DOVE SI NASCONDE LA SALUTE Hans-Georg Gadamer INTRODUZIONE: IL GUARITORE FERITO Il modello medico proposto filosoficamente da Gadamer porta alla teoria del Medico come Guaritore Ferito. In tale interpretazione il medico deve scoprire il paziente che c´è in se, mentre il paziente deve riscoprire le sue abilita mediche interiori, che gli permettano di superare lo squilibrio portato dalla malattia. Un medico "senza ferita" non può attivare quindi i fattori di guarigione nel paziente, in quanto non in grado di entrare realisticamente ed empaticamente in contatto con lui. 1. TEORIA, TECNICA, PRASSI Kant, all'inizio della Critica della Ragion Pura, sosteneva che tutta la nostra conoscenza derivi dall'esperienza umana che, in effetti, cresce di continuo e permette alla tradizione culturale di mettere a disposizione dell'uomo un importante bagaglio conoscitivo. A partire dall'Epoca della Scienza Positiva si è determinato un mutamento concettuale secondo cui nulla di quanto può divenire oggetto dell'esperienza ha la possibilità di sottrarsi alla scienza, in quanto essa continua a progredire e ad autorettificarsi. Ciò che sembra irrazionale ed illogico è quindi da considerarsi come un fenomeno ai limiti della scienza, che però può essere integrato tramite la ricerca scientifica. Conseguentemente quindi la filosofia neokantiana (Hegel e Fichte) ha dato vita ad una teoria sistemica che rifiuta il concetto kantiano di "cosa in sé" in quanto lo stesso dato sensoriale non costituirebbe quindi nulla di "dato", bensì definirebbe il compito della conoscenza. Il rapporto tra Scienza e Prassi è radicalmente cambiato nei secoli. Se comunque la scienza rappresenta quel sapere volto all'universalità ma senza mai raggiungerla e in continuo divenire (quello che precedentemente era rappresentato dalla filosofia intesa come "sapere globale") mentre la prassi rappresenta la scelta delle soluzioni pratiche, la relazione tra loro, che era stata separata dai greci, è tornata a portarle a coesistere in un unico concetto. Si assiste quindi oggi al Secolo della Scienza in quanto, secondo lo stesso Benedetto Croce, essa rappresenta tanto il sapere quanto il saper fare. I motivi che giustificano questa definizione sono sopratutto due: - un dominio incondizionato tecnico-scientifico sulla natura che ha portato la Scienza a divenire un "anti-realtà" che provoca cambiamenti spesso irreversibili. Questi effetti stanno giungendo alla consapevolezza generale ma mantengono comunque nell'uomo la sua fede superstiziosa nelle possibilità scientifiche e questo crea un paradosso secondo cui è la scienza che porta a distruggere la terra ma è solo lei che può trovare soluzioni a questi problemi (ad es. la scienza ha creato la bomba atomica ma anche i modi per difendersi dalle radiazioni); - si assiste poi alla sua applicazione alla vita stessa della società, a cui si sente in diritto di assegnare fondamenta razionali in sempre nuovi settori, a discapito delle tradizioni e di ciò "che l'uomo sa di sé", scavalcando i limiti di un tempo e entrando in conflitto con la stessa concezione valoriale dell'uomo. I concetti di autocoscienza, coscienza e volontà, i quali possiedono un loro dogmatismo, sono stati messi in discussione della scienza la quale, nella sua autorità e specializzazione, si sviluppa come modalità che impone le proprie conoscenze sull'uomo, negando in gran parte la sua autoconsapevolezza e la sua coscienza sociale. L'attuale sistema industriale ha incorporato quindi una visione della scienza che è strettamente applicazione e che minimizza la capacità decisionale e valutativa del soggetto, con una conseguente riduzione della libertà, alimentata dalla creazione di falsi bisogni ad opera della pubblicità. Nella storia la disciplina medica è stata contesa tra scienza e arte, in quanto il suo sapere scientifico si realizza nell´includere una caso specifico in una generalizzazione diagnostica, mentre il suo lato artistico consiste nel riconoscere le differenze. In un mondo in cui la salute è da considerare anche come dato psicologico-morale (oltre a sociale e tecnico) si sente la mancanza dei medici di famiglia "vecchia scuola". Bisogna quindi considerare l´esperto come colui che domina la sua abilità, intendendo con questo la necessità di avere libertà di espressione. E´ infatti solo questa liberta che consente di ottenere la vera prassi, che è in grado di