Il rapporto storico tra “verità” e “certezza”

IL RAPPORTO STORICO TRA
“VERITÀ” E “CERTEZZA”
Cosa possiamo conoscere?
Pensiero e mondo reale
tra criticismo kantiano e idealismo hegeliano
IL REALISMO FILOSOFICO
La realtà coincide con il pensato, cioè con il
contenuto del pensiero, la realtà è idea.
 Per il realismo il mondo vero esistente in se
stesso (la realtà) è appunto ciò che il pensiero
pensa quando l’uomo è libero dall’errore e quindi
quando l’uomo pensa in modo epistemicofilosofico.
 «Non è il pensiero che crea la verità, esso solo la
scopre: la verità esiste quindi in sé anche prima
che sia scoperta».
Agostino

OPPOSIZIONE DI CERTEZZA E VERITÀ
La filosofia moderna da Cartesio a Kant si rende
conto che, se la realtà esiste in sé
indipendentemente dal pensiero che la conosce,
è necessario, allora, mettere in questione il
principio che la certezza (il pensiero non traviato
dall’errore) abbia come contenuto la verità.
PERTANTO:
se il realismo filosofico è affermazione dell’identità
immediata di certezza e verità,
la filosofia moderna, fino a Kant, è affermazione
dell’opposizione di certezza e verità, essendo una
critica del realismo tradizionale e anche del
nostro comune modo di pensare

IL PROBLEMA DELLA FILOSOFIA MODERNA
La filosofia moderna è la problematizzazione
della coincidenza delle nostre rappresentazioni
(idee) e la realtà esterna.
 Perciò, al contrario dello scetticismo (che nega
che il contenuto della certezza possa mai essere
verità), per la filosofia moderna il problema è se il
contenuto della certezza sia la verità.
 Cartesio nega che si possa porre immediatamente
come verità il contenuto della certezza, ma non
nega (fino a Kant) che si possa giungere a
dimostrare che la certezza (il pensiero) abbia
come contenuto la verità.
 Non esclude cioè che si possa affermare
mediatamente ciò che non è immediatamente
affermabile.

SCETTICISMO E RAZIONALISMO METAFISICO


La negazione scettica della verità non intende
approdare ad alcuna verità.
Cartesio invece è convinto che la verità originaria
si costituisce proprio nell’atto in cui ci si rende
conto che non si può affermare immediatamente
che il contenuto della certezza sia la verità.
RICOMINCIARE DALLE FONDAMENTA

1.
2.


A partire dall’esistenza dell’ “io” come esistenza del
mio pensiero per dubitare di tutto tranne che dubitare
di tutto.
«Dubito che il sole esista», (e dunque)
«Il sole esiste indubitabilmente».
Indubitabile è il mio pensiero, non la realtà esterna
ad esso, in quanto il pensiero – nel produrre se stesso
– si presenta come una conoscenza “chiara” e
“distinta”.
Evidente sia per il manifestarsi della cosa stessa, sia
per la distinzione, giacché solo ciò che non si confonde
con un altro è evidente
IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA “IDEA”
Per il realismo
filosofico:
L’idea non è
l’id quod conoscitur,
(“ciò che è conosciuto”)
bensì è
l'id quo conoscitur.
(“ciò con cui si conosce”)


Cartesio, intendendo
l’idea il contenuto
immediato del
pensiero, ritiene che
l’idea
(o rappresentazione) è
l'id quod conoscitur.
IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA “IDEA”
Nell’uso comune chiamiamo “idea”
ciò che non è “reale” e ha solo un’esistenza mentale.
 Nel vocabolario della filosofia moderna
sia ciò che il senso comune e la filosofia realistica
chiamano “idea” ( o “una semplice idea”),
sia ciò che il senso comune chiama “realtà”
sono due tipi differenti di idea
PER CUI:
Ciò che la filosofia moderna chiama “mondo esterno”
non è il contenuto immediato della certezza, perché
non allude a questo mondo che ci sta davanti, ma
allude a ciò che non percepiamo immediatamente e
che sta al di là delle nostre rappresentazioni (“idee”).

