1. Immagine Corporea 2. Insoddisfazione Corporea 3. Distorsione dell’Immagine Corporea 4. L’Autostima 5. Alimentazione, Immagine Corporea, Sport 6. Disturbi Alimentari e Distorsione dell’Immagine Corporea nello Sport 7. Anoressia Atletica e Dismorfia Muscolare 8. Tecniche di Valutazione dell’Immagine Corporea Negli ultimi anni, le donne prima e gli uomini poi, hanno sviluppato una preoccupazione eccessiva nei riguardi del proprio corpo: si è sempre più insoddisfatti del proprio fisico arrivando a considerarlo come un nemico da combattere attraverso diete ed esercizio ginnico incessante. Nel corso della storia, il corpo è stato oggetto di enorme interesse. • Tra il XV e il XVII secolo la società occidentale ha privilegiato la donna formosa sul ventre, ossia quella di tipo ‘riproduttivo’, perché i figli rappresentavano la ricchezza maggiore e una ‘non madre’ era poco ambita. Con il trascorrere del tempo, il peso ha assunto un’importanza rilevante nella definizione del concetto di salute e, per un certo periodo, si è ritenuto che influisse persino su malattie e comportamento criminale. • Nella seconda metà del XIX secolo la magrezza, fino a quel momento simbolo di miseria e malattia delle classi meno agiate, diventa un modo per distinguersi proprio da quelle categorie elitarie che da sempre l’avevano etichettata come negativa. La possibilità di nutrirsi non era più prerogativa unica dei ricchi e l’affermazione “grasso uguale facoltoso” non aveva più senso di esistere. • La fine del XIX secolo esalta il ‘modello a clessidra’, con vita sottile accentuata da seno e sedere pieni: i caratteri sessuali tipici femminili sono ancora di primaria importanza ma ci troviamo di fronte ad un corpo più sensuale ed armonioso di quello di tipo riproduttivo. • Negli anni ’30 del XX secolo, comincia quella che possiamo definire ‘l’età del dimagrimento’. • Negli anni ’50 gli articoli che le riviste femminili dedicano alle diete si moltiplicano e raggiungono l’apice negli anni ’80-’90, periodo in cui aumenta l’interesse per gli aspetti medici ed estetici delle dimensioni del corpo. Nasce un nuovo ideale femminile, che predilige la bellezza a discapito di altre caratteristiche e instaura il culto del magro. Oggigiorno, la bellezza è diventata talmente indispensabile da innescare il meccanismo di una vera e propria malattia che negli USA prende il nome di Body Image Disturbance, ovvero: Disturbo dell’Immagine Corporea. Che cos’è l’Immagine Corporea? “..quella particolare rappresentazione che ogni individuo ha del proprio corpo..” Spesso a un primo approccio con le problematiche dell’immagine corporea, e a causa di un’eccessiva semplificazione dovuta al filtro dei mezzi di comunicazione di massa, si tende a far coincidere tale concetto con quello dell’apparenza fisica, dell’esser belli o attraenti. L’immagine corporea, però, abbraccia e si ripercuote su dimensioni più ampie poiché comprende l’intera rappresentazione mentale dell’individuo che, secondo una causalità circolare, è influenzata da emozioni, affettività e pensiero e a sua volta li determina, indirizzando le modalità comportamentali. Con l’espressione ‘Immagine Corporea’ non si intende solamente il corpo così come lo vediamo quando ci troviamo davanti a uno specchio, ma anche e soprattutto la percezione che abbiamo di esso. La corporeità, la sua percezione, e le convinzioni che ognuno ha a riguardo, influenzano la quotidianità dell’individuo, la progettualità, le interazioni sociali, fino alla tendenza a una dimensione di benessere versus una predisposizione allo sviluppo di un disagio psichico. Sicuramente l’immagine corporea si struttura su specifiche caratteristiche fisiche (peso, altezza, specifiche parti del corpo) ma dipende anche da come tali fattori insieme alla totalità dell’esperienza corporea, vengono vissute nel singolo individuo, nella famiglia, nel gruppo dei pari, nell’ambiente culturale dove si collocano e si manifestano. Il tema della corporeità si è inizialmente sviluppato nel campo medico neurologico ed è stato poi arricchito da svariati contributi, dalla psichiatria alla psicodinamica, dalla fenomenologia alla psicologia sociale. Gli studi relativi all’immagine corporea, ad oggi, possono essere schematicamente suddivisi in due grandi gruppi. NEUROLOGIA Il primo gruppo si rifà all’ambito neurologico e neuropsicologico, analizzando una serie di funzioni e circuiti cerebrali che permettono il mantenimento di una conoscenza precisa della forma e della postura del corpo, consentendo di localizzare stimoli esterni sulla cute e di programmare ed eseguire azioni. Grazie a queste numerose funzioni, che possiamo racchiudere nell’espressione “rappresentazione corporea”, ci è possibile percepire e localizzare stimoli somatici, programmare azioni, avere consapevolezza del nostro corpo. Gli studi appartenenti a questo gruppo riguardano soprattutto pazienti che, in seguito ad una lesione cerebrale, sviluppano sindromi neuropsicologiche attinenti lo schema corporeo come per esempio l’autotopoagnosia (l’incapacità di indicare le parti del corpo), il disorientamento destra-sinistra, l’agnosia digitale (l’incapacità di denominare o mostrare le proprie dita in seguito a comando verbale o non verbale), l’emisomatoagnosia (la tendenza ad ignorare la parte controlesionale del proprio corpo), la somatoparafrenia (produzione di idee deliranti concernenti la metà controlesionale del corpo). Il secondo grande gruppo è quello a cui ci riferiamo più propriamente quando parliamo di studi sull’immagine corporea. È a partire dagli anni ’50 che l’interesse dei ricercatori si sposta progressivamente dal concetto di schema corporeo a quello di immagine corporea, più idoneo a spiegare la complessità delle esperienze legate al corpo (Zazzo, 1977). Tali studi, partendo dal lavoro classico di Schilder (1950), hanno tentato di concettualizzare gli aspetti più propriamente psicologici della percezione del corpo. Sebbene il concetto di “Immagine Corporea” venga oggi largamente utilizzato, esso non ha ancora una definizione univoca. • Schilder (1950): "immagine del corpo che formiamo nella nostra mente, cioè il modo in cui il corpo appare a noi stessi“. Viene messo così in evidenza il concetto di immagine o rappresentazione mentale del corpo. • Slade (1988): “la raffigurazione mentale della dimensione e della forma del nostro corpo e i nostri sentimenti riguardanti queste caratteristiche e le singole parti costituenti del nostro corpo”. Più di recente il costrutto di immagine corporea è stato definito come un atteggiamento multidimensionale nei confronti del proprio corpo che include componenti cognitive, affettive, percettive. Esiste comunque una relativa variabilità tra i ricercatori rispetto al modello concettuale di immagine corporea utilizzato o proposto e ci sono state nel tempo modifiche sostanziali in relazione al peso dei singoli aspetti considerati (Cash and Pruzinsky, 1990). Il riferimento all'investimento e all’importanza che il singolo attribuisce alla propria apparenza fisica e alla discrepanza tra corpo percepito e corpo ideale, sembra tuttavia accomunare i più recenti studi sull'immagine corporea. La maggior parte della ricerca contemporanea sull’immagine corporea deriva da paradigmi cognitivi; quest’ultimi hanno portato alla costruzione di un modello cognitivo-comportamentale dello sviluppo dell’immagine corporea in cui si distinguono fattori storici e fattori prossimali. Fattori Storici I fattori storici si riferiscono ad eventi ed esperienze del passato che influenzano il modo in cui un individuo pensa, sente e agisce in relazione al proprio corpo. Fra questi i principali sono: la cultura sociale, le esperienze interpersonali, le caratteristiche fisiche ed i tratti di personalità. Attraverso diversi tipi di apprendimento sociale, i fattori storici infondono all’individuo gli schemi e le attitudini fondamentali dell’Immagine Corporea, incluso la disposizione alla sua valutazione e i diversi gradi di investimento su di essa. Con ‘valutazione’ dell’immagine corporea ci riferiamo alla soddisfazione o insoddisfazione per il proprio