superare il semplice concetto di competenza pratica. Nei campi della famiglia, della società e dello Stato lo specialista non ha poi nessun sapere pratico da offrire e ciascuno deve decidere secondo "scienza e coscienza", oltrepassando quindi le cognizioni scientifiche. L´acquisizione di conoscenze fa si che all´esperto vengano rammentati i limiti del suo sapere specifico e le sue responsabilità sociali e politiche. Ma è la politica, intesa in senso lato, che dovrebbe sorvegliare l´applicazione delle capacità scientifiche acquisite, mentre la scienza dovrebbe quindi unicamente occuparsi degli investimenti di tempo e denaro in relazione alle sue necessità. Per quanto concerne il rapporto tra informazione e pratica, nonostante i calcolatori abbiano dimostrato la capacità di simulare il processo mnemonico dell´uomo, è solo attraverso un´elaborazione ermeneutica, che include il sapere dell´uomo intorno a se stesso legato alle tradizioni storico-culturali, che si può concepire l´acquisizione di conoscenze dello studioso. Essa si basa su una selezione dei dati e delle informazioni che si realizza attraverso un processo di memorizzazione e di dimenticanza degli elementi. Le "scienze dello spirito" (termine coniato nel Romanticismo), attraverso la creazione di un sapere che può risultare ad una prima vista "confuso", devono quindi essere in grado di integrare gli aspetti normative e dogmatici dell´uomo insieme a quelli scientifici moderni, cosi da lasciare un metro critico indispensabile all´uomo moderno per gestire il progresso. 2. APOLOGIA DELL´ARTE MEDICA Il concetto scientifico moderno di medicina deve essere separato da quello che gli antichi greci definivano "techné", il quale comprendeva l´applicazione pratica di un sapere teorico volta alla produzione di qualcosa. In questo specifico termine, che crea una connessione tra scienza e arte, il soggetto è quindi in grado di creare qualcosa di nuovo, utilizzando elementi pre-esistenti in natura, che comunque rimane sempre legato a lui nonostante sia messo a disposizione degli altri (l´opera artistica esposta rimarrà comunque sempre di "proprietà" dell´artista stesso). In un mondo dove la moderna scienza si concepisce come un sapere nel quale prevale la trasformazione pianificata, misurabile e controllabile della natura, la medicina va invece vista come un tentativo di ripristinare l´equilibrio precario dell´uomo. La reale modalità di successo è quindi quella di annullare se stessa e di divenire non necessaria. Bisogna quindi che il medico (inteso in senso lato, quindi anche lo psicoterapeuta) sia in grado di trovare un bilanciamento del proprio intervento (paragone con l´utilizzo della sega manuale dove due soggetti devono fondere i loro gesti in un fluire ritmico) che può passare dall´insufficienza all´eccesso. La scienza in questa concezione non è quindi tecnica, poiché la sua capacita pratica è da intendere come ripristino di quanto è naturale. Nel "Fedro", Platone trova una connessione tra l´arte oratoria e la medicina. Entrambe devono essere in grado di comprendere la natura specifica del proprio sapere e la "natura del tutto". In questo senso natura dell´anima e del corpo si uniscono in un´unica grande concezione. Già Socrate aveva quindi previsto la necessità di non considerare i sintomi in modo isolato, esigendo quindi un metodo scientifico in grado di valutare il paziente in relazione a se stesso e al suo contesto (stagione, temperatura, alimentazione e tempo atmosferico). L´equilibrio dell´uomo che la medicina deve raggiungere riguarda quindi elementi biologici, biografici e sociali, e il medico deve essere in grado di valutare anche quanto la cura avrà ripercussioni sulla situazione complessiva della vita del paziente. A questo proposito si può considerare la condizione di dipendenza del paziente dal medico. Bisogna quindi che quest´ultimo sia in grado di ritirarsi quando non più necessario, ed è questo che rappresenta la vera realizzazione dell´arte medica. 