IL TESTAMENTO BIOLOGICO DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO 11 febbraio 2012 Alfredo Anzani, HSR Milano In Italia, il Comitato Nazionale di Bioetica ha approvato, il 18 dicembre 2003, un apposito Documento sulle dichiarazioni anticipate di trattamento La parola “testamento” (o direttive) non è quella giusta perché con essa si intende la facoltà di disporre di una cosa che si possiede e che si vuole donare ad altra persona o ad altra istituzione. La vita non è una cosa qualsiasi, un semplice oggetto che si possiede e di cui si può disporre liberamente a proprio piacimento. Essa è indisponibile. E’ un dono. Non la si è potuta scegliere all’origine e non la si può conseguentemente rifiutare al termine. La vita è sì disponibile perché posta nelle nostre mani di soggetti liberi. Ma è anche indisponibile nella sua radicalità: nascita, crescita, morte. Unanime è la condanna dell’eugenetica e della pena di morte. Il “non uccidere” è connaturale all’uomo. C’è un oggettivo autoporsi della vita umana che la rende non del tutto immanente alla libertà del singolo. Per il credente questo aspetto ad extra è riferita al Creatore. Per il laico sarà, invece, la natura che ci eccede, ci precede e segue; entro di essa possiamo agire e intervenire ma senza ricondurla totalmente alla soggettività dell’arbitrio individuale. (Gianfranco Ravasi: La nostra vita è anche degli altri. L’Espresso, 15.12.2012) “Essere consci del lato misterioso e indisponibile della vita è il più bel sentimento che ci sia dato provare: sta alla radice di ogni arte e di ogni scienza vera”. Albert Einstein E’ preferibile parlare di DICHIARAZIONI ANTICIPATE SUL TRATTAMENTO DI FINE VITA Si tratta di un documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato. Le dichiarazioni anticipate non devono in alcun modo essere intese come una pratica che possa indurre o facilitare logiche di abbandono terapeutico, neppure in modo indiretto. IL PRINCIPIO GENERALE al quale il contenuto delle dichiarazioni anticipate dovrebbe ispirarsi può quindi essere così formulato: ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri, anche in modo anticipato, in relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può lecitamente esprimere la propria volontà attuale. Da questa definizione appare evidente che questo principio esclude che tra le dichiarazioni anticipate possano annoverarsi quelle che siano in contraddizione - col diritto positivo, - con le norme di buona pratica clinica, - con la deontologia medica, o che pretendano di imporre attivamente al medico pratiche in scienza e coscienza inaccettabili. Il CNB ritiene essenziale eliminare ogni equivoco e ribadire che il diritto che si vuol riconoscere al paziente non è un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire che il paziente possa far valere nel rapporto col medico. Dopo l’approvazione al Senato, il 12 luglio 2011 è stato approvato dalla Camera il Disegno Legge sulle DAT. Tornerà in Senato per l’approvazione definitiva. DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ALLEANZA TERAPEUTICA, DI CONSENSO INFORMATO E DI DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO. Art. 1. TUTELA DELLA VITA E DELLA SALUTE La presente legge, … a) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile,… c) vieta… ogni forma di eutanasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l'attività medica e quella di assistenza alle persone esclusivamente finalizzate alla tutela della vita e della salute… d) impone l'obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più appropriati,… e sul divieto di qualunque forma di eutanasia,… e) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere dall'espressione del consenso informato… f) garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura. ART. 2. CONSENSO INFORMATO 1. Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole. 2. L'espressione del consenso informato è preceduta da corrette informazioni rese dal medico curante al paziente… 3. L'alleanza terapeutica costituitasi all'interno della relazione fra medico e paziente… può esplicitarsi, se il medico lo ritiene necessario o se il paziente lo richiede, in un documento di consenso informato firmato dal paziente e dal medico. Tale documento è inserito nella cartella clinica su richiesta del medico o del paziente. 