body_image - Dipartimento di Scienze Psicologiche, della

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1. Immagine Corporea
2. Insoddisfazione Corporea
3. Distorsione dell’Immagine Corporea
4. L’Autostima
5. Alimentazione, Immagine Corporea, Sport
6. Disturbi Alimentari e Distorsione dell’Immagine Corporea nello
Sport
7. Anoressia Atletica e Dismorfia Muscolare
8. Tecniche di Valutazione dell’Immagine Corporea
Negli ultimi anni, le donne prima e gli uomini poi, hanno sviluppato una
preoccupazione eccessiva nei riguardi del proprio corpo: si è sempre più insoddisfatti
del proprio fisico arrivando a considerarlo come un nemico da combattere attraverso
diete ed esercizio ginnico incessante.
Nel corso della storia, il corpo è stato oggetto di enorme interesse.
• Tra il XV e il XVII secolo la società occidentale ha privilegiato la donna formosa sul
ventre, ossia quella di tipo ‘riproduttivo’, perché i figli rappresentavano la ricchezza
maggiore e una ‘non madre’ era poco ambita.
Con il trascorrere del tempo, il peso ha assunto un’importanza rilevante nella
definizione del concetto di salute e, per un certo periodo, si è ritenuto che influisse
persino su malattie e comportamento criminale.
• Nella seconda metà del XIX secolo la magrezza, fino a quel momento simbolo di
miseria e malattia delle classi meno agiate, diventa un modo per distinguersi proprio da
quelle categorie elitarie che da sempre l’avevano etichettata come negativa.
La possibilità di nutrirsi non era più prerogativa unica dei ricchi e l’affermazione
“grasso uguale facoltoso” non aveva più senso di esistere.
• La fine del XIX secolo esalta il ‘modello a clessidra’, con vita sottile accentuata da
seno e sedere pieni: i caratteri sessuali tipici femminili sono ancora di primaria
importanza ma ci troviamo di fronte ad un corpo più sensuale ed armonioso di quello di
tipo riproduttivo.
• Negli anni ’30 del XX secolo, comincia quella che possiamo definire ‘l’età del
dimagrimento’.
• Negli anni ’50 gli articoli che le riviste femminili dedicano alle diete si moltiplicano e
raggiungono l’apice negli anni ’80-’90, periodo in cui aumenta l’interesse per gli aspetti
medici ed estetici delle dimensioni del corpo.
Nasce un nuovo ideale femminile, che predilige la bellezza a discapito di altre
caratteristiche e instaura il culto del magro.
Oggigiorno, la bellezza è diventata talmente indispensabile da innescare il meccanismo
di una vera e propria malattia che negli USA prende il nome di Body Image
Disturbance, ovvero: Disturbo dell’Immagine Corporea.
Che cos’è l’Immagine
Corporea?
“..quella particolare rappresentazione che
ogni individuo ha del proprio corpo..”
 Spesso a un primo approccio con le problematiche dell’immagine corporea, e a
causa di un’eccessiva semplificazione dovuta al filtro dei mezzi di comunicazione
di massa, si tende a far coincidere tale concetto con quello dell’apparenza fisica,
dell’esser belli o attraenti. L’immagine corporea, però, abbraccia e si ripercuote su
dimensioni più ampie poiché comprende l’intera rappresentazione mentale
dell’individuo che, secondo una causalità circolare, è influenzata da emozioni,
affettività e pensiero e a sua volta li determina, indirizzando le modalità
comportamentali.
 Con l’espressione ‘Immagine Corporea’ non si intende solamente il corpo così
come lo vediamo quando ci troviamo davanti a uno specchio, ma anche e
soprattutto la percezione che abbiamo di esso.
 La corporeità, la sua percezione, e le convinzioni che ognuno ha a riguardo,
influenzano la quotidianità dell’individuo, la progettualità, le interazioni sociali,
fino alla tendenza a una dimensione di benessere versus una predisposizione allo
sviluppo di un disagio psichico.
Sicuramente l’immagine corporea si struttura su
specifiche caratteristiche fisiche (peso, altezza,
specifiche parti del corpo) ma dipende anche da come
tali fattori insieme alla totalità dell’esperienza corporea,
vengono vissute nel singolo individuo, nella famiglia,
nel gruppo dei pari, nell’ambiente culturale dove si
collocano e si manifestano.
Il tema della corporeità si è inizialmente sviluppato nel campo medico neurologico ed
è stato poi arricchito da svariati contributi, dalla psichiatria alla psicodinamica, dalla
fenomenologia alla psicologia sociale.
Gli studi relativi all’immagine corporea, ad oggi, possono essere schematicamente
suddivisi in due grandi gruppi.
NEUROLOGIA
 Il primo gruppo si rifà all’ambito neurologico e neuropsicologico, analizzando
una serie di funzioni e circuiti cerebrali che permettono il mantenimento di una
conoscenza precisa della forma e della postura del corpo, consentendo di
localizzare stimoli esterni sulla cute e di programmare ed eseguire azioni.
 Grazie a queste numerose funzioni, che possiamo racchiudere nell’espressione
“rappresentazione corporea”, ci è possibile percepire e localizzare stimoli
somatici, programmare azioni, avere consapevolezza del nostro corpo.
 Gli studi appartenenti a questo gruppo riguardano soprattutto pazienti che, in
seguito ad una lesione cerebrale, sviluppano sindromi neuropsicologiche attinenti
lo schema corporeo come per esempio l’autotopoagnosia (l’incapacità di indicare
le parti del corpo), il disorientamento destra-sinistra, l’agnosia digitale
(l’incapacità di denominare o mostrare le proprie dita in seguito a comando
verbale o non verbale), l’emisomatoagnosia (la tendenza ad ignorare la parte
controlesionale del proprio corpo), la somatoparafrenia (produzione di idee
deliranti concernenti la metà controlesionale del corpo).
Il secondo grande gruppo è quello a cui ci riferiamo più propriamente
quando parliamo di studi sull’immagine corporea.
È a partire dagli anni ’50 che l’interesse dei ricercatori si sposta progressivamente dal
concetto di schema corporeo a quello di immagine corporea, più idoneo a spiegare
la complessità delle esperienze legate al corpo (Zazzo, 1977).
Tali studi, partendo dal lavoro classico di Schilder (1950), hanno tentato di
concettualizzare gli aspetti più propriamente psicologici della percezione del corpo.
Sebbene il concetto di “Immagine Corporea” venga oggi largamente utilizzato, esso non
ha ancora una definizione univoca.
• Schilder (1950): "immagine del corpo che formiamo nella nostra mente, cioè il modo
in cui il corpo appare a noi stessi“. Viene messo così in evidenza il concetto di
immagine o rappresentazione mentale del corpo.
• Slade (1988): “la raffigurazione mentale della dimensione e della forma del nostro
corpo e i nostri sentimenti riguardanti queste caratteristiche e le singole parti
costituenti del nostro corpo”.
Più di recente il costrutto di immagine corporea è stato definito come un atteggiamento
multidimensionale nei confronti del proprio corpo che include componenti cognitive,
affettive, percettive.
Esiste comunque una relativa variabilità tra i ricercatori rispetto
al modello concettuale di immagine corporea utilizzato o
proposto e ci sono state nel tempo modifiche sostanziali in
relazione al peso dei singoli aspetti considerati (Cash and
Pruzinsky, 1990).
Il riferimento all'investimento e all’importanza che il singolo
attribuisce alla propria apparenza fisica e alla discrepanza
tra corpo percepito e corpo ideale, sembra tuttavia
accomunare i più recenti studi sull'immagine corporea.
La maggior parte della ricerca contemporanea sull’immagine corporea deriva da
paradigmi cognitivi; quest’ultimi hanno portato alla costruzione di un modello
cognitivo-comportamentale dello sviluppo dell’immagine corporea in cui si distinguono
fattori storici e fattori prossimali.
Fattori Storici
I fattori storici si riferiscono ad eventi ed esperienze del passato che influenzano il
modo in cui un individuo pensa, sente e agisce in relazione al proprio corpo. Fra
questi i principali sono: la cultura sociale, le esperienze interpersonali, le
caratteristiche fisiche ed i tratti di personalità.
Attraverso diversi tipi di apprendimento sociale, i fattori storici infondono
all’individuo gli schemi e le attitudini fondamentali dell’Immagine Corporea, incluso
la disposizione alla sua valutazione e i diversi gradi di investimento su di essa.
