GEOMETRIA EUCLIDEA E GEOMETRIE NON‑EUCLIDEE La

GEOMETRIA EUCLIDEA E GEOMETRIE NON-EUCLIDEE
La principale difficoltà, in molti sviluppi moderni della Matematica, non è
imparare nuove idee, ma dimenticare le vecchie. (...) La difficoltà
nell'affrontare una nuova teoria è che si tende ad adattare ad essa modi di
pensare che appartengono alla vecchia teoria. Negli ultimi 150 anni le idee
matematiche tradizionali sono state esaminate più da vicino, e,
continuamente, sono state trovate prive di significato o sbagliate. (...) La
geometria non-euclidea è, in effetti, la prima e più imponente rottura con la
tradizione. Prima del 1800, e suppongo ancora oggi per alcuni alunni e
alunne di scuola, la sola geometria vera era quella di Euclide. Come
fanciulli, tendiamo a pensare alla "Geometria "piuttosto che a "una
geometria".
W. W. Sawyer, Preludio alla Matematica
l. Teorie formali
Nel corso degli ultimi 150 anni circa si è svolta un'approfondita riflessione sui fondamenti della Matematica, e in
particolare sulla Logica. 1 lavori di alcuni 'Matematici, tra i quali vanno citati David Hilbert (1862-1943), Bertrand
Russell (1872-1970) e Felix Klein (1849-1925), hanno messo ordine in questo argomento, che in precedenza era stato
considerato dai matematici come "minore". Secondo le attuali vedute, la Matematica è una teoria formale, cioè una teoria
basata su definizioni, assiomi e dimostrazioni.
a) Definizione. Una teoria è formata da una serie di proposizioni; una proposizione matematica è una frase di cui si possa
stabilire chiaramente se è vera o è falsa. Per formulare le proposizioni occorrono dei termini, che devono essere a tutti
comprensibili. Per chiarire a cosa si riferisce ciascun termine di una teoria, è necessaria una definizione. La definizione è
costituita dal "definiendum" (ciò che deve essere definito) e dal definiens, la parte della proposizione che va a definire il
definiendum. Un esempio di definizione è: "Un triangolo è una parte di piano delimitata da una spezzata chiusa formata
da tre segmenti". In questa definizione sono presenti alcuni termini che devono essere già stati definiti in precedenza.
Ovviamente per formulare una definizione occorrono alcuni termini già noti. Dal momento che da qualche parte bisogna
incominciare, le prime definizioni devono servirsi di termini che si suppone siano già universalmente conosciuti. 1
termini di partenza, detti concetti o enti primitivi, sono in geometria il punto la retta e il piano. Se tentiamo di definire gli
enti primitivi dobbiamo fare ricorso ad altri concetti (allineamento, infinito, dimensione o altro) che perciò
diventerebbero a loro volta concettiSeguendo in ciò l'esempio di Euclide, si conviene di adottare come enti primitivi
punto retta e piano, dei quali si suppone che chiunque abbia un'idea.
b) Assioma. Così come per costruire una casa occorrono le fondamenta, una teoria formale necessita degli assiomi Un
assíoma è una proposizione non dimostrata, a partire dalla quale vengono dimostrate altre cose; gli assiomi costituiscono
cioè gli strumenti dimostrativi dei primi teoremi di una teoria (successivamente si possono usare proposizioni dimostrate
con teoremi precedenti). Nella terminologia classica, gli assíomi erano detti anche "postulati" (cfr. par. 2). Quindi se
supponiamo veri alcuni assiomi, risultano vere le proposizioni che logicamente conseguono da essi. Ovviamente non è
possibile dimostrare tutti gli assiorni di una teoria, perché per farlo occorrerebbe partire da qualche altro fondamento: *e
questo fondamento sarebbe un nuovo assioma. Una teoria senza assiomi manca di un punto di partenza.
Esempio di assioma (H assiorna di Euclide): "Un segmento può essere prolungato illimitatamente in una linea retta da
ambo le sue parti
c) Dimostrazione. Le dimostrazioni costituiscono una concatenazione tra proposizioni che conduce alla verità di alcune
proposizioni (tesi) a partire dalla verità di altre (ipotesi). La dimostrazione matematica segue delle regole e dei simboli
molto precisi che sono di competenza del ramo della Matematica (e della Filosofia!) denominato Logica; tali regole sono
le regole di deduzione o regole di inferenza.