4. È fatto salvo il diritto del paziente di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competono. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere esplicitato in un documento sottoscritto dal soggetto interessato che diventa parte integrante della cartella clinica. 5. Il consenso informato al trattamento sanitario può essere sempre revocato, anche parzialmente. Tale revoca deve essere annotata nella cartella clinica. 6. In caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che sottoscrive il documento. … 9. Il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando ci si trovi in una situazione di emergenza, nella quale si configuri una situazione di rischio attuale e immediato per la vita del paziente. ART. 3. CONTENUTI E LIMITI DELLA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI TRATTAMENTO. 1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante, in stato di piena capacità di intendere e di volere e di compiuta informazione medico-clinica, con riguardo ad un'eventuale futura perdita permanente della propria capacità di intendere e di volere, esprime orientamenti e informazioni utili per il medico, circa l'attivazione di trattamenti terapeutici, purché in conformità a quanto prescritto dalla presente legge. 2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti terapeutici in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale. 4. Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento. 5. La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell'incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale e, pertanto, non possa assumere decisioni che lo riguardano. Tale accertamento è certificato da un collegio medico … (anestetista-rianimatore, neurologo, medico curante e medico specialista)… ART. 4. FORMA E DURATA DELLA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI TRATTAMENTO 1. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie, sono redatte in forma scritta con atto avente data certa e firma del soggetto interessato maggiorenne, in piena capacità di intendere e di volere dopo una compiuta e puntuale informazione medicoclinica, e sono raccolte esclusivamente dal medico di medicina generale che contestualmente le sottoscrive. 2. Le dichiarazioni anticipate di trattamento devono essere adottate in piena libertà e consapevolezza, nonché sottoscritte con firma autografa. Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto. 3. Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità per cinque anni, … La dichiarazione anticipata di trattamento può essere rinnovata più volte, con la forma e le modalità prescritte dai commi 1 e 2. 4. La dichiarazione anticipata di trattamento può essere revocata o modificata in ogni momento dal soggetto interessato. … 5. La dichiarazione anticipata di trattamento deve essere inserita nella cartella clinica dal momento in cui assume rilievo dal punto di vista clinico. 6. In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica. ART. 5. ASSISTENZA AI SOGGETTI IN STATO VEGETATIVO 1. Al fine di garantire e assicurare l'equità nell'accesso all'assistenza e la qualità delle cure, l'assistenza ai soggetti in stato vegetativo rappresenta livello essenziale di assistenza… L'assistenza sanitaria alle persone in stato vegetativo o aventi altre forme neurologiche correlate è assicurata attraverso prestazioni ospedaliere, residenziali e domiciliari secondo le modalità previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri … ART. 6. FIDUCIARIO 1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante può nominare un fiduciario maggiorenne. 2. Il dichiarante che abbia nominato un fiduciario può sostituirlo,… in qualsiasi momento senza alcun obbligo di motivare la decisione. 