutturali e connessioni. Una struttura
metodologica, dunque, orientata alla interpretazione dei fenomeni culturali, nella quale differenti
tipi di analisi giocano un ruolo legittimo di reciproco sostegno in vista della comprensione. Le
interpretazioni, bettiana e gadameriana, rappresentano dei tentativi, elaborati in modi diversi,
cercando di sottrarre l’ermeneutica alla circolarità viziosa di ricondurre tutto ciò di cui si occupa
alle categorie pre-costituite, e di ripensarla all’interno dello stesso circolo ermeneutico, in cui
l’esigenza della oggettività non può essere soddisfatta se non attraverso la soggettività
dell’interprete, con il suo ri-conoscere, con i suoi pre-giudizi, con il suo intendersi, con le sue
competenze linguistiche, storiche e specifiche pertinenti al genere dell’oggetto, con il suo saper
effettuare connessioni e concatenazioni, riconoscendo una storicità all’oggetto.
Ed ecco, quindi, che l’oggettività del compito ermeneutico è rinvenibile nel fatto che in modo
dinamico i diversi processi interpretativi rispondano all’apertura offerta dall’interpretandum, la
determinazione dell’indeterminazione è nella relazione tra i due poli del processo interpretativo,
non nella confusione tra atto del conoscere e oggetto conosciuto, ma nel loro essere familiari e
ultimamente non identificabili.
Questo atteggiamento orientato non verso uno o l’altro processo interpretativo è lo stile scelto da
Palmer per la scrittura del suo libro. Leggendo Hermenutics, infatti, ci si trova dinanzi ad uno
studio in cui non si cercano risposte esaustive alla domanda “cosa sia il pensare ermeneutico”, ma si
2
H. G. GADAMER, Verità e Metodo, trad. it. a cura di G. Vattimo, Milano, Fabbri 1972, p. 542. (ID., Wahrheit und
Methode, J.C.B. Mohr ,Tübingen 1960 )
3
E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici. Teoria generale e dogmatica, Giuffrè, Milano 1971, p. 87.
4
ID., L’ermeneutica come metodica generale delle scienze dello spirito, Città Nuova, Roma 1990, p. 85
P. RICOEUR, Dal testo all’azione, trad. it. di G. Grampa, Jaca Book, Milano 1983, pp. 133-203. (ID., Du texte à
l’action. Essai d’herméneutique, Le Seuil, coll. «Esprit», Paris 1986). Ricoeur elabora un disegno teorico in cui sono
plasmati molteplici influssi: dalla fenomenoloia husserliana, alla problematica ontologica di Heidegger, all’ermeneutica
filosofica di Gadamer. La definizione di un’ermeneutica che si occupa del momento in cui il significato giunge alla
luce, che Ricoeur considera una visione “troppo vasta” poiché non comprende necessariamente l’atto dell’interpretare
un testo, apporta, in effetti, un cambiamento radicale alla topografia dell’ermeneutica. E lo stesso atto
dell’interpretazione è ridefinito su uno sfondo ontologico.
5
2
percepisce immediatamente l’intento di fermarsi sulla soglia dell’ermeneutica6, cioè su quel luogo
di confine tra i poli del processo interpretativo. In ciò si coglie che il mettere a confronto l’oggetto
con il soggetto non deve apparire un errore di sterile assimilazione, in quanto è legittimo riportare
“a vivere” le opere: «perché solo grazie al fatto che vi infondiamo l’anima nostra, possono esse
continuare a vivere: solo il sangue nostro fa sì che esse parlino a noi»7. E nell’iter ermeneutico
occorre rimuovere le posizioni pre-costituite, le restrizioni concettuali-storiche, come indiscussi
dogmi, per far sì che il soggetto si ponga in un atteggiamento di “meraviglia” in quella relazione in
cui introspetta l’oggetto, garantendone l’oggettività nella distanza, cioè nella contestualizzazione
storico-linguistica dell’oggetto, rinvenendone le leggi proprie. Il compito del soggetto, che
costituisce uno dei termini del rapporto ermeneutico, consiste nel conoscere e nel riconoscere in
quelle oggettivazioni il pensiero animatore, nel ripensare la concezione dell’autore, o nel rievocare
l’intuizione che vi si rivela. In altri termini è un riconoscere e un ravvisare l’altrui messaggio che,
attraverso le forme della sua oggettivazione, parla al soggetto.
Per meglio comprendere l’iter genetico del libro, riporto alcune frasi salienti della Prefazione
dell’Autore all’edizione americana del 1969: «avrei potuto intitolare questo libro Cosa è
l’ermeneutica? o anche Il significato dell’ermeneutica, poiché il volume costituisce, fra l’altro, una
testimonianza della ricerca da parte mia della comprensione di un termine che, se pur conosciuto
alla maggior parte della gente colta, è potenzialmente rilevante per varie discipline relative
all’interpretazione, in particolare per l’interpretazione testuale»8. Infatti questo progetto editoriale
scaturisce da un chiaro percorso sulla rilevanza della teoria bultmanniana dell’interpretazione
biblica per la teoria letteraria. Questa è diventata la prima esigenza dell’Autore, che ha dovuto
approfondire ed esplicitare la definizione del termine ermeneutica, determinandone i seguenti
confini teorici, anche in vista della scelta compiuta nel titolo di Hermeneutics: «James M.
Robinson, in The New Hermeneutic suggerisce che non esiste alcuna giustificazione di natura
filosofica nell’uso della s alla fine di questa parola. Né “arthmetic”, né “rhetoric” richiedono una s
in finale di parola, ed entrambi i termini designano un’area generale. Inoltre, “heremenutics” è un
sostantivo femminile singolare in altre lingue moderne – tedesco Hermeneutik, francese
herméneutique, italiano ermeneutica – e deriva dal latino ermeneutica. Robinson suggerisse che il
lasciar cadere la s potrebbe anche far pensare alla nuova svolta nella teoria ermeneutica divenuta
nota come New Hermeneutic. Non voglio mettere in discussione la tesi, filologicamene convincete,
avanzata da questo grande teologo americano, né il mio mantenere la s nel termine “hermeneutics”
deve essere interpretato come un rifiuto della posizione ermeneutica rappresentata dalla New
Hermeneutic. Al contrario, i contributi di Heidegger e Gadamer all’ermeneutica costituiscono il
fondamento della New Hermeneutic, ed io propongo di allontanarci da un approccio all’ermeneutica
strettamente filologico per sottolineare la produttività della loro visione più fenomenologica della
questione ermeneutica»9.