« Si può dire che tutte le idee (ossia tutte le cose che appaiono nel pensiero)
sono come quadri.
Se l’autore di tutti i quadri è il pittore – e in questo senso tutti i quadri
hanno la stessa “mano” – , d’altra parte il quadro che raffigura un monte
differisce dal quadro che raffigura un cavallo.
Ora, è vero che un quadro può raffigurare un altro quadro, ma non si può
andare all’infinito: da ultimo la serie di quadri si riferisce alla realtà , che
contiene realmente tutte le cose che in essi sono contenute
rappresentativamente.
In quanto costituito da idee, il pensiero esige l’esistenza della realtà –
realtà “formale”, dunque – di cui le idee sono rappresentazioni.
A questo punto si tratta di stabilire quale sia tale “realtà”:
perché sin qui non si può escludere né che questa realtà sia qualcosa di
diverso da me , cioè da me in quanto idea pensante (la quale, sin qui, è
l’unica realtà affermabile dall’epistéme), né che questa realtà sia io stesso.
Si tratta allora di vedere se la realtà oggettiva di qualcuna delle mie idee
sia tale, che io conosca chiaramente e distintamente che essa non può
essere in me realmente, e che quindi io non possa essere la causa di tali
idee; oppure si di tali idee non ne esistono affatto – nel qual caso dovrò
riconoscere di essere “solo nel mondo”, cioè l’unica realtà esistente. »
Emanuele Severino, “La filosofia dai greci al nostro tempo”, vol. II, pp. 123-124
IL PRINCIPIO DI CAUSALITÀ
Il principio fondamentale della metafisica grecomedioevale, è così formulato da Cartesio:
«Nella causa efficiente ci dev’essere per lo meno
tanta realtà quanta ve n’è nell’effetto »;
o anche:
«Il niente non può essere la causa efficiente di
alcunché »;
e quindi:
«Ciò che contiene maggiore realtà non può essere
effetto di ciò che contiene minore realtà ».

L’IO È L’UNICA REALTÀ ESISTENTE?
La realtà oggettiva, che è contenuto dell’idea, è
l’effetto di una realtà formale, effettiva, attuale,
che non è a sua volta un’idea, ma è la causa che
contiene formalmente tutta la realtà.
 Per questo motivo, di tutte le idee meno una, è
possibile supporre che io stesso, cioè io come
realtà pensante, sia la “realtà formale” che è la
causa della “realtà oggettiva” di tutte quelle
idee.
 Sino a che non si prende in esame quell’unica
idea che fa eccezione, è possibile supporre che il
mondo (ossia l’insieme delle idee che lo
costituiscono) sia la rappresentazione di
quell’unica realtà che sono io.

L’ESISTENZA DI DIO
Di tali idee e di tutte le altre (meno una) io posso
dunque dire che:
«Non riconosco nulla di così grande né di così
eccellente che non mi sembri poter venire da me
stesso. »
 Ma in me esiste anche l’idea di una sostanza
infinita, eterna, immutabile, indipendente,
onnisciente, onnipotente e creatrice di tutte le
altre cose. Si tratta dell’idea di ciò che viene
chiamato “Dio”, di cui io non posso essere la
causa in quanto sono una realtà imperfetta e
finita, perché io dubito.

METAFISICA
PREMODERNA

La conoscenza
dell’universo diveniente
è la base a partire dalla
quale si giunge alla
conoscenza della realtà
immutabile e divina.
METAFISICA
CARTESIANA

La conoscenza
dell’esistenza di Dio è il
fondamento della
conoscenza
dell’universo che esiste
al di là delle
rappresentazioni
dell’io.
LA FILOSOFIA MODERNA E L’ESISTENZA
DELLA REALTÀ ESTERNA
Se per la filosofia moderna la “realtà esterna” è
idea, rappresentazione, poiché con Cartesio è
messa in discussione la sua esistenza;
 È pur vero che – come per il realismo filosofico e
il senso comune – anche la filosofia moderna
giunge ad affermare che la realtà vera e propria
esiste indipendentemente dall’io.
 La differenza visibile è che la filosofia moderna
dimostra l’esistenza della realtà esterna, mentre
per la filosofia realista, il senso comune e la
scienza moderna tale esistenza non ha bisogno di
affermazione ed è affermata immediatamente.