3. Il fiduciario… si impegna a vigilare perché al paziente vengano somministrate le migliori terapie palliative disponibili,… 4. Il fiduciario è legittimato a richiedere al medico e a ricevere dal medesimo ogni informazione sullo stato di salute del dichiarante. 7. Il fiduciario può rinunciare per iscritto all'incarico, comunicandolo al dichiarante o, ove quest'ultimo sia incapace di intendere e dì volere, al medico responsabile del trattamento terapeutico. 8. In assenza di nomina del fiduciario, i compiti previsti … sono adempiuti dai familiari, … ART. 7. RUOLO DEL MEDICO 1. Gli orientamenti espressi dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento sono presi in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirli o meno. 2. Il medico curante, qualora non intenda seguire gli orientamenti espressi dal paziente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento, è tenuto a sentire il fiduciario o i familiari, … ad esprimere la sua decisione motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica o comunque su un documento scritto, che è allegato alla dichiarazione anticipata di trattamento. 3. Il medico non può prendere in considerazione orientamenti volti comunque a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica. Gli orientamenti sono valutati dal medico, sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio dell'inviolabilità della vita umana e della tutela della salute e della vita, secondo i principi di precauzione, proporzionalità e prudenza. A favore della legge 1. Una legge a protezione della vita è necessaria. 2. La vita è un valore tutelato dalla Costituzione e da tutto il nostro ordinamento. 3. Non è accettabile la dizione ‘testamento biologico’ (e neppure quella di ’disposizioni o dichiarazioni’) perché in questo caso si intende che le volontà espresse dalla persona sono vincolanti, confliggendo con l’indisponibilità della vita umana. 4. L’obbligo tassativo per il medico di mettere in atto la volontà espressa ‘ora per allora’ è insostenibile. 5. La vincolatività delle DAT di fatto stabilirebbe il potere di qualcuno di disporre sulla vita umana. 6. La legge rispetta quanto affermato nella Convenzione di Oviedo che ritiene che i medici curanti abbiano il dovere di prendere in considerazione i testamenti biologici ma non il dovere inderogabile di applicarli quando ritengano in scienza e coscienza che essi non siano più attendibili o non conformi alla situazione reale in cui versa il malato o eutanasici. In realtà, il problema vero, “il cuore” della questione non è tanto quello di far conoscere le proprie intenzioni, quanto piuttosto quello di ottenere il diritto all’eutanasia volontaria. Dall’eutanasia come condizione interiore di serenità davanti alla morte (significato originario) ▼ all’eutanasia come strumento per la realizzazione di fini di pubblica utilità (e. eugenetica: involuzione) ▼ all’eutanasia come pratica attiva od omissiva mediante la quale liberare il soggetto malato, dietro sua richiesta o meno, dalla sofferenza (eutanasia pietosa, propria dell’età contemporanea) E’ un diritto civile pretendere l’eutanasia? NO Legalizzare l’eutanasia non significa riconoscere ai malati e ai morenti un diritto civile ma dare ai medici (e alla struttura sanitaria) il potere di decidere sul destino finale dei malati più fragili, più deboli, più soli. Cedere alla pressione che vuole la legalizzazione dell’eutanasia (perché così si difenderebbero diritti civili) di fatto aprirebbe la porta all’abbandono terapeutico. La vera domanda che ci poniamo diventa: di fronte ad una persona che è priva di coscienza ESISTE O NON ESISTE il dovere di prestare le cure ordinarie che le permettono di vivere? Il fatto di tenere conto dei desideri e delle volontà pregresse di una persona non può minare due doveri fondamentali della convivenza umana: - il dovere del pronto soccorso e - il dovere di non uccidere, riconoscendo che la vita umana non è mai disponibile alla volontà, propria ed altrui. L’indisponibilità della vita non deriva da una particolare visione della vita stessa o da una fede religiosa, ma dal fatto che soltanto riconoscendo questo principio possiamo assicurare la convivenza umana e il riconoscimento