Lo scopo del libro, dunque, per Palmer è stato quello di condurre uno studio sul modo in cui
l’ermeneutica teologica di Bultmann, Fuchs ed Ebeling proponeva un nuovo approccio, una “New
6
«La consapevolezza della distanza o lacuna o estraneità fa oltrepassare alla percezione o al ricordo la soglia o il limite
della coscienza riflessa (ermeneutica): quella che si potrebbe chiamare la soglia ermeneutica», E. BETTI, Teoria
generale dell’interpretazione, cit., p. 271.
7
F. NIETZSCHE, Umano troppo umano, trad. it. di S. Giametta e M.Montanari, Adelphi, Milano 1967 (ID.,
Menschliches, Allzumenschliches, Aubier-Flammarion, 1978), voll. I-II, Parte Prima, Opinioni e sentenze diverse, 126,
p. 51: «ma si deve […] negare a coloro che vengono in seguito il diritto di far rivivere le opere antiche secondo la loro
anima? No, perché solo per il fatto che noi diamo loro la nostra anima, esse possono continuare a vivere: solo il nostro
sangue fa sì che esse ci parlino […]. Certo: se si immaginasse che Beethoven tornasse improvvisamente e che davanti a
lui sonasse una delle sue opere con l’acutezza si sentimenti e il raffinamento di nervi più moderni, che fanno la gloria
dei nostri maestri dell’esecuzione; egli rimarrebbe probabilmente a lungo muto, incerto se alzare la mano per maledire o
per benedire, ma alla fine forse direbbe: “Ebbene! Questo non è né io, bensì una terza cosa – mi sembra anche qualcosa
di giusto, benché non sia la cosa giusta», Ibidem.
8
R. PALMER, Hermeneutics, cit., p. XI.
9
Ivi, p. XII.
3
Hermeneutics”, che avrebbe sfidato il dominio, in America, del movimento di critica letteraria
chiamato “New Criticism”10 del critico letterario Celanth Brooks, fra gli altri.
Pertanto Palmer decise in quegli anni tra il 1964-1965 di trasferirsi in Svizzera all’Institut für
Hermeneutik della Facoltà Teologica di Zurigo, per approfondire i suoi studi. In una sua e-mail
datata il 3 aprile 2006, così mi scrive: “c’era una bella biblioteca per poter studiare e il prof.
Ebeling, il direttore, dedicava un certo numero di ore lavorative ogni settimana a discutere con gli
studenti del loro lavoro, attività definita Sprechstuden”: L’incontro con il Prof. Ebeling fu
determinante, in quanto direzionò la visione dell’ermeneutica di Palmer verso la filosofia
gadameriana. Sempre nella stessa e-mail Palmer continua a scrivere: “mi disse per la prima volta
che avrei dovuto leggere Verità e metodo di cui esistevano cinque copie strausate nella biblioteca
dell’Institut”. Per continuare su questo filone di studi, Palmer accetta di trasferirsi da Zurigo a
Heidelberg, nel marzo del 1965: “incontrai per la prima volta il Professor Gadamer nel dicembre del
1964, in occasione di una mia visita a Heidelberg, e accettai di buon grado il suo cortese invito a
trasferirmi da Zurigo a Heidelberg per continuare il lavoro per il mio libro sull’ermeneutica sotto la
sua guida. Questo trasferimento significò per me un allontanamento dall’ermeneutica teologica
protestante dell’allievo di Rudolf Bultmann, Gerhard Ebeling, che mi portò ad accostarmi
all’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer”.
Ed è rintracciabile da questo incontro la ragione primaria dell’articolazione del discorso che si
connota in una riflessione profonda sul tema di un’ermeneutica non come metodo esclusivamente
filologico.
Questa particolare curvatura che la riflessione palmeriana assume si evince da una successiva email datata il 6 giugno 2006, in cui Palmer scrive: “Gadamer fu molto accogliente ed un gruppo di
discussione formato dai suoi assistenti servì a chiarirmi la natura dell’ermeneutica filosofica. In
questo gruppo, un’importante sorpresa si rivelò Rüdiger Bubner, a quel tempo uno dei più
importanti assistenti di Gadamer, in occasione di un incontro, nel giugno del 1965. In risposta alle
finalità del mio progetto editoriale Bubner mi fece notare che, in realtà, Gadamer accettava molte
delle premesse del New Criticism americano, in modo particolare l’autonomia del testo letterario.
Pertanto, il mio libro sulla significanza della nuova ermeneutica come alternativa alla critica
letteraria americana doveva chiaramente cambiare. Così decisi di scrivere un libro sull’evoluzione
dell’ermeneutica filosofica da Schleiermacher a Gadamer, con enfasi prevalente su Heidegger e
Gadamer”. Ed è proprio in questa svolta il centro vivente della teoria di Palmer, di cui è intessuto
tutto il libro, e che viene subito afferrato, nelle interne articolazioni, con un’insistenza che non può
sfuggire e a tratti sembra quasi febbrile. L’evoluzione storica dell’ermeneutica comprende secondo
l’interpretazione di Palmer, in sé due punti focali distinti: uno la teoria della comprensione in senso
generale, e l’altro il problema ermeneutico. Questi due punti focali non devono “autoescludersi né
essere totalmente indipendenti” e, tuttavia, è bene che essi restino abbastanza separati perché uno
possa informare l’altro. «L’ermeneutica orientata ad una teoria generale della comprensione
linguistica, resta fedele al suo grande passato in Schleiermacher e Dilthey. Deve essere incline a
pensare attraverso la natura del comprendere e nei termini più ampi e chiedersi: Cos’è la
comprensione? […]. Una teoria della comprensione è più rilevante per l’ermeneutica quando prende
10
È importante sottolineare anche, riprendendo le riflessioni di Palmer, il seguente passaggio tra la posizione
heideggeriana e quella del New Criticism: « Il New Criticism ed Heidegger condividono l’autonomia ontologica della
poesia e l’eresia della parafrasi; la differenza sorge perché il New Criticism ha difficoltà a sostenere la “verità” della
poesia nel contesto dei suoi presupposti. Troppo facilmente il testo diviene un oggetto e la spiegazione un esercizio
concettuale che opera esclusivamente con il “dato”, accettando le restrizioni dell’oggettività scientifica. Lo stile della
spiegazione di Heidegger differisce radicalmente da ogni “analisi” oggettiva di ciò che è indiscutibilmente dato. I punti
di affinità essenziale, al di là delle differenze esteriori di stile, comunque, stanno ad indicare che l’ermeneutica di
Heidegger potrebbe fornire la base per una forma rivitalizzata di New Criticism», R. PALMER, Hermeneutics, p. 133.