corpo, mentre con ‘investimento’ si intende l’importanza del corpo, sul piano cognitivo, comportamentale ed emotivo, in relazione all’auto-valutazione. Fattori Prossimali I fattori prossimali sono rappresentati dagli eventi di vita recenti, ed hanno un ruolo precipitante o di mantenimento sulle esperienze della propria immagine corporea; tra questi sono compresi il dialogo interno, le emozioni riguardanti l’immagine corporea, e le strategie e i meccanismi di auto-regolazione e di coping. Modello Cognitivo-Comportamentale dell’immagine corporea Vediamo quindi come l’immagine corporea possa essere considerata un costrutto multidimensionale, concettualmente differente dallo schema corporeo: quest’ultimo corrisponde alla percezione diretta del proprio sé fisico e presiede all’orientamento delle parti del corpo in relazione le une alle altre; l’immagine corporea interpreta in modo cognitivo ed emozionale la dimensione sensoriale; in essa si uniscono le dimensioni sensoriali, affettive, cognitive, emozionali e culturali. L’immagine corporea è un “filtro cognitivo” attraverso il quale viene interpretata la realtà e svolto il processo di attribuzione di significato alle esperienze. Abbiamo parlato poc’anzi di immagine corporea come di “immagine mentale, personale della forma, della dimensione e della taglia del corpo, e dei sentimenti che proviamo rispetto a queste caratteristiche e alle singole parti fisiche”. In base a questa definizione, vediamo come questo costrutto venga generalmente considerato consistere di due componenti: una percettiva (la stima della propria dimensione corporea, che potrebbe non coincidere con il corpo reale) e una affettiva (gli atteggiamenti o i sentimenti nei confronti del proprio corpo, la valutazione del corpo percepito). Di conseguenza, avremo due tipologie principali di disfunzioni dell’immagine corporea: • una distorsione percettiva riguardante la dimensione corporea; • un’insoddisfazione di tipo cognitivo-valutativo. Entrambe, percezioni e atteggiamenti, sembrano giocare un ruolo molto importante nelle disfunzioni dell’Immagine Corporea: si parla di distorsioni percettive quando un individuo ha difficoltà nel percepire accuratamente la taglia o la forma del proprio corpo (pazienti con DCA tendono a sovrastimare la loro taglia); l’insoddisfazione cognitivo-valutativa riflette invece la convinzione del paziente di essere troppo grasso o deforme nonostante la percezione possa non essere compromessa. Il problema se siano, queste due modalità, indipendenti o no, è stato oggetto di numerose ricerche scientifiche (S. Skrzypek, P. M. Wehmeier, H. Remschmidt, 2001). Alcuni autori (Thompson, Heinberg, Altabe, & Tantleff-Dunn, 1999) parlano di una terza componente, quella comportamentale, che si riferisce al controllo continuo delle imperfezioni percepite e all’evitamento di situazioni sociali in cui la persona sente di essere particolarmente esposta. Insoddisfazione Corporea È causata il più delle volte da una discrepanza tra corpo perfetto idealizzato e la reale apparenza fisica; più una persona riterrà se stessa lontana dall’ideale corporeo interiorizzato, più sarà insoddisfatta e portata a ricorrere a misure drastiche per ottenere la corporatura desiderata. L’insoddisfazione che deriva da un’immagine corporea fortemente negativa può avere pesanti ripercussioni sull’autostima dell’individuo e sul suo funzionamento generale fino a determinare lo sviluppo di psicopatologie come ansia, depressione e disturbi della condotta alimentare. Le persone utilizzano diversi criteri di paragone per quanto riguarda la forma del proprio corpo e i cambiamenti a livello sociale possono incrementare l’importanza di un criterio a discapito di un altro. Lo standard attuale per le donne è quello di essere magre, mentre per gli uomini è di essere atletici e muscolosi. Le donne tendono ad essere insoddisfatte del proprio corpo, percependosi spesso in sovrappeso; gli uomini, d’altro canto, sono stati percepiti da sempre come meno insoddisfatti rispetto alle donne; essi tendono comunque a focalizzarsi sul corpo intero mentre le donne su parti specifiche. Uno studio di Olivardia et al. (2004) ha riportato che il numero di uomini insoddisfatti del proprio aspetto fisico è in crescita; sembrano, inoltre, esserci due tipologie di uomini/ragazzi insoddisfatti del proprio corpo: quelli che sono obesi e vogliono perdere peso e quelli che sono sottopeso e vogliono aumentarlo. Entrambe le tipologie dichiarano di voler apparire maggiormente mesomorfici ed è proprio questo desiderio che alimenta l’insoddisfazione corporea. I due gruppi utilizzano differenti tecniche per raggiungere i propri obiettivi: • gli individui obesi utilizzeranno tecniche di perdita di peso e probabilmente modereranno l’attività fisica che può portare ad un aumento della muscolatura e quindi, all’acquisizione di peso; • gli individui sottopeso, al contrario, utilizzeranno tecniche per l’acquisizione del peso e sono proprio questi ultimi ad essere a più alto rischio di sviluppare disturbi quali il Dismorfismo Muscolare. Infatti, alti livelli di insoddisfazione corporea sembrano essere più frequenti negli uomini magri: i ragazzi che frequentano il college che sono sottopeso, risultano essere insoddisfatti allo stesso modo delle donne della stessa età sovrappeso. L’insoddisfazione corporea porta inevitabilmente alla distorsione dell’immagine corporea. Distorsione dell’Immagine Corporea La distorsione dell’immagine corporea è una caratteristica dei DCA ed è stata ampiamente investigata utilizzando diversi approcci. È attribuito a Hilde Bruch il merito di esser stata la prima studiosa a riconoscere l’immagine corporea disfunzionale quale caratteristica centrale dei DCA (Bruch H., 1962). Sebbene la natura dei disturbi dell’immagine corporea sia ancora controversa, tale criterio è divenuto parte della definizione di DCA nei due principali sistemi di classificazione: l’ICD-10 e il DSM-IV. Entrambi, infatti, considerano l’immagine corporea disfunzionale come un importante sintomo dei disturbi alimentari. Un’immagine corporea negativa, inoltre, non è solo un sintomo di Anoressia e Bulimia ma gioca un importante ruolo nello sviluppo, nel mantenimento e nel processo di ricaduta di questi disturbi. Avere un’immagine corporea distorta avrà sicuramente delle implicazioni sulla prognosi di un DCA: il persistere di un’immagine corporea disfunzionale a seguito di un trattamento, è un fattore prognostico negativo per quel che riguarda i risultati a lungo termine. Sebbene l’immagine corporea sembri essere un fenomeno relativamente stabile nel tempo, in diversi studi sono state riportate delle variazioni situazionali che indicano il costrutto come composto da un aspetto di stato (l’esperienza di un particolare momento) e uno di tratto. È stato dimostrato che l’umore depresso può influenzare l’immagine corporea di stato e portare ad una maggiore insoddisfazione corporea. Recenti ricerche hanno dimostrato, inoltre, che l’immagine corporea di stato può essere influenzata da stimoli prossimali come ad esempio una recente assunzione o privazione di cibo. Questi risultati indicano che l’immagine corporea non è un costrutto stabile ma, al contrario, risulta essere influenzato da diversi fattori transitori. Fattori che influenzano l’Immagine Corporea Le pressioni socioculturali che spingono a conformarsi alla “magrezza ideale” e che pervadono le società occidentali, sembrano esercitare una forte influenza sull’immagine corporea, in special modo tra gli adolescenti particolarmente vulnerabili a questi messaggi. Creando una discrepanza tra realtà e ritratti di corpi irrealistici, queste pressioni sembrerebbero giocare un ruolo molto importante nello sviluppo dell’insoddisfazione corporea. L’insoddisfazione corporea è, a sua volta, un importante elemento predittivo delle strategie volte alla perdita di peso, dell’alimentazione restrittiva e della sintomatologia bulimica. Le fonti dalle quali provengono le pressioni socioculturali sono numerose e comprendono messaggi impliciti ed espliciti che vengono convogliate dai media e