dell’eguaglianza tra gli uomini. Il diritto all’autodeterminazione non ha senso se è pensato e esercitato contro il dovere della tutela della vita umana, perché SOLO L’UOMO VIVO HA DIRITTI. Anche se di fatto possiamo disporre della vita, uccidendoci o uccidendo, non dobbiamo disporre della nostra vita e di quella altrui perché LA VITA non è una proprietà, un’acquisizione, un dono, qualcosa che si aggiunge o si toglie ad un soggetto, ma è lo stesso esserci di qualcuno, che è la fonte di tutti gli altri diritti. Per questo motivo non si può rinunciare al diritto di vivere e nessuna forma di testamento biologico dovrebbe ammettere richieste che possano minare questo principio basilare. “Nessun uomo è un’isola… Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché partecipo dell’umanità; e dunque non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: suona per te”. John Donne Non si appartiene mai esclusivamente a se stessi: la vita non è mai soltanto mia. La libertà, valore incommensurabile, va esercitata in equilibrio con la relazione nei confronti dell’altro. Contrari alla legge IGNAZIO MARINO http://ldmultimedia.be-online.net/?p=716 La legge introduce il testamento biologico, salvo stabilire che non è vincolante. Insomma vale poco e niente… Da una parte i difensori della vita, così si definiscono loro, convinti assertori della sacralità e intangibilità della vita anche quando la sola vita che resta è quella di un corpo privo di funzioni cerebrali, indissolubilmente legato a macchinari che ne mantengono artificialmente alcune funzioni essenziali. Dall’altra parte, quelli come me, più realisticamente consapevoli dei limiti della tecnologia che in molti casi consente di mantenere il ritmo di un battito cardiaco senza poter consentire al paziente un recupero della sua integrità intellettiva, e che ritengono dunque giusto tutelare la dignità e la libertà del singolo, difendendo il suo diritto alla libera scelta delle terapie. La legge sul testamento biologico che la Camera dei Deputati ha votato è un’amara bugia poiché ne fa un pezzo di carta che senza valore. Questa legge, voluta per ragioni di basso tatticismo politico, toglie agli italiani il diritto di scegliere della propria vita. http://diksa53a.blogspot.com/2011/07/testamento-biologico-ignazio-marino.html Con questa legge si obbligano le persone, anche coloro che hanno indicato di non volere un tubo nell'intestino, a riceverlo per legge, e poi le indicazioni che ognuno lascerà non saranno vincolanti per il medico. Il medico dovrà solo documentare in cartella per quale motivo la pensa diversamente dal paziente. Questo è incivile e inaccettabile. Si è arrivati addirittura ad inserire un articolo che dice che per applicare il testamento biologico bisogna accertare l'assenza di attività celebrali, in altre parole si dovrebbe scrivere in una legge che i medici quando una persona è morta possono sospendere di curarla. UMBERTO VERONESI http://www.ok-salute.it/varie/09_a_veronesi-eutanasia-testamento-biologico_2.shtml Quando ci si chiede che cos'è la vita, che cos'è la morte io penso che la vita sia il Dna: in queste tre lettere è racchiuso il mistero della vita. Gli esseri viventi hanno la stessa costituzione, cioè tutto ciò che vive è fatto del medesimo Dna composto di quattro elementi, quattro basi di azoto dai nomi vezzosi: adenina, citosina, guanina e timina. L'aldilà e l'immortalità dell'anima, per coloro che credono, rendono più tollerabile la morte. Ma un laico, che non ha il dono della fede, non crede a tutto ciò che la religione gli ha suggerito per consolarlo dell'inesorabilità della fine. Sa che la sua vita è fragile, che deve terminare e alla morte si prepara nel tempo. Penso di essere anch'io preparato ad affrontarla come un fatto normale. Confesso solo che non so come mi comporterei se mi accorgessi che la mia mente, cioè le mie facoltà mentali e intellettuali, non mi sostenesse nella sua integrità. Non penso al suicidio, perché contempla un rituale penoso e a volte sgradevole ed è inoltre penalizzante per chi rimane. La mia vera paura è quella di