Con ‘valutazione’ dell’immagine corporea ci riferiamo alla soddisfazione o
insoddisfazione per il proprio corpo, mentre con ‘investimento’ si intende
l’importanza del corpo, sul piano cognitivo, comportamentale ed emotivo, in
relazione all’auto-valutazione.
Fattori Prossimali
I fattori prossimali sono rappresentati dagli eventi di vita recenti, ed hanno un ruolo
precipitante o di mantenimento sulle esperienze della propria immagine corporea; tra
questi sono compresi il dialogo interno, le emozioni riguardanti l’immagine corporea, e
le strategie e i meccanismi di auto-regolazione e di coping.
Modello Cognitivo-Comportamentale dell’immagine corporea
Vediamo quindi come l’immagine corporea possa essere considerata un costrutto
multidimensionale, concettualmente differente dallo schema corporeo: quest’ultimo
corrisponde alla percezione diretta del proprio sé fisico e presiede all’orientamento
delle parti del corpo in relazione le une alle altre; l’immagine corporea interpreta in
modo cognitivo ed emozionale la dimensione sensoriale; in essa si uniscono le
dimensioni sensoriali, affettive, cognitive, emozionali e culturali.
L’immagine corporea è un “filtro cognitivo” attraverso il quale viene interpretata la
realtà e svolto il processo di attribuzione di significato alle esperienze.
Abbiamo parlato poc’anzi di immagine corporea come di “immagine mentale,
personale della forma, della dimensione e della taglia del corpo, e dei sentimenti che
proviamo rispetto a queste caratteristiche e alle singole parti fisiche”. In base a
questa definizione, vediamo come questo costrutto venga generalmente considerato
consistere di due componenti: una percettiva (la stima della propria dimensione
corporea, che potrebbe non coincidere con il corpo reale) e una affettiva (gli
atteggiamenti o i sentimenti nei confronti del proprio corpo, la valutazione del corpo
percepito).
Di conseguenza, avremo due tipologie principali di disfunzioni dell’immagine
corporea:
• una distorsione percettiva riguardante la dimensione corporea;
• un’insoddisfazione di tipo cognitivo-valutativo.
Entrambe, percezioni e atteggiamenti, sembrano giocare un ruolo molto importante
nelle disfunzioni dell’Immagine Corporea: si parla di distorsioni percettive quando
un individuo ha difficoltà nel percepire accuratamente la taglia o la forma del
proprio corpo (pazienti con DCA tendono a sovrastimare la loro taglia);
l’insoddisfazione cognitivo-valutativa riflette invece la convinzione del paziente di
essere troppo grasso o deforme nonostante la percezione possa non essere
compromessa. Il problema se siano, queste due modalità, indipendenti o no, è stato
oggetto di numerose ricerche scientifiche (S. Skrzypek, P. M. Wehmeier, H.
Remschmidt, 2001).
Alcuni autori (Thompson, Heinberg, Altabe, & Tantleff-Dunn, 1999) parlano di una
terza componente, quella comportamentale, che si riferisce al controllo continuo delle
imperfezioni percepite e all’evitamento di situazioni sociali in cui la persona sente di
essere particolarmente esposta.
Insoddisfazione Corporea
 È causata il più delle volte da una discrepanza tra
corpo perfetto idealizzato e la reale apparenza fisica;
più una persona riterrà se stessa lontana dall’ideale
corporeo interiorizzato, più sarà insoddisfatta e
portata a ricorrere a misure drastiche per ottenere la
corporatura desiderata. L’insoddisfazione che deriva
da un’immagine corporea fortemente negativa può
avere pesanti ripercussioni sull’autostima
dell’individuo e sul suo funzionamento generale fino
a determinare lo sviluppo di psicopatologie come
ansia, depressione e disturbi della condotta
alimentare.
 Le persone utilizzano diversi criteri di paragone per quanto
riguarda la forma del proprio corpo e i cambiamenti a livello
sociale possono incrementare l’importanza di un criterio a
discapito di un altro. Lo standard attuale per le donne è quello
di essere magre, mentre per gli uomini è di essere atletici e
muscolosi. Le donne tendono ad essere insoddisfatte del
proprio corpo, percependosi spesso in sovrappeso; gli uomini,
d’altro canto, sono stati percepiti da sempre come meno
insoddisfatti rispetto alle donne; essi tendono comunque a
focalizzarsi sul corpo intero mentre le donne su parti specifiche.
Uno studio di Olivardia et al. (2004) ha riportato che il numero di uomini insoddisfatti
del proprio aspetto fisico è in crescita; sembrano, inoltre, esserci due tipologie di
uomini/ragazzi insoddisfatti del proprio corpo: quelli che sono obesi e vogliono perdere
peso e quelli che sono sottopeso e vogliono aumentarlo.
Entrambe le tipologie dichiarano di voler apparire maggiormente mesomorfici ed è
proprio questo desiderio che alimenta l’insoddisfazione corporea. I due gruppi
utilizzano differenti tecniche per raggiungere i propri obiettivi:
• gli individui obesi utilizzeranno tecniche di perdita di peso e probabilmente
modereranno l’attività fisica che può portare ad un aumento della muscolatura e quindi,
all’acquisizione di peso;
• gli individui sottopeso, al contrario, utilizzeranno tecniche per l’acquisizione del peso
e sono proprio questi ultimi ad essere a più alto rischio di sviluppare disturbi quali il
Dismorfismo Muscolare.
Infatti, alti livelli di insoddisfazione corporea sembrano essere più frequenti negli
uomini magri: i ragazzi che frequentano il college che sono sottopeso, risultano essere
insoddisfatti allo stesso modo delle donne della stessa età sovrappeso.
L’insoddisfazione corporea porta inevitabilmente
alla distorsione dell’immagine corporea.
Distorsione dell’Immagine Corporea
La distorsione dell’immagine corporea è una caratteristica dei DCA ed è stata
ampiamente investigata utilizzando diversi approcci.
È attribuito a Hilde Bruch il merito di esser stata la prima studiosa a riconoscere
l’immagine corporea disfunzionale quale caratteristica centrale dei DCA (Bruch H.,
1962).
Sebbene la natura dei disturbi dell’immagine corporea sia ancora controversa, tale
criterio è divenuto parte della definizione di DCA nei due principali sistemi di
classificazione: l’ICD-10 e il DSM-IV. Entrambi, infatti, considerano l’immagine
corporea disfunzionale come un importante sintomo dei disturbi alimentari.
Un’immagine corporea negativa, inoltre, non è solo un sintomo di Anoressia e
Bulimia ma gioca un importante ruolo nello sviluppo, nel mantenimento e nel processo
di ricaduta di questi disturbi. Avere un’immagine corporea distorta avrà sicuramente
delle implicazioni sulla prognosi di un DCA: il persistere di un’immagine corporea
disfunzionale a seguito di un trattamento, è un fattore prognostico negativo per quel
che riguarda i risultati a lungo termine.
Sebbene l’immagine corporea sembri essere un fenomeno relativamente stabile nel
tempo, in diversi studi sono state riportate delle variazioni situazionali che indicano il
costrutto come composto da un aspetto di stato (l’esperienza di un particolare
momento) e uno di tratto.
È stato dimostrato che l’umore depresso può influenzare l’immagine corporea di stato e
portare ad una maggiore insoddisfazione corporea.
Recenti ricerche hanno dimostrato, inoltre, che
l’immagine corporea di stato può essere influenzata da
stimoli prossimali come ad esempio una recente
assunzione o privazione di cibo.
Questi risultati indicano che l’immagine corporea non è un
costrutto stabile ma, al contrario, risulta essere influenzato
da diversi fattori transitori.
Fattori che influenzano l’Immagine Corporea
Le pressioni socioculturali che spingono a conformarsi alla “magrezza ideale” e che
pervadono le società occidentali, sembrano esercitare una forte influenza
sull’immagine corporea, in special modo tra gli adolescenti particolarmente vulnerabili
a questi messaggi.
Creando una discrepanza tra realtà e ritratti di corpi irrealistici, queste pressioni
sembrerebbero giocare un ruolo molto importante nello sviluppo dell’insoddisfazione
corporea. L’insoddisfazione corporea è, a sua volta, un importante elemento predittivo
delle strategie volte alla perdita di peso, dell’alimentazione restrittiva e della
sintomatologia bulimica.