RAZIONALISMO E EMPIRISMO
La filosofia moderna e l’essenza della realtà
esterna oltre ciò che la rappresenta: il fenomeno.
LA PASSIVITÀ DEL SENTIRE
La realtà vera e propria non solo è esterna alla
mente, ma è anche attiva sull’apparato
percettivo-sensitivo dell’uomo.
 Infatti la passività è propria della sensibilità
umana, in quanto:
se siamo liberi di pensare o di non pensare, o di
pensare diversamente ciò che pensiamo,
non siamo liberi di sentire o di non sentire, o di
sentire diversamente, un certo contenuto
sensibile (ad esempio un suono).

IL SENTIRE UMANO E IL SUO CARATTERE
L’aspetto sensibile dell’esperienza, il sentire
umano, ha insieme un carattere rivelativo, e un
carattere occultante:
rivelativo, perché la sensazione, come effetto di
una causa esterna, rileva in qualche modo tale
causa;
occultante la realtà esterna, perché l’effetto non è
la causa.
EBBENE:
Il razionalismo, a cominciare da Cartesio, ha
sottolineato il carattere occultante
dell’esperienza, l’empirismo ne ha sottolineato il
carattere rivelativo.

IL RAZIONALISMO
Il razionalismo ha coscienza del carattere
occultante della sensibilità:
per conoscere ciò che sta al di là delle nostre
rappresentazioni sensibili non potremo e non
dovremo mai basarci sulle nostre
rappresentazioni sensibili.
DETTO ALTRIMENTI:
per conoscere ciò che è al di là della nostra
esperienza, non potremo e non dovremo mai
basarci sulla nostra esperienza, ma basarci su
principi non attinti dall’esperienza, detti “a
priori” o “innati”.

L’EMPIRISMO
L’empirismo ha coscienza del carattere rivelativo
della sensibilità:
nella sensibilità vede l’unico reale rapporto,
l’unico reale legame tra il mondo delle nostre
rappresentazioni e il mondo della realtà in se
stessa.
le nostre sensazioni sono l’unico elemento,
interrogando il quale possiamo sapere qualcosa
intorno alla realtà esterna.
Appare dunque chiaro che:
L’empirismo è una critica alla metafisica
razionalista, e tale critica coincide con il rifiuto
dell’innatismo e dell’apriorismo razionalistico.

LA PARABOLA METAFISICA
Scavalca la
sensibilità si
appoggia e parte
da conoscenze
innate, non
attinte
dall’esperienza.
La coscienza dei
limiti
dell’esperienza è
accompagnata
dalla
convinzione di
poter
oltrepassare la
soggettività
sensibile
mediante la
ragione.
SUL CONCETTO DI RAGIONE
In senso razionalistico, la “ragione” è il “sapere
metafisico”.
 Per l’empirismo, il fondamento del sapere è la
coscienza sensibile, ossia la coscienza che ha come
contenuto la sensibilità.
 Ciò non vuol dire che ogni nostra conoscenza
altro non è che “sensazione” (come sostiene
l’antica concezione del sensimo), poiché la
sensibilità è contenuto della coscienza, dal
momento che siamo consapevoli (ne abbiamo
coscienza) dei colori, delle forme, dei sapori, ecc…
 Pertanto, l’empirismo non nega la coscienza (cioè
non è un sensismo), ma nega che la coscienza
possa avere di per se stessa un contenuto reale
non sensibile (David Hume).

CRITICA DEL PRINCIPIO DI CAUSALITÀ
Tutti i ragionamenti intorno alla realtà, osserva
Hume, sono fondati sulla relazione di causa ed
effetto, cioè su principio di causalità.
 Ma la conoscenza di questa relazione non può
essere raggiunta ragionando a priori, e cioè
indipendentemente dall’esperienza: tale
conoscenza “sorge direttamente dall’esperienza”.
 Il principio di causalità è una congettura. La sua
“evidenza” non ho un valore “logico”, ma
“psicologico: l’abitudine.
 Privata del principio di causalità la nostra mente
non può in alcun modo dimostrare l’esistenza di
Dio – così come non può dimostrare l’esistenza di
una realtà esterna che sia la causa delle nostre
percezioni degli oggetti sensibili.

