DIPARTIMENTO DI PEDAGOGIA, PSICOLOGIA, FILOSOFIA - UNIVERSITÀ DI CAGLIARI A.A. 2016-2017 - METODI E PROBLEMI DELLA FILOSOFIA TEORICA, II MODULO (DOCENTE: V. BUSACCHI) Lezione introduttiva La questione dell’interpretazione (II parte) Perché l’ermeneutica è la disciplina che più di ogni altra può trattare della questione dell’interpretazione nella chiave posta in questo corso? Nessuna trattazione epistemologica compiuta del problema dell’interpretazione è possibile senza l’intervento dell’ermeneutica. È lavoro del già menzionato filosofo romantico Schleiermacher ad aver elevato a dignità filosofica questa disciplina; senza annullarne però l’accezione di tecnica. All’ermeneutica sono ascritti oggi tre significati preminenti: a) l’«ermeneutica» è l’arte dell’interpretazione di testi sacri o profani – in questo senso l’ermeneutica si identifica con l’esegesi e la filologia b) l’«ermeneutica» è riflessione metodologica sulla pratica dell’interpretazione c) l’«ermeneutica» è la filosofia dell’interpretazione. FILOSOFIA ED ERMENEUTICA: tre principali direttrici tematiche (Da M. Ferraris, Storia dell'ermeneutica): 1) la direttrice ontologica (che chiama in campo filosofi quali Heidegger, Gadamer, Derrida); 2) la direttrice epistemologica (che tocca pensatori quali Dilthey, Gadamer, Ricœur); 3) la direttrice della critica dell’ideologia (Apel, Habermas, Gadamer). È la seconda di queste direttrici ad interessarci da vicino (?)... L’intreccio tra ermeneutica ed epistemologia ha il suo avvio intorno alla fine del XIX secolo (Epoca in cui è predominante la concezione positivistica). L’idea di poter penetrare razionalmente qualunque fenomeno non si arresta neppure di fronte agli enigmi della soggettività. Con Wundt i fenomeni psichici divengono osservabili e misurabili secondo gli stessi criteri della scienza fisica. È proprio la psicologia a porsi rapidamente al centro di una disputa sui metodi (Methodenstreit) che investe e contrappone scuole filosofiche in una vera e propria guerra epistemologica. La psicofisiologia di Wundt vs. la psicoanalisi di Freud. Il neurobiologo Sigmund Freud mette a punto con la psicoanalisi un procedimento terapeutico incentrato sull’interpretazione (e, perciò non controllabile scientificamente), ma allo stesso tempo lavora per costruire una teoria scientifica che giustifichi e supporti questa nuova dottrina e pratica psicologica. Dal suo punto di vista, la psicoanalisi è a tutti gli effetti scienza, esattamente «coma la fisica e la chimica». Nella sua concezione, il procedimento psicoanalitico deve restare psicologico solo in linea provvisoria; con l’avanzamento delle conoscenze neurobiologiche, infatti, l’impianto di psicologia dovrà/potrà essere sostituito con quello di medicina neurologica. Il Progetto [1895; postumo] di Freud (linguaggi energetistico, meccanicistico, causalistico tipici della concezione scientifica di allora)... Ritornando al punto dell’intreccio tra ermeneutica ed epistemologia, il protagonista sulla scena filosofica è – come è noto – Wilhelm Dilthey, filosofo storicista, esperto di ermeneutica e di psicologia. Dilthey si mostra da subito critico nei riguardi dell’orientamento naturalistico dato alla psicologia dal positivismo. Dapprima, anzi, Dilthey pensa alla psicologia come alla disciplina paradigmatica delle Scienze dello spirito, ovvero la disciplina che non solo può rappresentarle ma, in qualche modo, “giustificarle” ed unificarle. Ad un certo punto, però, abbandona la psicologia – troppo instabile e problematica – per rivolgersi all’ermeneutica. Le nuove riflessioni ed i nuovi studi del filosofo lo portano a convincersi che l’ermeneutica meglio della psicologia si presti a collocarsi a fondamento delle Scienze dello spirito. La collocazione disciplinare dell’ermeneutica può essere fatta risalire a J. G. Droysen, che intorno alla metà dell’Ottocento distingue tra lo «spiegare» (erklären) proprio della scienze della natura ed il «comprendere» (verstehen) proprio delle scienze storiche. Ma è solamente a partire da Dilthey che possiamo parlare di ermeneutica come sapere dotato di uno statuto epistemologico fondante le scienze dello spirito. Mentre Freud lavora con convinzione alla collocazione della sua nuova disciplina tra le scienze