perdere la consapevolezza della mia natura di uomo, cioè della dignità umana. Gli ultimi attimi di vita, quando la malattia non è più curabile e quando la situazione non solo è irreversibile, ma porta con sé sofferenze e umiliazioni, sono attimi di debolezza e di sconvolgimento totale. Per questo ho affidato a una persona a me vicina il mio testamento biologico, nel quale chiedo di essere aiutato a morire con dignità, se e quando le mie condizioni non me lo permettessero. Di fronte a queste situazioni c'è da chiedersi qual è la vita che va difesa: la vita in quanto tale, cioè la vita biologica, spesso appesa al filo di una macchina che la rende un fatto vegetativo, oppure la vita in cui esiste la consapevolezza del sé? Ho sempre affrontato il tema del diritto di morire con un profondo rispetto delle opinioni di tutti, anche quando non le condivido. E lo affronto con la consapevolezza che può essere un tema lacerante per la sensibilità di molti, perché è difficile accettare che si spenga la vita. E tuttavia continuo a difendere questo diritto, nell'ambito di quel concetto onnicomprensivo che è il diritto di ogni uomo all'autodeterminazione, cioè alla libertà. Io penso, tout court, che il diritto di morire faccia parte del corpus fondamentale dei diritti individuali: diritto a una giustizia uguale per tutti, diritto all'istruzione, diritto al lavoro, diritto all'esercizio di voto, diritto di scegliere il proprio domicilio. Card. ANGELO BAGNASCO, CEI 25.05.2009 “… il morire non può diventare un diritto che taluno invoca per sé o per altri. Se una tale pretesa infatti dovesse approdare nella legislazione… le conseguenze sarebbero fatali anzitutto sul piano di quegli autentici diritti umani che costituiscono il portato di una intera civiltà. Tra il cosiddetto ‘diritto a morire’ e gli altri diritti non vi è infatti alcuna omogeneità ontologica. E’ semmai la teoria dell’autodeterminazione che funge in questo caso da dottrina qualificante il discutibile diritto a morire. Il valore della libertà si iscrive nella dimensione relazionale che costituisce la persona e la rende non isola tra isole, ma punto luminoso correlato intrinsecamente agli altri soggetti. E si iscrive altresì nella verità delle cose e nell’orizzonte delle nostre scelte che infatti ci qualificano sul piano morale del bene e del male”. Il concetto di ‘diritto alla morte’, deve configurarsi come IL DIRITTO AD UNA MORTE DIGNITOSA E UMANA, degna dell’uomo e della sua vita. “È molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo”. NON ESISTE IL DIRITTO ALLA MORTE MA “il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana”. “Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei problemi”. Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull´eutanasia, Roma, 05.05.1980 Gli elementi chiave che definiscono l’accanimento terapeutico sono l'inutilità, (inefficacia) la penosità, (sofferenza) l’eccezionalità, (sproporzione) Rifiutare l'accanimento diventa non solo legittimo, ma anzi doveroso, come segno di estrema responsabilità e rispetto verso la vita umana. Chi rifiuta l'accanimento terapeutico non facilita la morte della persona, ma semplicemente accetta i limiti della vita umana. Obbligo morale del medico è quello di conservare la salute e la vita, non quello di prolungare l'agonia. C'è un momento a partire dal quale alcuni interventi terapeutici devono essere interrotti perché ormai non influiscono più sul decorso della malattia e anzi recano danno al malato. Se cessano le cure specifiche, resta sempre l'obbligo invece di proseguire con LE CURE ORDINARIE e LE CURE PALLIATIVE o SINTOMATICHE Il confine tra rifiuto dell’accanimento terapeutico l’abbandono del malato, è molto sottile ed è affidato alle intenzioni del paziente e del medico. Dipende dal rapporto tra tecnica usata e intenzione perseguita nell’usarla. È necessario ANDARE AL DI LÀ DEL SEMPLICE CONSENSO INFORMATO, spesso non reale date le fragili condizioni del malato, per battersi al fianco del paziente, per assisterlo, per evitare la sua solitudine e lenire il suo dolore, insistere cioè