2. La geometria euclidea
Euclide, da molti considerato il più grande matematico dell'antichità, è stato il primo a formulare una teoria formale.
Vìssuto nel III secolo a. C., ci ha lasciato un'opera fondamentale, gli "Elementi" lavoro a cui ha fatto, e continua a fare
riferimento, qualunque studioso di teorie formali e di logica.
La teoria di Euclide è una geometria del piano; pertanto tutte le sue proposizioni, e tutto ciò che sarà detto in seguito,
vanno riferite al piano (e non allo spazio).
Euclide basa la sua teoria su 23 "termini" che introducono alcuni concetti base, tra cui quelli di punto, retta e piano; 5
"nozioni comuni" che corrispondono grossomodo a moderni assiomi di tipo insiemistico; e 5 postulati che sono i veri e
propri assiomi della sua geometria. Esaminiamo uno per uno i postulati in un linguaggio modernizzato (si noti che
nell'opera di Euclide i postulati seguono i termini, e tra i termini sono già stati introdotti i concetti di cerchio, segmento,
parallelismo, ecc.):
I. Per due punti è possibile condurre una e una sola retta. II.Un segmento può essere prolungato infinitamente in
una linea retta da ambo le sue parti
III. Scelto un punto qualsiasi e una lunghezza qualsiasi è sempre possibile tracciare un cerchio che abbia per centro
il punto e per raggio la lunghezza data
IV. Tutti gli angoli retti sono uguali tra loro
V. Dati una retta e un punto non appartenente alla retta, per tale punto passa una e una sola retta parallela alla retta
data
Come tutti i matematici dell'antichità, Euclide utilizzava esclusivamente la riga ed il compasso. 1 postulati, che, come lo
stesso Euclide sapeva benissimo, non possono essere dimostrati, dovevano nei suoi intendimenti essere ovvi ed evidenti a
chiunque sapesse usare in modo appropriato la riga ed il compasso. Ora però, mentre i primi quattro sono effettivamente
evidenti, e di ciò si può fare esperienza
diretta, lo stesso non si può dire del
quinto. Esaminiamo questo punto più in
dettaglio: se è vero il quinto postulato,
due rette r e s che formano con una retta
data t due angoli retti devono essere
parallele; al contrario se r e s formano
con t due angoli acuti, devono
incontrarsi. Se tentiamo di affrontare il
problema con riga e compasso, la
soluzione diviene problematica quando i
due angoli acuti fossero molto vicini a
retti (ad esempio 89,9°); in tal caso r e s
si incontrano molto lontano, e quindi non
è possibile disegnare il loro punto di
intersezione su un foglio di grandezza
sensata. Perciò, mentre per verificare i
primi quattro postulati bastano un foglio,
una riga e un compasso, per il quinto un foglio è insufficiente; possiamo dire soltanto che esso sembra verificato, ma solo
su un piano illimitatamente esteso. In conclusione il V postulato, e con esso le sue conseguenze più dirette, non sono così
evidenti come gli altri quattro. Euclide era ben conscio di questo punto debole, infatti negli Elementi cercò di ricorrere al
V postulato il meno possibile. Tuttavia da un certo punto in poi esso è necessario; si ricordi infatti che è alla base, tra
l'altro, del teorema che dimostra che la somma degli angoli interni di un triangolo qualunque è uguale a un angolo piatto,
dei teorema di Talete, della teoria dei parallelogrammi, della teoria della similitudine, e altro ancora.