Le fonti dalle quali provengono le pressioni socioculturali sono numerose e
comprendono messaggi impliciti ed espliciti che vengono convogliate dai media e da
altri canali importanti quali sono i pari e i familiari. È stato proposto che queste
influenze, combinate tra loro, siano forti predittori delle preoccupazioni riguardanti la
forma corporea e il peso, più di quanto lo siano singolarmente. Questo ha portato a
suggerire l’esistenza di una “Sottocultura della dieta”, in cui media, genitori e pari si
associano per trasmettere l’importanza della snellezza.
Influenza dei Media
L’eccessiva importanza riservata all’immagine corporea è frutto dell’errata convinzione
che per essere socialmente accettati, sia necessario apparire in forma uguale, se non
migliore, a quella dei modelli proposti dai media.
È innegabile che questi ultimi fungano da elementi
decisivi per la formazione di ideali e convinzioni di
ogni singolo soggetto.
Se ci soffermassimo ad analizzare gli esempi estetici che quotidianamente questi
messaggi ci impongono, riusciremmo a comprendere che si tratta di modelli dai canoni
assolutamente irrealizzabili per la stragrande maggioranza della popolazione in quanto
celano, oltre a restrizioni alimentari e uno smodato esercizio fisico, anche trattamenti di
trucco e a volte persino ritocchi al computer, indispensabili al raggiungimento
dell’obiettivo estetico voluto.
Non è semplice, soprattutto per chi vive in un corpo ‘normale’, arrendersi all’idea che
ciò che si vede nei messaggi pubblicitari non è realtà assoluta, bensì una verità costruita
al solo fine di commercializzare al meglio un prodotto: cresce così l’insoddisfazione
corporea, il senso di inadeguatezza rispetto ai modelli proposti; la magrezza è
glorificata, ciò che invece non la rappresenta è svilito oltremisura.
Una tale situazione emotiva può dare il via all’insinuarsi di un disturbo di tipo
‘percettivo’ della propria immagine corporea, indipendente dalla forma corporea stessa:
finiamo per vedere, cioè, cose di noi stessi che gli altri non vedono. Diventiamo tanto
autocritici da non riuscire a distinguere gli effettivi ‘nei’ da quelli creati esclusivamente
dalla nostra mente.
La “American Psychological Association” (2007) e diversi
altri studiosi (Harrison & Cantor, 1997), hanno dimostrato che
l’esposizione agli ideali di magrezza proposti dai media,
costituiscono un fattore importante nello sviluppo dei DCA e
dell’insoddisfazione corporea nelle donne.
Altri fattori influenzanti possono essere i gruppi di pari e
l’ambiente familiare.
Influenza dei Pari
 I gruppi di pari possono contribuire all’insoddisfazione corporea femminile
principalmente in due modi. Essi possono innanzitutto influenzare la donna
attraverso commenti verbali, paragoni espliciti, pareri riguardanti standard di
bellezza, valore personale attribuito alla bellezza (influenza attiva); possono inoltre
influenzare in maniera implicita l’insoddisfazione corporea inducendo nell’altro
paragoni interni e inconsapevoli riguardanti il corpo.
 La maggior parte delle ricerche esistenti si è focalizzata sugli effetti attivi
dell’influenza dei pari.
 Clark e Tiggeman (2008): hanno dimostrato che l’esposizione ai modelli di
magrezza proposti dai media, influenzava lievemente in maniera diretta
l’insoddisfazione corporea di ragazze preadolescenti. Al contrario, l’influenza dei
pari era significativa. Un successivo percorso di analisi suggerì che i pari possono
agire da canale per gli effetti dei media.
Anche gli studi sugli adolescenti hanno suggerito che l’influenza attiva dei pari,
sull’insoddisfazione corporea, è tra le più forti.
Per esempio, in uno studio condotto da Jones et al.
(2004), l’influenza dei media non risultava avere
nessuna diretta relazione con l’insoddisfazione
corporea e solo una debole, indiretta relazione
attraverso l’interiorizzazione di ideali di magrezza.
Al contrario, gli effetti diretti delle critiche da parte dei
pari e gli effetti indiretti delle conversazioni riguardanti
l’aspetto, attraverso l’interiorizzazione di ideali di
magrezza, erano molto più forti.
McCabe e Ricciardelli (2005) hanno trovato che l’insoddisfazione corporea delle
ragazze era influenzata dalle madri e dalle amiche ma non dai media.
Altri studi hanno esaminato l’influenza passiva dei pari sull’insoddisfazione corporea
dimostrando che quotidianamente effettuiamo confronti sociali con i pari piuttosto che
con le immagini dei media.
Per esempio, in un esperimento di tipo naturalistico
(Wasilenko, Kulik, & Wanic, 2007), all’interno di una
palestra alcune donne sono state assegnate in maniera
casuale, durante gli esercizi, vicino ad una complice in
buona forma fisica; esse hanno riportato una
soddisfazione corporea ridotta e un minor tempo di
esercizio rispetto alle donne che si esercitavano vicino ad
una complice fuori forma.
Questa e altre ricerche (Ferguson, Winegard, & Winegard, 2011) indicano che i gruppi
di pari, in maniera attiva e passiva, incidono sull’insoddisfazione corporea femminile
molto più di quanto non facciano i media.
Questi risultati possono essere spiegati utilizzando una prospettiva evoluzionistica
La competizione tra donne per l’uomo che possiede
presunti indicatori di “geni di buona qualità”, adeguato
status sociale, buona salute e intenzione di investire risorse,
rappresenta un fattore che ha portato all’evoluzione delle
importanti caratteristiche sessuali secondarie. Numerosi
studi hanno dimostrato che gli uomini utilizzano queste
caratteristiche per discriminare tra potenziali compagne.
Quindi, per le donne, l’apparenza fisica rappresenta un importante componente
del successo riproduttivo.
In altre parole, l’insoddisfazione corporea potrebbe avere poco a che fare con gli ideali
proposti dai media e molto a che fare con le più reali e concrete preoccupazioni
riguardanti l’esito positivo della ricerca di un compagno (Ferguson, Winegard, &
Winegard, 2011).
Influenza dell’ambiente
familiare
 Durante l’adolescenza e la prima età adulta i genitori possono essere considerati il
primo modello di identificazione, in particolar modo per gli atteggiamenti nei
confronti del corpo e del cibo. Esplorare il ruolo giocato dai genitori è di particolare
importanza in quanto si può presumere che essi tentino di agire nell’interesse dei
propri figli. Da un punto di vista preventivo, l’identificazione di comportamenti e
atteggiamenti genitoriali è necessaria allo scopo di sviluppare e fornire interventi
appropriati.
In uno dei primi studi sui fattori influenzanti
l’immagine corporea, Levine (1994) ha dimostrato
come il canzonare e il prendere in giro i figli, sia
associato a future preoccupazioni riguardanti il
proprio peso e la propria forma corporea.
Diversi studi hanno supportato l’importanza delle influenze genitoriali.
Uno studio del 2001 (Fieled, Camargo, Barr, Berkey, Roberts, & Colditz) per esempio,
che ha coinvolto un ampio campione di ragazzi e ragazze adolescenti, ha dimostrato che
le influenze genitoriali costituiscono un’importante elemento predittivo,
indipendentemente dai media o dai gruppi di pari, nella comparsa di problemi relativi al
peso o alla dieta.
Sono due i principali modelli proposti per spiegare l’associazione
genitori/figli riguardo i comportamenti e gli atteggiamenti nei
confronti del cibo e della forma corporea.
 La prima teoria (Modelling Theory) suggerisce che i
comportamenti alimentari e l’immagine corporea dei bambini
vengano modellate su quelle dei genitori.
 La seconda teoria (Active Influences) pone l’accento sugli
atteggiamenti genitoriali nei confronti dei comportamenti
alimentari, peso e forma corporea dei propri figli; atteggiamenti
che si traducono in critiche, canzonature e sollecitazioni a perdere
o a controllare il peso (Thompson et al., 1999).
Modelling Theory
Diversi studi sono stati effettuati a supporto della Modelling Theory.
È stata riscontrata una relazione tra i livelli di insoddisfazione corporea delle ragazze e
quelli delle loro madri e dei loro padri. Sembrerebbe non esserci associazione invece
tra i tentativi di dieta effettuati dalle madri e quelli effettuati dalle loro figlie (Keery et
al., 2006).
Comportamenti di restrizione e astensione dal cibo delle ragazze
sono stati associati a diete, restrizioni e astensioni da parte delle
loro madri e dei loro padri (Vincent & Mccabe, 2000).