naturali, l’alternativa epistemica si è già delineata e pare congegnale alle psicologie. Le idee di Freud incontreranno innumerevoli critiche, in particolare da parte di P. Ricœur (1965) – secondo cui la sua psicoanalisi è in realtà una disciplina dotata di due differenti e contrastanti epistemologie – e da parte del filosofo tedesco J. Habermas (1968) che tenterà, in qualche modo, di interpretare la psicoanalisi nella chiave linguistica – diciamo – di ermeneutica del profondo. (Habermas: Freud è caduto in un autofraintendimento scientistico). Con Gadamer e Ricœur l’ermeneutica ha potuto concorrere alla messa in crisi dell’epistemologia tradizionale (anche rispetto alle “scienze esatte”), spingendo a generare modelli di tipo relativistico [o, meglio, parliamo di epistemologia mista]. Oggi concetti come oggettività, fatto, verità non sono più accolti in senso assoluto; necessitano di specificazione, collocazione, articolazione; e vengono sovente accoppiati: oggettività/relatività [dell'osservatore], verità/interpretazione, fatto/interpretazione, fatto/valore ecc. Verità e metodo (1960) Nella prefazione scritta per l’edizione italiana del 1972 l’autore afferma: «Questo è un libro filosofico e non vuole affatto essere una metodologia delle scienze dell’interpretazione» H.-G. Gadamer, Verità e metodo, tr. it. G. Vattimo, Bompiani, Milano 2000, p. 1041. E nella Pref. alla 2ª ediz. Ted., 1965, p. 1002, spiega: … Gadamer vuole studiare le strutture trascendentali del comprendere, poiché il comprendere è per Heidegger carattere ontologico, condizione essenziale dell’Esserci. Nel § 31 di Essere e tempo (1927) si legge: «Nella comprensione è riposto essenzialmente il modo d’essere dell’Esserci in quanto poter essere. L’Esserci non è una semplice presenza che, aggiuntivamente, possegga il requisito di potere qualcosa, ma al contrario è primariamente un essere possibile». Stando così le cose, l’approccio dell’uomo al mondo ed a se stesso è costitutivamente ermeneutico – poiché il motore della comprensione è precisamente l’interpretazione. Al di là di questo sfondo ontologico totalizzante del comprendere, Verità e metodo intende dimostrare sulla base dello studio di discipline umanistiche come nel comprendere venga a compiersi un’esperienza di verità o di conoscenza vera non riducibile ne riconducibile al pensiero scientifico in quanto tale. Il comprendere proprio delle scienze dello spirito è del tutto particolare e coglie una parte vitale, essenziale, all’uomo della verità, delle conoscenze che la scienza con il suo rigore metodologico, con la sua “illusione di purezza della verità” (perché distaccata dal soggetto) non può raggiungere: si pensi all’esperienza artistica, storica, filosofica, giuridica ecc. «Le scienze dello spirito, in quanto conoscenze a base storica, non devono perseguire un ideale metodico di obiettivazione, ma piuttosto andare alla ricerca di un comprendere (...) che (...) si configuri, più che come semplice “conoscenza”, come un’esperienza che trasforma al tempo stesso il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. Qui la storia mostra le medesime caratteristiche dell’arte. Come in quest’ultima l’oggetto non viene scelto casualmente, ma ci è trasmesso con autorità da una tradizione, così nella storia noi non siamo liberi di fronte al passato, ma questo ci condiziona e ci orienta nel momento stesso in cui lo tematizziamo scientificamente. E d’altra parte, sia nell’arte sia nella storia, l’oggetto viene attivamente modificato dal nostro conoscere (...)»1. 1 M. Ferraris, Storia dell’ermeneutica, pp. 269-270. Nel saggio Ermeneutica e metodica universale Gadamer osserva, al riguardo: «I pregiudizi non sono necessariamente ingiustificati ed erronei per il fatto che mascherano la verità. Anzi, invero, la storicità della nostra esperienza implica che i pregiudizi costituiscano, nel significato etimologico della parola, le linee orientative provvisorie che rendono possibile ogni nostra esperienza. Essi sono delle prevenzioni che caratterizzano la nostra apertura al mondo, delle condizioni che ci permettono di acquisire esperienze, in virtù delle quali, infine, tutto ciò che noi incontriamo ci dice qualcosa»2. 2 H.-G. Gadamer, Ermeneutica e metodica universale, p. 272.