sull’alleanza medico-paziente anche quando non ci sono speranze terapeutiche. Non si dimentichi che il gesto MEDICO è in primis “soccorso”, poi si misura col resto. La voce del PAZIENTE verso il medico è in primis “aiutami”, e non “giù le mani”. E’ possibile, oggi, MORIRE NELLA TENEREZZA fra sostegno familiare e cure ? Il compito del MEDICO è essenziale. Quale medico ??? Il medico NON è Caronte Il medico DEVE assumersi la responsabilità Il medico sa che - quando possibile, deve procurare la guarigione (to cure); - se questo risulta impraticabile, deve alleviare le sofferenze e/o migliorare la qualità di vita del paziente (to relieve), - in ogni caso, cioè sempre, deve prendersi cura della persona malata (to care). conclusioni Io sono un medico. Il mio mestiere è “CURARE”. - curare CHE COSA ? la salute? guarire le malattie? - o curare CHI ? cioè prendersi cura di chi soffre, di chi ha problemi di male? (malattia ha radice di “male”, salute ha radice di “salvamento”) CURARE, PRENDERSI CURA, appartiene alla condotta umana universale, prima che alla professione. *a) La cura parentale, per esempio, appartiene all’istinto della vita (persino a livello animale): - alimenta la vita - scampa dal pericolo della morte *b) La cura dei propri simili, fratelli, prossimo è vincolo di civiltà umana (principio di soccorso) *c) La scienza medica è il soccorso specifico contro il male o delle infermità o delle disabilità o della prossimità della morte *d) La misura con cui la scienza tenta di rimontare - le infermità (farmaci) - le disabilità (protesi, ecc) - le minacce di morte (chirurgia, trapianti, pratiche rianimative, terapie di sostentamento vitale ecc.) è misura - volta per volta - diversa. Nel corso della storia accade che la speranza di vita aumenti in modo considerevole. Resta, comunque, per ogni essere umano (mortale) l’appuntamento con la morte. LA CONSAPEVOLEZZA DELLA MORTE COME EXITUS NATURALE NON VANIFICA L’ATTEGGIAMENTO DI CURA E NON DIVENTA MAI UN ABBANDONO. Nulla interrompe, infatti, il prendersi cura del malato nell’approssimarsi del morire. Per il medico, il criterio di condotta non è dissimile da quello di ogni uomo-fratello che “tiene a cuore” la vicenda del fratello: prendersi cura “sempre” Da ciò nasce il rifiuto di ogni pratica di morte (eutanasia), diretta o indiretta che sia, derivante da intervento letale o da abbandono terapeutico. La qual cosa non significa opposte pratiche di accanimento, quando l’exitus si annuncia. OGGI, si fa facendo strada un’opinione che – innestandosi sopra vicende drammatiche particolari – intende avallare un principio generale di “autodeterminazione” terapeutica. Anzi non solo terapeutica, ma vitale, nel senso che ciascuno sarebbe “libero” di decidere se vivere o morire e quando morire, e non “farlo decidere ad altri”. Siccome l’argomento, se preso sul serio, ha uno spessore antropologico e filosofico importante, è bene levar di mezzo equivoci e ingenuità. Si dice che il medico non deve poter far niente senza il consenso informato. Giusto, ma attenti a non gettar via la medicina. Questa immagine di una medicina che ti violenta (perché ti cura) è una falsificazione, prima che un sofisma. - magari fosse possibile scegliere, sempre, di non morire! - la libertà di “voler morire”, se fosse prerogativa difendibile, dovrebbe prescindere da malattia o salute. Saul può voler morire perché ha perso la battaglia. L’adolescente può voler morire perché la sua ragazza l’ha lasciato e la vita non ha più senso per lui. Il concetto di consenso vive dentro l’alleanza, non dentro il conflitto. Chi immagina una medicina conflittuale bestemmia la medicina. Vado meditando quale enorme errore, difficilmente ipotizzabile come involontario, ci sia nel richiamare l’art. 32 della Costituzione, letto come diritto di rifiutare la salute. Quelli che l’hanno scritto non pensavano per niente così. Occorre una minima onestà storica. Certo che chi non vuole le cure non può essere curato a forza, ma questo sta dentro un principio di libertà personale (art. 13 Costituzione). Ciò, però, non si capovolge nella pretesa