La ricerca ossessiva della magrezza, tra le ragazze e i ragazzi, ha
mostrato una correlazione positiva con le diete effettuate dalle loro
madri.
Una simile relazione madre/figlia è stata riportata riguardo l’estrema perdita di peso.
Questi e altri risultati sembrerebbero dimostrare che i
comportamenti restrittivi delle ragazze sono influenzati
dai comportamenti delle loro madri.
I figli di genitori che danno molta importanza alla regolarità dei pasti in famiglia,
sembrano mostrare meno disordini alimentari, anche sotto incoraggiamento dei genitori
ad intraprendere una dieta, suggerendo che una forma di modellamento esiste anche per
i comportamenti alimentari positivi.
Anche se i risultati in quest’area non sono molto concordanti, gli atteggiamenti dei
genitori nei confronti dei comportamenti alimentari sembrano avere un effetto
modellante sugli atteggiamenti dei propri figli adolescenti (R. Rodgers, H. Chabrol,
2009).
Un bambino che sin dalla più tenera età è abituato ad avere un rapporto appropriato con
il cibo, potenzialmente assumerà una condotta alimentare salutare anche in età adulta.
In sintesi, un bimbo inadeguatamente seguito può finire col guardarsi allo specchio e
vedere un’immagine troppo gracile, oppure eccessivamente corpulenta, senza esserne il
diretto responsabile.
Active Influences
L’impatto delle pressioni genitoriali sull’immagine corporea è stato più volte
dimostrato.
Nelle ragazze, le prese in giro da parte dei genitori e gli incoraggiamenti ad
intraprendere una dieta sono state associate ad insoddisfazione corporea, dieta,
comportamenti restrittivi e tentativi di perdita di peso, comportamenti alimentari a
rischio e disordini alimentari.
Riguardo le critiche rispetto al peso e alla forma corporea, è stato dimostrato che
commenti negativi da parte dei genitori sono collegabili ad insoddisfazione corporea
(Vincent & McCabe, 2000) e le critiche nei confronti dei figli sono maggiormente
predittive di un’alimentazione disordinata rispetto ai comportamenti alimentari
disturbati dei genitori.
Griffiths and McCabe (2000) non hanno trovato, nelle ragazze, alcuna associazione tra
il giudizio percepito dei genitori riguardo al loro corpo e i disordini alimentari,
suggerendo un’associazione solo quando i genitori comunicano direttamente la propria
opinione riguardo la forma corporea e il peso dei loro figli.
La perdita di peso rimane
la via preferita di molte
donne per accrescere la
propria autostima.
La perdita di peso nel tentativo di raggiungere l’immagine corporea ideale
rappresenta qualcosa che va oltre la diminuzione di centimetri o chili.
Un aumento ponderale determina sensazioni di frustrazione e auto-svalutazione.
Un calo, al contrario aumenta il senso di autocontrollo, la fiducia personale e
l’autostima.
Il successo o il fallimento nella sorveglianza del peso diviene un simbolo della
capacità di dominare la propria vita.
Un’immagine corporea negativa o distorta è alla base dei disturbi alimentari,
tant’è vero che l’insoddisfazione corporea e la focalizzazione delle proprie
preoccupazioni per il peso o le forme corporee sono criteri diagnostici per
Anoressia e Bulimia.
L’Autostima
Che cos’è l’Autostima?
Tutti noi valutiamo e tra le tante valutazioni, quelle su noi stessi
occupano un posto fondamentale.
Come sono? Intelligente, amabile, attraente, rispettoso?
Quanto? Poco, abbastanza, molto?
Più o meno di altri?
Quali sono i miei punti deboli e quali quelli forti?
Dove ho più successo e dove meno?
È raro che qualcuno si ponga direttamente queste
domande ma implicitamente esse si affacciano
spesso alla nostra mente, ricevendo anche delle
risposte. Tutto ciò che noi facciamo, tutto ciò che
ci capita, ha per noi una lettura autovalutativa
Perché ci autovalutiamo?
1. Sapere se e quanto valiamo, se e quanto siamo bravi, intelligenti,
generosi, amabili.
2. Sapere che valiamo, che siamo come vorremmo essere: bravi,
intelligenti, generosi, amabili.
In base al primo scopo andiamo in cerca della verità su noi stessi
(valutiamo per conoscerci).
In base al secondo, invece, quello che conta è arrivare a conclusioni
soddisfacenti e confortanti circa il nostro valore, anche a dispetto della
verità o comunque modificandola a nostro piacimento per renderla più
accettabile e gradevole (valutiamo per piacerci).
In base a questo secondo scopo, nasce l’esigenza di avere una buona
autostima. Il bisogno, cioè, di valutarci adeguatamente, di concludere che
siamo persone di valore.
“Un atteggiamento generalizzato verso sé stessi , in positivo o in
negativo.”
Il concetto di autostima è difficile da spiegare o standardizzare.
Esiste una certezza: quella che tutti siamo dotati di una qualsivoglia
forma di autostima che risiede dentro di noi fin dalla nascita: è nostro
compito favorirne la crescita, giacchè nel corso della vita sarà elemento
indispensabile per il raggiungimento della serenità individuale.
Chi è in sintonia con il proprio essere, oltre a condurre un’esistenza
serena ha un impatto positivo sul prossimo; al contrario, chi vive in una
situazione di limitata autostima sente l’esigenza di “appoggiarsi” a
qualcuno che possa assumersi responsabilità e doveri che per lui sono
impossibili da sostenere.
Dedicare del tempo alla crescita della propria autostima significa
dedicare tempo a se stessi.
Alta e Bassa Autostima
Avere una concezione positiva di sé stessi significa volersi bene, attribuirsi
un valore, piacersi.
Come si fa a volersi bene?
Se ci fermiamo un attimo a pensare, ci rendiamo conto che noi vogliamo
bene a chi conosciamo; è difficile provare un sentimento per chi non si
conosce. Allora, il primo passo per stimarsi è imparare a conoscersi.
Ai fini dell’autostima, è importante il rapporto tra le nostre
autovalutazioni e le nostre aspirazioni;
Sé Percepito e Sé ideale
Per sapere se una persona ha un’alta o una bassa autostima, dobbiamo
sapere sia cosa pensa di sé sia come vorrebbe essere; indagando, cioè, la
discrepanza tra le autovalutazioni di fatto e quelle desiderate. Se tale
discrepanza è piccola, l’autostima sarà verosimilmente alta, perché la
persona pensa di corrispondere ai suoi desideri, alle sue aspettative, alle
sue ambizioni; se la discrepanza è grande, l’autostima, al contrario, sarà
bassa.
In genere le premure sono riservate al lato puramente ‘esteriore’ a discapito
di quello ‘intimo’, spesso trascurato se non addirittura totalmente messo da
parte.
Ciò che sta in superficie, essendo visibile e sottoposto nell’immediato al
giudizio altrui, è reso il più perfetto possibile a danno di ciò che non si vede:
un fisico costruito grazie ad un allenamento assiduo suscita invidia ed esalta
l’ego di chi lo possiede; al contrario, una mente che, per mezzo
dell’introspezione personale, tenta di dare un senso alla propria esistenza non
trova lo stesso riscontro immediato.
Si preferisce essere contemplati per la bellezza piuttosto che per la
profondità.
L’autostima permette di affrontare la vita con maggior serenità e
raggiungere obiettivi rilevanti, con meno stress rispetto a chi vive una
situazione personale di disistima. Chi crede in se stesso è
indubbiamente avvantaggiato rispetto a chi dubita delle proprie
attitudini.
Persona “forte” e “vincente”: è il 1°
estimatore di se stesso in quanto dà
per assodate le sue qualità; per
realizzarsi non necessita di essere
particolarmente supportato: è una
persona curata nella giusta misura,
che non sfocia mai nell’eccesso;
sceglie le proprie cose in base a gusto
estetico, praticità e qualità, mai per
moda, poiché non sente il bisogno di
dimostrare la sua ‘superiorità’
attraverso oggetti che ne sono il
simbolo indiscusso per antonomasia.
Chi, al contrario, si lascia manovrare dalla legge dello status symbol, non
è in grado di desiderare nulla che non sia dettato dalla moda del
momento e non riesce a distinguere realisticamente il bello dal brutto.
Autostima  Sicurezza
Sicurezza nelle proprie capacità mentali e/o fisiche;
Si è in grado per es. di accogliere un complimento senza svalutarlo (non
merito tanto) ma anche di ricevere una critica senza sentirsi sminuiti o
respinti.