3. SUL PROBLEMA DELL´INTELLIGENZA L´approccio filosofico all´Intelligenza si distanzia dall´approccio più strettamente scientifico moderno. Se l´espressione latina "intelligentia" intendeva la massima forma di discernimento dei fini ultimi e degli elementi generali, dall´Illuminismo (XVIII secolo) tale termine è stato usato in modo più strumentale per intendere le abilità pratiche e concettuali proprie dell´uomo. I greci, e principalmente Aristotele, coniarono il concetto di Phronesis (saggezza) intendendo con questo varie capacità: - capacità di previsione; - capacità di cogliere il senso del tempo; - capacità di stabilire gli scopi e coglierne il senso. L´Intelligenza umana non è quindi da vedere come semplice capacità operativa da adattare ai molteplici scopi dell´esistenza (visione della scienza moderna) ma comprende in se anche l´autocoscienza, intesa come la capacita di riflettere su se stessi. Gli studi sull´Inconscio (Freud) e sulle Demenze (Zutt) hanno però dimostrato come tale capacita non sia libera ma l´unica liberta dell´uomo sia determinata dall´accompagnamento riflessivo delle azioni. Se, come definito da Hegel, il ragionamento si attiva nei casi di un "desiderio che viene ostacolato" (confermato anche dagli esperimenti di Kholer sulle scimmie) la malattia deve essere vista come una perdita di equilibrio che il paziente vive come sofferenza interna e che cerca di superare. L´occultamento mentale della malattia (casi di demenza o di malattia mentale in cui non si è coscienti della malattia stessa) è quindi proprio delle capacita di equilibrio della vita e prevede una forma di intelligenza che si esprime nell´autoinganno. Considerando che le malattie mentali non comportano necessariamente una diminuzione dell´intelligenza, esse sono sicuramente una mancanza di equilibrio globale, che comprende la salute fisica ma anche gli altri aspetti situazionali e relazionari del soggetto. Per Aristotele la distinzione tra intelligenza umana ed animale si basa sul linguaggio che consente di valutare il senso del giusto e discernere l´utile ed il dannoso. L´istintualità animale propria dell´uomo troverebbe quindi nel linguaggio e nell´intelligenza un limite che gli permette di essere istituzionalizzata e regolata in base alle esigenze storico-culturali della vita. Nell´affezione psichica (sia essa malattia mentale o demenza) vi è il fallimento dell´equilibrio tra la nostra animalitas (istinto animale) e la nostra vocazione umana (ragionamento su se stessi e intelligenza in senso filosofico). L´equilibrio mentale rimane comunque per Gadamer un fatto dialettico che si può ristabilire. Tuttavia la sua totale perdita conduce alla distruzione definitiva dell´uomo senza possibilità di recupero. Quindi anche la malattia mentale ci conferma che l´uomo non è quindi un animale intelligente, ma è un uomo. 4. ESPERIENZA DELLA MORTE Nella società moderna si assiste, in accordo con i desideri propri della nostra coscienza, alla scomparsa dell´idea della morte. Tale occultamento è frutto del moderno Illuminismo che, grazie al dominio tecnologico e al sistema di informazioni, ha fatto si che venisse demitizzata la morte (e di conseguenza anche la vita) attraverso l´inserimento di essa nel ciclo industriale produttivo e con il progressivo allontanamento dei moribondi dall´ambiente domestico. Questo ha quindi permesso una sostanziale riduzione della consapevolezza dell´io di fronte alla propria inevitabile fine. In ogni epoca comunque il problema della morte è stato comunque rilevante e questo è dimostrato dall´impossibilità di ogni società (compresa la nostra società moderna) di eliminare ogni celebrazione rituale pubblica di tale evento. Se l´occultamento del pensiero della morte è frutto della volontà dell´uomo di vivere, e di progettare il futuro come se fosse presente e come se non avesse mai una fine, è necessario anche "combattere" tale mistero con varie modalità che, in ogni cultura, hanno permesso di affrontare l´idea di tale separazione definitiva dai propri cari. In questo senso riti pubblici di commemorazione, la regola morale di non parlare mai male dei defunti (che sottintende un´idealizzazione del soggetto) ed i vari riti religiosi che vengono celebrati all´interno di sistemi culturali prevalentemente atei sono modalità necessarie e compensatorie relative all´esistenza di una fine della vita terrena. Il poeta Eschilo ha riletto in chiave poetica il problema della morte nel testo "Prometeo" definendo come il regalo più importante all´uomo sia stato non il fuoco ma l´impossibilità di conoscere la data ed il modo della propria morte, in quanto permette una progettualità prima inesistente. Socrate, che nel giorno della propria morte per avvelenamento respinge comunque tutti gli argomenti a favore dell´immortalità dell´anima, e gli stoici, i quali prevedevano la possibilità di suicidio solo se espressione della propria volontà, hanno sancito la visione filosofica della morte, intesa come estrema ed unica forma di libertà personale. La società moderna, in cui scienza e tecnologia spostano sempre oltre i limiti del controllabile, devono comunque confrontarsi con questo estremo confine. Ma l´orizzonte d´indagine entro cui si muove il pensiero di tale enigma rimane ancora oggi circoscritto alle dottrine della salvezza, con la conseguente certezza della risurrezione dei defunti (o della vita ultraterrena). 