4
come punto di partenza l’esperienza vissuta, l’evento del comprendere. In questa maniera, il pensare
è orientato verso un fatto, un evento in tutta la sua concretezza, piuttosto che verso un’idea,
divenendo una fenomenologia dell’evento del comprendere. Tale fenomenologia del comprendere
non deve essere però concepita in maniera ristretta e pedante, bensì aperta a tutti gli altri campi che
possono contribuire ad una più completa conoscenza di cosa sia la comprensione e di come essa
avvenga […]. Il secondo punto focale, definito il “problema ermeneutico”, è un esempio specifico
dell’evento del comprendere: implica sempre il linguaggio, il confronto con un altro orizzonte
umano, un atto di penetrazione storica del testo. L’ermeneutica deve andare sempre più a fondo nel
complesso atto del comprendere; deve lottare per formulare una teoria della comprensione
linguistica e storica operante nell’interpretazione testuale. Siffatta teoria deve essere in armonia e in
relazione con una fenomenologia generale della comprensione; al contempo, darà anch’essa il suo
contributo a questo campo di studi generale»11.
Secondo questa interpretazione l’evento del comprendere risulta essere sempre situato, In base a
questa interpretazione più ampia del problema ermeneutico, l’evento del comprendere un testo
contempla sempre un momento di rapporto col presente. Si schiude l’ermeneutica del
simbolo mantenendo in dialogo la fenomenologia con la filosofia della riflessione
generata dal cogito cartesiano, in altri termini riflessione e interpretazione
costituiscono due momenti complementari di un cammino ermeneutico che
integra il cogito con la consapevolezza che la situazione concreta dell’uomo non è
solo quella di essere il centro della sua esistenza, ma anche di essere nel mondo
con gli altri.
Quella che nel libro Palmer traccia è la storia di un’“ermeneutica filosofica” 12 che cerca, sulla scia
di Heidegger, di andare “oltre la metafisica” nella filosofia. Pertanto l’ermeneutica non è più
da considerare materia specificamente disciplinare appartenente alla teologia, alla letteratura o al
diritto, ma diviene l’arte del comprendere qualsiasi enunciato espresso nel linguaggio.
A comprova di questa impostazione, fin dall’Introduzione, Palmer asserisce che il suo studio cerca
di rispondere all’esigenza impellente di una trattazione introduttiva all’ermeneutica, in un contesto
non teologico, volta a chiarire il significato e l’ambito del termine, fornendo al lettore un’idea della
fluidità dell’ermeneutica e dei complessi pensatori che si sono interessati all’argomento.
Il punto di partenza è lo sviluppo del concetto di ermeneutica operato da Schleirmacher che va dalle
sue prime esitanti formulazioni in forma di aforismi del 1805 e 1806 ad un dialogo più o meno
esplicito con Ast e Wolf. Per poi, capitolo dopo capitolo, ripercorrere nei dettagli l’evoluzione
dell’ermeneutica e fornire un adeguato profilo storico, che abbraccia e riflette il punto di vista del
rivoluzionario contributo di Heidegger e che porta attraverso Gadamer verso la convinzione che
l’ermeneutica non può sfuggire alle questioni ontologiche, quando la stessa comprensione è definita
una materia ontologica.
A delucidazione di questo plesso teorico Palmer asserisce che l’ermeneutica di Gadamer si fonda
sull’ontologia esistenziale della comprensione di Essere e Tempo, e come lo stesso Gadamer gli
aveva fatto notare, nello specifico si assiste ad una sorta di debito nei confronti del ciclo di
conferenze sull’arte impartite da Heidegger nel 1935, pubblicate nel 1950 sotto forma di saggio dal
titolo Der Ursprung des Kunstwerkes in Holzwege13.
11
Ivi, p. 98.
È il sentiero di una filosofia che accetta di essere non sapere “sa che la vittoria di quel sapere avverrà quando non ci
sarà più bisogno della filosofia come forma separata dalle altre ragioni e dalle altre regioni del fare e del conoscere del
soggetto. Come la fenomenologia, che non solo va oltre il “pensato” di Husserl, ma va oltre se stessa, così la filosofia,
che tende all’”oltre”, deve cominciare a costruire l’”oltre se stessa” oppure continuare quel percorso, se è stato già
avviato , ma assumendo in toto, cioè in maniera esplicita e con piena consapevolezza”, G. INVITTO, La tessitura di
Merleau-Ponty. Ragioni e non-ragione nell’esistenza, Mimesis, Milano 2002, p. 37.
13
Nel 1936, Heidegger tiene tre conferenze sull’arte dal titolo L’origine dell’opera d’arte inedite fino al 1950, quando
vengono pubblicate come parte iniziale di Holzwege (Sentieri ininterrotti). In queste conferenze la discussione sulla
natura dell’arte viene sviluppata in maniera più completa ed in esse ritroviamo, in sostanza, una trasposizione nel regno
12
5
In tale saggio l’essenza dell’arte non sta nella mera maestria, bensì nello svelamento. Essere
un’opera d’arte significa dischiudere un mondo. Interpretare un’opera d’arte significa muoversi
nello spazio aperto che l’opera ha portato a darsi. La grandezza dell’arte, in altre parole, deve essere
definita in base alla sua funzione ermeneutica.
«L’ermeneutica di Heidegger rimanda all’evento del comprendere in quanto tale, non ai metodi
storici contrapposti ai metodi scientifici di interpretazione. Heidegger abbandona la dicotomia tra
storia e scienza, cui Dilthey aveva dedicato la vita intera, asserendo che ogni comprensione è
radicata nel carattere storico del comprendere esistenziale, e spianando così il terreno per
l’ermeneutica “filosofica” di Gadamer»14.
In una e-mail del 10 ottobre 2006, Palmer scrive: “Il debito di Gadamer per il suo capolavoro nei
confronti di questo saggio fu anche decisivo per il suo progetto. Ad esempio, la parte prima del
libro si concentra sull’arte. Gadamer aveva anche pubblicato l’importante ciclo di conferenze di
Heidegger a Francoforte in edizione economica, nel 1960, con una sua introduzione”.
Infatti l’approfondimento del concetto di ermeneutica operato da Heidegger in Essere e tempo
segna la svolta gadameriana non tanto dello sviluppo e della definizione della parola ermeneutica,
quanto del campo di azione. In altri termini l’ermeneutica è legata alle dimensioni ontologiche della
comprensione e viene identificata con il tipo particolare di fenomenologia di Heidegger.