CRITICA DELL’IDEA DI SOSTANZA E LA
“NATURA UMANA”
Hume opera una riduzione radicale
dell’estensione della ragione – e cioè
dell’epistéme: la ragione può avere come
contenuto reale solo quello che per Cartesio era il
punto di partenza della ragione, ossia il
contenuto immediato della mente, l’indubitabilità
delle nostre percezioni.
 La ragione non può spingersi oltre l’esperienza,
anche se la “natura dell’uomo” spinge l’uomo a
credere che esista una realtà esterna ed
indipendente da lui.
 In questo modo, non solo la metafisica, ma anche
ogni conoscenza razionale della natura è priva di
ogni valore universale e necessario.

L’INCONOSCIBILITÀ DELLE COSE IN SÉ
Kant mostra nel modo più perentorio che le cose
in sé stesse, esterne ed indipendenti dalla
conoscenza umana, non possono essere conosciute.
 Mostra cioè che l’opposizione tra certezza e verità
è definitiva.
 il “criticismo” kantiano è la consapevolezza
(epistemica) dei limiti della ragione umana, in
opposizione al “dogmatismo” cartesiano secondo il
quale il contenuto conosciuto, in cui si imbattono
le costruzioni conoscitive edificate dall’uomo,
possa essere l’insieme delle cose in sé stesse.

KANT E LA METAFISICA
L’ESISTENZA DELLA COSA IN SÉ


Se per Kant la cosa in sé, come tale, è
inconoscibile, ne segue che la metafisica – che
intende appunto essere una conoscenza della cosa
in sé – è impossibile come scienza.
Il fenomeno è il contenuto del conoscere e quindi
non è niente in sé stesso, al di fuori del nostro
modo di rappresentare: le cose dell’universo che
ci circonda sono fenomeni, ma il fenomeno è
rappresentazione e quindi è riferimento a
qualcosa che da ultimo non è fenomeno, ma è una
cosa in sé.
FENOMENO E NOUMENO


Il concetto di fenomeno è inevitabilmente
connesso al pensiero dell’esistenza delle cose in
sé; ma questo pensiero non ci fa conoscere nulla
di esse, sì che esse, in quanto pensate sono
“noumeno” (nooúmenon:“ciò che è pensato”).
Sono appunto un “noumeno” in senso negativo e
non positivo come avviene nel dogmatismo, che
ritiene di conoscere positivamente con la ragione
ciò che sta al di là dell’esperienza.
Ipotesi gnoseologica di fondo
«Benché ogni nostra conoscenza cominci con l’esperienza, da ciò non segue che
essa derivi interamente dall’esperienza. Potrebbe infatti avvenire che la
nostra stessa conoscenza empirica sia un composto di ciò che riceviamo
mediante le impressioni e di ciò che la nostra facoltà conoscitiva vi aggiunge
da sé sola(semplicemente stimolata dalle impressioni sensibili)».
Immanuel Kant
LA CONOSCENZA UNIVERSALE E NECESSARIA
Kant richiama un principio ben noto nella storia
del pensiero filosofico, e cioè che la semplice
esperienza ci dice ciò che è, ma non ci dice che è
necessariamente così e non può essere altrimenti.
Pertanto essa non dà all’uomo una conoscenza
universale.
 La conoscenza universale e necessaria non può
essere il semplice rispecchiamento di ciò che di
fatto si presenta nell’esperienza – ossia non può
essere derivata dall’esperienza, ossia a posteriori
– ma è a priori rispetto all’esperienza, ossia non
è ottenuta in base all’esperienza ed è quindi
indipendente da essa.

LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”
L’esistenza di un sapere necessario e universale
richiede che
non sia la conoscenza umana a regolarsi sulla
natura degli “oggetti”, ma, all’opposto, che siano
gli “oggetti” a regolarsi sulla natura della
conoscenza umana.
N.B.:
a) l’oggetto di cui si dice che la conoscenza umana
non può regolarsi su di esso è la cosa in sé;
b) l’oggetto, di cui si dice che si regola sulla natura
della conoscenza, è l’ oggetto dell’esperienza (il
fenomeno).