Se incentivata, l’autostima è un valido scudo per difendersi dalla società
moderna con i suoi modelli convenzionali di bellezza.
Spesso, infatti, il malessere di molte persone è causato proprio dalla
‘finzione’ che ogni giorno a fatica mettono in scena e che, penosamente,
tentano di non far scoprire: nelle vesti di personaggi come ‘il bello’, ‘il
potente’, ‘il ricco’, ci illudiamo di essere meno fragili.
L’”apparenza” ci intrappola in una
prigione fatta di stereotipi che ci spinge a
non avere fede nelle nostre capacità in
quanto le regole prime sono ‘apparire’ e
‘avere’.
Chi per insicurezza personale o per
incapacità di opporsi alle convenzioni
attuali, si lascia intrappolare da
irraggiungibili modelli che osannano una
bellezza sempre giovane e perfetta, va
incontro alla delusione di esser messo da
parte
con
gli
inevitabili
segni
dell’avanzare dell’età.
Regole di Base
1. Dire NO
 Troviamo un’ora di tempo per noi.
 Pensiamo a quante volte, nell’ultimo mese, abbiamo assecondato senza desiderarlo
le esigenze degli altri.
 Pensiamo a quante volte, nell’ultimo mese, abbiamo chiesto un favore.
 Poniamoci alcune domande: perché non ho detto no? (la paura di essere giudicati
male porta sempre ad essere accondiscendenti); quanto mi è costato il si? (tempo e
denaro); cosa avrebbe comportato il no? (perdere forse l’affetto del richiedente); la
persona alla quale ho detto si avrebbe fatto altrettanto per me? (Forse no).
 Diamo un ordine di importanza affettiva a chi ci ha fatto una richiesta (coniuge,
genitore, amica).
 Motiviamo mentalmente il nostro no e chiediamoci quanti, fra i richiedenti, si
rifiuterebbero di comprenderci.
 Sforziamoci di capire l’importanza di un si e di un no e la differenza fra i due. Un si
non si regala, né si rinfaccia; un no va motivato e detto con decisione.
2. Chiedere
 Troviamo un’ora di tempo libero.
 Chiediamoci se esiste qualcosa che desideriamo ma che possiamo
ottenere solo con l’aiuto di terzi.
 Poniamoci delle domande: perché non chiedo? (forse per il terrore di un
ipotetico no). Se fossi al posto dell’altro cosa risponderei?
 Non dobbiamo dare per scontato il no degli altri. Una risposta negativa
non può, né deve, condizionarci. Un no deve spronarci a cercare aiuto
altrove e incitarci a provvedere da soli alle nostre esigenze.
3. Combattere le proprie debolezze
 Troviamo un’ora di tempo libero.
 Riflettiamo sulle nostre paure e identifichiamole con un nome.
 Andiamo incontro alla nostra paura, senza respingerla.
 Affrontiamo la nostra paura ed esortiamo noi stessi ad essere più forti di
ciò che ci intimorisce.
4. Non temere il confronto
 Troviamo un’ora di tempo libero
 Pensiamo ad una persona che ci incute soggezione
 Poniamoci delle domande: perché questa persona mi mette a disagio? (è sicura di sé,
intraprendente, brillante, intelligente). Come penso mi giudichi? (insicuro, debole,
privo di personalità).
 Non sentiamoci inferiori in partenza. Abbiamo delle qualità: elenchiamole
mentalmente.
 Ripensiamo alla persona riportandola ad un livello pari al nostro. Ha anch’essa delle
paure.
 Elenchiamo ora, a voce alta, le nostre qualità, immaginando che a farlo sia la
persona che temiamo (probabilmente è davvero ciò che pensa di noi).
5. Non lasciarsi condizionare
 Troviamo un’ora di tempo libero per noi
 Domandiamoci quanto gli agenti esterni condizionano la qualità
della nostra vita.
 Poniamoci delle domande: quanto conta il giudizio altrui sulla mia
immagine corporea? Quanto mi condizionano modelli estetici più
belli? Le mie scelte commerciali sono la proiezione della moda del
momento?
Valutare l’Autostima
TMA (Test Multidimensionale dell’Autostima): 9-19 anni.
•Relazioni interpersonali
•Successo scolastico
•Emotività
•Vita familiare
•Vissuto corporeo
•Padronanza sull’ambiente
Basic SE (Basic Self-Esteem Scale): dai 19 anni
Avere un corpo perfetto è simbolo di controllo, che a sua volta è simbolo di lavoro
duro e ambizione. Due assunti sottendono tale aspirazione:
 avere un corpo perfetto rende la vita molto più facile (in realtà varie
ricerche hanno evidenziato che essere fisicamente attraenti porta vantaggi
in alcune aree ma anche svantaggi in altre);
 essendo il corpo malleabile, con la giusta combinazione di alimentazione
ed esercizio, ciascuno può diventare fisicamente perfetto.
Anche se le variabili biologiche/genetiche influenzano la regolazione del peso e delle
forme corporee e impongono dei limiti naturali, vi è la forte fiducia nella possibilità che
grazie ad alcuni mezzi si può arrivare, o perlomeno avvicinarsi, al modello di bellezza
che la società considera ideale.
Alimentazione, Immagine Corporea e
Sport
Lo sforzo verso un miglioramento del corpo coinvolge tutti
e due i sessi e ciò comporta l’assunzione di una vasta
gamma di comportamenti ed attività, tra cui l’esercizio
fisico.
Se da un lato è indubbio che la partecipazione all’attività fisica regolare conferisca un
gran numero di effetti fisiologici e psicologici positivi, come la riduzione di malattie
cardiovascolari, di osteoporosi, di ipertensione, dall’altro non si possono non
considerare i rischi legati al concepire e al vivere lo sport in determinati modi, alcuni
dei quali possono diventare estremi e controproduttivi.
La moda della forma fisica è esplosa negli anni ’80 in tutti i paesi industrializzati:
attrezzi ginnici, club salutisti e una nuova generazione di allenatori professionisti
costituiscono un’industria in crescita che, forse più del desiderio di dimagrire, è
frutto del culto del corpo nelle società consumiste.
Lo sviluppo dell’attività fisica di massa e la nascita di nuove pratiche motorie
finalizzate al raggiungimento di ideali di forma e muscolosità, ha portato alcuni
studiosi ad analizzare le motivazioni alla base della scelta di aderire o meno
all’attività fisica. Da tale studio è emerso che, in una consistente percentuale di
soggetti, l’esercizio fisico rappresenta una modalità volta a modellare e controllare
la propria immagine corporea.
Modalità che Schilder individuava quale mezzo di
modifica del corpo percepito e di ricerca del corpo
ideale.
E’ oramai assodato che l’esercizio fisico, dal genere femminile come da quello
maschile, venga praticato spesso più per l’apparenza che per i suoi benefici legati al
benessere (Miskin, Rodin, Silverstein, & Striegel-Moore, 1996).
In maniera più grave ci si può riferire al fanatismo per lo sport, ed al concetto di sovraesercizio: nel tempo sono stati coniati termini nuovi come negative addiction,
compulsive exercise o exercise dependance, per descrivere un tipo di attività fisica
estrema, sia in frequenza che in durata, accompagnata da un’irresistibile coazione alla
prestazione e da possibili crisi di astinenza (Morgan, 1979).
Sebbene il concetto di sovra-esercizio sia di difficile classificazione e misurazione,
esiste oramai una quantità di dati sufficienti per affermare che, in determinate
circostanze, esso è legato fortemente ad insoddisfazione corporea e può causare
disturbi di tipo alimentare.
Secondo queste premesse è sempre bene sottolineare la distinzione che separa
un tipo di esercizio fisico sano ed equilibrato, rivolto ad un’adeguata cura di
sé, al mantenimento di un aspetto desiderabile, ad un miglioramento della
propria immagine e al potenziamento della propria vitalità, da un altro modo di
vivere lo sport, in modo patologico, laddove le pratiche legate all’allenamento
diventano cosi totalizzanti da interferire con tutti gli altri aspetti della vita,
come il lavoro, lo studio, i rapporti sociali e le relazioni sentimentali, e nel
quale l’investimento sull’immagine è assoluto, annullando ogni consapevolezza
di sé che non sia basata sull’esteriorità.