5. ESPERIENZA DEL CORPO E OGGETTIVABILITA´ In un mondo dominato dalla scienza moderna e dal suo concetto di oggettivabilità, la filosofia ha dato ben poco risalto al tema della corporeità. Sia Heidegger che Husserl, che lo consideravano comunque un tema centrale, non sono andati oltre al considerarlo "tutto ciò che appartiene al mio io". Già Aristotele affermava che l´anima è la vita del corpo (entelechia) e in quest´ottica bisognerebbe considerare come i temi di anima e di malattia siano strettamente interconnessi con il corpo, inteso nei suoi aspetti di vitalità e di declino. Gadamer affronta quindi il tema di come si conciliano le esperienze del corpo e perché la corporeità sfugga ad ogni tentativo di tematizzazione. Necessario è quindi che filosofia e medicina si inseriscano nell´ordinamento scientifico odierno, considerando i temi della separazione corpo-anima, cercando una conciliazione di questi due aspetti che consentirebbe una concettualizzazione della totalità dell´essere umano (Platone) e del "esserci" (Blankenburg) che prevede la caratterizzazione dell´essere umano e la sua apertura ed interconnessione con i fenomeni del mondo. Rispetto alla connessione tra malattia e corporeità Gadamer fa notare come solo essa ci consenta di comprendere la nostra corporeità, ma come la malattia rappresenti inoltre un fattore di dis-equilibrio dell´uomo. Fondamentale è quindi non utilizzare il modello "aggressivo" moderno, basato sulla dissoluzione del paziente attraverso l´oggettivazione dei suoi elementi (ad es. esami specialistici, utilizzo di farmaci...), ma riscoprire il dialogo (non solo quello strettamente psicoanalitico ma anche quello normale tra medico e paziente) che permetta di valutare le necessita portate dal dover ritrovare un equilibrio perduto. Il sostegno migliore che gli esseri umani possono trovare in questo senso consiste quindi nell´accettazione della propria condizione di reciproca dipendenza. Bisogna imparare a considerare il mondo nella sua globalità come "la nostra casa" e a cercare un equilibrio generale che ci consenta di recuperare il nostro essere uomini, al di la di tutte le oggettivazioni scientifiche presenti. L´impossibilita dell´oggettivazione del corpo deve quindi essere estesa ad ogni rapporto e ad ogni elemento presente, rendendoci consci dei nostri limiti. E´quindi giusto illustrare alle prossime generazioni la gioia della corresponsabilità, del reciproco sostegno e dello stare insieme, non fornendo quindi un modello futuro di vita oggettivabile e ricco di confort e possibilità, in quanto solo una riscoperta dell´uomo e della necessita dei rapporti può condurre ad un miglioramento del mondo. 6. FRA NATURA E ARTE Questo saggio tratta della conversazione immaginaria che Gadamer avrebbe voluto intrattenere con Viktor von Weizsacker sul tema della "Gestaltkreis". Essa si basa sulla modalità di rapporto tra un organismo e l´ambiente circostante. Rispetto al termine Arte del titolo essere deve essere inteso nel suo senso di techné greca, quindi come sapere e capacita del sapiente. Riguardo alla natura la posizione dell´uomo all´interno di essa è trasversale. Il concetto di Circolo, già usato da Platone, permette di considerare tutti gli elementi nel loro insieme interconnessi tra loro (in una sorta di ottica sistemica), ed è da questo che dovremmo ripartire in quanto la natura, che ci ha dotato ella possibilità di allontanarci dal nostro stato naturale e di progettare il futuro, si trova ora in pericolo, aggredita dal sapere e dall´abilita pratica che stanno investendo il mondo senza una misura adeguata dei rischi. La speranza è pero quella che questa crisi possa portare, come nel caso del malato, ad un nuovo equilibrio e a un nuovo ciclo di armonia universale. Necessario è quindi un ritorno all´ordine naturale (di cui esempio