da altri canali importanti quali sono i pari e i familiari. È stato proposto che queste influenze, combinate tra loro, siano forti predittori delle preoccupazioni riguardanti la forma corporea e il peso, più di quanto lo siano singolarmente. Questo ha portato a suggerire l’esistenza di una “Sottocultura della dieta”, in cui media, genitori e pari si associano per trasmettere l’importanza della snellezza. Influenza dei Media L’eccessiva importanza riservata all’immagine corporea è frutto dell’errata convinzione che per essere socialmente accettati, sia necessario apparire in forma uguale, se non migliore, a quella dei modelli proposti dai media. È innegabile che questi ultimi fungano da elementi decisivi per la formazione di ideali e convinzioni di ogni singolo soggetto. Se ci soffermassimo ad analizzare gli esempi estetici che quotidianamente questi messaggi ci impongono, riusciremmo a comprendere che si tratta di modelli dai canoni assolutamente irrealizzabili per la stragrande maggioranza della popolazione in quanto celano, oltre a restrizioni alimentari e uno smodato esercizio fisico, anche trattamenti di trucco e a volte persino ritocchi al computer, indispensabili al raggiungimento dell’obiettivo estetico voluto. Non è semplice, soprattutto per chi vive in un corpo ‘normale’, arrendersi all’idea che ciò che si vede nei messaggi pubblicitari non è realtà assoluta, bensì una verità costruita al solo fine di commercializzare al meglio un prodotto: cresce così l’insoddisfazione corporea, il senso di inadeguatezza rispetto ai modelli proposti; la magrezza è glorificata, ciò che invece non la rappresenta è svilito oltremisura. Una tale situazione emotiva può dare il via all’insinuarsi di un disturbo di tipo ‘percettivo’ della propria immagine corporea, indipendente dalla forma corporea stessa: finiamo per vedere, cioè, cose di noi stessi che gli altri non vedono. Diventiamo tanto autocritici da non riuscire a distinguere gli effettivi ‘nei’ da quelli creati esclusivamente dalla nostra mente. La “American Psychological Association” (2007) e diversi altri studiosi (Harrison & Cantor, 1997), hanno dimostrato che l’esposizione agli ideali di magrezza proposti dai media, costituiscono un fattore importante nello sviluppo dei DCA e dell’insoddisfazione corporea nelle donne. Altri fattori influenzanti possono essere i gruppi di pari e l’ambiente familiare. Influenza dei Pari I gruppi di pari possono contribuire all’insoddisfazione corporea femminile principalmente in due modi. Essi possono innanzitutto influenzare la donna attraverso commenti verbali, paragoni espliciti, pareri riguardanti standard di bellezza, valore personale attribuito alla bellezza (influenza attiva); possono inoltre influenzare in maniera implicita l’insoddisfazione corporea inducendo nell’altro paragoni interni e inconsapevoli riguardanti il corpo. La maggior parte delle ricerche esistenti si è focalizzata sugli effetti attivi dell’influenza dei pari. Clark e Tiggeman (2008): hanno dimostrato che l’esposizione ai modelli di magrezza proposti dai media, influenzava lievemente in maniera diretta l’insoddisfazione corporea di ragazze preadolescenti. Al contrario, l’influenza dei pari era significativa. Un successivo percorso di analisi suggerì che i pari possono agire da canale per gli effetti dei media. Anche gli studi sugli adolescenti hanno suggerito che l’influenza attiva dei pari, sull’insoddisfazione corporea, è tra le più forti. Per esempio, in uno studio condotto da Jones et al. (2004), l’influenza dei media non risultava avere nessuna diretta relazione con l’insoddisfazione corporea e solo una debole, indiretta relazione attraverso l’interiorizzazione di ideali di magrezza. Al contrario, gli effetti diretti delle critiche da parte dei pari e gli effetti indiretti delle conversazioni riguardanti l’aspetto, attraverso l’interiorizzazione di ideali di magrezza, erano molto più forti. McCabe e Ricciardelli (2005) hanno trovato che l’insoddisfazione corporea delle ragazze era influenzata dalle madri e dalle amiche ma non dai media. Altri studi hanno esaminato l’influenza passiva dei pari sull’insoddisfazione corporea dimostrando che quotidianamente effettuiamo confronti sociali con i pari piuttosto che con le immagini dei media. Per esempio, in un esperimento di tipo naturalistico (Wasilenko, Kulik, & Wanic, 2007), all’interno di una palestra alcune donne sono state assegnate in maniera casuale, durante gli esercizi, vicino ad una complice in buona forma fisica; esse hanno riportato una soddisfazione corporea ridotta e un minor tempo di esercizio rispetto alle donne che si esercitavano vicino ad una complice fuori forma. Questa e altre ricerche (Ferguson, Winegard, & Winegard, 2011) indicano che i gruppi di pari, in maniera attiva e passiva, incidono sull’insoddisfazione corporea femminile molto più di quanto non facciano i media. Questi risultati possono essere spiegati utilizzando una prospettiva evoluzionistica La competizione tra donne per l’uomo che possiede presunti indicatori di “geni di buona qualità”, adeguato status sociale, buona salute e intenzione di investire risorse, rappresenta un fattore che ha portato all’evoluzione delle importanti caratteristiche sessuali secondarie. Numerosi studi hanno dimostrato che gli uomini utilizzano queste caratteristiche per discriminare tra potenziali compagne. Quindi, per le donne, l’apparenza fisica rappresenta un importante componente del successo riproduttivo. In altre parole, l’insoddisfazione corporea potrebbe avere poco a che fare con gli ideali proposti dai media e molto a che fare con le più reali e concrete preoccupazioni riguardanti l’esito positivo della ricerca di un compagno (Ferguson, Winegard, & Winegard, 2011). Influenza dell’ambiente familiare Durante l’adolescenza e la prima età adulta i genitori possono essere considerati il primo modello di identificazione, in particolar modo per gli atteggiamenti nei confronti del corpo e del cibo. Esplorare il ruolo giocato dai genitori è di particolare importanza in quanto si può presumere che essi tentino di agire nell’interesse dei propri figli. Da un punto di vista preventivo, l’identificazione di comportamenti e atteggiamenti genitoriali è necessaria allo scopo di sviluppare e fornire interventi appropriati. In uno dei primi studi sui fattori influenzanti l’immagine corporea, Levine (1994) ha dimostrato come il canzonare e il prendere in giro i figli, sia associato a future preoccupazioni riguardanti il proprio peso e la propria forma corporea. Diversi studi hanno supportato l’importanza delle influenze genitoriali. Uno studio del 2001 (Fieled, Camargo, Barr, Berkey, Roberts, & Colditz) per esempio, che ha coinvolto un ampio campione di ragazzi e ragazze adolescenti, ha dimostrato che le influenze genitoriali costituiscono un’importante elemento predittivo, indipendentemente dai media o dai gruppi di pari, nella comparsa di problemi relativi al peso o alla dieta. Sono due i principali modelli proposti per spiegare l’associazione genitori/figli riguardo i comportamenti e gli atteggiamenti nei confronti del cibo e della forma corporea. La prima teoria (Modelling Theory) suggerisce che i comportamenti alimentari e l’immagine corporea dei bambini vengano modellate su quelle dei genitori. La seconda teoria (Active Influences) pone l’accento sugli atteggiamenti genitoriali nei confronti dei comportamenti alimentari, peso e forma corporea dei propri figli; atteggiamenti che si traducono in critiche, canzonature e sollecitazioni a perdere o a controllare il peso (Thompson et al., 1999). Modelling Theory Diversi studi sono stati effettuati a supporto della Modelling Theory. È stata riscontrata una relazione tra i livelli di insoddisfazione corporea delle ragazze e quelli delle loro madri e dei loro padri. Sembrerebbe non esserci associazione invece tra i tentativi di dieta effettuati dalle madri e quelli effettuati dalle loro figlie (Keery et al., 2006). Comportamenti di restrizione e astensione dal cibo delle ragazze sono stati associati a diete, restrizioni e astensioni da parte delle loro