Dopo Essere e tempo, Heidegger si rivolge in misura sempre maggiore alla reinterpretazione di
filosofi precedenti – Kant, Nietzsche, Hegel – e della poesia di Rilke, Trakl o Hölderlin. Il suo
pensare diviene più “ermeneutico” nel senso tradizionale, vale a dire incentrato sull’interpretazione
testuale. In Heidegger, la filosofia diviene storicizzazione, recupero creativo del passato, una forma
di interpretazione15.
Nell’itinerario gadameriano, nota Palmer, l’insegnamento heideggeriano serve per affrancarsi da
ogni ermeneutica scientista e andare verso la descrizione fatta da Heidegger dell’incontro con
l’opera d’arte come “evento dello svelamento di verità” – non verità scientifica, bensì ontologica:
«un ritratto del modo in cui le cose sono, che noi conferiamo interiormente. Per Gadamer, ciò si
applica non solo alle pitture e ad altre forme di arte non verbale, ma anche ai testi letterari,
specialmente alla poesia», quindi alle scienze umane. E nella stessa e-mail del 10 ottobre 2006,
Palmer esplicita: “se le cose stanno così, allora le grandi opere delle scienze umane meritano
particolare rispetto, in quanto sono di fatto trasformative, perché apportano una trasformazione
della nostra fondamentale comprensione della vita”.
Il che porta alla visione del problema ermeneutico non solo come un problema filosofico, in quanto
la mole di teoria della comprensione elaborata da Shleiermacher, Dilthey, Heidegger, Gadamer,
deve estendersi anche ad altri campi da pensare.
«Quando i punti focali dell’ermeneutica vengono definiti in modo da comprendere una
fenomenologia generale della comprensione e una fenomenologia specifica dell’evento
dell’interpretazione testuale, allora l’ambito dell’ermeneutica diviene veramente vasto […] l’ambito
del problema ermeneutico è tale che l’ermeneutica non può limitarsi ad un campo di studi chiuso e
specializzato»16.
Precisando meglio il senso della direzione imboccata da Palmer nel suo studio, occorre soffermarsi
sulla significativià che molti altri campi di ricerca potrebbero avere per la teoria ermeneutica.
dell’arte delle concezioni essenzialmente ermeneutiche di verità ed essere, del conflitto fra formulazioni positive e
fondamento negativo ma creativo, e del linguaggio inteso come parlare e dire, discussi in precedenza. Una grande opera
d’arte parla e, nel far ciò, porta un mondo a darsi. Questo parlare, come ogni vero dire, rivela e, al contempo, nasconde
la verità.
14
R. PALMER, Hermeneutics, cit., p. 161.
15
I due tipi antitetici di interpretazione descritti da Ricoeur – récollection du sens (demitizzare) ed exercice du soupçon
(demistificare) – sono entrambi all’opera in Heidegger, anche se predomina il primo.
16
R. PALMER, Hermeneutics, cit., p. 69.
6
«L’indagine sistematica degli eventuali contributi alla teoria dell’ermeneutica da parte di altri
ambiti è appena iniziata17. Il brillante studio su Freud condotto da Ricoeur prospetta il fruttuoso
contributo che può apportare un’indagine di un sistema interpretativo. L’opera monumentale di
Betti presenta uno spaccato delle discipline interpretative umanistiche. Il saggio di Gadamer
sull’ermeneutica filosofica può essere considerato la dimostrazione dell’impatto fecondo
dell’analisi ontologica della comprensione condotta da Heidegger»18.
Ed è proprio questo il sentiero tracciato da Palmer: chiarire in qualche misura l’ampiezza e la
complessità del problema ermeneutico e delineare una concezione dell’ermeneutica più ampia di
quanto sia stato mai realizzato in lingua inglese fino a quegli anni Sessanta.
Lo scopo fondamentale è, dunque, quello di configurare un’ermeneutica generale come arte del
comprendere, in quanto pur esistendo delle differenze tra le tipologie testuali – documento
giuridico, scrittura religiosa, opera letteraria - ciascuna disciplina sviluppa strumenti teorici atti a
risolvere i relativi problemi, ma, al di là di queste differenze esiste un’unità più fondamentale, che è
il comprendere come processo ricostruttivo. «Attraverso l’interazione dialettica fra il tutto e la
parte, l’uno dà significato all’altro, la comprensione è, dunque, circolare. Dato che il significato
giunge a darsi all’interno di questo circolo, lo definiamo “circolo ermeneutico”»19.
L’analisi che Palmer conduce del termine ermeneutica si muove dentro la cornice di descrivere le
caratteristiche salienti della teoria ermeneutica rinvenendole dall’atto del tradurre. «La traduzione è
una forma particolare del processo interpretativo di base del “portare alla comprensione”. In questo
caso, si porta ciò che è straniero, estraneo o incomprensibile nel mezzo della propria lingua. Al pari
del dio Hermes, il traduttore fa da mediatore fra due mondi. L’atto traduttivo non consiste in una
semplice questione meccanica di trovare sinonimi, come dimostrano chiaramente i bizzarri prodotti
della traduzione automatica, perché il traduttore deve mediare due mondi diversi»20 .
Come si vede, si tratta di passaggi molto densi e suggestivi che aprono l’intreccio al modello della
traduzione, in cui occorre «elevare il genio della propria lingua al livello della lingua straniera, in
particolare modo nel caso di creazioni originali che rappresentano una sfida per la lingua
d’accoglienza. Si deve quindi dimorare presso l’altro, per condurlo presso di sé a titolo di ospite
invitato»21.
Palmer nella traduzione trova un’enorme riserva per l’esplorazione del “problema ermeneutico”, in
quanto intende il lavoro di traduzione non come uno sterile scambio semantico, ma una
elaborazione del patrimonio di idee, la capacità di restituirne il senso, le scelte stilistiche, un
progetto finalizzato a far emergere le strutture profonde che costituiscono il Boden del testo stesso.
Perseguendo la convinzione che nella traduzione si deve raggiungere non soltanto, per dirla con
Merleau-Ponty, “l’expression thématisèe (i.e. la signification prosaïque de l’oeuvre, les énoncés
qu’elle peut contenir, le contenu”22, ma attraverso tutto questo la parola dello scrittore “son ton, son
accent, le surgissement d’un sens”. Tenendo sempre conto che “chaque acte d’expression est
historique non seulement au sens d’une histoire, choise, délibèrée, consentie, mais autour du sens
plus secret d’une histoire subie”23.