Un allenamento portato all’eccesso può rivelarsi
controproducente
Quali sono le conseguenze psicologiche derivanti da
un’attività fisica estrema?
L’esercizio incessante, praticato senza il rispetto delle norme
comuni al buon senso, compromette risorse energetiche e
mentali.
Lo sport influisce in maniera positiva sullo stress solo quando
esso viene praticato correttamente, con lo scopo di ottenere una
buona forma fisica, non un corpo perfetto.
In questo caso, lo sport diventa un agente stressante a livello
psicologico.
Attività fisica = qualcosa di utile al fine di bruciare calorie in
poco tempo e dimagrire o di aumentare la massa muscolare porta
il livello di tensione psichica a livelli molto alti.
Per le persone affette da DCA, l’attività fisica assume un vero e proprio valore
simbolico: viene mitizzata e considerata una scorciatoia velocissima per il
raggiungimento della perdita di peso e del controllo delle forme corporee.
In questi casi non esiste il piacere di allenarsi, non vi è alcuna soddisfazione
nell’osservare gli eventuali miglioramenti che si ottengono grazie
all’allenamento costante. Esiste solo la volontà di annullarsi completamente
nell’esercizio fisico fino allo stremo delle forze.
Anche dopo i continui svenimenti dati da tale condotta, la sindrome iperattiva
di questi soggetti li costringe a ricominciare non curanti del rischio: il
programma di allenamento si intensifica sempre di più e diventa un incubo
persecutore al quale viene sommata l’aggravante del digiuno totale.
In situazioni così estreme, il cervello si rifiuta di assecondare tale metodica e
attraversa quella che si definisce ‘una crisi di rigetto’: aumenta il nervosismo,
nascono facilmente sentimenti di collera alternati a brevi momenti di euforia
che lasciano presto il posto ad ansia, angoscia, attacchi di panico.
La sensibilità emotiva risulta alterata e compromessa: tutte le dimensioni
delle reazioni (riso, pianto) assumono un valore amplificato e difficile da
tenere sotto controllo.
L’attività sportiva diventa, per il singolo con DCA, molto nociva: ogni
sessione esaurisce sempre più le riserve energetiche fisiche e mentali e
contribuisce a peggiorare lo stato generale di salute psicofisica.
Nonostante ciò, il soggetto continua imperterrito, mentendo anche a se stesso
sulla gravità di tale comportamento.
Pericoli: stanchezza cronica, demotivazione, senso di indaguatezza, crollo dei
livelli di autostima e depressione perenne.
Gli sportivi, a causa della loro professione e del loro stile di vita, appartengono
ad una categoria particolare di persone e appaiono oggi esposti a rischi
maggiori di sviluppare dei disturbi legati all’ IC rispetto alla popolazione.
Per un atleta il fisico riveste una grande importanza in quanto è attraverso di
questo che si può esprimere il proprio Sé e le proprie potenzialità. Spesso, in
determinati sport e a determinati livelli, ciò si traduce in uno stile di vita
improntato sul corpo.
La magrezza e la tonicità sono fattori fondamentali per sviluppare certe abilità
tecniche e determinare il costante miglioramento della performance, da questo
deriva la maggiore attenzione per il controllo del peso e per la forma del corpo,
la paura di ingrassare e spesso un’ostinata iperattività giornaliera associata a
veri e propri sintomi di astinenza in caso di impossibilità a svolgere i propri
esercizi quotidianamente, come rilevato in popolazioni di podisti e ballerine.
La partecipazione ad uno sport è spesso collegata ad
un’alta prevalenza di disturbi dell’IC, ed in particolar
modo la loro diffusione è maggiore in certi tipi di sport o
attività fisica, come il balletto, la ginnastica, la corsa, il
wrestling, il body building.
In alcuni sport come la danza e la ginnastica artistica, dove la magrezza è
ricercata al pari della flessibilità e della scioltezza dei movimenti, ed in altri,
come il pugilato, il judo o il body building, dove si gareggia in diverse
categorie in base al peso, le probabilità che insorgano comportamenti alimentari
a rischio è maggiore che in altre attività sportive , dove il peso non è cosi
rilevante.
Quello sportivo è un contesto in cui immagine corporea e alimentazione
rivestono grande importanza
A partire dagli anni ’80 sono iniziate le ricerche sulle relazioni esistenti tra
insoddisfazione corporea ed esercizio fisico (con attenzione anche ai disturbi del
comportamento alimentare), innanzitutto con lo studio di alcune caratteristiche di
personalità associate sia ai disordini dell’IC che alla partecipazione ad uno sport: la
competitività, l’ansia da prestazione ed il perfezionismo.
Molteplici studi hanno confermato una relazione positiva tra questi fattori.
La percezione della propria IC può influenzare la condotta alimentare portando il
soggetto, ad esempio, a seguire una dieta sana o restrittiva. La valutazione positiva del
proprio corpo è stata collegata ad un’alimentazione sana ed adeguata e ci saranno meno
probabilità di mangiare in maniera disordinata o intraprendere una dieta restrittiva o
vomito autoindotto, se il soggetto sarà soddisfatto di come appare.
Per un atleta è importante sì il raggiungimento del risultato sportivo o di un certo tipo
di prestazione, ma anche di come si appare, di avere, cioè, un peso e una forma
ottimali; questo può determinare comportamenti e abitudini alimentari disfunzionali.
Oltre a motivazioni tecniche, strettamente connesse ad un determinato tipo esercizio,
anche per gli sportivi esistono, infatti, determinati modelli ed immagini ideali cui
riferirsi; ciò vale per tutti gli sport ma, in particolar modo, per quegli sport ad alta
componente estetica: si può pensare al desiderio di magrezza delle ballerine, ma
anche al desiderio opposto, quello di un body builder, che non si percepisce mai
abbastanza grosso e tende verso una massa muscolare sempre maggiore.
Seguire una corretta alimentazione risulta essere importante
affinchè l’organismo funzioni al meglio; se ciò è valido per
qualunque persona, che svolge un’attività più o meno
sedentaria, lo è ancor di più per coloro che praticano sport e
dal proprio corpo devono ottenere molto di più in termini di
prestazioni fisiche e consumo energetico.
Per chi pratica attività sportiva, l’alimentazione riveste un
ruolo determinante ed è importante che lo sportivo sappia
quali alimenti possono essergli di aiuto nella propria attività,
in che quantità e modalità assumerli.
A seconda dell’attività svolta esistono notevoli
differenze nell’alimentazione da seguire:
• Sport di resistenza: grande quantità di carboidrati che garantisca un notevole
apporto di glicogeno sufficiente a fornire energia durante gli sforzi prolungati;
• Sport di forza: è importante l’apporto proteico che favorisce lo sviluppo della
massa muscolare; non trascurare allo stesso tempo i carboidrati, i quali garantiscono
il necessario apporto di energia senza il quale l’organismo sarebbe costretto ad
intaccare le riserve di proteine;
• Sport di velocità e scatto: un giusto apporto di carboidrati, l’unico nutrimento che
garantisce energia immediata con il minor dispendio di ossigeno.
Non tutti gli atleti provano sentimenti di adeguatezza del proprio corpo rispetto alle
caratteristiche specifiche dello sport praticato, sentendosi spesso sotto pressione in
vista del raggiungimento del “tipo ideale” di corpo.
Gli atleti sono spesso sotto pressione in quanto il loro corpo deve garantire una
performance ottimale in base alle caratteristiche dello sport. Così, coloro che
praticano sport come la danza, l'atletica, la ginnastica artistica, il pattinaggio, sono
portati a desiderare una corporatura più esile e slanciata che dia un'immagine di
leggerezza e armonia mentre, coloro che praticano sport come il body-building, il
football, il pugilato, desiderano una corporatura più massiccia e muscolosa.
Ad ogni tipo di sport corrisponde, dunque, un'ideale corporeo; di conseguenza a
seconda dello sport praticato, gli atleti desidereranno un certo tipo di corporatura e
cercheranno di raggiungerla essenzialmente attraverso un particolare allenamento e
specifiche abitudini alimentari. Tutto questo, può, in alcuni casi, portare l’atleta a
mettere in atto comportamenti dannosi, in particolare rispetto all'allenamento e alle
condotte alimentari (sovra-esercizio)
Le conseguenze di diete particolari, adottate per tenere
sotto controllo il peso corporeo, possono essere gravi.