madri e dei loro padri (Vincent & Mccabe, 2000). La ricerca ossessiva della magrezza, tra le ragazze e i ragazzi, ha mostrato una correlazione positiva con le diete effettuate dalle loro madri. Una simile relazione madre/figlia è stata riportata riguardo l’estrema perdita di peso. Questi e altri risultati sembrerebbero dimostrare che i comportamenti restrittivi delle ragazze sono influenzati dai comportamenti delle loro madri. I figli di genitori che danno molta importanza alla regolarità dei pasti in famiglia, sembrano mostrare meno disordini alimentari, anche sotto incoraggiamento dei genitori ad intraprendere una dieta, suggerendo che una forma di modellamento esiste anche per i comportamenti alimentari positivi. Anche se i risultati in quest’area non sono molto concordanti, gli atteggiamenti dei genitori nei confronti dei comportamenti alimentari sembrano avere un effetto modellante sugli atteggiamenti dei propri figli adolescenti (R. Rodgers, H. Chabrol, 2009). Un bambino che sin dalla più tenera età è abituato ad avere un rapporto appropriato con il cibo, potenzialmente assumerà una condotta alimentare salutare anche in età adulta. In sintesi, un bimbo inadeguatamente seguito può finire col guardarsi allo specchio e vedere un’immagine troppo gracile, oppure eccessivamente corpulenta, senza esserne il diretto responsabile. Active Influences L’impatto delle pressioni genitoriali sull’immagine corporea è stato più volte dimostrato. Nelle ragazze, le prese in giro da parte dei genitori e gli incoraggiamenti ad intraprendere una dieta sono state associate ad insoddisfazione corporea, dieta, comportamenti restrittivi e tentativi di perdita di peso, comportamenti alimentari a rischio e disordini alimentari. Riguardo le critiche rispetto al peso e alla forma corporea, è stato dimostrato che commenti negativi da parte dei genitori sono collegabili ad insoddisfazione corporea (Vincent & McCabe, 2000) e le critiche nei confronti dei figli sono maggiormente predittive di un’alimentazione disordinata rispetto ai comportamenti alimentari disturbati dei genitori. Griffiths and McCabe (2000) non hanno trovato, nelle ragazze, alcuna associazione tra il giudizio percepito dei genitori riguardo al loro corpo e i disordini alimentari, suggerendo un’associazione solo quando i genitori comunicano direttamente la propria opinione riguardo la forma corporea e il peso dei loro figli. La perdita di peso rimane la via preferita di molte donne per accrescere la propria autostima. La perdita di peso nel tentativo di raggiungere l’immagine corporea ideale rappresenta qualcosa che va oltre la diminuzione di centimetri o chili. Un aumento ponderale determina sensazioni di frustrazione e auto-svalutazione. Un calo, al contrario aumenta il senso di autocontrollo, la fiducia personale e l’autostima. Il successo o il fallimento nella sorveglianza del peso diviene un simbolo della capacità di dominare la propria vita. Un’immagine corporea negativa o distorta è alla base dei disturbi alimentari, tant’è vero che l’insoddisfazione corporea e la focalizzazione delle proprie preoccupazioni per il peso o le forme corporee sono criteri diagnostici per Anoressia e Bulimia. L’Autostima Che cos’è l’Autostima? Tutti noi valutiamo e tra le tante valutazioni, quelle su noi stessi occupano un posto fondamentale. Come sono? Intelligente, amabile, attraente, rispettoso? Quanto? Poco, abbastanza, molto? Più o meno di altri? Quali sono i miei punti deboli e quali quelli forti? Dove ho più successo e dove meno? È raro che qualcuno si ponga direttamente queste domande ma implicitamente esse si affacciano spesso alla nostra mente, ricevendo anche delle risposte. Tutto ciò che noi facciamo, tutto ciò che ci capita, ha per noi una lettura autovalutativa Perché ci autovalutiamo? 1. Sapere se e quanto valiamo, se e quanto siamo bravi, intelligenti, generosi, amabili. 2. Sapere che valiamo, che siamo come vorremmo essere: bravi, intelligenti, generosi, amabili. In base al primo scopo andiamo in cerca della verità su noi stessi (valutiamo per conoscerci). In base al secondo, invece, quello che conta è arrivare a conclusioni soddisfacenti e confortanti circa il nostro valore, anche a dispetto della verità o comunque modificandola a nostro piacimento per renderla più accettabile e gradevole (valutiamo per piacerci). In base a questo secondo scopo, nasce l’esigenza di avere una buona autostima. Il bisogno, cioè, di valutarci adeguatamente, di concludere che siamo persone di valore. “Un atteggiamento generalizzato verso sé stessi , in positivo o in negativo.” Il concetto di autostima è difficile da spiegare o standardizzare. Esiste una certezza: quella che tutti siamo dotati di una qualsivoglia forma di autostima che risiede dentro di noi fin dalla nascita: è nostro compito favorirne la crescita, giacchè nel corso della vita sarà elemento indispensabile per il raggiungimento della serenità individuale. Chi è in sintonia con il proprio essere, oltre a condurre un’esistenza serena ha un impatto positivo sul prossimo; al contrario, chi vive in una situazione di limitata autostima sente l’esigenza di “appoggiarsi” a qualcuno che possa assumersi responsabilità e doveri che per lui sono impossibili da sostenere. Dedicare del tempo alla crescita della propria autostima significa dedicare tempo a se stessi. Alta e Bassa Autostima Avere una concezione positiva di sé stessi significa volersi bene, attribuirsi un valore, piacersi. Come si fa a volersi bene? Se ci fermiamo un attimo a pensare, ci rendiamo conto che noi vogliamo bene a chi conosciamo; è difficile provare un sentimento per chi non si conosce. Allora, il primo passo per stimarsi è imparare a conoscersi. Ai fini dell’autostima, è importante il rapporto tra le nostre autovalutazioni e le nostre aspirazioni; Sé Percepito e Sé ideale Per sapere se una persona ha un’alta o una bassa autostima, dobbiamo sapere sia cosa pensa di sé sia come vorrebbe essere; indagando, cioè, la discrepanza tra le autovalutazioni di fatto e quelle desiderate. Se tale discrepanza è piccola, l’autostima sarà verosimilmente alta, perché la persona pensa di corrispondere ai suoi desideri, alle sue aspettative, alle sue ambizioni; se la discrepanza è grande, l’autostima, al contrario, sarà bassa. In genere le premure sono riservate al lato puramente ‘esteriore’ a discapito di quello ‘intimo’, spesso trascurato se non addirittura totalmente messo da parte. Ciò che sta in superficie, essendo visibile e sottoposto nell’immediato al giudizio altrui, è reso il più perfetto possibile a danno di ciò che non si vede: un fisico costruito grazie ad un allenamento assiduo suscita invidia ed esalta l’ego di chi lo possiede; al contrario, una mente che, per mezzo dell’introspezione personale, tenta di dare un senso alla propria esistenza non trova lo stesso riscontro immediato. Si preferisce essere contemplati per la bellezza piuttosto che per la profondità. L’autostima permette di affrontare la vita con maggior serenità e raggiungere obiettivi rilevanti, con meno stress rispetto a chi vive una situazione personale di disistima. Chi crede in se stesso è indubbiamente avvantaggiato rispetto a chi dubita delle proprie attitudini. Persona “forte” e “vincente”: è il 1° estimatore di se stesso in quanto dà per assodate le sue qualità; per realizzarsi non necessita di essere particolarmente supportato: è una persona curata nella giusta misura, che non sfocia mai nell’eccesso; sceglie le proprie cose in base a gusto estetico, praticità e qualità, mai per moda, poiché non sente il bisogno di dimostrare la sua ‘superiorità’ attraverso oggetti che ne sono il simbolo indiscusso per antonomasia. Chi, al contrario, si lascia manovrare dalla legge dello status symbol, non è in grado di desiderare nulla che non sia dettato dalla moda del momento e non riesce a distinguere realisticamente il bello dal brutto. Autostima Sicurezza Sicurezza nelle proprie capacità mentali e/o fisiche; Si è in grado per es. di accogliere un complimento senza svalutarlo (non merito tanto) ma anche di ricevere una critica senza sentirsi sminuiti