3. Il V postulato nella storia della Matematica
Dopo Euclide molti altri matematici affrontarono il problema del V postulato e tentarono di* risolverlo in maniera
decisiva. Le strategie seguivano due strade: qualcuno cercò di dimostrare il V postulato a partire dai primi quattro, e
quindi di trasformarlo in un teorema, ma la via si rivelò infruttuosa, perché esso non è conseguente dai postulati
precedenti, ma ne è indipendente (viceversa è il IV postulato che può essere ridotto a teorema; ma questo ai matematici
non interessava più di tanto). Altri tentarono invece di dimostrare che la falsità del V postulato avrebbe condotto a
risultati assurdi, e quindi esso doveva per forza essere vero. Tra i numerosi tentativi, da parte dì matematici greci di età
romana, arabi medioevali, europei moderni, vanno citati quelli dell'italiano Gerolamo Saccheri (1667-1733), che seguì
per l'appunto la seconda strada: egli pose che il V postulato fosse falso, e dimostrò tutta una serie di conseguenze di
questa proposizione. Convinto di seguire una linea di ragionamento insensata, egli credette di ottenere effettivamente
risultati assurdi e contraddittori. Aveva invece creato il primo nucleo di teoremi di geometria non-euclidea.
4. Lobacevskij e la geometria iperbolica
Il punto chiave della vicenda è il seguente: il V postulato non è né vero né falso. Se lo si suppone vero, ne seguono certe
cose (e queste cose sono la geometria euclidea); se lo si suppone falso, ne seguono altre cose. All'inizio del XIX secolo in
Europa iniziò gradualmente ad affermarsi questa idea, e con essa nacque la convinzione che potessero esistere geometrie
diverse da quella di Euclide. Grazie all'opera di Saccheri era infatti divenuto chiaro che la negazione dei V postulato non
portava a contraddizioni con i primi quattro.
Il matematico russo Nikolaj Ivanovic Lobacevskij
(1793-1856) utilizzò i postulati di Euclide dal 1 al IV, ma
come V postulato pose il seguente: dati una retta e un punto
P non appartenente alla retta. per tale punto passano infinite
rette che risultano non-secanti rispetto alla retta data.
Secondo Euclide la retta non-secante esiste ed è unica, ed è
quella parallela. Lobacevskij introduce una terminologia
nuova: nella sua geometria le infinite rette non-secanti la
retta di partenza sono comprese fra due rette limite (in
rosso, tratteggiate), che sono le sole chiamate parallele. Quindi le rette
per P appartengono a due gruppi, ambedue infiniti: le rette secanti, che
sono identiche a quelle di Euclide, e quelle non-secanti, tra le quali
solo due sono le parallele. Sulla base dei suoi cinque postulati
Lobacevskij costruisce una teoria formale elaborata, detta geometria
iperbolica nella quale, ad esempio, la somma degli angoli interni di un
triangolo è minore di 180 gradi.
Più o meno contemporaneamente a Lobacevskij anche l'ungherese
Janos Bolyai (1802-1860) e il tedesco Karl Friedrich Gauss
(1777-1855) raggiunsero indipendentemente gli stessi risultati.
Tuttavia Gauss non pubblicò i suoi risultati per paura dì essere
criticato dal consesso dei matematici del tempo; Bolyai, che non era un
matematico, espose le sue idee a Gauss che lo dissuase dal renderle
pubbliche. Quindi la paternità della geometria iperbolica spetta a
Lobacevskij.
E possibile esaminare un modello abbastanza semplice di geometria iperbolica, ideato da Felix Klein. Si ricordi che in
una teoria formale esistono dei concetti primitivi non definiti, e che nel nostro caso essi sono il punto, la retta e il piano.
Supponiamo perciò di rappresentare graficamente questi tre enti in maniera diversa da quella a cui siamo abituati, ma
perfettamente compatibile con la teoria formale e con i requisiti che devono essere verificati. Dunque, il nostro piano sia
un cerchio, privato della sua circonferenza. Tale piano soddisfa a tutti i requisiti di un piano euclideo, e tutti i postulati e i
teoremi geometrici non cambiamo ce ci si riferisce a tale modello di piano. Le rette siano le corde del cerchio,
ovviamente private degli estremi, perché questi cadrebbero sulla circonferenza che, come detto, non fa parte dei piano. I
punti siano i nostri punti ordinari. Come si vede in figura, se disegniamo una retta r e un punto P esterno a essa, esistono
infinite rette passanti per P e non secanti la retta data. Tra di esse, due sono le parallele (in rosso); le altre sono
semplicemente rette non-secanti. Come è stato dimostrato da Lobacevskij, nella geometrie iperbolica la somma degli
angoli interni di un triangolo non solo non è 180 gradi, ma non è neppure e ' ostante, in quanto dipende dalle dimensioni
dei triangolo: per triangoli molto piccoli, di area tendente a zero, la somma tende a 180 gradi; per triangoli via via più
grandi, la somma diminuisce sempre più.