La traduzione mantiene quell’equilibrio tra i due momenti fondamentali, attraverso i quali si
definisce la natura dell’esperienza ermeneutica: il momento dell’appartenenza e quello della
distanzzazione, secondo le indicazioni venute dallo stesso Heidegger e da Gadamer che la
circolarità del comprendere comporta l’entrare in un rapporto reale.
Ribadisco, come fatto all’inizio che il libro in questione è stato pubblicato nel 1969.
R. PALMER, Hermeneutics, cit., p. 69.
19
Ivi, p. 87.
20
Ivi, p. 27.
21
P. RICOEUR, La traduzione. Una sfida etica, a cura di D. Jervolino, Morcelliana, Brescia 2002, p. 78.
22
M. MERLEAU-PONTY, Manuscrit autographe. Notes de preparation: plans, notes de lecture, brouillons, esquisses, vol.
III, p.242.
23
Ibidem.
17
18
7
È una questione di interazione fra persona individuale e Geist oggettivo all’interno di un circolo
ermeneutico che presuppone un agire comune da parte di entrambi. Il significato è la parola data ai
differenti tipi di relazioni in questa interazione. La circolarità del comprendere ha un’altra
conseguenza di maggiore rilevanza per l’ermeneutica, non esiste alcun vero punto di partenza per la
comprensione, poiché ogni parte presuppone le altre.
Ma, allora, qui si vede bene come tutto questo discorso nato da un impianto fenomenologico
conduca ad un vero e proprio rovesciamento di quell’impianto in cui l’ermeneutica è considerata
come filologia, per una direzione completamente opposta: «questo studio propone, in definitiva, un
orientamento specifico nell’affrontare questo quesito: l’approccio fenomenologico, poiché in esso
l’ermeneutica fenomenologica, rispetto a qualsiasi altra forma, risulta essere la più adeguata ad
esplorare la questione»24.
Seguendo questo nucleo teorico che sta al centro di tutta la riflessione di Palmer, colui che
comprende un testo non si è solo proiettato comprendendo in riferimento a un certo significato, in
un puro sforzo di comprensione; per lui la comprensione raggiunta rappresenta anche la condizione
di una nuova libertà. Un tale comprendere implica l’universale possibilità dell’interpretazione, del
cogliere i nessi, del trarre le conseguenze…, possibilità che, appunto nel campo della comprensione,
caratterizza “chi si intende”. Ogni comprensione di questo tipo è sempre in definitiva una auto
comprensione. Anche la comprensione dell’espressione non indica alla fine solo il fatto di cogliere
immediatamente ciò che nell’espressione è manifesto, ma anche il chiarirsi rispetto all’interno
nascosto, un chiarirsi in seguito al quale si conosce questo nascosto. Ciò significa però che chi lo
comprende, insieme si intende25.
La teoria del comprendere è realmente una teoria dello svelamento ontologico e «poiché l’esistere
umano è esso stesso un processo di svelamento ontologico, Heidegger non ci consente di
considerare il problema ermeneutico separatamente dall’esistere umano. L’ermeneutica in
Heidegger, pertanto, è una teoria fondamentale di come, nell’esistenza umana, scaturisce la
comprensione. La sua analisi coniuga l’ermeneutica con l’ontologia e la fenomenologia e propone
un’ermeneutica fondata non nella soggettività ma sulla fatticità del mondo e sulla storicità del
comprendere»26 .
È possibile, dunque, affermare, secondo Palmer, che per Gadamer l’ermeneutica è l’ontologia e la
fenomenologia del comprendere.
Questo complesso di acquisizioni consente allora di ripensare l’ermeneutica: la comprensione non è
concepita in maniera tradizionale come atto della soggettività umana, ma come modo fondamentale
dell’essere nel mondo del Dasein, le chiavi della comprensione non sono la manipolazione e il
controllo, bensì la partecipazione e l’apertura, non la conoscenza, bensì l’esperienza, non la
metodologia, bensì la dialettica.
Ci troviamo di fronte, dopo aver letto il testo, ad aver percorso un itinerario di riflessione sullo
sviluppo del problema ermeneutico prima in Schleiermacher, passando per Dilthey, Husserl e
Heidegger e fino a giungere a Gadamer, non come un mero esercizio metodico della filologia come
“ermeneutica”, ma come un’indagine volta ad asserire che il comprendere umano in quanto tale è
storico, linguistico e dialettico.
Dopo la pubblicazione del suo libro Palmer ha continuato ad approfondire le sue ricerche
sull’ermeneutica filosofica studiando a Heidelberg con Gadamer. Palmer ha pubblicato, negli ultimi
decenni, tra gli altri scritti, i seguenti: il primo, pubblicato nel 1989, documenta il breve incontro
con Derrida del 1981,27 il successivo contiene la traduzione di documenti relativi alla rottura fra
24
R. PALMER, Hermeneutics, cit., p. 4.
In questo senso si può dire che tutti i casi che chi comprende, comprende sé stesso, si progetta su possibilità che gli
appartengono. In questa disputa metodica tra metodo ermeneutico e metodo esplicativo la sfera del comprendere è stata
contrapposta allo spiegare.
26
R. PALMER, Hermeneutics, cit., p. 110.
27
H. G. GADAMER, Dialogue and Deconstruction: The Gadamer-Derrida Encounter, co-trans. with Diane P.
Michelfelder , University of New York Press, Albany State 1989, 352 pp.
25
8
Husserl e Heidegger verso la fine degli anni ’20,28 e nel 2001, ne ha pubblicato un libro contenente
sei conversazioni di Gadamer con quattro interlocutori.29 Il più recente progetto traduttivo, in corso
di pubblicazione, riguarda il Gadamer Lesebuch del 1997, in versione integrale con l’aggiunta di tre
saggi.30
Ha inoltre, come rivelatomi nell’e-mail del 12 dicembre 2006, intenzione di pubblicare un’edizione
riveduta di Hermeneutics con l’aggiunta di un capitolo sull’ermeneutica filosofica a partire dal
1969: “forse dovrei scrivere un altro libro su quel periodo ma non sono uno storico e non sono più
giovane. Ed esiste, naturalmente, la stupenda biografia di Gadamer compilata di recente da Jean
Grondin.31. In questo libro potrei riprendere, fra le altre cose, il famoso dibattito ininterrotto fra
Gadamer e Jürgen Habermas, un rapporto veramente particolare che durò dagli anni ’60, periodo in
cui quest’ultimo fu invitato a ricoprire un incarico per un anno a Heidelberg, fino a tutti gli anni ’80
e ’90. Habermas ammirò sempre l’opera di Gadamer e i due furono grandi amici. Ho scritto un
articolo in cui affermo che non c’è bisogno di operare una scelta tra i due pensatori, perché ciascuno
di loro offre un contributo del tutto particolare”- l’articolo al quale fa riferimento è Habermas
versus Gadamer? Some Remarks32 - “incontra successivamente Habermas nel momento in cui si
reca a Heidelberg per una borsa di un anno nel 1971-1972, il filosofo tedesco era in quegli anni una
figura che destava entusiasmo e una figura dialogica nei confronti di Gadamer”. Infatti già negli
anni Sessanta, Habermas, aveva cominciato ad interrogarsi su alcuni punti qualificanti del progetto
gadameriano, in particolare sulle sue ambizioni ontologiche, sul rapporto che esso istituiva tra
l’interprete e la tradizione, sui problemi dell’autorità e del pregiudizio, sulla comprensione, e anche,
del linguaggio come medium universale umano, che implica l’universalizzazione del compito
ermeneutico.