o respinti. Se incentivata, l’autostima è un valido scudo per difendersi dalla società moderna con i suoi modelli convenzionali di bellezza. Spesso, infatti, il malessere di molte persone è causato proprio dalla ‘finzione’ che ogni giorno a fatica mettono in scena e che, penosamente, tentano di non far scoprire: nelle vesti di personaggi come ‘il bello’, ‘il potente’, ‘il ricco’, ci illudiamo di essere meno fragili. L’”apparenza” ci intrappola in una prigione fatta di stereotipi che ci spinge a non avere fede nelle nostre capacità in quanto le regole prime sono ‘apparire’ e ‘avere’. Chi per insicurezza personale o per incapacità di opporsi alle convenzioni attuali, si lascia intrappolare da irraggiungibili modelli che osannano una bellezza sempre giovane e perfetta, va incontro alla delusione di esser messo da parte con gli inevitabili segni dell’avanzare dell’età. Regole di Base 1. Dire NO Troviamo un’ora di tempo per noi. Pensiamo a quante volte, nell’ultimo mese, abbiamo assecondato senza desiderarlo le esigenze degli altri. Pensiamo a quante volte, nell’ultimo mese, abbiamo chiesto un favore. Poniamoci alcune domande: perché non ho detto no? (la paura di essere giudicati male porta sempre ad essere accondiscendenti); quanto mi è costato il si? (tempo e denaro); cosa avrebbe comportato il no? (perdere forse l’affetto del richiedente); la persona alla quale ho detto si avrebbe fatto altrettanto per me? (Forse no). Diamo un ordine di importanza affettiva a chi ci ha fatto una richiesta (coniuge, genitore, amica). Motiviamo mentalmente il nostro no e chiediamoci quanti, fra i richiedenti, si rifiuterebbero di comprenderci. Sforziamoci di capire l’importanza di un si e di un no e la differenza fra i due. Un si non si regala, né si rinfaccia; un no va motivato e detto con decisione. 2. Chiedere Troviamo un’ora di tempo libero. Chiediamoci se esiste qualcosa che desideriamo ma che possiamo ottenere solo con l’aiuto di terzi. Poniamoci delle domande: perché non chiedo? (forse per il terrore di un ipotetico no). Se fossi al posto dell’altro cosa risponderei? Non dobbiamo dare per scontato il no degli altri. Una risposta negativa non può, né deve, condizionarci. Un no deve spronarci a cercare aiuto altrove e incitarci a provvedere da soli alle nostre esigenze. 3. Combattere le proprie debolezze Troviamo un’ora di tempo libero. Riflettiamo sulle nostre paure e identifichiamole con un nome. Andiamo incontro alla nostra paura, senza respingerla. Affrontiamo la nostra paura ed esortiamo noi stessi ad essere più forti di ciò che ci intimorisce. 4. Non temere il confronto Troviamo un’ora di tempo libero Pensiamo ad una persona che ci incute soggezione Poniamoci delle domande: perché questa persona mi mette a disagio? (è sicura di sé, intraprendente, brillante, intelligente). Come penso mi giudichi? (insicuro, debole, privo di personalità). Non sentiamoci inferiori in partenza. Abbiamo delle qualità: elenchiamole mentalmente. Ripensiamo alla persona riportandola ad un livello pari al nostro. Ha anch’essa delle paure. Elenchiamo ora, a voce alta, le nostre qualità, immaginando che a farlo sia la persona che temiamo (probabilmente è davvero ciò che pensa di noi). 5. Non lasciarsi condizionare Troviamo un’ora di tempo libero per noi Domandiamoci quanto gli agenti esterni condizionano la qualità della nostra vita. Poniamoci delle domande: quanto conta il giudizio altrui sulla mia immagine corporea? Quanto mi condizionano modelli estetici più belli? Le mie scelte commerciali sono la proiezione della moda del momento? Valutare l’Autostima TMA (Test Multidimensionale dell’Autostima): 9-19 anni. •Relazioni interpersonali •Successo scolastico •Emotività •Vita familiare •Vissuto corporeo •Padronanza sull’ambiente Basic SE (Basic Self-Esteem Scale): dai 19 anni Avere un corpo perfetto è simbolo di controllo, che a sua volta è simbolo di lavoro duro e ambizione. Due assunti sottendono tale aspirazione: avere un corpo perfetto rende la vita molto più facile (in realtà varie ricerche hanno evidenziato che essere fisicamente attraenti porta vantaggi in alcune aree ma anche svantaggi in altre); essendo il corpo malleabile, con la giusta combinazione di alimentazione ed esercizio, ciascuno può diventare fisicamente perfetto. Anche se le variabili biologiche/genetiche influenzano la regolazione del peso e delle forme corporee e impongono dei limiti naturali, vi è la forte fiducia nella possibilità che grazie ad alcuni mezzi si può arrivare, o perlomeno avvicinarsi, al modello di bellezza che la società considera ideale. Alimentazione, Immagine Corporea e Sport Lo sforzo verso un miglioramento del corpo coinvolge tutti e due i sessi e ciò comporta l’assunzione di una vasta gamma di comportamenti ed attività, tra cui l’esercizio fisico. Se da un lato è indubbio che la partecipazione all’attività fisica regolare conferisca un gran numero di effetti fisiologici e psicologici positivi, come la riduzione di malattie cardiovascolari, di osteoporosi, di ipertensione, dall’altro non si possono non considerare i rischi legati al concepire e al vivere lo sport in determinati modi, alcuni dei quali possono diventare estremi e controproduttivi. La moda della forma fisica è esplosa negli anni ’80 in tutti i paesi industrializzati: attrezzi ginnici, club salutisti e una nuova generazione di allenatori professionisti costituiscono un’industria in crescita che, forse più del desiderio di dimagrire, è frutto del culto del corpo nelle società consumiste. Lo sviluppo dell’attività fisica di massa e la nascita di nuove pratiche motorie finalizzate al raggiungimento di ideali di forma e muscolosità, ha portato alcuni studiosi ad analizzare le motivazioni alla base della scelta di aderire o meno all’attività fisica. Da tale studio è emerso che, in una consistente percentuale di soggetti, l’esercizio fisico rappresenta una modalità volta a modellare e controllare la propria immagine corporea. Modalità che Schilder individuava quale mezzo di modifica del corpo percepito e di ricerca del corpo ideale. E’ oramai assodato che l’esercizio fisico, dal genere femminile come da quello maschile, venga praticato spesso più per l’apparenza che per i suoi benefici legati al benessere (Miskin, Rodin, Silverstein, & Striegel-Moore, 1996). In maniera più grave ci si può riferire al fanatismo per lo sport, ed al concetto di sovraesercizio: nel tempo sono stati coniati termini nuovi come negative addiction, compulsive exercise o exercise dependance, per descrivere un tipo di attività fisica estrema, sia in frequenza che in durata, accompagnata da un’irresistibile coazione alla prestazione e da possibili crisi di astinenza (Morgan, 1979). Sebbene il concetto di sovra-esercizio sia di difficile classificazione e misurazione, esiste oramai una quantità di dati sufficienti per affermare che, in determinate circostanze, esso è legato fortemente ad insoddisfazione corporea e può causare disturbi di tipo alimentare. Secondo queste premesse è sempre bene sottolineare la distinzione che separa un tipo di esercizio fisico sano ed equilibrato, rivolto ad un’adeguata cura di sé, al mantenimento di un aspetto desiderabile, ad un miglioramento della propria immagine e al potenziamento della propria vitalità, da un altro modo di vivere lo sport, in modo patologico, laddove le pratiche legate all’allenamento diventano cosi totalizzanti da interferire con tutti gli altri aspetti della vita, come il lavoro, lo studio, i rapporti sociali e le relazioni sentimentali, e nel quale l’investimento sull’immagine è assoluto, annullando ogni consapevolezza di sé che non sia basata sull’esteriorità. Un allenamento portato all’eccesso può rivelarsi controproducente Quali sono le conseguenze psicologiche derivanti da un’attività fisica estrema? L’esercizio incessante, praticato senza il rispetto delle norme comuni al buon senso, compromette risorse energetiche e mentali. Lo sport influisce in maniera positiva sullo stress solo quando esso viene praticato correttamente, con lo scopo di ottenere una buona forma fisica, non un corpo perfetto. In questo