1
5. Riemann e la geometria ellittica
Nel 1854 il tedesco Bernhard Riemann (1826-1866) discusse all’Università di Gottinga una tesi intitolata Sulle ipotesi
che stanno alla base della geometria. in cui, oltre a effettuare una generalizzazione di tipo analitico (cartesiano) della
geometria euclidea, propone una nuova geometria basata su una nuova formulazione dei V postulato:
dati una retta e un punto P non appartenente alla retta. per tale punto non passa alcuna retta parallela alla retta data. Se il
postulato di Euclide affermava sia l'esistenza sia l'unicità della retta parallela, Lobacevskij aveva eliminato l'ipotesi
dell'unicità; Riemann compie un passo in avanti ancora più drastico, perché elimina anche l'esistenza. Dunque tutte le
rette del piano, nella geometria di Riemann, sono secanti e cioè si incontrano in un punto. La teoria elaborata da Riemann
è. detta geometria ellittica o geometria riemanniana. Riemann modifica alcuni concetti fondamentali: egli elimina la retta
e la sostituisce con la geodetica . Questa è la linea più breve fra due punti; in geometria euclidea tale linea è il segmento
di retta; in geometria riemanniana, la geodetica non è necessariamente retta. Tale caratteristica rende necessaria anche
una lieve modifica del H postulato euclideo: un segmento può essere prolungato illimitatamente ma non infinitamente.
Esaminiamo l'argomento con un modello della geometria riemanniana,
analogamente a quanto abbiamo fatto con quella di Lobacevskij. Nel nostro
modello il piano è una superficie sferica, le rette sono le circonferenze
massime sulla sfera, i punti sono le coppie-di punti diametralmente opposti.
Tale modello rispetta tutti i postulati e le definizioni; ad esempio, dati due
punti, per essi passa una e una sola retta (circonferenza massima). Un
triangolo è formato da tre archi di circonferenza massima, e perciò la somma
dei suoi angoli interni è sempre superiore a 180 gradi. Se due punti si
trovano sullo stesso parallelo, la via più breve per congiungerli, muovendosi
sulla superficie sferica (ad esempi, sulla superficie terrestre) non è un arco
di parallelo, bensì un arco di circonferenza massima (quella che passa per i
due punti considerati). Ora, il punto chiave della geometria riemanniana è
che qualunque coppia di rette, nel modello sferico, ha in comune un punto
(=due punti diametralmente opposti); quindi non esistono rette che non si incontrano, e perciò non esistono rette
parallele. Anche in geometria riemanniana la somma degli angoli interni di un triangolo dipende dalle dimensioni del
triangolo: tutti sappiamo infatti che su una sfera molto grande un triangolo molto piccolo si confonde con un triangolo
piano euclideo. Solo per triangoli molto grandi l'eccesso angolare diventa sensibile Tra le varie curiosità geometria
riemanniana è che, ad esempio, dato un punto P esterno a una retta r per esso possono essere condotte infinite rette
perpendicolari a r.
6. Conseguenze delle geometrie non-euclidee; Einstein e la Relatività generale
Scrive Kant nella Critica della ragion pura: "Lo spazio è una rappresentazione necessaria a priori, la quale sta a
fondamento di tutte le istituzioni esterne. Non si può mai formare la rappresentazione che non vi sia spazio, sebbene si
possa benissimo pensare che in esso non si trovi alcun oggetto. Lo spazio viene quindi considerato come la condizione
della possibilità dei fenomeni, non come una determinazione dipendente da essi." Lo spazio come categoria a priori è, per
Kant, lo spazio euclideo tridimensionale. Dopo la nascita delle geometrie non-euclidee veniva messa in crisi la
concezione stessa di geometria dell’universo, sia come categoria mentale, sia come descrizione matematica. Tuttavia per
molto tempo ancora sia i matematici, sia soprattutto i fisici e gli astronomi, continuarono a considerare le geometrie
non-euclidee come un divertente gioco teorico; la geometria dell'Universo continuava a essere quella di Euclide.