Dell’incontro con Habermas, Palmer serba un prezioso ricordo, vincolato al legame con Gadamer.
Nell’e-mail datata il 2 febbraio 2007 scrive: “in occasione del centesimo compleanno di Gadamer
feci diverse fotografie che li ritraevano in conversazione a Heidelberg. Queste foto sono per me
molto preziose; le proiettai anche come diapositive a colori in occasione di una conferenza svoltasi
a Shanghai, in Cina, nel 2003. In quell’occasione i miei ospiti mi dissero che Habermas aveva
tenuto una conferenza a Shanghai solo due settimane prima! In ogni caso, Habermas ha appreso
molte cose da Gadamer – e da molti altri! Ha una mente veramente enciclopedica. Legge di tutto!
Lo si capisce dai suoi libri. Ricordo una visita di Habermas a Heidelberg nel 1972 ed ebbi
l’opportunità di ascoltarlo anche ad una conferenza svoltasi ad Evanstone, nell’Illinois, verso la fine
degli anni ’80. In quell’occasione avemmo uno scambio di idee, in seguito al quale Habermas mi
inviò una copia del suo allora recente volume, Nachmetaphysisch Denken. Ricordo che, nel 1972,
eravamo tutti eccitati all’idea di sentirlo parlare e riempimmo l’enorme sala delle conferenze al
primo piano della New University dopo che l’aula originariamente riservata per l’occasione si era
rivelata troppo piccola”.
Un’altra relazione interessante è quella che Palmer rinviene tra Gadamer e Derrida, nello specifico
un dibattito avuto nella conferenza del 1981 sul tema “Testo ed interpretazione” alla Sorbona di
Parigi, i cui atti furono pubblicati nel 1984 con il titolo di Text und Interpretation.33
28
E. HUSSERL, Psychological and Transcendental Phenomenology and the Confrontation with Heidegger (1927-1931),
co-edited and co-translated with Thomas Sheehan, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht1997, 508 pp.
29
H. G. GADAMER, Gadamer in Conversation: Reflections and Commentary , Yale University Press, New Haven and
London 2001, 168 pp.
30
The Gadamer Reader: A Bouquet of the Later Writings, translated by Richard E. Palmer, University Press Evanston,
Northwestern January 2007.
31
J. GRONDIN, Hans-Georg Gadamer: Eine Biographie, Mohr Siebeck, Tübingen 1999.
32
Habermas versus Gadamer? Some Remarks, in Perspectives on Habermas, ed. Lewis Edwin Hahn, Open Court
Press, Chicago 2000, pp. 487-500.
33
Text und Interpretation: Deutsch-fronzösische Debatte mit Beiträgen von J. Derrida, Ph. Forget, M. Frank, H.-G.
Gadamer, J. Greisch und F. Laruelle , Fink, München 1964. Cfr. H. G. GADAMER, Testo e interpretazione, in ID., Verità
e metodo, cit.,vol. 2, pp. 291-322; Il testo eminente e la sua verità, Ivi, pp. 335-344; Ermeneutica sulle tracce, Ivi, pp.
345-370.
9
All’idea della tradizione come continuità vivente Derrida opponeva l’idea della tradizione come “un
testo senza voce”, come enorme deposito di tracce e posizioni, ed è in tale formulazione il senso
della critica da Derrida sviluppata nei confronti della matrice fenomenologica, da cui il suo stesso
pensiero trae origine, di contro al quale il filosofo francese mira a far valere la priorità della
scrittura. Dunque la scelta di Gadamer di parlare a Parigi era animata da una chiara volontà
dialogica, per intessere con Derrida un confronto tra ermeneutica fenomenologia e
decostruzionismo. I punti nodali della posizione gadameriana vertevano sulla concezione che
l’attività interpretativa è uno stare tra le parti, mantenendo, pur tuttavia, il riconoscimento verso la
concezione sviluppata da Derrida che non ad ogni genere di testo può essere attribuita una funzione
comunicativa. Ad esempio ad alcuni testi letterari, lo stesso Gadamer riconosceva andava attribuita
una valenza espressiva, in virtù della quale la parola non mira a comunicare, ma tende ad imporsi
nella sua presenza e nella sua realtà sonora. Pur riconoscendo che in questi casi non è il discorso ad
avere il primato, ma il testo poetico che si impone al linguaggio, Gadamer tendeva verso la volontà
del comprendere, che è alla base dell’interpretazione e che rappresenta il lascito non rinnegabile del
dialogo platonico al quale il filosofo tedesco costantemente si richiama come punto di riferimento
per la riflessione ermeneutica, sorretto dall’eco alla “volontà buona” di Kant. Di contro il filosofo
francese sosteneva l’impossibilità di poter essere ancora ancorati ai principi di un’epoca in cui
riconoscersi, quella della soggettività e della metafisica della volontà.
Con toni garbati, ma perentori Gadamer replicava che la sua fede nella potenza della “volontà
buona” non aveva nulla a che vedere con una metafisica della volontà.
E continuando su questa posizione, Derrida rinveniva nella posizione di Gadamer in cui si
riconosceva la possibilità di integrare l’ermeneutica psicoanalitica nell’ermeneutica filosofica,
ancora più decisa la distruzione della possibilità di parlare di una “volontà buona”. L’intesa non vi
era neanche sulle condizioni del comprendere che per il filosofo tedesco risultano essere
sostanzialmente armoniche, mentre per il filosofo francese risultano essere discontinue e
impediscono l’esercizio dell’interpretazione come mediazione.