di far fare al medico quel che si vuole. Non si può chiedergli, per esempio, l’eutanasia. Un dialogo a voce spenta In determinati casi, nel rapporto medicopaziente, il dialogo è muto, perché una voce è spenta. Lo chiamo ancora dialogo, perché il bisogno di soccorso pone da sé la prima parola, che non può restare inascoltata. Questo concetto vale per tutti i casi. PER I PAZIENTI IN STATO VEGETATIVO LA SITUAZIONE È PECULIARE. Solitamente non vi è un’acuzie, non un pericolo di vita, non una malattia che evolve verso la morte, non una situazione “terminale”. Vi è un’assenza di coscienza (o una “minima coscienza”) stazionaria, persistente, permanente, che può durare anni e anni; mentre le altre funzioni vitali sono intatte, “sane”. E’ necessaria la nutrizione e l’idratazione (e tante altre cure del corpo, l’igiene, la protezione termica, ecc.), senza le quali nessun organismo sopravvive. Schematizzando, la disabilità nell’assumere acqua e cibo è rimontata dal sondino. Il sondino non è la terapia dell’assenza di coscienza, che permane. Togliendo il sondino sopravviene la morte. L’assunzione di cibo e acqua è necessaria alla vita; la sua somministrazione con l’aiuto di altri (ad esempio agli infanti, ai disabili vigili) sostituisce il gesto naturale impossibilitato; la somministrazione per via artificiale inserisce una tecnologia lato sensu sanitaria, ma non le fa cambiare natura. In quelle condizioni è un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. La nutrizione artificiale è indubbiamente un artificio, ma non fa diventare l’acqua una medicina. Sulle DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO, il dibattito in sede normativa incontra oggi in Italia alcuni nodi non semplici. E’ possibile tuttavia porre alcuni punti per evitare equivoci o improprietà che persino nel lessico possono trarre in errore. 1) Le DAT non possono essere una prenotazione di eutanasia. 2) Lo specifico dello SVP, rispetto alla malattia che se non guarita o curata provoca la morte, è che il cibo e l’acqua non sono destinati a guarire o curare lo stato di assenza di coscienza, e la loro privazione è causa (parallela, autonoma, sufficiente) di morte. 3) Le DAT esprimono desiderio e orientamento, non sono l’equivalente di “istruzioni” destinate a un medico-robot in positivo o in negativo. E’ un punto delicatissimo che nessuna casistica normativa potrebbe esaurire. 4) Le DAT sono sì una manifestazione di libertà, ma anche di “spendita” di quella medesima libertà; la quale dunque di lì in poi vi sta rinchiusa. C’è sempre la possibilità di mutarle, ma se lo SVP sopraggiunge prima che il soggetto faccia in tempo a ripensarle, per confermarle o mutarle, c’è il rischio di una minor tutela. Dico questo perché la funzione delle DAT viene generalmente proposta e percepita (e già questa è una improprietà) non come cura richiesta, ma come elenco delle terapie rifiutate. 5) La lettura delle DAT non sarà mai la stessa cosa dello scanning di un codice a barre. Per quanto si possa accentuare l’importanza di una indicazione soggettiva remota, per definizione inattuale, la sua autenticazione attualizzata passa fatalmente per riflessioni e congetture che spaziano in campi dove i “dottori della legge” dovranno sempre cedere il passo agli “esperti in umanità”. Le dichiarazioni anticipate hanno senso come colloquio virtuale che perdura dopo l’interruzione di quello materiale, nel quadro di alleanza. Ma la lettura vuole intelligenza. Se l’adolescente diciottenne, trovato riverso nella sua stanza, col tubetto di barbiturici vuoto ha lasciato un biglietto “la mia ragazza non mi ama più, addio, non rianimatemi” dovrà una madre lasciarlo morire, o chiamare il 118? E il medico, gli farà la lavanda gastrica, o metterà la lettera d’addio in un quadretto? Intelligenza, ci vuole, questo è il rispetto della voce umana confidente, e non confliggente. Io sono medico e per noi medici la cura è il canale permanente di un colloquio che ha i suoi sussulti, le sue intermittenze apparenti, persino i suoi anacoluti, ma che non può mai dismettere la sintassi dell’amore.