LA PRODUTTIVITÀ DEL CONOSCERE
(VERUM IPSUS FACTUM)
Ciò che la nostra conoscenza conosce a priori
degli oggetti è appunto ciò che la nostra
conoscenza produce in essi:
«noi delle cose non conosciamo a priori se non
quello che vi mettiamo».
 L’uomo può conoscere la natura, proprio perché la
produce. La “natura” non è, infatti, la cosa in sé,
ma è l’oggetto dell’esperienza in quanto esso si
realizza conformemente alle leggi della
conoscenza. In questo modo la fisica è sì scienza
universale e necessaria (come la matematica), ma
ha tale valore, proprio perché non è scienza della
cosa in sé, ma dei fenomeni, cioè dell’esperienza.

LA “CRITICA DELLA RAGION PURA”

È la scienza stessa (epistéme) che stabilisce quali sono
le condizioni che rendono possibili le conoscenze a
priori
– vale a dire prodotte dalla ragione, che Kant chiama
“pura” in quanto procede indipendentemente
dall’esperienza –
e mostra l’ambito all’interno del quale tali conoscenze
hanno valore,
ossia possono essere considerate , giudicate, necessarie
e universali per stabilire ciò che deve essere affermato
intorno a qualcosa
GIUDIZI ANALITICI.
GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI

Kant chiama giudizi analitici, i giudizi nel quale il
predicato è già implicitamente contenuto nel soggetto:
“Tutti i corpi sono estesi”
(si basano sul principio di non contraddizione,
poiché c’è identità fra soggetto e predicato)

Giudizi sintetici, sono invece i giudizi nel quale il
predicato non è contenuto nel soggetto ed è unito a esso
mediante una “sintesi” che è essa a contenere il soggetto e
predicato:
“Tutto ciò che è esteso cade verso il basso”
(il loro fondamento è l’esperienza, cioè l’esperienza della connessione tra
ciò che è espresso nel soggetto
e ciò che è espresso nel predicato del giudizio)
GIUDIZI SINTETICI A PRIORI
Il loro fondamento non è il principio di non
contraddizione, e neppure l’esperienza
 Il fondamento dei giudizi sintetici a priori è costituito
da quelle “forme a priori”, cioè da quell’ordinamento,
da quelle leggi a priori degli oggetti dell’esperienza che
lo spirito (il soggetto) produce in quanto esso, come
conoscenza universale e necessaria, non può essere
conoscenza delle cose in sé, ed è ciò su cui si regolano
gli oggetti

[Kant, invece di chiedersi come le cose sono fatte in se stesse, si
chiede come esse devono esser fatte per esser conosciute dallo
spirito, dal soggetto]
MATERIA E FORMA
La facoltà dello spirito è di essere modificato da quegli
“oggetti” che sono le cose in se stesse.
 Il risultato di questa modificazione è l’insieme delle
rappresentazioni sensibili, cioè delle “sensazioni”.
 Le sensazioni sono soltanto il modo in cui lo spirito
reagisce all’azione esercitata su di esse da parte delle
cose in se, come possono apparire all’interno della
nostra costituzione soggettiva, cioè come fenomeni.
 Nel fenomeno, la materia è la sensazione, cioè la
molteplicità delle determinazioni sensibili,
 mentre la forma è l’ordine che lo spirito conferisce alle
sensazioni per il fatto di accoglierle e raccoglierle in se
stesso.

L’INTELLETTO PENSA L’OGGETTO
DELL’INTUIZIONE SENSIBILE
Kant scrive:
«Senza sensibilità non ci sarebbe dato nessun oggetto, e
senza l’intelletto nessun oggetto sarebbe pensato».
Poiché in entrambi i casi “oggetto” significa “cosa in sé”,
quando Kant afferma che
«L’intelletto è la facoltà di pensare l’oggetto dell’intuizione
sensibile»,
intende che l’intelletto riferisce i dati dell’intuizione
sensibile a ciò che sta al di là di ogni dato e che quindi è la
cosa in sé, un’incognita, una X, che Kant chiama “oggetto
trascendentale”.