Anche su questo punto Gadamer sposta l’obiettivo della ripresa sul fatto che quella discontinuità o
meglio “rottura” alla quale si fa riferimento altro non è se non la ripresa della considerazione
heideggeriana della concezione dell’opera d’arte, quando ha sostenuto che ogni opera d’arte
rappresenta per noi un “urto”, un’esperienza che ci costringe ad un nuovo orientamento nel mondo.
Dunque, malgrado il tentativo di avvicinamento compiuto da Gadamer, Derrida non poteva
riconoscersi nella concezione del testo emersa dalla sua conferenza.
Palmer nell’e-mail del 7 marzo 2007 sottolinea che“Gadamer conosceva gli scritti di Derrida sin
dagli anni ’60 e, per molti anni cercò con grande interesse di stabilire un dialogo con lui, secondo
Manfred Frank, perché entrambi erano seguaci di Heidegger. Naturalmente, il decostruzionismo era
un progetto heideggeriano che Gadamer, al contrario di Derrida, non portò mai avanti.
Sfortunatamente, nel 1981, Derrida non aveva ancora avuto il tempo di leggere gli scritti di del
filosofo di Heidelberg. A quel tempo era molto impegnato e molto ricercato. Questo rapporto fu un
po’ unilaterale se si tiene conto del gran numero di scritti di Gadamer su Derrida, ma durò fino alla
loro morte – quella di Gadamer nel marzo del 2002 e quella di Derrida solo poco più di un anno
dopo”. Infatti Gadamer era convinto che, nonostante le divergenze, si potesse trovare un punto di
incontro con la riflessione di Derrida, in quanto l’attività della comprensione implica «che non si sa
all’inizio come ci si ritroverà alla fine»34.
Riguardo a questo rapporto, continua Palmer nella stessa e-mail, “ho avuto il privilegio di
collaborare alla traduzione e alla cura di un libro del 1989 su “l’incontro Gadamer-Derrida”
contenente non solo i documenti relativi all’incontro del 1981 ma anche quattro saggi successivi di
Gadamer su Derrida. Anche se alla Sorbona avevamo il testo del contributo di Derrida in tedesco,
egli fu tanto gentile da inviarci il testo francese allora ancora inedito. E nella mia traduzione in
H. G. GADAMER, E tuttavia: Potenza della volontà “buona”, a cura di M. Raversa, “Aut-Aut”, 217-218, P. 1987, pp.
61-63.
34
10
inglese del Gadamer Lesebuch35 dal titolo The Gadamer Reader, aggiunsi lo scritto finale di
Gadamer su Derrida, “Hermeneutik auf der Spur” (1994)36 [“Hermeneutics Tracking the Trace”]
che non compariva nella versione originale tedesca del Lesebuch del 1997. Forse dovrei raccogliere
questi saggi tradotti di Gadamer su Derrida in un libro, Gadamer su Derrida? (Tante cose da fare e
così poco tempo!) Derrida, sempre gentile e rispettoso nei confronti del collega più anziano (ed
anche nei miei), rese omaggio a Gadamer dopo la sua morte in un intervento su Celan presentato a
Heidelberg il 5 febbraio 2003 e pubblicato con il titolo di Beliers: Le dialogue ininterrompu: entre
deux infinis, le poème.37 Celan era un poeta su cui Gadamer aveva scritto un libro, in particolare sul
ciclo “Atenkristal” delle poesie di Celan,38 e questo intervento su Celan a Heidelberg fu un
piacevole omaggio a Gadamer che cominciava così: “Saurai-je témoigner, de façon juste et fidèle,
de mon admiration pour Hans-Georg Gadamer?” (p. 9, Beliers)”.
Oltre alle teorie filosofiche è emerso dal colloquio che ho avuto con Palmer, anche un ritratto
dell’uomo filosofo di Heildelberg, del suo modo di essere.
Nell’e-mail del 15 giugno 2007 Palmer ricorda: “a differenza del suo famoso maestro di Friburgo
[Heidegger], Gadamer ricercava ed apprezzava le critiche, considerandole sempre un invito al
dialogo! Quando Lewis Edwin Hahn, nel 1990, raccoglieva il materiale per il suo volume su The
Philosophy of Hans-Georg Gadamer (una preziosa raccolta di commentari su Gadamer per la
collana Library of Living Philosopher), chiese a Gadamer di fornirgli dei nomi di persone che
potessero collaborare al volume. Gadamer si presentò con un elenco che comprendeva i nomi di
suoi nemici e critici, come, ad esempio, Hans Albert e Karl-Otto Apel. Questo era il suo modo di
essere. Amava il dibattito e rispettava i suoi oppositori nella discussione. Ma in seguito, nel 1995,
quando fece la sua apparizione lo scandaloso libro della studiosa messicana Teresa Orozco che lo
accusava falsamente di collaborazione con i Nazisti, egli scelse deliberatamente di non replicare.
Nel 1996, anno in cui ritornai a studiare con Gadamer, gliene chiesi il motivo. Mi disse che, per
quanto i suoi argomenti contro di lei potessero essere validi, avrebbero finito solo per farle
pubblicità (e per avere il tono di una scusa). Meglio ignorarla e lasciare che i recensori si
occupassero del suo libro. La recensione che lessi sul Frankfurter Allgemeine Zeitung trovava la
tesi della Orozco “unüberzeugend” – poco convincente. Citava, ad esempio, come prova
incriminante il fatto che egli avesse firmato una dichiarazione di Facoltà a sostegno di Hitler in data
novembre 1933; il documento, però, era stato firmato sotto pressione, cosa che erano stati costretti a
fare tutti coloro che volevano mantenere il posto all’università! A quel tempo, Gadamer era solo un
Privatdozent e voleva semplicemente un lavoro a tempo pieno da qualche parte. In seguito, fece ciò
che era costretto a fare allo scopo di ottenerne uno; frequentò un campo di indottrinamento per
insegnanti della durata di due settimane e, subito dopo, trovò lavoro. Il direttore era affascinato
dalle sue conversazioni. Ma la Orozco lo criticava per aver fatto questo passo – nonostante il fatto
che, a quel tempo, avesse una moglie e un figlio da mantenere, e fosse solo alla ricerca di una
posizione che gli consentisse di ritirarsi nella filosofia antica!
Ma il legittimo dibattito filosofico in quanto tale, fu qualcosa che Gadamer amò e ricercò sempre
dopo la guerra. Invitò intenzionalmente i suoi “nemici” a collaborare per il volume della collana
Library of Living Philosophers, e rispose a ciascuno con il massimo rispetto. Il volume raccoglie
sessanta pagine di autobiografia, una bibliografia dei suoi scritti e ventinove saggi critici sulla
filosofia gadameriana e costituisce una preziosa risorsa39 sulla sua filosofia, fra le molte altre
disponibili”.