A cavallo tra il XIX e il XX secolo diversi matematici svilupparono un formalismo, detto calcolo tensoriale. che
permetteva di trattare con una certa semplicità gli enti geometrici della geometria riemanniana. Tra gli altri vanno
ricordati gli italiani Gregorio Ricci-Curbastro (1853-1925) e Tullio Levi-Civita (1873-1941) e il tedesco Marcel
Grossmann (1878-1936), grande amico di Einstein. Nei primi anni del nostro secolo, Albert Einstein era alle prese con un
tentativo di nuova descrizione della gravità, che superasse alcuni limiti dimostrati dalla descrizione newtoniana. Nel
1915, grazie al formalismo tensoriale, egli riuscì a risolvere le equazioni della gravità, nell'ipotesi che la geometria
dell'Universo sia riemanniana. La pubblicazione della Teoria della Relatività generale destò un immediato scalpore; il
mondo della scienza si divise subito in due fazioni: da una parte gli accaniti sostenitori di Einstein, dall'altra i suoi
detrattori. Nel nostro secolo sono state ottenute numerosissime conferme sperimentali della Relatività; al giorno d'oggi
nessuno si sognerebbe dì metterla in dubbio. Quindi per la descrizione della Relatività generale, la geometria riemanniana
diviene strumento imprescindibile.
A seguito dei brillanti risultati di Einstein si cominciò a fare strada la discussione sui fondamenti della Matematica: la
geometria (così come l'aritmetica, la trigonometria e altri rami della Matematica) non è dunque insita nel mondo, ma è un
mezzo per la sua descrizione; a seconda del tipo di descrizione che si vuole dare dell'Universo, uno strumento può essere
migliore di un altro. t ovvio che per i calcoli in scala terrestre o anche planetaria lo strumento ideale è la geometria
euclidea; per una trattazione delle caratteristiche dellUniverso su grande scala (=cosmologica) è obbligatoria la geometria
riemanniana.
Questo risultato richiede alcune riflessioni. Innanzi tutto Einstein adotta uno spazio riemanniano in quattro dimensioni.
La quarta dimensione non è, come molti ritengono, il tempo (solo in Relatività ristretta, teoria che si occupa di altre cose,
è presente una descrizione che utilizza il tempo come dimensione), ma una quarta dimensione spaziale. In questa quarta
dimensione lo spazio sarebbe curvo e chiuso. Le linee rette sono definite come le traiettorie percorse dai raggi di luce;
dal nostro punto di vista si tratta di linee chiuse, che, secondo il linguaggio di Riernann, vengono chiamate geodetiche.
Quindi, se decidessimo di viaggiare indefinitamente in linea retta, dopo un certo tempo ritorneremmo al punto di
partenza. Ciò non deve meravigliare: noi non ci accorgiamo della curvatura dell'Universo perché essa è molto piccola;
così come a un osservatore ignorante la
Terra sembra piatta, allo stesso osservatore l'Universo sembra tridimensionale ed euclideo. t inoltre impossibile
dimostrare la curvatura dell'Universo tramite una misura degli angoli interni di un triangolo; infatti, come si è già detto, la
somma degli angoli si discosta da 180 gradi solo per triangoli molto grandi (di scala stellare). Ciò rende la misura
impossibile in pratica.
Allo stato attuale delle conoscenze le basi della Relatività generale non sono in dubbio sono però ancora da completare e
chiarire alcuni aspetti sulla struttura dell'Universo, per cui non è possibile affermare con certezza assoluta che l'Universo
sia curvo. Possiamo soltanto dire che è molto probabile che sia così. E come siamo stati disposti fin da piccoli ad
accettare la sfericità della Terra, benché essa sia contraria a ogni evidenza sensoriale, così faremmo bene ad abituarci alla
possibile idea che l'Universo abbia più di tre dimensioni e che le linee rette siano in realtà un po' storte.
(per cura del prof. Carlo Cassola)