caso, lo sport diventa un agente stressante a livello psicologico. Attività fisica = qualcosa di utile al fine di bruciare calorie in poco tempo e dimagrire o di aumentare la massa muscolare porta il livello di tensione psichica a livelli molto alti. Per le persone affette da DCA, l’attività fisica assume un vero e proprio valore simbolico: viene mitizzata e considerata una scorciatoia velocissima per il raggiungimento della perdita di peso e del controllo delle forme corporee. In questi casi non esiste il piacere di allenarsi, non vi è alcuna soddisfazione nell’osservare gli eventuali miglioramenti che si ottengono grazie all’allenamento costante. Esiste solo la volontà di annullarsi completamente nell’esercizio fisico fino allo stremo delle forze. Anche dopo i continui svenimenti dati da tale condotta, la sindrome iperattiva di questi soggetti li costringe a ricominciare non curanti del rischio: il programma di allenamento si intensifica sempre di più e diventa un incubo persecutore al quale viene sommata l’aggravante del digiuno totale. In situazioni così estreme, il cervello si rifiuta di assecondare tale metodica e attraversa quella che si definisce ‘una crisi di rigetto’: aumenta il nervosismo, nascono facilmente sentimenti di collera alternati a brevi momenti di euforia che lasciano presto il posto ad ansia, angoscia, attacchi di panico. La sensibilità emotiva risulta alterata e compromessa: tutte le dimensioni delle reazioni (riso, pianto) assumono un valore amplificato e difficile da tenere sotto controllo. L’attività sportiva diventa, per il singolo con DCA, molto nociva: ogni sessione esaurisce sempre più le riserve energetiche fisiche e mentali e contribuisce a peggiorare lo stato generale di salute psicofisica. Nonostante ciò, il soggetto continua imperterrito, mentendo anche a se stesso sulla gravità di tale comportamento. Pericoli: stanchezza cronica, demotivazione, senso di indaguatezza, crollo dei livelli di autostima e depressione perenne. Gli sportivi, a causa della loro professione e del loro stile di vita, appartengono ad una categoria particolare di persone e appaiono oggi esposti a rischi maggiori di sviluppare dei disturbi legati all’ IC rispetto alla popolazione. Per un atleta il fisico riveste una grande importanza in quanto è attraverso di questo che si può esprimere il proprio Sé e le proprie potenzialità. Spesso, in determinati sport e a determinati livelli, ciò si traduce in uno stile di vita improntato sul corpo. La magrezza e la tonicità sono fattori fondamentali per sviluppare certe abilità tecniche e determinare il costante miglioramento della performance, da questo deriva la maggiore attenzione per il controllo del peso e per la forma del corpo, la paura di ingrassare e spesso un’ostinata iperattività giornaliera associata a veri e propri sintomi di astinenza in caso di impossibilità a svolgere i propri esercizi quotidianamente, come rilevato in popolazioni di podisti e ballerine. La partecipazione ad uno sport è spesso collegata ad un’alta prevalenza di disturbi dell’IC, ed in particolar modo la loro diffusione è maggiore in certi tipi di sport o attività fisica, come il balletto, la ginnastica, la corsa, il wrestling, il body building. In alcuni sport come la danza e la ginnastica artistica, dove la magrezza è ricercata al pari della flessibilità e della scioltezza dei movimenti, ed in altri, come il pugilato, il judo o il body building, dove si gareggia in diverse categorie in base al peso, le probabilità che insorgano comportamenti alimentari a rischio è maggiore che in altre attività sportive , dove il peso non è cosi rilevante. Quello sportivo è un contesto in cui immagine corporea e alimentazione rivestono grande importanza A partire dagli anni ’80 sono iniziate le ricerche sulle relazioni esistenti tra insoddisfazione corporea ed esercizio fisico (con attenzione anche ai disturbi del comportamento alimentare), innanzitutto con lo studio di alcune caratteristiche di personalità associate sia ai disordini dell’IC che alla partecipazione ad uno sport: la competitività, l’ansia da prestazione ed il perfezionismo. Molteplici studi hanno confermato una relazione positiva tra questi fattori. La percezione della propria IC può influenzare la condotta alimentare portando il soggetto, ad esempio, a seguire una dieta sana o restrittiva. La valutazione positiva del proprio corpo è stata collegata ad un’alimentazione sana ed adeguata e ci saranno meno probabilità di mangiare in maniera disordinata o intraprendere una dieta restrittiva o vomito autoindotto, se il soggetto sarà soddisfatto di come appare. Per un atleta è importante sì il raggiungimento del risultato sportivo o di un certo tipo di prestazione, ma anche di come si appare, di avere, cioè, un peso e una forma ottimali; questo può determinare comportamenti e abitudini alimentari disfunzionali. Oltre a motivazioni tecniche, strettamente connesse ad un determinato tipo esercizio, anche per gli sportivi esistono, infatti, determinati modelli ed immagini ideali cui riferirsi; ciò vale per tutti gli sport ma, in particolar modo, per quegli sport ad alta componente estetica: si può pensare al desiderio di magrezza delle ballerine, ma anche al desiderio opposto, quello di un body builder, che non si percepisce mai abbastanza grosso e tende verso una massa muscolare sempre maggiore. Seguire una corretta alimentazione risulta essere importante affinchè l’organismo funzioni al meglio; se ciò è valido per qualunque persona, che svolge un’attività più o meno sedentaria, lo è ancor di più per coloro che praticano sport e dal proprio corpo devono ottenere molto di più in termini di prestazioni fisiche e consumo energetico. Per chi pratica attività sportiva, l’alimentazione riveste un ruolo determinante ed è importante che lo sportivo sappia quali alimenti possono essergli di aiuto nella propria attività, in che quantità e modalità assumerli. A seconda dell’attività svolta esistono notevoli differenze nell’alimentazione da seguire: • Sport di resistenza: grande quantità di carboidrati che garantisca un notevole apporto di glicogeno sufficiente a fornire energia durante gli sforzi prolungati; • Sport di forza: è importante l’apporto proteico che favorisce lo sviluppo della massa muscolare; non trascurare allo stesso tempo i carboidrati, i quali garantiscono il necessario apporto di energia senza il quale l’organismo sarebbe costretto ad intaccare le riserve di proteine; • Sport di velocità e scatto: un giusto apporto di carboidrati, l’unico nutrimento che garantisce energia immediata con il minor dispendio di ossigeno. Non tutti gli atleti provano sentimenti di adeguatezza del proprio corpo rispetto alle caratteristiche specifiche dello sport praticato, sentendosi spesso sotto pressione in vista del raggiungimento del “tipo ideale” di corpo. Gli atleti sono spesso sotto pressione in quanto il loro corpo deve garantire una performance ottimale in base alle caratteristiche dello sport. Così, coloro che praticano sport come la danza, l'atletica, la ginnastica artistica, il pattinaggio, sono portati a desiderare una corporatura più esile e slanciata che dia un'immagine di leggerezza e armonia mentre, coloro che praticano sport come il body-building, il football, il pugilato, desiderano una corporatura più massiccia e muscolosa. Ad ogni tipo di sport corrisponde, dunque, un'ideale corporeo; di conseguenza a seconda dello sport praticato, gli atleti desidereranno un certo tipo di corporatura e cercheranno di raggiungerla essenzialmente attraverso un particolare allenamento e specifiche abitudini alimentari. Tutto questo, può, in alcuni casi, portare l’atleta a mettere in atto comportamenti dannosi, in particolare rispetto all'allenamento e alle condotte alimentari (sovra-esercizio) Le conseguenze di diete particolari, adottate per tenere sotto controllo il peso corporeo, possono essere gravi. O’Connor & Caterson: un calo improvviso e drastico di peso corporeo influenza negativamente la performance, le funzioni cognitive e la salute fisica in generale; Nattiv et al.: la perdita di peso, anche in assenza di un disturbo vero e proprio della condotta alimentare, ha complicanze mediche che includono il sistema cardiovascolare, endocrino, riproduttivo, gastrointestinale, renale, ed il sistema nervoso centrale. Marco Mariolini Il Collezionista di Anoressiche Disturbi Alimentari e Distorsione dell’Immagine Corporea nello Sport Disturbi della Nutrizione e della Alimentazione (DSM-V) Interessano primariamente il genere femminile e sono considerati un problema sanitario importante; essi sono caratterizzati da un grave disordine alimentare e una preoccupazione eccessiva riguardante il peso e la forma del proprio corpo. Si manifesta frequentemente una bassa autostima, un’immagine corporea distorta che fa percepire il proprio corpo con un eccesso di peso, inefficienza, perfezionismo e un senso di perdita di controllo seguiti da meccanismi compensatori quali manipolazione alimentare e utilizzo di metodi inadeguati al controllo del peso. A ciò si associa spesso irregolarità mestruale e osteoporosi. Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione Sono caratterizzati da “un persistente disturbo dell’alimentazione oppure da comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale” DSM-IV vs DSM-V Denominazione È stata eliminata l’obesità È stata eliminata la dicitura “disturbi solitamente diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza” Disturbo della nutrizione dell’infanzia o della prima fanciullezza disturbo Evitante /Restrittivo Criteri anoressia/bulimia Alimentazione incontrollata Binge-Eating Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione Anoressia Nervosa Bulimia Nervosa Binge Eating Disorder Disturbo Evitante/Restrittivo dell’assunzione di cibo (Ortoressia, Anoressia Inversa) Disturbo della Ruminazione Pica Altri disturbi specifici della nutrizione e dell’alimentazione Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione non altrimenti specificati L’atleta con disturbi alimentari fa parte di una popolazione speciale con un problema particolare cui possono aver contribuito diversi fattori quali la natura della disciplina sportiva, le regole, la frequenza con cui ci si allena, il carico di allenamento, la subcultura legata alla disciplina, il sovra-allenamento o il comportamento dell’allenatore. L’ambiente sportivo può, quindi, enfatizzare e complicare alcune problematiche presenti nell’atleta, richiedendo ad esempio un corpo con peso e forma ideali. Questo ideale spesso implica la perdita di peso o grasso corporeo che può far precipitare l’atleta in un disturbo alimentare o esacerbarne uno già esistente. Nei primi anni ’90 fu introdotto il concetto di Anoressia Atletica dal momento che si notò che gli atleti sembravano costituire una popolazione a parte. Quella della AA è una condizione in cui apporto calorico e massa corporea sono ridotti malgrado le elevate prestazioni fisiche; per diversi aspetti essa ricalca l’Anoressia Nervosa visto che le pazienti spesso praticano incessante attività ed esercizio fisico simile a quello notato in molti atleti. Ad ogni modo l’AA risponde a qualche, ma non a tutti i criteri dei Disturbi Alimentari e può perciò essere considerata simile al Disturbo Alimentare non Altrimenti Specificato (EDNOS). Anoressia Nervosa e Anoressia Atletica AN: perdita di peso dovuta ad un’alimentazione eccessivamente restrittiva; AA: basso peso corporeo dovuto ad un eccessivo esercizio fisico e ad un apporto limitato di calorie. AN: ufficialmente riconosciuta come Disturbo del Comportamento Alimentare dall’APA; AA: non soddisfa pienamente tutti i criteri di un DCA; non compresa nel DSM ma utilizzata frequentemente dai professionisti della salute. Anoressia Nervosa Le persone con Anoressia sono ossessionate dall’idea di apparire magre e sviluppano un’intensa, irrazionale paura di acquisire peso. Di conseguenza, riducono drasticamente l’assunzione di qualsiasi cibo che possa potenzialmente farli ingrassare. In alcuni casi il comportamento restrittivo è l’unico metodo utilizzato per controllare il peso corporeo; in altri casi le persone anoressiche mostrano comportamenti riscontrati nella Bulimia Nervosa, associando al comportamento restrittivo episodi di abbuffate seguite poi da condotte eliminatorie come vomito, abuso di diuretici. Anoressia Atletica Fa riferimento a condotte alimentari presenti nelle donne che praticano attività sportiva; caratteristiche comuni sono la bassa autostima, immagine corporea distorta, senso di colpa, inefficienza, perfezionismo e un senso di perdita di controllo con meccanismi compensatori agiti mediante un’alterazione dei pasti e l’utilizzo di metodi volti a controllare il peso (vomito, digiuno, utilizzo di lassativi e/o diuretici). Le atlete maggiormente colpite sono quelle che praticano sport in cui si dà importanza alla magrezza, al corpo asciutto e longilineo. Quella della AA è una condizione in cui apporto calorico e massa corporea sono ridotti malgrado le elevate prestazioni fisiche. Negli ultimi decenni si è verificato un cambiamento culturale nell’ambito dell’immagine maschile e della sua cura, ragion per cui è andato progressivamente aumentando l’interesse verso il suo studio; abbiamo assistito ad un graduale spostamento del modo in cui gli uomini percepiscono il proprio corpo e una crescente tendenza verso una condizione chiamata dismorfia muscolare o vigoressia. Questa condizione è entrata a far parte della letteratura nel 1993 quando Pope, Katz e Hudson descrissero una condizione che chiamarono reverse anorexia in una popolazione maschile di bodybuilders. Questi uomini, sebbene fossero molto muscolosi, credevano di essere piccoli e fisicamente deboli; declinavano inviti, vestivano indumenti pesanti anche in estate e rifiutavano di farsi vedere al mare. Questo faceva sì che le loro relazioni sociali ed intime fosse fortemente compromesse. Anche la sfera lavorativa, oltre a quella sociale ed affettiva , era spesso compromessa: i soggetti si impegnano spesso nella ricerca di un’occupazione in tutte quelle aree in cui essi possono sollevare pesi regolarmente, come le palestre. Inoltre tali individui seguono una dieta meticolosa e scrupolosa, la quale spesso include l’uso inappropriato di integratori, quali anabolizzanti e steroidi androgeni. In seguito ad ulteriori ricerche Pope e collaboratori hanno rinominato questa condizione dismorfia muscolare, classificandola come un sottotipo di disturbo da dismorfismo corporeo. Benché la Dismorfia Muscolare sia stata originariamente considerata come una sottocategoria dei disturbi da Dismorfia Corporea, studi più recenti suggeriscono che sia meglio classificabile come un disturbo alimentare. A questo proposito Grieve e collaboratori hanno evidenziato diverse somiglianze con i disturbi dell'alimentazione, soprattuto con l‘Anoressia e la Bulimia Nervosa. In primo luogo i soggetti con diagnosi di DM spesso hanno una storia di disturbi alimentari o sintomi di disturbi dell'alimentazione insieme a sintomi di DM. Inoltre, sia la Dismorfia Muscolare che l’Anoressia Nervosa prevedono distorsione corporea, il desiderio di raggiungere e mantenere una precisa forma fisica e comportamenti alimentari abnormi sorretti da un disfunzionale sistema di credenze. La DM è una condizione che interessa primariamente i bodybuilders di sesso maschile. Non occorre guardare tanto lontano per capire come il bodybuilding abbia influenzato la cultura contemporanea per quanto riguarda un certo ideale fisico maschile. Che cos’è il Bodybuilding? Il perseguimento di un fisico muscoloso attraverso un programma di allenamento pesi e un regime nutrizionale su misura. Sebbene esistano bodybuilders di sesso femminile, è un’attività che coinvolge primariamente gli uomini. Nell’ambito del bodybuilding competitivo, gli atleti mostrano il proprio fisico ad una giuria che assegna un punteggio in base alla taglia, la simmetria e la muscolatura. Le qualità estetiche del bodybuilding fanno sì che esso si differenzi dal sollevamento pesi dove lo scopo è quello di sollevare il maggior peso possibile; i sollevatori di pesi cercano di accumulare una maggiore percentuale