è il ciclo sonno-veglia) che ci permetta di progettare il futuro mantenendo però la propria unità. Lo stesso von Weizsacker, rifiutando la cattedra di psicologia generale di Lipsia offerta da Gadamer, desiderava comprendere la falsità e l´insegnamento che si nascondono all´interno della condizione di malattia. Sulla scia di Socrate, che teorizzava la necessità della comprensione del tutto (holon) per comprendere il copro e l´anima, Gadamer analizza il ruolo del medico che si trova nella condizione tra arte e natura. Egli infatti non produce nulla ma si trova in una condizione in cui non può assoggettarsi alla divisione del lavoro moderna (basata su produttività e profitto, e che in questo rifiuta l´idea del "tutto" a favore della specializzazione) ma deve insegnare al paziente come ritrovare l´equilibrio perduto, sia a livello fisico-naturale che a livello sociale e culturale. Nella sua capacità il medico indica come tutti dovremmo comprendere che siamo divisi tra arte, quindi padroni delle nostre capacità pratiche, e natura, che ci impone inevitabili limiti. Il ruolo primario dell´uomo è quindi quello di accettare le proprie condizioni di limitazione ed in ultimo, ma sicuramente non meno importante, la lontanissima destinazione finale (la morte). Nei ricordi di Gadamer quindi la figura di von Weizsacker è associata al compito umano di accettare l´ultima frontiera della vita, attuando però ciascuna attività con umanità e disponibilità verso gli altri. 7. FILOSOFIA E MEDICINA PRATICA Questo capitolo pone sin dall´inizio un incontro di termini che sembra di per se inconciliabile: - da una parte la filosofia che si occupa, come madre di tutte le scienze, delle leggi generali; - dall´altro la medicina pratica che si trova ad affrontare, nella nostra società industrializzata, i problemi relativi alla salute fisica e mentale dei soggetti. In quest´ottica il medico si trova a dover risolvere l´interminabile dilemma, che accompagna l´umanità sin dalla sua comparsa sulla terra, comportato dal dover connettere tra loro teoria e prassi. L´arte medica si realizza quindi sapendo applicare le regole generali scientifiche proprie della medicina ai singoli casi presentati dai pazienti. Considerando di base che la malattia è comunque inteso come qualcosa di oggettivo (qualcosa che oppone resistenza e va "spezzato") mentre la salute non può comunque mai essere oggettivizzata, in quanto la sua essenza è costituita proprio dal suo celarsi all´osservazione, la scienza moderna, sin dal XVII secolo e da Galileo, ha cercato di stabilire con metodi oggettivi i valori standard di salute e malattia, non considerando più il paziente come soggetto ma come oggetto a cui tali metodi sono rivolti. Già Platone nel "Politico" teorizzava una distinzione tra "metron", che significa misura, e "metrion", che invece indica cosa è adeguato, intendendo con quest´ultimo termine la misura interiore di una totalità vivente che pone evidenti limiti ai sistemi di misura moderni. Emerge quindi prepotente la necessità di abbandonare l´osservazione e deduzione moderne per tornare ad un concetto di Cura, basato sulla mano esperta che tastando sa riconoscere la trama ed il "tutto". Il medico deve quindi, tanto più in casi di malattie croniche, essere in grado di curare e di prendersi cura del paziente, accompagnandolo nel tempo, senza attuare modalità moderne votate unicamente all´agire. Il tragico destino dell´umanità, per Gadamer, è portato dalla società industriale la quale fornisce crescenti spinte di specializzazione e di abilita al lavoro, accantonando i necessari concetti umani relativi al prendersi cura di sé. La nostra crescente consapevolezza dei limiti inevitabili della scienza metodica deve condurci a recuperare l´ascolto di sé, che può permetterci di recuperare le forze che conducono a ritrovare l´equilibrio in mezzo alle situazioni-limite sempre più presenti. Nonostante la scienza naturale cercherà sempre di superare i suoi confini, il medico deve riuscire a non applicare solo meccanicamente i concetti appresi ma ha l´obbligo di unificare la sua competenza altamente specializzata con il suo far parte del "mondo della vita" (concetto creato da Husserl). 