35
H. G. GADAMER, Gadamer Lesebuch, herausgegeben von Jean Grondin, UTB paperback , 1972 (Mohr Siebeck,
Tubingen 1997), 308 pp.
36
Hermeneutik auf der Spur may be found in his Gesammelte Werke 10 (Mohr 1995) pp. 148-174.
37
Beliers: Le dialogue ininterrompu: entre deux infinis, le poème. Galilée, Paris 2003, 80 pp.
38
Wer bin Ich und wer bist du?: Kommentar zu Paul Celan’s Gedichtfolge, Atemkristall, Suhrkamp, Frankfurt 1973,
134 pp. Trad. it. di F. Camera, Chi sono io, chi sei tu: Su Paul Celan, Collana di Filosofia 36, Casa Editrice Marietti,
Genova 1989, 130pp.
39
The Philosophy of Hans-Georg Gadamer, ed. Lewis Edwin Hahn , Open Court Press, Chicago 1997, 619 pp.
11
Per avere il quadro completo riporto una nota di una e-mail del 2 giugno 2007 dell’incontro tra
Palmer, Heidegger e Gadamer molto significativa: «incontrai Gadamer nel Natale del 1964 e mi
trasferii a Heidelberg nel marzo 1965, dove frequentai tutte le sue lezioni del semestre estivo,
compresa una “Da Hegel a Heidegger”. In questo caso Heidegger era venuto per assistere alla
conferenza finale di Gadamer e questi gli chiese di parlare per gli ultimi 15 minuti. Egli allora negò
le asserzioni che Gadamer aveva fatto riguardo ad un possibile collegamento con Hegel nei concetti
come Lichtung e Verbergung, ecc. e, fondamentalmente, voleva prendere le distanze da Hegel a
tutti i costi!
Prima della conferenza, mentre ci incamminavamo verso la Alte Aula, mi imbattei casualmente in
Heidegger. Dissi: “Deve essere proprio orgoglioso del suo studente, Gadamer!” Egli rispose:
“Cosa? Sai che il termine wirkungsgeschichtliches Bewusstein deriva direttamente da Dilthey!”. È
innegabile il senso di tradimento. Seguì un seminario privato dalle 6.30 alle 10.00
nell’appartamento di Gadamer, dove tanti studenti laureati (fra cui io) si erano riuniti, molti
dovettero sedere per terra su cuscini. Heidegger pose la domanda “Was bedeutet, Ich bin hier!”.
Dopo molti tentativi, dovette dire, “Zu viel Leiblichkeit”. Mi chiedo ancora cosa volesse dire.
Dopo il seminario, andammo a cena con Heidegger. Ero seduto all’estremità di un lungo tavolo
dove Heidegger era seduto a capotavola, così potei fargli molte domande. Mi raccontò di come si
sentisse violentato per il fatto che dopo la guerra gli fosse stato negato l’insegnamento (fino al
1951). Raccontò del fratello e di altre cose. Cambiai di posto con un altro studente per dargli la
possibilità di parlare col maestro”.
Inoltre nei ricordi di Palmer emerge che Gadamer amasse l’Italia: «L’Italia era il paese cui era più
affezionato. Ho appena finito di leggere con piacere le recenti traduzioni in inglese dei due libri che
raccolgono le sue relazioni sulla filosofia presocratica presentate a Napoli, Der Anfang des
Wissens40e Der Anfang der philosophie,41come anche una pubblicazione delle sue conversazioni
con Riccardo Dottori, dal titolo Die Lektion des Jahrhunderts, anch’essa tradotta subito in inglese
da Rod Coltman.42
Nelle ultime e-mail, nelle quali procedevamo a fare un punto sulla situazione del panorama
filosofico del dibattito attuale sull’ermeneutica, Palmer acconsentiva che molto altro è accaduto
dalla pubblicazione di Wahrheit und Methode nel 1960, ad esempio, la “filosofia debole” Vattimo, e
la dinamica rinascita della filosofia francese (Focault e Derrida, le filosofe della differenza di
genere francesi, fra le altre, Kristeva, Cixous ed Irigary) e, naturalmente Paul Ricoeur. In particolare
a quest’ultimo Palmer riconosce il merito di aver saputo plasmare in maniera originale i molteplici
influssi, elaborando le divergenti esigenze riconoscibili alla base dell’ermeneutica e il suo tentativo
dinamico nella ricerca di un percorso che consenta di andare oltre le contrapposizioni tra i diversi
orientamenti delle teorie interpretative. Ma Palmer è rimasto fermo sul fatto che niente di tutto
questo ha soppiantato per importanza l’ermeneutica filosofica del “prof. Gadamer”.
In una e-mail del 7 luglio 2007 fermamente convinto asserisce che : “penso che sia utile ancora
oggi leggere con attenzione il capolavoro di Gadamer per cercare di comprendere le sue tesi in
favore della legittimità delle scienze dello spirito, la verità dell’arte e la dimensione storica della
comprensione. In quanto l’ermeneutica filosofica non è una sorta di metodologia ma un’ontologia
del comprendere. Tuttavia, ha molto da offrire al pensiero moderno in una gamma di attività umane
che vanno dall’interpretazione nelle scienze sociali ed altre scienze all’interpretazione letteraria,
all’interpretazione teologica, e persino alla pedagogia degli operatori sanitari. L’ermeneutica
filosofica non è morta ma è ancor oggi rilevante e viva!”.
40
Der Anfang des Wissens , J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen1999, trad. ingl. di Rod Coltman, The Beginning of
Knowledge, Continuum, New York/London 2002.
41
L’inizio della filosofia occidentale tradotto in tedesco nel 1993; trad. ingl. di Rod Coltman The Beginning of
Philosophy, Continuum, New York/London 1998.
42
A Century of Philosophy, Continuum, New York/London 2004.
12
Palmer, in sintesi, nel libro traccia un bilancio della storia e del destino dell'ermeneutica. È proprio
per soddisfare tale esigenza che sceglie di imboccare la strada della lettura incrociata, di
confrontare cioè la testimonianza della sua esperienza diretta dell’insegnamento del prof. Gadamer
con l'analisi, maggiormente articolata e mirante a stabilire un quadro coerente dell’ermeneutica di
altri filosofi. Ed è questa prospettiva ermeneutica a costituire la centralità del libro, un libro che
indaga le relazioni tra ermeneutica filosofica e altri campi da pensare, che recupera le prospettive e
i problemi più generali dell’ermeneutica e apre percorsi di senso da esplorare.
13