di grasso rispetto ai culturisti, per aumentare la propria forza. Pumping Iron (Uomo d’Acciaio, 1977) Se è vero che oltre alla prestazione è importante come l’atleta appare, lo è più che mai nel caso del body building, dove, il confronto con certi modelli ideali è continuo e motivante per l’allenamento; i modelli cui riferirsi si trovano nelle riviste specializzate e ancor più vicino all’interno della palestra in cui ci si allena. Per tanto tempo il focus dell’attenzione concernente i disturbi dell’ IC negli sportivi si è concentrato unicamente sulle atlete femminili, in realtà la loro incidenza fra il sesso maschile ha avuto un forte incremento negli ultimi anni. Diversi studi hanno dimostrato che con l’aumento della popolarità del Bodybuilding, è andato crescendo il numero di uomini insoddisfatti del proprio fisico. Alla base di questa insoddisfazione non c’è il desiderio di possedere corpi più snelli come avviene per le donne ma corpi più muscolosi (Pope et al., 2000). In questo caso siamo oltre il semplice malcontento e apprensione verso il proprio corpo (o muscolatura): l’insoddisfazione corporea si traduce in distorsione dell’immagine corporea e, nello sforzo di cambiare e migliorare la propria forma corporea, si costituiscono le basi per gravi disturbi e patologie (Schwartz & Brownell, 2004) (Dismorfismo Corporeo, Dismorfia Muscolare). Dismorfismo Corporeo La caratteristica principale del disturbo da Dimorfismo Corporeo è una preoccupazione molto pronunciata per un difetto dell’aspetto fisico che, diversamente dalle normali preoccupazioni per il proprio corpo, comporta un eccessivo dispendio di tempo e risulta associata ad un’intensa e tormentosa sensazione di disagio. Tale preoccupazione non riguarda il proprio stato di salute, bensì è di carattere puramente estetico: il difetto o la deformità non sono realmente presenti o, quando lo sono, c’è comunque una netta sproporzione fra il dato oggettivo e il vissuto soggettivo. Ogni parte del corpo può diventarne causa e la preoccupazione può riguardare simultaneamente diverse parti, che possono rimanere le stesse o cambiare. Dismorfia Muscolare “A preoccupation with overall muscularity and drive to gain weight without gaining fat” (Morgan, 2000) Un’eccessiva preoccupazione e insoddisfazione per la propria grandezza corporea e la propria massa muscolare: il sg vede se stesso come piccolo e fragile, anche quando la realtà è ben altra; è presente la tendenza ossessiva ad accrescere sempre di più la massa muscolare. Per indicare tale disturbo viene anche usato il termine Vigoressia, ovvero il desiderio di possedere un corpo più muscoloso e più ‘asciutto’. Il focus dell’ossessione non è più la paura di ingrassare ma il timore di non essere abbastanza grossi, quello che infatti affligge non è tanto un eventuale sovrappeso, quanto la percentuale di grasso corporeo, che va sempre tenuta sotto controllo. Soggetti con DM sono fortemente convinti di non possedere un’adeguata muscolatura, nonostante essi si presentino spesso più muscolosi rispetto alla media della popolazione. La preoccupazione per il proprio corpo è persistente e causa disturbi nel funzionamento globale dell’individuo associati ad angoscia. Diversi studi hanno associato il fisico maschile muscoloso al potere, alla dominanza, alla forza, alla virilità, all’autostima. In altre parole, la fragilità fisica, spesso associata alla femminilità, viene contrastata mantenendo un fisico muscoloso. Tre sono i possibili determinanti del disturbo, non operanti in modo indipendente l’uno dall’altro, per cui è opportuno propendere per un’eziologia di tipo multifattoriale. In primis, una componente biologica predisponente (che rende alcuni soggetti più inclini di altri a sviluppare sintomi del tipo ossessivo-compulsivo), un fattore di ordine psicologico (legato ad una bassa autostima e al modo in cui essi si giudicano, prevalentemente basato sull’ apparenza,come un investimento esagerato sulla propria estetica tipico dei narcisisti) ed uno di ordine sociale e culturale. Di recente, Grieve ha avanzato l’ipotesi secondo cui le variabili più importanti che conducono alla DM sono la distorsione percettiva del proprio corpo, l’insoddisfazione relativa ad esso e una immagine corporea interna idealizzata. Queste tre variabili, insieme al perfezionismo, alle emozioni negative, alla bassa autostima e alla pressione dei mass media, sono ritenute essere alla base dello sviluppo della DM. Veramente efficace, da parte degli allenatori, dei nutrizionisti e da chi lavora nello sport, diventa promuovere nell’atleta un miglioramento dell’IC ad esempio lavorando sull’autostima come un fattore protettivo rispetto all’insorgenza di disturbi del comportamento alimentare e dell’IC. Si tratta di interventi di promozione della salute, che mirano a identificare e potenziare aspetti positivi del Sé allo scopo di produrre dei cambiamenti a livello di autopercezione e valori (come norme culturali che regolano l’immagine corporea) per giungere alla modifica di comportamenti alimentari e ad una maggiore soddisfazione verso il proprio corpo. DM e DCA Le differenze tra AN e la DM sembrano essere dovute essenzialmente alle diverse "pulsioni" provate: nella prima c'è una ricerca estenuante della magrezza, nell'altra della muscolosità. Inoltre anche le condotte alimentari degli individui con DM sono influenzate da distorsioni cognitive sottostanti, così come avviene nell’anoressia e nella bulimia nervosa. Mentre le persone anoressiche e bulimiche raggiungono la magrezza desiderata attraverso digiuni, condotte di eliminazione ed allenamenti strazianti, i soggetti con DM assumono una grande quantità di calorie con l'obiettivo di incrementare la massa muscolare (c'è quindi una massiccia assunzione di cibo come avviene nel binge eating). Le similarità sintomatologiche riscontrate tra uomini con DM e donne con DCA indicano un'eziologia simile nei due sessi. Valutare l’Immagine Corporea I sistemi per valutare l’immagina corporea si possono dividere in due categorie: Tecniche di stima di parti distinte del corpo, con conseguente messa a fuoco dell’attenzione su differenti misure corporee; Tecniche di valutazione globale del corpo. Gli strumenti indirizzati prevalentemente alla misurazione della componente soggettiva dell’IC comprendono test proiettivi, interviste semistrutturate, questionari di auto-somministrazione e scelta tra diverse figure o silhouettes. Il test proiettivo più utilizzato è il Machover test (disegno della figura umana). Si basa sull’assunto che il disegno di una figura umana, che una persona esegue, sia in realtà la proiezione del proprio corpo. Body Shape Questionnaire (BSQ): si tratta di una misura auto-riferita, relativa al rapporto che i soggetti hanno con il proprio aspetto fisico e, in particolare, con l'esperienza fenomenica di "sentirsi grassi". Il questionario, validato a livello internazionale, è composto da 34 item che costituiscono la scala; a questi il soggetto è invitato a rispondere scegliendo fra 6 livelli di gravità, espressa dalla frequenza con cui i pensieri, le sensazioni ed i comportamenti descritti negli item si manifestano (mai/sempre). Il punteggio totale misura il grado di insoddisfazione corporea e può andare da un minimo di 34 ad un massimo di 204. The Body Appreciation Scale (BAS): è un questionario auto-somministrabile composto da 13 item che riflettono il grado di apprezzamento e gli aspetti positivi della propria IC. Tutti gli item sono su scala Likert da 1 a 5 (1 = mai, 5 = sempre); tanto più alto è il punteggio, tanto maggiore sarà il livello di apprezzamento della propria IC (es.: I respect my body, I feel good about my body, On the whole I’m satisfied about my body..) Body Image Assessment: è uno strumento volto a misurare le distorsioni dell’IC. Al soggetto, posto di fronte a diverse figure, vengo posti i seguenti quesiti: qual è l’immagine che meglio la rappresenta? Quale rappresenta il suo corpo ideale? Quale, secondo lei, può essere più attraente per un uomo? Il Body Image Assessment è la versione cartacea del Body Image Revealer (B.I.R.) B.I.R.