8. DOVE SI NASCONDE LA SALUTE Nel corso della vita si accumulano esperienze che ci chiariscono che la cosa più sorprendente non è la malattia ma bensì la salute. Volendo definire la scienza medica essa può essere intesa come "scienza della malattia", in quanto il suo oggetto (nel pensiero tedesco tale termine esso significa "ciò che si oppone all'impulso naturale e all'inserimento negli eventi della vita) è il fattore di disturbo che bisogna superare. La medicina ha visto un importate sviluppo volto alla specializzazione, basata sul tentativo di considerare i soggetti un numero (ad es. si vedo che negli ospedali ciascuno "perde" il proprio nome e diviene un numero), che però si contrappone ad una regressione volta alla generale cura della salute e della prevenzione. E' quindi, come nei capitoli precedenti, una contrapposizione tra generalità e multidisciplinarietà e caso singolo e specializzazione. Il termine caso riguarda ciò che tocca in sorte ad un uomo nel "grande gioco della vita" mentre sintomo deriva dal greco ed intende un "avvenimento casuale". Il trattamento medico si deve basare quindi su capacità di ascolto e di relazione del paziente (e questo non solo in psichiatria) per far si che attraverso la terapia (dal greco terapeia=servizio) si riesca ad ispirare fiducia nell'altro, al fine di ottenere l'autorità necessaria, che non può essere quindi imposta. Guardando l'altra faccia della medaglia, che richiama quindi al titolo del capitolo, la Salute non è visibile ma si nasconde nella coscienza dell'uomo. Essa può essere intesa non come un sentirsi ma come un esserci, quindi esserci insieme agli altri uomini ed essere gioiosamente impegnati nei vari compiti della vita. Essa è quindi uno stato di equilibrio naturale che solo nel rapporto medico-paziente può essere recuperato, se e quando viene perso. Esempio della salute è il sonno, che non può essere rilevato a livello cosciente dal soggetto (nessuno può dire "ora sto dormendo") ma che diviene evidente solo quando manca. Per riassumere tali concetti si può citare una famosa massima di Eraclito che recita "l'armonia nascosta è più forte di quella manifesta". L'armonia della salute dimostra quindi la sua forza proprio perché non si fa sentire rumorosamente. Ogni trattamento medico, volto alla salute ma più in generale quindi anche alla vita e alla morte (si vedano gli attuali metodi per prolungare la vita dei pazienti), deve quindi essere in relazione con la globalità dell'uomo e del mondo in generale, al fine di permettere di riacquisire l'armonia nascosta. Gli uomini vivono da sempre difendendosi dagli attacchi che minacciano la propria salute, senza però assumere un atteggiamento stabilmente difensivo (il nostro stesso corpo è costituito per difendersi dall'esterno). La natura che è in noi sa mantenere il nostro equilibrio. Ma quando esso viene meno si può contrapporsi alla "natura della malattia" soltanto se si è natura, e se la natura è con noi. Così non dovremmo mai dimenticare che se si ottiene la salute o la guarigione il medico ed il paziente devono essere concordi nell'attribuire il merito alla natura stessa. 9. AUTORITA' E LIBERTA' CRITICA Questo capitolo tratta del termine Autorità e delle voci ad esso correlate. Bisogna all'inizio distinguere tra: - Autoritario: termine introdotto in Germania negli anni '20 e si collega alla presa del potere da parte di Hitler. Ciò gli conferisce un'accezione negativa; - Autorevole: termine dal significato più chiaro ed universalmente valido. Indica il valore riconosciuto ad un soggetto senza che egli debba imporre la propria autorità (ad es. il padre con il figlio, il professore competente con gli studenti...). Ciò che crea uno sfondo etimologico al concetto di autorità, inteso in questo secondo significato, è la posizione di dignità e di decisione del Sanato Romano che, benché a livello direttivo non avesse nessuno potere, aveva l'autorità conferita da una "saggezza superiore". L'Autorità della Scienza si basa quindi sul metodo e sulla metodica che le sono propri e sulla autodisciplina propria dell'uomo. Nonostante il concetto di Libertà Critica venga contrapposto a quello di Autorità, bisogna notare come essa rappresenti solo un freno al dogmatismo illuminista e quindi come possa essere interpretata come capacità di critica (e sopratutto di auto-critica) che implica quindi l'esistenza di un'autorità superiore. L'intreccio che si realizza quindi tra libertà e autorità si basa sulle capacità di autocritica dell'uomo, capace di percepire i propri limiti. Le stesse dinamiche riguardano quindi anche il medico e la sua posizione, che si situa in un contesto di "tentazione" dell'autorità (conferita dal paziente stesso) ma che egli deve saper utilizzare come guida del paziente verso l'auto-liberazione (non imponendo autoritariamente la propria visione delle cose). Chi esagera il peso istituzionale della propria superiorità e lo sostituisce agli argomenti, corre sempre il rischio di parlare in modo autoritario, ma non autorevole. Quindi la Libertà Critica (saper quindi riconoscere i propri limiti ed i propri errori) è la più grande dimostrazione dell'uso autentico della propria autorità. 