La metafora del lago
di ninfee
Sulla superficie di un
lago galleggiano dei fiori
con le radici attaccate sul
fondo – delle ninfee. Il
fondo del lago è invisibile
dalla superficie. Si
vedono solo le figure
formate dalla
disposizione dei fiori
sulla superficie del lago.
Tuttavia i fiori, in
qualche modo,
provengono da fondo del
lago.
Sono allora possibili tre
diversi modi di
interpretare il rapporto
tra la disposizione dei
fiori sulla superficie e il
modo in cui essi sono
attaccati sulla superficie
del lago.
1. C’è chi afferma che alla disposizione dei fiori sulla superficie corrisponda
un’identica disposizione delle loro radici sul fondo. E afferma questo perché
è convinto di disporre di una sonda che gli consente di percepire la
conformazione del fondo.
2. C’è chi diffida delle sonde (perché i loro referti non sono sempre
concordanti) e finisce per disinteressarsi del modo in cui le ninfee si
attaccano al fondo.
3. C’è infine chi è consapevole che nessuna sonda potrà mai rendere visibile il
fondo del lago e quindi sa di non poter dir nulla intorno alla disposizione
delle radici delle ninfee sul fondo del lago. Ma egli sa anche che le ninfee
sono attaccate al fondo, e che se la loro disposizione alla superficie non ci
può suggerir nulla intorno alla disposizione delle radici sul fondo, tuttavia
la disposizione di superficie è vincolata alla disposizione sul fondo e cioè
non può essere sostituita da qualsiasi altra disposizione. Per quanto
aggrovigliati siano i gambi dei fiori, la disposizione di superficie è
determinata dalla disposizione sul fondo, e quindi i rapporti che sussistono
tra i fiori e la superficie non sono modificabili, anche se tali rapporti non
sono quelli del fondo ma, appunto quelli della superficie.
SIGNIFICATO DELLA METAFORA
La superficie del lago corrisponde alla coscienza
 Le ninfee ai fenomeni sensibili che vengono ricevuti nella
coscienza
 Le radici sul fondo alle cose in sé stesse
 La disposizione delle ninfee – cioè i rapporti che
sussistono tra esse alle categorie o concetti puri a priori
 I gambi delle ninfee, mediante i quali esse provengono
dal fondo, alla ricettività della sensibilità (la superficie
del lago riceve i fiori dal fondo invisibile, come la
coscienza riceve le determinazioni sensibili dalle cose in
sé inconoscibili

La prima delle tre interpretazioni sopra indicate corrisponde al razionalismo,
la seconda all’empirismo di Hume, la terza al criticismo di Kant.
Kant mostra nel modo più perentorio che noi possiamo conoscere soltanto
fenomeni (“ninfee”) e non cose in sé (“radici”). Il fondo del lago non è la
superficie e nessun potenziamento ed ampliamento della vista potrà mai
andare oltre la superficie, penetrando l’oscurità dell’acqua. Non possiamo dir
nulla sul modo in cui le ninfee si attaccano al fondo.
Però Kant non perde di vista che i dati empirici provengono dalla cosa in sé,
ossia che lo spirito, in quanto sensibilità, è recettività, ossia è modificato dalla
cosa in sé.
Non perde di vista il legame che unisce lo spirito alla cosa in sé, e anzi afferma
che lo spirito stesso, in quanto intelletto, riferisce i dati sensibili alla cosa in sé.
In questo riferimento, l’intelletto pensa l’ “oggetto” trascendentale
dell’intuizione sensibile, cioè pensa la cosa in sé come ciò da cui ci vien dato il
fenomeno.
Orbene, se la cosa in sé, da cui i dati empirici provengono, è inconoscibile, e se
tuttavia l’intelletto sa –pensa – che la cosa in sé è ciò da cui i dati provengono,
allora l’intelletto, pur sapendo che i rapporti in cui si trovano i dati empirici
sono soltanto fenomenici, sa anche che tali rapporti non sono (come sostiene
Hume) variabili a piacere, non sono semplici fatti, ma sono vincolati al fondo
da cui provengono e quindi sono rapporti costanti, sintesi immodificabili,
necessarie, universali. E tali sintesi sono a priori.
IL SENSO DELLA “RIVOLUZIONE
COPERNICANA”
Non è la conoscenza a regolarsi sugli oggetti
(=cosa in sé), perché altrimenti essa non sarebbe
universale e necessaria, ma sono gli “oggetti” a
regolarsi sulla conoscenza a priori di essi:
non solo su quella conoscenza a priori che sono le
intuizioni pure di spazio e tempo,
ma anche su quelle conoscenze a priori che sono
le categorie dell’intelletto
 Pertanto è il soggetto, con le sue categorie e con
le forme pure dell’intuizione, che organizza
l’intero insieme della conoscenza.