O’Connor & Caterson: un calo
improvviso e drastico di peso corporeo
influenza negativamente la performance,
le funzioni cognitive e la salute fisica in
generale;
Nattiv et al.: la perdita di peso, anche in
assenza di un disturbo vero e proprio della
condotta alimentare, ha complicanze
mediche che includono il sistema
cardiovascolare, endocrino, riproduttivo,
gastrointestinale, renale, ed il sistema
nervoso centrale.
Marco Mariolini Il Collezionista di
Anoressiche
Disturbi Alimentari e Distorsione
dell’Immagine Corporea nello Sport
Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione (DSM-V)
Interessano primariamente il genere femminile e sono considerati un problema
sanitario importante; essi sono caratterizzati da un grave disordine alimentare e una
preoccupazione eccessiva riguardante il peso e la forma del proprio corpo. Si
manifesta frequentemente una bassa autostima, un’immagine corporea distorta che fa
percepire il proprio corpo con un eccesso di peso, inefficienza, perfezionismo e un
senso di perdita di controllo seguiti da meccanismi compensatori quali manipolazione
alimentare e utilizzo di metodi inadeguati al controllo del peso. A ciò si associa
spesso irregolarità mestruale e osteoporosi.
Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione
Sono caratterizzati da “un persistente disturbo
dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti
l’alimentazione che hanno come risultato un alterato
consumo o assorbimento di cibo e che compromettono
significativamente la salute fisica o il funzionamento
psicosociale”
DSM-IV vs DSM-V
Denominazione
È stata eliminata l’obesità
È stata eliminata la dicitura “disturbi solitamente
diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza
o nell’adolescenza”
Disturbo della nutrizione dell’infanzia o della prima
fanciullezza
disturbo Evitante /Restrittivo
Criteri anoressia/bulimia
Alimentazione incontrollata
Binge-Eating
Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione
Anoressia Nervosa
Bulimia Nervosa
Binge Eating Disorder
Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di
cibo (Ortoressia, Anoressia Inversa)
Disturbo della Ruminazione
Pica
Altri disturbi specifici della nutrizione e
dell’alimentazione
Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
non altrimenti specificati
L’atleta con disturbi alimentari fa parte di una popolazione speciale con un problema
particolare cui possono aver contribuito diversi fattori quali la natura della disciplina
sportiva, le regole, la frequenza con cui ci si allena, il carico di allenamento, la subcultura legata alla disciplina, il sovra-allenamento o il comportamento dell’allenatore.
L’ambiente sportivo può, quindi, enfatizzare e complicare alcune problematiche
presenti nell’atleta, richiedendo ad esempio un corpo con peso e forma ideali. Questo
ideale spesso implica la perdita di peso o grasso corporeo che può far precipitare
l’atleta in un disturbo alimentare o esacerbarne uno già esistente.
Nei primi anni ’90 fu introdotto il concetto di Anoressia Atletica dal momento che si
notò che gli atleti sembravano costituire una popolazione a parte. Quella della AA è
una condizione in cui apporto calorico e massa corporea sono ridotti malgrado le
elevate prestazioni fisiche; per diversi aspetti essa ricalca l’Anoressia Nervosa visto
che le pazienti spesso praticano incessante attività ed esercizio fisico simile a quello
notato in molti atleti. Ad ogni modo l’AA risponde a qualche, ma non a tutti i criteri
dei Disturbi Alimentari e può perciò essere considerata simile al Disturbo Alimentare
non Altrimenti Specificato (EDNOS).
Anoressia Nervosa e Anoressia Atletica
AN: perdita di peso dovuta ad un’alimentazione eccessivamente restrittiva;
AA: basso peso corporeo dovuto ad un eccessivo esercizio fisico e ad un
apporto limitato di calorie.
AN: ufficialmente riconosciuta come Disturbo del Comportamento Alimentare
dall’APA;
AA: non soddisfa pienamente tutti i criteri di un DCA; non compresa nel DSM
ma utilizzata frequentemente dai professionisti della salute.
Anoressia Nervosa
Le persone con Anoressia sono ossessionate dall’idea di apparire magre e
sviluppano un’intensa, irrazionale paura di acquisire peso. Di conseguenza,
riducono drasticamente l’assunzione di qualsiasi cibo che possa potenzialmente
farli ingrassare.
In alcuni casi il comportamento restrittivo è l’unico metodo utilizzato per
controllare il peso corporeo; in altri casi le persone anoressiche mostrano
comportamenti riscontrati nella Bulimia Nervosa, associando al comportamento
restrittivo episodi di abbuffate seguite poi da condotte eliminatorie come
vomito, abuso di diuretici.
Anoressia Atletica
Fa riferimento a condotte alimentari presenti nelle donne che praticano attività
sportiva; caratteristiche comuni sono la bassa autostima, immagine corporea distorta,
senso di colpa, inefficienza, perfezionismo e un senso di perdita di controllo con
meccanismi compensatori agiti mediante un’alterazione dei pasti e l’utilizzo di
metodi volti a controllare il peso (vomito, digiuno, utilizzo di lassativi e/o diuretici).
Le atlete maggiormente colpite sono quelle che praticano sport in cui si dà
importanza alla magrezza, al corpo asciutto e longilineo.
Quella della AA è una condizione in cui apporto calorico e massa corporea sono
ridotti malgrado le elevate prestazioni fisiche.
Negli ultimi decenni si è verificato un
cambiamento culturale nell’ambito dell’immagine
maschile e della sua cura, ragion per cui è andato
progressivamente aumentando l’interesse verso il
suo studio; abbiamo assistito ad un graduale
spostamento del modo in cui gli uomini
percepiscono il proprio corpo e una crescente
tendenza verso una condizione chiamata dismorfia
muscolare o vigoressia.
Questa condizione è entrata a far parte della letteratura nel 1993 quando Pope, Katz e
Hudson descrissero una condizione che chiamarono reverse anorexia in una
popolazione maschile di bodybuilders.
Questi uomini, sebbene fossero molto muscolosi, credevano di essere piccoli e
fisicamente deboli; declinavano inviti, vestivano indumenti pesanti anche in estate e
rifiutavano di farsi vedere al mare. Questo faceva sì che le loro relazioni sociali ed
intime fosse fortemente compromesse. Anche la sfera lavorativa, oltre a quella sociale
ed affettiva , era spesso compromessa: i soggetti si impegnano spesso nella ricerca di
un’occupazione in tutte quelle aree in cui essi possono sollevare pesi regolarmente,
come le palestre. Inoltre tali individui seguono una dieta meticolosa e scrupolosa, la
quale spesso include l’uso inappropriato di integratori, quali anabolizzanti e steroidi
androgeni.
In seguito ad ulteriori ricerche Pope e collaboratori hanno rinominato questa
condizione dismorfia muscolare, classificandola come un sottotipo di disturbo da
dismorfismo corporeo.
Benché la Dismorfia Muscolare sia stata originariamente considerata come una sottocategoria dei disturbi da Dismorfia Corporea, studi più recenti suggeriscono che sia
meglio classificabile come un disturbo alimentare.
A questo proposito Grieve e collaboratori hanno evidenziato diverse somiglianze con
i disturbi dell'alimentazione, soprattuto con l‘Anoressia e la Bulimia Nervosa.
In primo luogo i soggetti con diagnosi di DM spesso hanno una storia di disturbi
alimentari o sintomi di disturbi dell'alimentazione insieme a sintomi di DM. Inoltre,
sia la Dismorfia Muscolare che l’Anoressia Nervosa prevedono distorsione corporea,
il desiderio di raggiungere e mantenere una precisa forma fisica e comportamenti
alimentari abnormi sorretti da un disfunzionale sistema di credenze.
La DM è una condizione che interessa primariamente i
bodybuilders di sesso maschile.
Non occorre guardare tanto lontano per capire come il bodybuilding abbia influenzato
la cultura contemporanea per quanto riguarda un certo ideale fisico maschile.
Che cos’è il Bodybuilding?
Il perseguimento di un fisico muscoloso attraverso un programma di allenamento pesi
e un regime nutrizionale su misura.
Sebbene esistano bodybuilders di sesso femminile, è un’attività che coinvolge
primariamente gli uomini.
Nell’ambito del bodybuilding competitivo, gli atleti mostrano il proprio fisico ad una
giuria che assegna un punteggio in base alla taglia, la simmetria e la muscolatura.
Le qualità estetiche del bodybuilding fanno sì che esso si differenzi
dal sollevamento pesi dove lo scopo è quello di sollevare il maggior
peso possibile; i sollevatori di pesi cercano di accumulare una
maggiore percentuale di grasso rispetto ai culturisti, per aumentare la
propria forza.