10. CURA E DIALOGO Questo titolo è volto ad affermare la necessita, secondo Gadamer, di non separare mai l´ambito concettuale da quello dell´esperienza. La Cura rappresenta quindi la mano "che tasta ed esamina la trama" ed è connessa con il Dialogo dalla Diagnosi, che è da intendere come l´applicazione scientifica del metodo medico volto verso il curare il paziente. Il dialogo tra medico e paziente si realizza quindi sin dal primo incontro e riassume il ruolo di annullare la reciproca distanza e di trovare un comune terreno d´intesa. Nel attuale sistema di sanità pubblica tale dialogo è pero compromesso da motivi di ordine pratico, tra cui grandi numeri di pazienti, orari ridotti di ricevimento dei medici e assegnazione di un numero ai pazienti ospedalizzati. Per Gadamer la lingua è pero importante e può sviluppare le sue potenzialità solo quando è dialogo. E nella medicina esso rappresenta parte integrante della cura e dell´assistenza, in quanto permette di considerare il paziente nella sua totalità di vita senza scivolare in sindromi da ospedalizzazione che creano il rischio di reinserimento della quotidianità. La salute e la malattia sono da considerare quindi come qualcosa di nascosto ed i metodi di misurazione standardizzata attuali non riescono a valutare tali stati, in quanto rappresentano un´adeguatezza basata sul bilanciamento tra vita fisica, organica, salute mentale e natura. Il mantenimento del benessere è quindi basato sulla capacita di dimenticare, come durante il sonno, che non risulta una capacita costantemente sotto il nostro controllo ma è sicuramente, per Gadamer, la "terapeutica virtù della vita". L´uomo ha la caratteristica di poter scegliere consapevolmente, ma il suo sistema di istinti e reazioni non gli consente di ottenere un perfetto adeguamento al suo spazio vitale. La sua essenza consiste quindi nel doversi affermare contro la natura, nella misura in cui ne è capace. Tutti gli uomini sono quindi spinti a mantenersi in armonia con l´ambiente naturale mediante il sapere, e tale capacita è in stretta relazione con la loro consapevolezza e autocoscienza. 11. VITA E ANIMA L´argomento di tale capitolo può essere inteso come l´analisi dell´interazione tra filosofia e psicologia. Per i greci vita e anima avevano lo stesso significato. Dall´espressione psykhé si giunge a considerare un problema fondamentale presente fin dagli antichi, rappresentato dal movimento spontaneo di cui fa esperienza il vivente. Per spiegare tale termine i pitagorici hanno utilizzato il concetto di anamnesis, che non è solo memoria, ma, in quanto caratteristica fondante dell´uomo, si riassume nella capacita di pensiero e di ricerca, la quale riesce ad ottenere il nous greco (evidenza immediata di ciò che si ha davanti agli occhi o in mente) attraverso la riflessione (luce che illumina tutto, anche se stessa) e l´autocoscienza. In questo senso per Socrate come il pensiero riflette costantemente in ogni direzione, cosi fa l´anima, che si prende sempre cura di qualcosa. Prendersi cura non è quindi mai ripiegarsi su se stessi, ma osservare l´esterno, il quale per i greci era l´unico metodo di incontro del vero. Rischio della res extensa cartesiana, ed in generale della scienza moderna, è quello di pensare a se stessa, con conseguente limitazione del sapere e trasformazione della verità in certezza (Nietzsche). Circa il problema dell´unita della coscienza, essa è intesa sulla sua riflessività e semplicità. Secondo Hegel, che usa il termine "essere per sé", il linguaggio permette all´uomo di appropriarsi e di raggiungere ogni cosa. L´uomo, nella sua consapevolezza, ha creato il grande tema religioso dell´immortalità dell´anima trovandosi pero poi a dover scindere i concetti di corpo e anima, rischiando quindi di rinunciare alle "idee dello spirito universale". 