LA NEGAZIONE
IDEALISTICA
DELLA COSA IN SÉ
L ’ O LTREPAS S AM ENTO
DEL REALISMO
L’affermazione kantiana dell’inconoscibilità delle cose in
sé ha senso soltanto in relazione al riconoscimento
dell’esistenza delle cose in sé,
se quest’ultime non esistessero, non si potrebbe
nemmeno affermare che esse sono inconoscibili.
 Anche il fenomenismo kantiano è dunque un realismo –
ossia è affermazione che la res, la cosa, è indipendente ed
esterna rispetto al conoscere.
 Al contrario, per l’idealismo lo stesso concetto di cosa in
sé è contraddittorio
 Comprendere che il concetto di cosa in sé è contradditorio
significa comprendere che al di là del pensiero non può
esistere alcuna cosa in sé esterna ed indipendente da
esso.

LA COSA IN SÉ È UN ASSURDO
Kant aveva distinto il “conoscere” che ha come contenuto
l’esperienza, dal “pensare” che ha come contenuto la cosa
in sé, alla quale non compete nessuna delle
determinazioni dell’esperienza (né le forme pure, né le
categorie) ed è pertanto inconoscibile sebbene possa
essere pensata.
 La “cosa in sé” è infatti la cosa come essa è al di fuori e
indipendentemente da suo essere conosciuta: è la cosa
chiusa in sé e chiusa al conoscere.
 Ma nel concetto di “cosa in sé”, la cosa in sé è appunto
concepita, cioè conosciuta, e in quanto concepita e
conosciuta, essa non è chiusa in sé e chiusa al conoscere,
ma aperta al conoscere. Proprio perché è concepita, la
“cosa in sé” non può essere in sé.

LA COSA IN SÉ NON ESISTE
Proprio perché la cosa in sé è “pensata”, essa non può
dunque essere “in sé”, né qualcosa di inconoscibile.
 Il tentativo di stabilire dei limiti al conoscere, quindi, non
può che fallire, perché tali limiti possono essere posti solo
in quanto, in qualche modo, si conosce ciò che sta al di là
di essi, e cioè solo in quanto essi sono oltrepassati.
 Tanto più ci si sforza di pensare una dimensione dove le
cose sono in se stesse, indipendenti e indifferenti al
pensiero, tanto più è presente quel pensiero dal quale si
vorrebbe prescindere, e tanto più appare l’impossibilità di
pensare la cosa in sé, cioè il non pensato, il non conosciuto,
il non concepito
 Con la negazione dell’esistenza della cosa in sé,
l’idealismo giunge quindi alla negazione della tesi
kantiana dell’inconoscibilità della cosa in sé.

L’IDENTITÀ MEDIATA DI “CERTEZZA” E “VERITÀ”
Mediante la negazione della cosa in sé, l’idealismo giunge
ad affermare daccapo che la “certezza” è identica alla
“verità”
 Col toglimento della cosa in sé, il fenomeno non è più
qualcosa di semplicemente soggettivo (non è più
“certezza” opposta a “verità”), ma è la stessa realtà in se
stessa, che appare.
 Daccapo, nell’idealismo, il contenuto del pensiero è l’essere
– e non l’immagine soggettiva e quindi alterante
dell’essere.
 Se quindi per il criticismo kantiano l’essenza dell’essere è
di rimanere nascosta all’uomo (la cosa in sé è
inconoscibile), per l’idealismo, all’opposto, l’essenza
dell’essere è di rivelarsi nella coscienza umana.

IL RITORNO DELLA METAFISICA
La negazione kantiana della possibilità della metafisica
come “scienza” deriva dall’affermazione
dell’inconoscibilità della cosa in sé, e questa affermazione
è a sua volta fondata sul presupposto della cosa in sé.
 Il toglimento idealistico di tale presupposto implica
pertanto il ritorno della metafisica come “scienza”
epistéme), che non si limita alla considerazione di questa o
quella parte della realtà,
ma si solleva, come la filosofia greca, alla comprensione
del Tutto come “il solo vero”.
 Quella idealistica è stata chiamata la “metafisica della
mente”, per distinguerla dalla “metafisica dell’essere” –
dove l’ “essere” è inteso come quella realtà esterna alla
mente.