Pumping Iron (Uomo d’Acciaio, 1977)
Se è vero che oltre alla prestazione è importante come l’atleta appare,
lo è più che mai nel caso del body building, dove, il confronto con
certi modelli ideali è continuo e motivante per l’allenamento; i
modelli cui riferirsi si trovano nelle riviste specializzate e ancor più
vicino all’interno della palestra in cui ci si allena.
Per tanto tempo il focus dell’attenzione concernente i disturbi dell’ IC negli sportivi si è
concentrato unicamente sulle atlete femminili, in realtà la loro incidenza fra il sesso
maschile ha avuto un forte incremento negli ultimi anni.
Diversi studi hanno dimostrato che con l’aumento della popolarità del Bodybuilding, è
andato crescendo il numero di uomini insoddisfatti del proprio fisico. Alla base di
questa insoddisfazione non c’è il desiderio di possedere corpi più snelli come avviene
per le donne ma corpi più muscolosi (Pope et al., 2000).
In questo caso siamo oltre il semplice malcontento e apprensione verso il proprio corpo
(o muscolatura): l’insoddisfazione corporea si traduce in distorsione dell’immagine
corporea e, nello sforzo di cambiare e migliorare la propria forma corporea, si
costituiscono le basi per gravi disturbi e patologie (Schwartz & Brownell, 2004)
(Dismorfismo Corporeo, Dismorfia Muscolare).
Dismorfismo Corporeo
La caratteristica principale del disturbo da Dimorfismo
Corporeo è una preoccupazione molto pronunciata per un
difetto dell’aspetto fisico che, diversamente dalle normali
preoccupazioni per il proprio corpo, comporta un eccessivo
dispendio di tempo e risulta associata ad un’intensa e
tormentosa sensazione di disagio. Tale preoccupazione non
riguarda il proprio stato di salute, bensì è di carattere
puramente estetico: il difetto o la deformità non sono realmente
presenti o, quando lo sono, c’è comunque una netta
sproporzione fra il dato oggettivo e il vissuto soggettivo. Ogni
parte del corpo può diventarne causa e la preoccupazione può
riguardare simultaneamente diverse parti, che possono
rimanere le stesse o cambiare.
Dismorfia Muscolare
“A preoccupation with overall muscularity and drive to gain
weight without gaining fat”
(Morgan, 2000)
Un’eccessiva preoccupazione e insoddisfazione per la propria grandezza corporea e la
propria massa muscolare: il sg vede se stesso come piccolo e fragile, anche quando la
realtà è ben altra; è presente la tendenza ossessiva ad accrescere sempre di più la
massa muscolare.
Per indicare tale disturbo viene anche usato il termine Vigoressia, ovvero il desiderio
di possedere un corpo più muscoloso e più ‘asciutto’.
Il focus dell’ossessione non è più la paura di ingrassare ma il timore di non essere
abbastanza grossi, quello che infatti affligge non è tanto un eventuale sovrappeso,
quanto la percentuale di grasso corporeo, che va sempre tenuta sotto controllo.
Soggetti con DM sono fortemente convinti di non possedere un’adeguata
muscolatura, nonostante essi si presentino spesso più muscolosi rispetto alla media
della popolazione. La preoccupazione per il proprio corpo è persistente e causa
disturbi nel funzionamento globale dell’individuo associati ad angoscia.
Diversi studi hanno associato il fisico maschile muscoloso al potere, alla dominanza,
alla forza, alla virilità, all’autostima. In altre parole, la fragilità fisica, spesso
associata alla femminilità, viene contrastata mantenendo un fisico muscoloso.
Tre sono i possibili determinanti del disturbo, non operanti in modo indipendente
l’uno dall’altro, per cui è opportuno propendere per un’eziologia di tipo
multifattoriale.
In primis, una componente biologica predisponente (che rende alcuni soggetti più
inclini di altri a sviluppare sintomi del tipo ossessivo-compulsivo), un fattore di
ordine psicologico (legato ad una bassa autostima e al modo in cui essi si giudicano,
prevalentemente basato sull’ apparenza,come un investimento esagerato sulla propria
estetica tipico dei narcisisti) ed uno di ordine sociale e culturale.
Di recente, Grieve ha avanzato l’ipotesi secondo cui le variabili più importanti che
conducono alla DM sono la distorsione percettiva del proprio corpo, l’insoddisfazione
relativa ad esso e una immagine corporea interna idealizzata. Queste tre variabili,
insieme al perfezionismo, alle emozioni negative, alla bassa autostima e alla pressione
dei mass media, sono ritenute essere alla base dello sviluppo della DM.
Veramente efficace, da parte degli allenatori, dei nutrizionisti e da chi lavora nello
sport, diventa promuovere nell’atleta un miglioramento dell’IC ad esempio lavorando
sull’autostima come un fattore protettivo rispetto all’insorgenza di disturbi del
comportamento alimentare e dell’IC.
Si tratta di interventi di promozione della salute, che mirano a identificare e potenziare
aspetti positivi del Sé allo scopo di produrre dei cambiamenti a livello di autopercezione e valori (come norme culturali che regolano l’immagine corporea) per
giungere alla modifica di comportamenti alimentari e ad una maggiore soddisfazione
verso il proprio corpo.
DM e DCA
Le differenze tra AN e la DM sembrano essere dovute essenzialmente alle diverse
"pulsioni" provate: nella prima c'è una ricerca estenuante della magrezza, nell'altra
della muscolosità. Inoltre anche le condotte alimentari degli individui con DM sono
influenzate da distorsioni cognitive sottostanti, così come avviene nell’anoressia e
nella bulimia nervosa.
Mentre le persone anoressiche e bulimiche raggiungono la magrezza desiderata
attraverso digiuni, condotte di eliminazione ed allenamenti strazianti, i soggetti con
DM assumono una grande quantità di calorie con l'obiettivo di incrementare la massa
muscolare (c'è quindi una massiccia assunzione di cibo come avviene nel binge
eating). Le similarità sintomatologiche riscontrate tra uomini con DM e donne con
DCA indicano un'eziologia simile nei due sessi.
Valutare l’Immagine Corporea
I sistemi per valutare l’immagina corporea si possono dividere in due
categorie:
 Tecniche di stima di parti distinte del corpo, con
conseguente messa a fuoco dell’attenzione su differenti
misure corporee;
 Tecniche di valutazione globale del corpo.
Gli strumenti indirizzati prevalentemente alla misurazione della componente
soggettiva dell’IC comprendono test proiettivi, interviste semistrutturate,
questionari di auto-somministrazione e scelta tra diverse figure o silhouettes.
Il test proiettivo più utilizzato è il Machover test (disegno della figura umana).
Si basa sull’assunto che il disegno di una figura umana, che una persona esegue, sia in
realtà la proiezione del proprio corpo.
Body Shape Questionnaire (BSQ): si tratta di una misura auto-riferita, relativa al
rapporto che i soggetti hanno con il proprio aspetto fisico e, in particolare, con
l'esperienza fenomenica di "sentirsi grassi".
Il questionario, validato a livello internazionale, è composto da 34 item che
costituiscono la scala; a questi il soggetto è invitato a rispondere scegliendo fra 6
livelli di gravità, espressa dalla frequenza con cui i pensieri, le sensazioni ed i
comportamenti descritti negli item si manifestano (mai/sempre). Il punteggio totale
misura il grado di insoddisfazione corporea e può andare da un minimo di 34 ad un
massimo di 204.
The Body Appreciation Scale (BAS): è un questionario auto-somministrabile composto
da 13 item che riflettono il grado di apprezzamento e gli aspetti positivi della propria
IC. Tutti gli item sono su scala Likert da 1 a 5 (1 = mai, 5 = sempre); tanto più alto è il
punteggio, tanto maggiore sarà il livello di apprezzamento della propria IC (es.: I
respect my body, I feel good about my body, On the whole I’m satisfied about my
body..)
Body Image Assessment: è uno strumento volto a misurare le distorsioni dell’IC. Al
soggetto, posto di fronte a diverse figure, vengo posti i seguenti quesiti: qual è
l’immagine che meglio la rappresenta? Quale rappresenta il suo corpo ideale? Quale,
secondo lei, può essere più attraente per un uomo?
Il Body Image Assessment è la versione cartacea del Body Image Revealer (B.I.R.)
B.I.R.
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