12. ANGOSCIA E PAURE In "Essere e Tempo" Heidegger ha voluto riprendere, in un orizzonte più ampio, il problema dell´essere. In tale testo egli analizza anche il fenomeno dell´Angoscia, non in senso strettamente antropologico, ma come "condizione emotiva fondamentale dell´esserci". Il "crearsi una dimora" è, per Hegel, la tendenza fondante dell´uomo, la quale gli permette di vivere libero dall´angoscia e riparato dai pericoli, in un ambito familiare e comprensibile. Eraclito aggiunge poi che il mistero della vita è immutabilmente legato alla necessita del pensiero dell´uomo di misurarsi con la morte e con il suo mistero. Con la rimozione della morte ad opera di Prometeo, si è sviluppata la vita e l´intelligenza (volte comunque sempre a comprendere la propria fine, quindi la morte stessa), e l´angoscia dell´esistenza ha consentito il distacco dell´uomo dalla natura attraverso il linguaggio, distinguendolo quindi da tutti gli altri esseri viventi. L´odierna angoscia della civiltà moderna, basata su una minaccia senza nome e incomprensibile, si basa su tre aspetti fondamentali: - l´essere entrati nel "epoca della responsabilità anonima", come definito da Jaspers, in cui non vi sono più individui responsabili o a cui si debba rispondere del nostro operato, e che, attraverso il loro sapere sovrastante, sappiano prendere posizione nei problemi della nostra civiltà; - il superamento delle religioni da parte della scienza ha rivelato un vuoto incolmabile; - senza fiducia nella scienza Nietzsche si domanda "fino a che punto la vita dell´uomo può sopportare la verità?". Gadamer, nel tentativo di connettere l´angoscia dell´esistenza e le varie fobie, si interroga quindi sul significato che assume la malattia in rapporto all´angoscia. La malattia, come già detto negli altri capitoli, rappresenta un senso di coscienza che l´uomo ha di se e uno squilibrio dell´uomo Secondo Gadamer bisogna quindi riconoscere la situazione emotiva originaria dell´angoscia, accettandola come l´onore ontologico dell´uomo (espressione usata da Romano Guardini). Conoscere quindi l´angoscia e non poter comprendere a pieno la morte rappresentano allora quel "urlo della nascita" che non si smorza mai durante tutta la vita. 13. ERMENEUTICA E PSICHIATRIA La Psichiatria, come arte medica, è situata ai confini della scienza e vive nel suo indissolubile legame con la prassi, che supera la mera applicazione del sapere. Essa diviene quindi un´arte. In quest´ottica l´Ermeneutica, che si occupa di comprendere quello che è imprevedibile nel bilancio della vita psichica dell´uomo, ha mostrato il limite della semplice applicazione delle regole, propria della scienza moderna, e ha iniziato a considerare il linguaggio, oggi argomento filosofico cardine, e il dialogo come elementi fondamentali del pensiero e della ragione, che permettono quindi una netta distinzione tra uomo e animale. Platone per primo sostenne che il pensiero è il dialogo dell´anima con se stessa. Nelle religioni, nei miti e nelle arti l´ermeneutica ha permesso di fornire risposte ai grandi interrogativi dell´uomo. La psichiatria deve quindi servirsi dell´ermeneutica al fine di cercare di comprendere "l´incomprensibilità nelle malattie mentali e psichiche", in cui il problema si riassume nello stesso riconoscimento dello stato di salute alterata. Il concetto di malattia mentale è da sempre legato alla coscienza sociale della norma, per cui i soggetti atipici vivono ai margini della società. Nonostante i metodi di oggettivazione delle malattie, nella psichiatria quindi il medico si trova di fronte al limite della "frattura insuperabile" basata sull´indecifrabilità della malattia stessa. Necessaria è quindi una relazione medico-paziente profondamente individuale e di condivisione, nonostante questo sia particolarmente difficile con gli alienati mentali (Camus: un paziente sta pescando in una vasca da bagno. Il medico gli chiede se i pesci abboccano ed il paziente risponde "idiota, non vedi che è una vasca da bagno", indicando la sua sfiducia nella competenza medica). La riflessione sul ruolo dell´ermeneutica nell´ambito della psichiatria porta a riconoscere come non esista quel confine che separa le discipline e che sembra caratterizzare una particolare specializzazione medica. E, come già sostenuto da Aristotele, bisogna ricordare che l´anima, e cosi la mente, è la complessiva esistenza corporea dell´uomo.